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2° Incontro
LA PENTECOSTE (Atti 2,1-13; 37-47)
 

Prima di leggere il testo, tentate di comunicarvi che cosa vi fa venire in mente la «Pentecoste». Che idea ce ne siamo fatta?  Poi leggete, possibilmente con la matita in mano,  il testo del capitolo 2 nei versetti indicati e fatevi queste domande:
1.         Che cosa ci sorprende in relazione all’idea che avevamo della Pentecoste? Dove vuole condurci questo racconto?
2.         Qual è stato l’antefatto della Pentecoste? (occorre cercare nel cap. 1)
3.         Sottolineare gli EFFETTI della Pentecoste e le REAZIONI che ha provocato dentro e fuori dalla comunità.

La chiesa dalla Pentecoste 

1- IL  MOVIMENTO DI PENTECOSTE

Spesso la nostra memoria, colpita anche dalle rappresentazioni artistiche, non ha memorizzato della Pentecoste altro che l’aspetto spettacolare: le lingue di fuoco e i miracoli degli apostoli che parlano lingue straniere senza conoscerle. Il testo non si ferma lì. Inoltre, gli apostoli sono rappresentati “seduti” e “nella casa”, ma questo non è che l’inizio perché nel seguito del testo tutto è in movimento.
Il racconto, molto colorito ma assai breve (1-13), mette in scena un evento che provoca lo stupore della folla e richiede una spiegazione. È necessario dunque un discorso (14-36) per interpretare l’evento. Non esiste evento di Pentecoste senza questa presa di parola. Che si sviluppa essenzialmente su due temi:

Primo tema: lo Spirito (14-21) ciò che ci e vi accade è la realizzazione della profezia di Gioele (3,1-2): negli ultimi tempi Dio effonderà il suo Spirito su tutti i membri del suo popolo e non solo su un’élite. Ciò accade ora per noi.

Secondo tema: Gesù risuscitato (22-36): se lo Spirito è così effuso su tutti e tutte, non è un caso, è il frutto e il segno della risurrezione di Gesù (2,36).

Finale: questa parola smuove l’uditorio. Ne nasce un dialogo e una azione (37-41): «che cosa dobbiamo fare?». Ricevere il battesimo nel nome di Gesù e ricevere, anche voi, il dono dello Spirito; e ciò accade: infatti “nello stesso giorno circa 3000 persone furono aggiunte” (da Dio alla comunità) (2,41). La Chiesa è nata. Ma il racconto non si ferma qua. Subito viene descritta la comunità appena nata come vivente nella comunione fraterna fino alla condivisione dei beni (42-47). La condivisione comunitaria è la Pentecoste compiuta. 

2- UN EVANGELO UNIVERSALE.

A- Lo Spirito dà agli apostoli di proclamare le meraviglie di Dio nelle diverse lingue degli ascoltatori. Ascoltare il Vangelo nella loro lingua madre, è inculturarlo, capirlo in dialogo con la propria cultura. Certamente sono presenti ebrei o proseliti, e il Vangelo comincia ad essere proclamato in primo luogo agli ebrei di Gerusalemme e della diaspora "Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo" (2, 5) e che, ad un certo punto della loro vita, sono venuti ad abitare nella Città Santa. Si tratta di un esempio di "globalizzazione".  Oggi si parla spesso della Pentecoste come anti-Babele. La Torre di Babele era un simbolo di orgoglio umano e del totalitarismo di una sola lingua e di un impero mondiale (Genesi 11). Il Vangelo non obbliga a un linguaggio unico; è capace di esprimersi in ogni cultura e non comporta alcun imperialismo culturale. L’universo cristiano è un universo di comunione e non di annessione.

B- Pietro cita il profeta Gioele là dove dice che il dono dello Spirito sarà offerto a tutti, senza alcuna discriminazione sociale: ragazzi e ragazze, giovani e vecchi, uomini e donne, schiavi e liberi. Di conseguenza tutti loro possono “profetizzare” (17-18). Precedentemente c’era già stato un desiderio segreto di Mosé: “Oh! Se tutto il popolo del Signore fosse composto da profeti, se il Signore mettesse il suo soffio sopra di essi” (Numeri 11,29). Ciò continuerà e si riprodurrà: a Cesarea con Cornelio, semplice “adoratore di Dio” (10,1. 44-48), a Efeso (19,1-7) e ovunque l’evangelo sarà annunciato e ricevuto. La Chiesa di Pentecoste a Gerusalemme è la democratizzazione dello Spirito Santo.

C- Secondo il dialogo finale, lo Spirito Santo sarà diffuso anche sui 3000 che vogliono essere battezzati (2,38). Ma non è tutto: “In realtà, ciò che Dio ha promesso vale per voi, per i vostri figli e per quelli che sono lontani: tutti quelli che il Signore, Dio nostro, chiamerà”(2,39). “Per quelli che sono lontani”: nel linguaggio dei profeti questa formula designa normalmente i Giudei della diaspora, perché sono lontani da Gerusalemme, cuore della terra Santa. Ma l’espressione può essere applicata a coloro che sono lontani dalla fede e dal Dio d’Israele.

 3- QUALE FIGURA DI CHIESA, ALLA SUA NASCITA?

A- Una Chiesa che nasce dallo Spirito. Prima di essere un’istituzione, la Chiesa è un movimento, una vita e una comunicazione di vita. La Pentecoste di Gerusalemme realizza l’annuncio di Giovanni Battista “io vi battezzò con l’acqua ma lui, Gesù, vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco” (Luca 4,16-17). La Chiesa nasce come un dono di Dio. Non è stato costruita. Una nascita non è effetto dell’iniziativa e dell’attività del bambino che nasce. L’esistenza e la vita gli sono donate. La Chiesa non si auto-dona lo Spirito; essa lo attende in preghiera e in una preghiera unanime. In Dio lo Spirito è sorgente di vita e di libertà, forza generativa. Il racconto degli Atti sottolinea l’iniziativa divina. Lo Spirito “viene”. Si manifesta sotto la forma simbolica “violento colpo di vento”. Riempie tutta la casa (2,2). Possiamo ricordare che nella prima parte dell’opera di Luca (il suo vangelo), è la venuta dello Spirito su Gesù che dà il via all’annuncio evangelico (Luca 3,22; 4,1. 14. 16-18).

B- Una Chiesa che nasce come “azione di parola”. Lo Spirito quando viene porta il dono della parola. Non di una parola banale e solo umana, ma di una parola divina, di una parola “di fuoco”, “delle lingue di fuoco”. C’era del “fuoco” sul Sinai, quando il Signore si rivelava alla comunità unanime dei figli di Israele, pronunciando le Dieci Parole. C’era fuoco nel cuore dei discepoli di Emmaus (Luca 24,32) quando Gesù spiega loro le sante scritture e fa loro comprendere il senso dell’evento pasquale. Lungo tutto il racconto degli Atti Luca dirà che la parola cresceva (6,7; 12,24; 19,20) prendendo forma nelle nuove comunità.

C- Una Chiesa che nasce come comunione fraterna. Che la Chiesa nasca come azione di parola non significa che l’annuncio si limiti alla parola: la stessa Chiesa che suscita la presa della parola suscita anche la “comunione” dei credenti che mettono tutto in comune, compresi il loro carismi. 

Pentecoste e Sinai.

Il racconto degli Atti ha le tonalità del racconto dell’alleanza del Sinai conclusa in occasione di una “teofania” cioè di una manifestazione divina (esodo 19,16-19; Deuteronomio 4,10-14). Secondo i clichés abituali della letteratura biblica, una teofania viene descritta nel mezzo di un linguaggio simbolico: vento forte, tempesta, fuoco, voci che provocano stupore. Imitando il racconto biblico, Luca presenta l’evento della Pentecoste come un nuovo Sinai: con la venuta dello Spirito, Dio rinnova la sua alleanza con il suo popolo. “Le lingue di fuoco” evocano la tradizione giudaica secondo la quale gli israeliti sul Sinai “vedevano le voci” come delle forme di fuoco delle “Dieci Parole”. Ora si tratta di voci che dicono l’evangelo affidato alla predicazione apostolica. Come al Sinai (“tutto il popolo riunito”, Esodo 19,7. 11; 20,18; Deuteronomio 4,10), le lingue di fuoco cadono su “ciascuno”, nel mezzo di un “essere-insieme” (tema caro a Luca: 1,14; 2,1;; 4,24; 5,12; 8,6; 15,25). La teofania ha luogo “nella casa” e nella “città” e non sulla montagna; non genera un terrore sacro ma una lode entusiastica; non rivela una nuova Toràh, ma l’evangelo.

 Parlare in altre lingue/ parlare in lingue

 “Parlare in lingue” è un carisma, un dono spirituale (cf 1Cor 14,2). Potrebbe significare:

a)         una preghiera entusiastica, “estatica”, che supera la coscienza stessa di colui che la esprime e di coloro che lo ascoltano; può comportare termini sconosciuti, un linguaggio entusiasta che fa dire ad alcuni ascoltatori: questi sono ubriachi (2,13)

b)         Un annuncio fatto in modo tale da raggiungere i desideri profondi, le attese universali, la cultura umana e religiosa di ogni ascoltatore. Nella Pentecoste il racconto dice che etnie presenti e provenienti da diversi paesi li ascoltavano ciascuno nella lingua materna (2,11): era dunque un linguaggio altamente comunicativo e coinvolgente.

La mappa dei popoli (2,9-11).
Luca ha tradotto l’universalità della proposta del Vangelo a “tutte le nazioni che sono sotto il cielo” attraverso una lista di popoli, province o regioni. Qui, Roma non è il centro. Il centro è Gerusalemme: “ romani soggiornanti qui”. Ecco l’immenso irraggiamento del Vangelo che lo Spirito sta inaugurando a partire da Gerusalemme. L’universalità non descrive la totalità, ma la differenza.

Ci sono come tre cerchi concentrici visti da Gerusalemme e dove la Giudea è nel mezzo della lista:

•         Si parte dall’est e dal nord dell’impero romano (Parti e Medi, Elamiti, approssimativamente l’Iran odierno; Mesopotamia: Irak attuale)

•         Poi si va verso l’ovest (province che si trovano attualmente nella Turchia: Cappadocia, Ponto, Asia, Panfilia)

•         Poi si va verso sud (Egitto, Libia);

“I romani” sono ricordati verso la fine con “Giudei e proseliti, cretesi e arabi”. E’ sorprendente che Roma, capitale del mondo di allora, non sia al centro. Benché poi tutta la missione paolina, converga a Roma (Atti 28).

Domande per attualizzare 

1.         Abbiamo fatto un’esperienza di Chiesa che ci fa pensare alla Pentecoste?

2.         Quale riflessione sulla Chiesa di oggi ci ispira il racconto della Pentecoste?

 Per pregare

Rit. Vieni Spirito di Gesù e della chiesa. 

Tu sai, Signore, che la creazione intera vive i dolori di un parto che dura ancora. Lo Spirito Santo venga in aiuto alla nostra debolezza, perché noi non sappiamo pregare come si deve. Spirito di Dio intercedi per noi, vieni ad abitare la nostra umanità fragile. Rit. 

Nel mondo vi sono pugni chiusi, violenze senza senso che uccidono. Nel mondo vi sono parole di troppo, parole che sprecano tutto, parole che distruggono gli altri. Rit 

Nel mondo c’è la dolcezza della primavera, la fecondità degli innamorati della vita, il canto. Nel mondo vi sono uomini e donne che lavorano per il rispetto dell’essere umano, uomini e donne che si amano. Rit 

Nelle nostre comunità ci sono molestie, impazienze, fatiche. Ci si consuma con l’abitudine e con la vecchiaia del cuore. Rit 

Nelle nostre comunità ci sono anch’io non sempre formidabile; ci sono anch’io talvolta magnifico quando mi ricordo che sono tua creatura, che ho un valore ai tuoi occhi e che tu mi ami. Unico davanti ai tuoi occhi, talmente amato da essere a mia volta capace di amare contro ogni attesa. Rit 

Per meditare:
«Ci sono luoghi dove soffia lo Spirito, ma c'è uno Spirito che soffia in ogni luogo. Ci sono persone che Dio prende e mette da parte. Ce ne sono altri che lascia nella massa, che non rimuove dal mondo. Sono persone che fanno un lavoro ordinario, che hanno una famiglia normale; persone che hanno malattie comuni, dolori di tutti; persone che hanno una casa normale, abiti normali. Queste sono persone della vita ordinaria. Le persone che incontriamo in ogni strada. Amano la loro porta che si apre sulla via ... Noi, il popolo della strada, crediamo con tutte le forze che quella strada, quel mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità. Siamo convinti che non ci manca nulla, perché se ci fosse mancato qualcosa di necessario, Dio ce lo avrebbe già dato». (Da “Soffio dello Spirito” di Madeleine Delbrel )