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 Aquila e Priscilla
(Atti 18, 1-4. 24-28)

Il testo

<<Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende. Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci....Arrivò a Efeso un Giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture. Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni. Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio. Poiché egli desiderava passare nell'Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza. Giunto là, fu molto utile a quelli che per opera della grazia erano divenuti credenti; confutava infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo>>.

Per comprendere il testo

Dei due sposi Aquila e Priscilla (o Prisca) si parla spesso nel Nuovo testamento. Sono originari del Ponto, l’odierna Turchia. Sono ebrei di nascita, immigrati a Roma ed espulsi nel 49 d.C. dall’imperatore Claudio con tutti gli ebrei accusati di fomentare disordini. Sono fabbricanti di tende con pelli di capra. A Corinto accolgono Paolo in casa e gli offrono lavoro e stipendio. Sono suoi compagni di viaggio verso la Siria (Atti 18,18). A Efeso  lo aiutano nell’evangelizzazione. Dalla Lettera ai Romani (16,3) si viene a sapere che hanno rischiato la vita per Paolo. Spesso Paolo li manda a salutare o si ricorda di loro nelle sue lettere (Rom. 16,3; 1 Cor. 16,19; 2 Tim. 4,19) restando legato da profonda amicizia.

E’ dunque una coppia responsabile che ha capito che il vangelo non è solo compito di alcuni specialisti. Quando Aquila e Prisca incontrano Apollo e scoprono che la sua formazione è carente, non si lasciano intimidire dalla sua retorica, ma lo prendono in carico e lo conducono ad una conoscenza più profonda e completa della fede “esponendogli con maggior accuratezza la via di Dio”.  Sanno farsi compagni di cammino, discreti e decisi come aveva fatto Gesù con i discepoli di Emmaus.

L’accoglienza dell’altro è caratteristica dominante delle comunità del Nuovo testamento. Pietro dopo il battesimo di Cornelio viene pregato di fermarsi in casa sua (Atti 10,48). Lidia «costringe» Paolo e Timoteo ad accettare di fermarsi in casa. Il carceriere di Paolo e Sila, dopo la conversione «li fa salire in casa e apparecchia la tavola con gioia» (Atti 16,34). Pietro a Giaffa si ferma parecchi giorni a casa di un certo Simone il conciatore (Atti 10,42). Paolo a Corinto vive e lavora in casa di Aquila e Priscilla (Atti 18, 2-3), poi nella casa di un “timorato di Dio” di nome Tizio Giusto (Atti 18, 7). Nella vita delle comunità cristiane di oggi non è sempre facile avere questa consapevolezza di fede che si traduce in gesti concreti e immediati di accoglienza. Occorre stimolarci ad una capacità di discernimento per saper trovare anche oggi dei modi concreti per vivere l’accoglienza. Il Card. Ballestrero in un messaggio del 1996 scriveva:<<Siamo chiamati a sostituire la pastorale dell’accoglienza pura e semplice con quello della  ricerca intraprendente, andando là dove sono quelli che da noi non vengono>>. (Il Regno/documenti 41 (1996) 21, pag. 646).

 Il Libro della vita.

Fernanda Tonellato operaia del Benetton Group di Treviso testimonia: <<Il mio lavoro si colloca alla fine dell’ingranaggio produttivo e consiste nell’imballaggio del prodotto finito con l’uso di scatoloni. Altre mie amiche vivono il lavoro sotto la pressione della produzione giornaliera. Un capo semplice di abbigliamento da confezionare chiede un ritmo produttivo di 120  capi all’ora. Si lamentano ritmi sostenuti stressanti fino a 49 ore settimanali. Il loro coinvolgimento psicologico è ridotto al minimo per la mansione ripetitiva.  E’ triste riconoscere che nel posto di lavoro si vivono più aspetti negativi che positivi e le preferenze o le simpatie non si giocano sull’umanità di ciascuno, ma sull’abilità di produrre e bene.  Mi sento realizzata nel lavoro? Non so che rispondere se non che l’azienda sta attuando la scelta dell’efficienza con l’innesto di tecnologia sempre più avanzata là dove oggi opera la persona.  Nel rapporto con le colleghe non c’è tempo e motivazione per coltivare rapporti interpersonali profondi. Noto una relazione tra la disaffezione al lavoro e i giovani  neo-assunti: essi affrontano il lavoro per se stesso. Non lo apprezzano come noi più anziani>>[1].   

Tina, giovane lavoratrice dice: <<Dalla lettura del vangelo ho conosciuto Gesù, i suoi valori, le sue realizzazioni. Ho scoperto di non essere sola, di vivere problemi simili a molti altri giovani e così ho iniziato a sentire l’esigenza di uscire da me stessa, di rinunciare alla frustrante necessità di dover emergere sugli altri; questa è l’aria che si respira soprattutto in fabbrica, in un ambiente cioè in cui i valori dominanti sono la bellezza, la ricchezza, l’estetica, la carriera. Per raggiungerli spesso non si guarda in  faccia a nessuno, ci si basa più sugli errori e sulle debolezze degli altri che sulle proprie effettive capacità. In questo ambiente è difficile creare rapporti autentici e fraterni tra colleghi. Ma non è neanche impossibile: con il mio gruppo ho capito che era ora di cercare di cambiare qualcosa. All’inizio è stato duro. Ma grazie all’incoraggiamento dei compagni di gruppo con cui condividevo settimanalmente la mia vita alla luce della parola di Dio, ho deciso di tener duro. Ho così iniziato a guardare i miei colleghi con più fiducia nelle loro e mie possibilità>>.

·        Per soldi e per amore: come si concilia il lavoro come necessità con il lavoro come vocazione? Il Vangelo ti aiuta a cambiare il tuo essere lavoratore? E il tuo lavoro ti aiuta a cambiarti nella direzione del Vangelo?

·        E’ possibile fare delle nostre case o famiglie una «chiesa domestica»?  Quali caratteristiche potrebbe assumere oggi il servizio di ospitalità e accoglienza nelle parrocchie o nei gruppi?

·        Riusciamo a narrare qualche fatto che abbia qualche somiglianza con lo stile di vita di Aquila e Prisca?

 

Per continuare la ricerca

<<Se la Chiesa considera come suo dovere pronunciarsi a proposito del lavoro dal punto di vista del suo valore umano e dell’ordine morale, ravvisando in ciò un suo compito importante nel servizio che rende all’intero messaggio evangelico, contemporaneamente essa vede un suo dovere particolare nella formazione di una spiritualità del lavoro, tale da aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi, per suo tramite, a Dio Creatore e Redentore, a partecipare ai suoi piani salvifici nei riguardi dell’uomo e del mondo e ad approfondire nella loro vita l’amicizia con Cristo, assumendo mediante la fede una viva partecipazione alla sua triplice missione: di Sacerdote, di Profeta e di Re>> (Dall’Enciclica Laborem exercens n.24)

Mons. Tonino Bello, defunto Vescovo di Molfetta, ha scritto: “Laici, cresimate il mondo! Prendete atto della dignità a cui il Signore vi ha chiamati assimilandovi alla sua missione sacerdotale. Questo significa, innanzitutto, che dovete sforzarvi di essere santi come lui è santo. Solo se avrete le mani pure potrete lasciare l’impronta dell’olio benedetto sulle realtà terrene e spingerle così verso il Regno. Diversamente, invece che cresimare il mondo, lo imbratterete. Amate il mondo, fategli compagnia. E adoperatevi perchè la sua cronaca di perdizione diventi storia di salvezza. Assumetevi le vostre responsabilità. Rifuggite la delega facile con cui vi siete spesso sottratti alle esigenze della laicità. Riappropriatevi dei compiti che vi spettano e a cui da sempre hanno dovuto supplire i chierici per inettitudine vostra più che per la loro prevaricazione.  La vostra dignità sacerdotale non contempla necessariamente spazi all’interno del presbiterio, ma spazi nel vortice delle piazze dove per secoli si è sperimentata la vostra colpevole latitanza. Non sfiancate la fantasia dei vostri pastori costringendoli ad assecondare la staticità ruminante del gregge. Amate invece le categorie del cambiamento laddove queste appaiono più capaci di accreditare il messaggio evangelico specialmente presso le giovani generazioni”.


[1] Da “I  lavoratori di oggi si raccontano in Vangelo e mondo del lavoro”  EDB, pag. 57