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 Agabo. Leggere i segni dei tempi.

(Atti 11, 27-30; 21, 10-12)

Il testo.

<<In questo tempo alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. E uno di loro, di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio. Allora i discepoli si accordarono, ciascuno secondo quello che possedeva, di mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea; questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba e Saulo>>. <<Eravamo a Cesarea da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: “Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani”. All'udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme>>.

Per comprendere il testo.

· <<...alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. E uno di loro...>>. Il profeta biblico è assimilabile ad una “sentinella” che scruta l’orizzonte per cogliere i segni di una incoraggiante visita gradita o lancia l’allarme in caso di pericolo per una visita non gradita. I profeti non hanno mai avuto vita facile perchè la loro parola ha sempre scosso le coscienze, ha messo a nudo false sicurezze, ha rimesso in moto comunità assopite. Secondo l’uso degli antichi profeti, i messaggi inviati non erano solo verbali, ma anche gestuali e simbolici. Gesù chiede a tutti di essere sentinelle e profeti nel leggere i sintomi della presenza di tempi provvidenziali di Dio (kairoi) nascosti nell’ora che scorre (cronos) come riferisce Luca 12,54-56:<<Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? >>.

I profeti delle prime comunità hanno probabilmente avuto un ruolo maggiore di quanto non lascino intravedere le testimonianze che ci sono rimaste in modo sporadico.<<C'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode tetrarca, e Saulo>>(Atti 13,1).<< Giuda e Sila, essendo anch'essi profeti, parlarono molto per incoraggiare i fratelli e li fortificarono>> (Atti 15,32). Filippo, diacono ed evangelizzatore, ha 4 figlie giovani che fanno le profetesse (Atti 21, 9). A Efeso, 12 anonimi ricevono lo Spirito da Paolo e incominciano e profetare (Atti 19, 6-7). Accade quello che predisse il profeta Gioele: <<Negli ultimi giorni, dice il Signore, Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno>> (Atti 2,17-18). Per Paolo la profezia fa parte dei molteplici doni dello Spirito dati per l’edificazione, l’esortazione, il conforto della comunità ed anche per tradurre, in modo comprensibile per tutti, certe manifestazioni mistiche presenti nella comunità.

· Come si viene a sapere dalla Didachè, alla fine del primo secolo abbondano ancora i profeti itineranti. Agabo entra nella storia del cammino dell’evangelo con una lettura “nello Spirito Santo” che oggi potremmo chiamare “critica”: quanto annuncia non è piacevole nè al riguardo della società (carestia) nè al riguardo dell’Apostolo Paolo (carcere). Il ruolo profetico biblico diventa coscienza critica senza sconti fuori o dentro l’organizzazione religiosa.

 

Dal libro della vita.

I segni dei tempi.

Il Concilio Vaticano II ha costituito un crinale divisorio tra due epoche, soprattutto nella Chiesa, ma non solo, chiudendo un’epoca della condanna o diffidenza verso tutto ciò che proveniva dal di fuori della chiesa e non avesse il suo imprimatur e aprendo un’epoca che voleva essere caratterizzata dal discernimento e dal principio dell’identità “aperta”. Fu introdotta così, nel linguaggio e nella pratica, la lettura dei “segni dei tempi”. Un grande evento che diventò invito a passare da una visione astorica, che pone la salvezza oltre la storia e nelle regioni dell’anima non inquinate da tempo e spazio, ad un’altra visione che vede la storia non come un trattino insignificante che ci separa dall’eternità, ma luogo dove abita e posso incontrare Dio e che proprio per questo mi permette conclusioni fragili e non assolutizzate.

Parlare di segni dei tempi significa prendere atto che gli avvenimenti che si susseguono nel tempo hanno qualcosa da dire oltre la loro stessa fattualità e ci rimandano ad una intenzionalità, che pur restando nascosta si lascia scoprire agli occhi della fede e assumono la funzione di rimando (Deut. 26,5-8). Il solo segno del Mar Rosso sarebbe rimasto indecifrabile senza la rivelazione del Sinai. Il segno è dato non solo per essere visto, ma perché vuole mettere in dinamismo la fede, la capacità di una risposta obbedienziale. Il segno non si autoimpone, ma si autopropone. Nella logica dell’Incarnazione non esistono due misteri disgiunti e sovrapposti: quello della creazione e della redenzione. Non esiste cioè da una parte l’edificazione del mondo senza interesse per il Regno e dall’altra la venuta del Regno che non abbia efficacia sulla costruzione del mondo.

Occorre dunque una capacità di discernimento che la Gaudium et spes così indica: «E’ dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito santo, di ascoltare attentamente, capire e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio» (GS 44). L’ascolto attento deriva innanzitutto dalla coscienza che i fatti hanno una complessità. Una comunità cristiana che accetta di guardare gli avvenimenti non dal di fuori, ma dal di dentro della storia, camminando umilmente sulla strada che percorrono tutti i poveri e i popoli estromessi dalla festa della vita, non può far altro che passare attraverso questo ascolto attento. Inoltre tale ascolto deve essere fatto «insieme agli altri uomini» (GS 11). E il discernimento non è fine a se stesso e non è identificabile con una semplice riflessione intellettuale.

 

Le tensioni attuali.

L’analisi non può che essere sommaria e necessariamente selettiva di alcuni aspetti.

 

Non solo l’ultimo Concilio è mal digerito da ampi settori della Chiesa e dimenticato da ancora più ampi settori, ma la proposta di un nuovo Concilio fatta dal Card. Martini al Sinodo Europeo del 7 ottobre 99 è stato velocemente rimossa e criticata. Nelle motivazioni dell’intervento troviamo l’elenco dei nodi irrisolti nella Chiesa: «Un terzo sogno: ripetere ogni tanto, nel corso del secolo che si apre, una esperienza di confronto universale tra i Vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee. Penso in generale agli approfondimenti e agli sviluppi dell'ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Penso alla carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d'anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del vangelo e dell'eucarestia. Penso ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell'Ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, penso al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale».

 

La caduta del muro di Berlino è ormai entrata nel mito senza aver goduto di un’appropriata analisi critica che ne ristabilisse il vero significato e che quindi si è prestata così ad un colossale fraintendimento. Quale? Fu la fine del comunismo, della guerra fredda, fu interpretato come la vittoria dell’occidente; vittoria che assolveva così e convalidava tutto ciò che aveva fatto l’occidente vincitore, come anatema di tutto ciò che avevano fatto gli sconfitti, come nuovo principio interpretativo di tutto il Novecento (il comunismo fu un “errore assoluto” e l’Occidente costituisce la verità assoluta nelle sue strategie economiche e politiche). Ora resta il pensiero unico e monocratico del liberismo. La storia dell’eliminazione del debito dei paesi poveri è eloquente. E’ venuto fuori il marcio, ma se ne vuole risanare l’epidermide senza intaccare i meccanismi come invece vanno predicando ovunque il vescovo Casaldaliga, il monaco Arturo Paoli e il missionario Alex Zanotelli. Zanotelli che recentemente ha scritto: «Vivendo con i poveri tocco con mano i disastri del neoliberismo e degli aggiustamenti strutturali imposti dalla banca mondiale e dal fondo monetario. Anche il condono del debito di cui tutti parlano e che tutti vogliono è "Buona novella" o specchietto per le allodole? Vedendo con i miei occhi il costante impoverimento degli esclusi dal banchetto, sento di poter affermare che questi "proclami imperiali" sono una buona propaganda di cui l'impero del denaro ha bisogno per legittimarsi. L'impero infatti nega di opprimere i più poveri, anzi si pavoneggia a benefattore dell'umanità».

Alla vittoria del pensiero unico ha contribuito anche la chiesa soffocando nella repressione la teologia della liberazione, la funzione critica dei teologi, lo spegnimento delle profezie diffuse e la creazione di un’impossibile profezia dell’istituzione (Papolatria carismatica), il trasferimento della politica sul versante meno critico e problematico del sociale-assistenziale. Trascorso il decennio 68’-80’ una grande maggioranza di giovani vive spoliticizzata anche per colpa delle agenzie educative e formative, come il sindacato, i partiti, la chiesa, la scuola. Che la maggioranza dei giovani sia lontana dalla politica è un dato di fatto, come pure è successo per i loro padri ex sessantottini. Ma bisogna dire che il quadro, pur minoritario, dei giovani impegnati nel sociale portano un certo riscatto al qualunquismo diffuso. Migliaia di giovani cercano di alleviare dolori, di aiutare vecchie e nuove povertà, di salvaguardare ambiente e pace. Ma ci chiediamo se questo impegno sociale sia anche politico. Le risposte sono divaricate. Alcuni pensano che il sociale dell’associazionismo e del volontariato rappresenti una forma - larvata e implicita – di allontanamento dalla politica. Per altri invece sarebbe proprio questo il modo con cui oggi si esprime l’impegno politico quasi che fra il politico e il sociale l’abbraccio fosse stretto ed il passaggio praticamente immediato. Dunque le sedi del volontariato sono le sedi dei nuovi partiti? O, al contrario, contribuiscono all’allontanamento dalla politica lasciandola nelle mani del mercato e degli affari? Sta di fatto davanti agli occhi di tutti un imbarbarimento della politica rimasta in mano a caste chiuse, a interessi di parte, con scarsa apertura alla base e astrusità di linguaggio e di problemi che hanno contribuito non poco al fallimento anche di quei residui di partecipazione democratica quali gli organi collegiali nelle scuole e quelli democratici dei luoghi di lavoro.

 

Ipotesi di lavoro.

Occorre dunque un nuovo riscatto dell’educazione alla politica. Occorre rimettere in rapporto la polis con l’oikòs, cioè la città con la casa, il bene comune con la legittima salvaguardia della soggettività. Occorre spostare la tensione dei due ambiti dal conflitto alla dialettica. Occorre smentire senza stancarsi che l’amore romantico tra Giulietta e Romeo non può esistere senza dover fare i conti prima o poi con la loro appartenenza ai due ceppi diversi e nemici (Capuleti e Montecchi), e cioè occorre far dialogare il linguaggio dell’intimo (o del religioso) con quello degli interessi politici (“la politica non è tutto, ma tutto è politico”). Occorre che questa politica torni ad essere popolare e non più aristocratica, professionale. Occorre ridare intercambiabilità ai soggetti che fanno politica (politica “diffusa”). Occorre ricordarsi pure quanto afferma l’Enciclica Octogesima adveniens (n.50): «Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi».

Occorre ricostruire laboratori del consenso critico o del dissenso critico. E questo non solo nelle tavole rotonde o nei processi di analisi verbale, ma soprattutto nella creazione di percorsi concreti. Uno di questi esempi è il circuito della banca etica e del commercio solidale. Oggi da più parti, specialmente in ambito educativo, si parla di riformulare la cultura non più come universale, ma pluriversale.

Occorre diffondere la cultura e la sperimentazione del gratuito