--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- |
Tabità. Il vangelo del lavoro. Il testo Per
comprendere il testo Il
Libro della vita <<Dalla
lettura del vangelo ho conosciuto Gesù, i suoi valori, le sue
realizzazioni. Ho scoperto di non essere sola, di vivere problemi simili a
molti altri giovani e così ho iniziato a sentire l’esigenza di uscire da
me stessa, di rinunciare alla frustrante necessità di dover emergere sugli
altri; questa è l’aria che si respira soprattutto in fabbrica, in un
ambiente cioè in cui i valori dominanti sono la bellezza, la ricchezza,
l’estetica, la carriera. Per raggiungerli spesso non si guarda in
faccia a nessuno, ci si basa più sugli errori e sulle debolezze
degli altri che sulle proprie effettive capacità. In questo ambiente è
difficile creare rapporti autentici e fraterni tra colleghi. Ma non è
neanche impossibile: con il mio gruppo ho capito che era ora di cercare di
cambiare qualcosa. All’inizio è stato duro. Ma grazie
all’incoraggiamento dei compagni di gruppo con cui condividevo
settimanalmente la mia vita alla luce della parola di Dio, ho deciso di
tener duro. Ho così iniziato a guardare i miei colleghi con più fiducia
nelle loro e mie possibilità>>. (Dalla testimonianza di Tina, giovane
lavoratrice) Per soldi e per
amore: come si concilia il lavoro come necessità con il lavoro come
vocazione? Il Vangelo ti aiuta a cambiare il tuo essere lavoratore? E il tuo
lavoro ti aiuta a cambiarti nella direzione del Vangelo? Per continuare la ricerca Comunità
cristiana e lavoro. Alcune domande come premessa -
la tendenza attuale a ragionare in termini corporativi e non
di "bene comune" non pone forse seri problemi al sindacato, ma
anche a chi, come la Chiesa, sta a cuore una equa ridistribuzione del
reddito e dei benefici sociali, perché i beni sono di Dio/di tutti e noi ne
siamo solo amministratori? -
la ricerca di una equità fiscale che attenui la divaricazione
tra poveri sempre più poveri e garantiti sempre più garantiti è forse
diventata estranea all’Evangelo dei profeti e di Gesù?
L'equità fiscale sarà solo frutto di nuove leggi e di uno stato
poliziesco, oppure primariamente di una nuova coscienza? Se la logica della
croce non incomincia a concretarsi in qualche martirio quotidiano, dove andrà
a posarsi? -
la prassi diffusa dei doppio lavoro e del lavoro nero, la condizione
dei turnisti, il lavoro precario stagionale, la gestione del bilancio
familiare, sono o non sono problemi per i quali la comunità cristiana deve
saper offrire un contributo di denuncia, di consolazione, di annuncio? -
la crisi del sindacato e della militanza sindacale é finalmente una
liberazione oppure é il segno di un rigurgito di individualismo e di una
abdicazione di responsabilità di cui e per cui la Chiesa soffre? -
La crescita del mercato e la diminuzione della solidarietà hanno
qualcosa da spartire con l’annuncio che Dio é Padre? Perché
dobbiamo avere attenzione al lavoro? Le
“dimensioni” del lavoro La comunità
cristiana ha forse il compito di proclamare che certe regole del gioco non
sono ineluttabili e immodificabili, diventando luoghi di elaborazione e
sperimentazione di esperienze
di lavoro dove, pur fra contraddizioni e dubbi, si cerchi un lavoro “dai
confini grandi”, a misura d’uomo e di famiglia e non solo di moneta. La
comunità cristiana forse ha il compito di formare dei laici che attuino
concretamente dei piccoli segni costruttivi compiendo i passi che sono
possibili: <<Di fronte a situazioni tanto diverse ci è difficile
pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale.
Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione.
Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del
loro paese, chiarirla alla luce della Parola immutabile del Vangelo,
attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione
nell’insegnamento sociale della Chiesa, individuare - con l’assistenza
dello Spirito Santo, in comunione con i vescovi e in dialogo con i fratelli
cristiani e tutti gli uomini di buona volontà - le scelte e gli impegni che
conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed
economiche che si rivelano urgenti e necessari in molti casi>>
(Enciclica Octogesima adveniens 4). Il mondo del lavoro interpella la
Chiesa, dunque, e la Chiesa interpella il mondo del lavoro. Dalla reciprocità
(ascolto-appello) si sviluppa la pastorale. Giovanni Paolo II durante la sua
visita pastorale a Terni nel 1981 riferì alcuni passaggi di un suo
precedente discorso tenuto in Polonia nel 1979 sul “Vangelo del lavoro”:
« Il cristianesimo e la chiesa non hanno paura del mondo del lavoro. Non
hanno paura del sistema basato sul lavoro. Il Papa non ha paura degli uomini
del lavoro. Essi gli sono stati particolarmente vicini. E’ uscito di mezzo
a loro. E’ uscito dalle cave di pietra di Zakrzowek, dalle caldaie di
Solwey in Borek Falecki, poi da Nuova Huta. Attraverso tutti questi
ambienti, attraverso le proprie esperienze di lavoro - oso dire - il Papa
ha imparato nuovamente il vangelo. Si è accorto e si è convinto di
quanto profondamente nel vangelo sia incisa la problematica contemporanea
del lavoro umano. Come sia impossibile risolverla fino in fondo senza il
Vangelo. Ma bisogna dire di più: e cioè che la chiesa non può essere
estranea o lontana da questi difficili problemi; non può staccarsi dal
“mondo del lavoro” perché proprio il “vangelo del lavoro” è
iscritto organicamente nell’insieme della sua missione. E la chiesa non può
non proclamare il vangelo. Infatti come scrissi nella “Redemptor hominis”
tutte le vie della chiesa conducono all’uomo (n.14). Benché da diverse
parti si cerchi di creare opinioni opposte e di sostenerle ad ogni costo, la
chiesa ha tante cose da dire all’uomo del lavoro. Certamente non nelle
questioni tecniche, professionali o simili, ma nelle questioni fondamentali.
E si tratta di una parola “impegnativa”. Se essa viene a mancare e se
non è messa in pratica, allora manca la vera pietra angolare in tutta la
gigantesca costruzione della tecnica moderna, dell’industria e dei vari
settori con cui è connesso il lavoro umano». Nel commentare questo discorso, Mons. Gaetano Bonicelli, allora vescovo di Siena e presidente del Centro Orientamento Pastorale, aggiungeva: «La pastorale sociale, cioè la riflessione e l’azione della chiesa nelle diverse realtà del nostro tempo, non è andata molto al di là di alcuni specialisti ecclesiastici e laici - quando ci sono - a cui volentieri si attribuisce una delega generica, senza che la comunità ecclesiale come tale se ne senta responsabile. Non è probabilmente il caso solo della pastorale sociale, ma certamente questo è ancora l’atteggiamento comune a dispetto di tutte le esortazioni e le messe in guardia della gerarchia e gli stessi appelli delle varie articolazioni di base che attendono indicazioni e stimoli. Che un prete non sia puntuale a celebrare l’eucarestia, può fare ancora scandalo. Che un prete o un laico non dicano una sola parola nei momenti di crisi nell’ambito del lavoro o non sostengano chi vi è impegnato in prima persona, non costituisce problema. Un convegno sul canto liturgico attira migliaia di persone; un incontro dove ci si sforza di vedere la problematica del lavoro alla luce della fede, non interessa più di tanto. Sono decisamente poche le diocesi dove ci si premura di preparare responsabili e animatori, preti e laici capaci, per sensibilità e dottrina, di mettersi all’ascolto dei problemi culturali e sociali, disposti ad uscire allo scoperto, come cristiani, in un pubblico dibattito. Ci sarebbe molto da ridire sulla tripartizione classica della pastorale in tre settori: evangelizzazione, liturgia e carità. Ma quello che stupisce di più è che parlando di carità, una larga parte pensa solo alla Caritas. La carità, se non rifiuta certo l’assistenza ai vecchi e nuovi feriti della vita, deve impegnarsi a creare forme nuove di vita sociale. Ci si domanda spesso cosa devono fare i consigli pastorali a livello diocesano o locale e non si nasconde che molti siano in crisi, proprio perchè ritenuti inutili o ridotti a fare da comitati per le varie feste della comunità. E perchè non riescono ad essere attenti e sensibili ai problemi reali della comunità e mancano almeno di esprimere, dal di dentro, partecipazione, proposte e speranze? Dicono i Vescovi italiani[1]: “La pastorale sociale non è un semplice settore della pastorale della comunità cristiana, ma l’espressione viva e concreta di una comunità pienamente coinvolta dentro le situazioni, i problemi, la cultura, le povertà e le attese di un territorio e di una storia». Bisogna convenire che questa divaricazione tra le indicazioni della gerarchia in tema di morale e spiritualità del lavoro non è una caratteristica solo dei nostri tempi. Una costante così radicata non può trovare spiegazione solo nella buona e cattiva volontà degli operatori, ma nella teologia che fa da supporto alla pastorale. La missione della chiesa e conseguentemente la pastorale, è centrata ancora troppo sull’autoconservazione. Si parla tanto di evangelizzazione, anzi di nuova evangelizzazione e talora da parte di molti preti e laici, si temono nuove iniziative. La mancata conversione alla pastorale sociale di molte nostre comunità è di fatto un’incomprensione o un inconscio rifiuto di ciò che esige di fatto l’evangelizzazione».[2] [1] CEI Evangelizzare il sociale, n.7 [2] Mons. Gaetano Bonicelli Per una rinnovata pastorale del mondo del lavoro, in La comunità cristiana e le sfide del mondo del lavoro, Ed. Dehoniane, Roma, 1997. |