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Mediando
s'impara Il conflitto è un male? È una condizione permanente della nostra vita. Non possiamo eliminarlo, evidentemente. Non servono a granché quelle visioni semplicistiche che presentano la pace come semplice “assenza di guerra”. Il conflitto, la tensione, ci saranno sempre. Il punto è come superarli positivamente. Qui risiede forse il senso di una virtù civile (sì, più virtù che tecnica) tra le più importanti in questi anni: la mediazione. Gli scenari che grandi studiosi vanno disegnando d'altra parte non sembrano molto rassicuranti. Samuel Huntington ha preconizzato uno “scontro tra civiltà”; un mondo in cui dovranno convivere religioni differenti, etnie dalle diverse radici e sensibilità culturali, ha bisogno di una filigrana condivisa e diffusa che porti a una intelligente, sana democrazia. Mediazione, beninteso, non significa compromesso. Quest'ultimo è un termine che evoca alchimie politiche da prima repubblica, oppure, in ogni caso, una soluzione non convincente per le parti, dove si è dovuto per forza di cose perdere: qualcosa, anche poco, ma “perso”. Non che il quadro internazionale sia di conforto sul fronte del “negoziato”: ne è un esempio lacerante l'intera questione dei Balcani e i limiti dell'Onu. La guerra, in ogni caso, è l'epilogo più drammatico. Oggi, a ben guardare – e già nel piccolo – le controversie sono all'ordine del giorno; il tasso di litigiosità è in vertiginoso aumento. Tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra vicini di casa, tra le parti sociali, in politica: la tensione ha oltrepassato il livello di guardia. Basta vedere quel che capita quotidianamente al volante nel traffico cittadino… Nonostante questo stanno aumentando le occasioni in cui si ricorre alla mediazione. Esistono addirittura dei professionisti – i mediatori, appunto – che attraverso tecniche specifiche guidano le parti ad una soluzione giusta, 'vincente' comunque. Il procedimento si è diffuso tra gli anni sessanta e settanta negli Stati Uniti e a partire dall'ambito familiare. Avevamo iniziato queste nostre riflessioni sulle virtù civili, partendo “dal basso”, dalla famiglia, per poi risalire i gradini: dal condominio fino alla pòlis, la città, la politica, il bene comune. Ma siamo daccapo. Tutto inizia già tra le mura di casa. In proposito esiste una pubblicazione interessante, utile per i genitori, ma non solo: l'ha scritta l'americano Thomas Gordon, psicologo clinico, in un volume che viene ormai abitualmente utilizzato in 37 Paesi del mondo e tradotto in 18 lingue. S'intitola Genitori efficaci: in queste pagine individua il cosiddetto “metodo senza perdenti”, sei tappe fondamentali che vanno probabilmente percorse da chiunque voglia innescare concretamente un circolo virtuoso rispetto alla mediazione: 1- Identificare e definire il conflitto. In qualche misura è il momento più delicato, quello in cui genitori e figli (almeno adolescenti) debbono compiere un grande sforzo di buona volontà. Le circostanze debbono essere adatte: un’occasione tranquilla, nessun telefono che squilla, disponibilità da entrambe le parti. Nessuna formula vaga, ma subito al cuore del problema: i genitori – raccomanda Gordon – debbono evitare formulazioni che offendano o sappiano già di rimprovero preconcetto. Idem dicasi per i figli. Quante volte, invece, anche le più insignificanti riunioni parrocchiali si trasformano in faide, in rivendicazioni, in dolorosi attacchi personali? 2- Enumerare le soluzioni possibili. L'unica domanda consentita può essere: “Come possiamo venirne fuori insieme?”. Disastroso iniziare con: “Di chi è la colpa?”. Le soluzioni proposte da papà, mamma e figli vanno scritte su un foglio, senza essere commentate (“Propongo di ovviare facendo in modo che…”). 3- Valutare le soluzioni enumerate. Senza peli sulla lingua, una disamina di quanto è emerso. E si compie già un passo in avanti: “Esiste una soluzione migliore di un'altra?”. Con onestà è importante dichiarare il proprio stato d'animo (per esempio: “No, questa ipotesi proprio non mi convince”); la chiarezza, per essere tale, non deve per nulla risultare aggressiva o tagliente. 4 - Scegliere la soluzione più conveniente e accettabile. L'indicazione di Gordon è molto concreta. Occorre giungere a un punto ben preciso, chiaro, condiviso: “Sembra che siamo d'accordo su questa soluzione – potrebbe essere l'argomentare dei genitori –: cominciamo a realizzarla per vedere se realmente risolviamo il problema”. Un invito alla sperimentazione, insomma, a un 'regime' controllato e accettato da tutti. Ma non basta. 5 - Stabilire i particolari e i mezzi di applicazione della decisione. “Chi si impegna a fare questo? Con quale cadenza? Con quali controlli?”. Il conflitto può riguardare l'ora di andare a letto, ma potrebbe valere per una questione ben più delicata a livello di comunità o di équipe di lavoro. 6 - Rivedere e rivalutare le decisioni. Succede, raccomanda l'esperienza, che i ragazzi prendano degli impegni che poi non sono in grado di mantenere. Occorre la disponibilità ad eventuali correzioni di rotta, a cambiamenti che si rendono assolutamente necessari. Senza drammi, ma con la determinazione all'obiettivo da perseguire. Impossibile? Chi ha provato sostiene di aver ottenuto risultati apprezzabili. Certo, è molto più semplice la soluzione autoritaria, in particolare in ambito familiare. Ma non premia, siatene convinti. Un'annotazione, ancora: il meccanismo della mediazione non è contrario alla verità. Non è compromesso, intanto. E non ci esime dalla parresia dei greci, quel “parlar chiaro”, quell'“essere franco” che ha un invitante timbro evangelico. E una sfumatura tutt'altro che secondaria: “La parresia – ci ricorda il filosofo Salvatore Natoli – da attacco al tiranno si muta in tecnica di formazione. Il rapporto tra maestro e discepolo deve essere un rapporto franco: chi forma deve riprendere e correggere. Appunto dire la verità. Di qui la tecnica dialogica, lo sforzo del parlarsi chiaro, del togliere di mezzo gli equivoci”. Il criterio diventa l'indicazione di una strada, di un modus vivendi: “La parresia, infatti, gioca un ruolo decisivo nella formazione di sé: non bisogna mai barare con se stessi. Da qui anche la considerazione del rapporto di sé con la verità, come poterne davvero avere accesso. Nel nesso stretto che corre tra vita e verità diviene centrale l’esame, l’autodiagnosi appassionata”. Mediando s'impara. Cammino difficilissimo: e forse – proprio per questo – anche appassionante. | chiudi la finestra |stampa | |