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Lavoratori, non
merci
Intervista di Francesco Anfossi su
“Famiglia Cristiana” (22/03/2012) al vescovo Mons. Bregantini, ordinato
presbitero nella Congregazione degli Stimmatini il 1 luglio 1978, dopo una
esperienza come operaio in fabbrica. Vescovo di Locri dal 1994. Trasferito a
Campobasso nel 2008.
Monsignor Giancarlo Bregantini,
arcivescovo di Campobasso-Bojano e presidente della Commissione Lavoro,
giustizia e pace della Conferenza episcopale italiana,
docente di Storia della Chiesa con una lunga esperienza di operaio in
fabbrica negli anni della giovinezza, continua a porsi una domanda: “Con
questa riforma la precarietà sarà vinta? O resteremo comunque in un clima di
precarietà? O addirittura l’aumenteremo?”
- E ha
trovato la risposta, monsignor Bregantini?
“Non entro tanto nel merito tecnico. Ma sulla questione in atto mi permetto
di fare tre rilievi critici. Il primo è il dispiacere che provo nel vedere
la Cgil lasciata fuori da questa riforma. Un fatto che viene quasi dato come
scontato, quasi che il primo sindacato italiano per numero di iscritti non
sia una cosa preziosa per una riforma del lavoro. Dietro questa fetta di
sindacato c’è tutto un mondo importante, cruciale, da coinvolgere per
camminare verso il futuro. Altrimenti c’è il rischio che questa parte
sociale, con i suoi milioni di iscritti, resti disillusa, arrabbiata,
ripiegata su atteggiamenti difensivi, su un passato che non c’è più.
Lasciare fuori la Cgil sarebbe una perdita di speranza notevole, un grave
errore”.
- Il
secondo rilievo?
“Ci voleva un po' più di tempo per mettere in atto una riforma così
importante. Non era necessaria questa fretta così evidente. La questione è
chiusa, è stato detto da parte del premier Mario Monti. Si poteva dire: la
questione è posta, ora dialoghiamo, nelle fabbriche, negli uffici, in
Parlamento, nella società civile, ovunque perché il lavoro è il tema
cruciale del nostro Paese. Ma c’è un terzo rilievo, forse il più importante
e profondo”
- E
quale?
“Bisogna chiedersi, davanti alla questione dei licenziamenti, chiamati
elegantemente, con un eufemismo, “flessibilità in uscita”, se il lavoratore
è persona o merce. E’ la grande istanza dell’enciclica sociale Rerum Novarum.
La questione di fondo. Il lavoratore non è una merce. Non lo si può trattare
come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio, perché
resta invenduto in magazzino. Leone XIII lo scrisse nella pietra miliare del
cattolicesimo sociale, emanata nel 1891, più di un secolo fa. E’ un po’ come
nella questione della domenica derubricata a giorno lavorativo. In politica
ormai l’aspetto tecnico sta diventando prevalente sull’aspetto etico”.
- Del
resto questo è un governo espressamente di tecnici...
“Se con Berlusconi la questione centrale era legata al profitto, oggi c’è
l’aspetto tecnico che domina ogni questione politica. Ma alla fine tra
profitto e aspetto tecnico si crea una sintonia eccessiva. L’aspetto etico
nella politica è necessario. E invece non è più tenuto in considerazione”.
- Il
Capo dello Stato ha invitato il Paese a riflettere sul fatto che non abbiamo
più risorse e che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è solo un
aspetto della riforma.
“La tematica di fondo dell’articolo 18 dovrebbe coprire tutti i lavoratori,
non solo quelli con più di 15 dipendenti, già garantiti. Va estesa come
valori di dignità e difesa come normativa. Ma più in generale, come
sollecita il Capo dello Stato, riflettendo sulla riforma decisa dal governo
nel suo complesso mi chiedo: diminuirà o aumenterà il precariato dei nostri
ragazzi? Riusciremo ad attrarre capitali ed investimenti dall'estero solo
perché è più facile licenziare? Sarà snellita la burocrazia? Daremo con
questa riforma più vigore all’esperienza imprenditoriale? Ma non vorremmo
nemmeno che la cosa fosse schiacciata su questi temi, perché ripeto, al
centro di tutto ci deve essere la dignità dell’uomo e della famiglia”.
- Ci
sono aspetti che ritiene positivi in questa riforma?
“Siamo contenti che i licenziamenti discriminatori vengano contemplati per
tutti, anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Questo è un discorso
molto positivo. Anche la triplice distinzione dei licenziamenti in
discriminatori, economici e disciplinari è molto saggia.
Che ne
pensa dei licenziamenti economici? Se passa la riforma del governo qualunque
lavoratore del privato potrà essere licenziato per la sola motivazione che
l’azienda è in crisi o che non serve più la mansione cui era addetto…
“E’ preziosa la distinzione, ho detto. Ma la modalità con cui è ipotizzato
il licenziamento economico potrebbe rivelarsi infausta. Ho letto che nemmeno
il giudice può intervenire. Siccome siamo in una fase di paura generalizzata
è facilissimo che si arrivi a questo in tutto il Paese”.
Teme
che nelle aziende e nelle famiglie ci sia un’ondata di terrore per paura di
vedersi lasciati in una strada per motivazioni economiche o organizzative
dai datori di lavoro? “
Temo questo. Una siepe protettiva sui licenziamenti economici bisognava
metterla. Rivolgo un appello a livello parlamentare e a livello di
riflessione culturale perché si possa creare una rete di diritti e di
protezioni più solida. Del resto, di fondo, come ho scritto nella mia
diocesi in occasione di San Giuseppe, siamo molto riconoscenti al ministro
Fornero e al premier Monti e ai sindacati per questo dibattito che ha
riportato al centro il lavoro. Ci hanno ridato la consapevolezza che il
lavoro è un dono. Ma c’è una parola chiave che deve rientrare: dignità. Per
i nostri giovani e per i loro padri che temono di essere licenziati per
motivi economici. Dobbiamo puntare su questo più che sulle paure. Capisco
che la declinazione di questi temi in una norma non è facile. Ma è la
dignità che attrae gli investimenti”. |