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LO SPREAD A BETLEMME
Tonio Dall’Olio (ROCCA 01/2012)

 Un Natale di crisi non è una crisi del Natale. Al contrario l'irrompere del nuovo nella storia è sempre apertura all'imprevedibile di Dio. Non che a Betlemme ci sarà dato di contemplare una formula economica che ci accompagni fuori dalla stretta o una ricetta miracolosa che risani debiti e spread, ma c'è un invito ad ascoltare la storia. A riconoscerla. A comprendere l'itinerario nel labirinto, la luce nella tenebra, il senso nella confusione. Perché il Natale è per tutti, nessuno escluso. Credenti e laici. Senza distinzione e senza confusione. Tempo di profondità e di ascolto. Perché anche questo tempo nuovo forse non siamo sufficientemente pronti e attenti a comprenderlo nelle pieghe del suo dipanarsi. Perché a tutti viene richiesto di contemplare al di là delle apparenze. A tutti di cogliere la filigrana delle cose. E il Natale viene proprio come sconfitta della banalità, della superficialità che accompagna giudizi e sentenze inappellabili, scomuniche senza scampo, tendenze paurosamente pessimistiche. Non è buonismo natalizio. E piuttosto l'assunzione di uno sguardo altro e alto. E l'invito ad abbandonare ogni tentazione illusoria ad uscire dalla crisi con le sole nostre gambe per tentare - invece - la strada insieme. Perché questa crisi dice innanzitutto il fallimento di ogni forma di individualismo che è piuttosto causa e non soluzione. Apprendere la lezione del Dio della stalla e della mangiatoia oggi vuol dire smarcare il Natale da ogni romanticismo patinato e luccicante. Ma soprattutto è accogliere la solidarietà come unica via. Se ne esce insieme. Se solo ad esempio riuscissimo a riproporre in piccole comunità l'edizione del ventunesimo secolo della vita comunitaria descritta negli Atti degli apostoli! Mettevano in comune i loro beni. E qui il Natale assume il perimetro della conversione, delle scelte nuove. Dell'inedito di Dio che va oltre le «manovre» degli uomini.

Nella tana 'del lupo ?

Francesco Azzarà e Rossella Urru sono nomi che tendiamo a dimenticare con troppa facilità. Per la stampa sono cooperanti rapiti in Africa. In Sudan il primo e in Algeria la seconda. E non sono che due dei tanti, italiani e non, costretti a vivere l'avventura terribile del sequestro in terra straniera ad opera di organizzazioni senza scrupolo. Non voglio rendere sterile omaggio ma urlare che non vengano dimenticati. Da nessuno. Non ci piace polemizzare. Ma è francamente ingrata la valutazione de Il Giornale che, all'indomani del rapimento di Rossella, titolava: «Quei cooperanti in cerca di guai». Si rimproverava ai dirigenti delle Organizzazioni Non Governative di inviare i cooperanti «nella tana del lupo» ovvero in territori e contesti a rischio. Forse quel quotidiano tralasciava di valutare che sono proprio le situazioni a rischio che hanno maggiormente bisogno di una cooperazione intelligente e critica, quelle minacciate quotidianamente da violenza, terrorismo e guerre. O forse Il Giornale propone che ciascuno sia lasciato al proprio destino? Si arriva a fare il paragone con gli alpinisti imprudenti cui viene chiesto di risarcire i costi del soccorso per trarli in salvo. La cooperazione ha il senso di una vicinanza che chiede anche di correre un rischio. Generalmente inferiore a quello che vivono ogni giorno proprio coloro che in quelle aree sono costretti a viverci. Si chiama solidarietà. Una parola inflazionata e spesso poco praticata. Rossella e Francesco hanno deciso di viverla andando oltre l'invio di un sms da due euro che per molti è il massimo dell'impegno possibile e tollerabile. Noi li ammiriamo, li ringraziamo e ... non li dimentichiamo.

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