|
UN
MOMENTO PREZIOSO
di Padre Louie Vitale, francescano statunitense
( da Adista Documenti n. 60 del 17/07/2010)
Nella mia esperienza da francescano, la
spinta ad un impegno più profondo è venuta da una motivazione forte e
dall’amore per il cammino indicato da Gesù e da Francesco. È questo che,
dopo il noviziato, mi ha indotto a diventare prete e a prendere i voti
permanenti di povertà, castità e obbedienza. Forti venti di
rinnovamento stavano allora soffiando sulla società e sulla Chiesa. Per la
Chiesa era il tempo del Concilio Vaticano II e delle nuove idee legate alle
Scritture, alla liturgia e alla storia, come pure delle nuove
interpretazioni relative alla vita religiosa e al ruolo dei vescovi.
Sorprendente e gravida di speranza era la presenza dei vescovi delle culture
emergenti, in America Latina, in Africa e in Asia. Con essa arrivarono nuove
lingue, nuove forme di culto, nuovi modi di intendere le Scritture.
È in questo clima che nasce il pionieristico documento della Gaudium et
spes, la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, e
si sviluppa la consapevolezza che la Chiesa è una Chiesa dei poveri. Lo
Spirito soffiava tra i poveri per cambiare la storia. Molti di noi vissero
questa novità come qualcosa di inebriante. Noi francescani, in particolare,
avevamo la fortuna di poter contare su lungimiranti figure di riferimento
già impegnate in mezzo ai poveri in tutto il mondo. Il carisma di Francesco
dell’amore per i poveri e per tutta la creazione era la nostra eredità.
E poi sono venuti i movimenti rivoluzionari degli anni ‘60. Ho partecipato
insieme ad altri francescani alla mobilitazione contro la guerra in Vietnam.
Eravamo vicini a César Chávez (leader nonviolento dei contadini migranti
della California negli anni ‘60, ndt) e abbiamo vissuto una nuova forma di
pellegrinaggio nella marcia verso Sacramento sotto l’insegna di Nostra
Signora di Guadalupe (la grande marcia di cinquecento chilometri su
Sacramento organizzata allo scopo di dare il massimo di pubblicità allo
sciopero degli operai dei vigneti e al boicottaggio dell’uva promosso da
Chávez nel 1965, ndt).
Quando finalmente ebbe fine la guerra in Vietnam, mi trovavo a Las Vegas, in
Nevada, a lavorare con i contadini. Fu in questo contesto che organizzammo
un sit-in sulla famosa Las Vegas Boulevard South, nota nel mondo per il gran
numero di hotel e casinò, interrompendo temporaneamente il traffico. Un
giornalista mi disse che, anche se la guerra del Vietnam stava volgendo al
termine, la corsa alle armi nucleari era solo all’inizio.
Mi resi conto che un elemento chiave della corsa agli armamenti nucleari era
la sperimentazione di nuove armi che si svolgeva proprio vicino a noi, nel
deserto del Nevada. Capimmo che, se fossimo riusciti a fermare le
sperimentazioni, ciò avrebbe potuto interrompere la corsa agli armamenti. E
allora, in occasione degli ottocento anni dalla nascita di S. Francesco, la
comunità francescana organizzò una serie di veglie e di azioni nonviolente
presso il sito dei test nucleari in Nevada, dove celebrammo gioiosamente la
resurrezione. Era nata una nuova Chiesa.
Nel corso degli anni, abbiamo spinto per una moratoria sui test che regge
ancora oggi, contribuendo a sviluppare un grande processo di lotta
nonviolenta. È incredibile come questa lotta continui a crescere.
L’esperienza del deserto del Nevada, nata quasi 30 anni fa, è ancora viva.
Ha dato impulso al Servizio nonviolento Pace e Bene, che ha
festeggiato recentemente i suoi 20 anni di attività nella formazione alla
spiritualità e alla prassi della nonviolenza attiva. Attualmente, abbiamo di
fronte a noi una nuova opportunità, quella legata alla Teologia della
creazione. I cristiani ritengono che l’amore compassionevole che permea
il nostro universo - la presenza che chiamiamo “Dio”, e che i cristiani
vedono incarnata in Gesù - riempie tutta la creazione. Come risulta sempre
più chiaro, la nostra comprensione di questo universo meraviglioso non fa
che dilatarsi. C’è chi ritiene che il telescopio gigante Hubble ci abbia
rivelato sulla creazione di Dio più di qualsiasi altro libro, scrittura o
racconto precedente. Francesco D’Assisi è ora considerato dagli ecologisti
del mondo scientifico ed ecumenico come la prima persona ad aver compreso
quest’unità onnicomprensiva: fratello Sole, sorella Luna, fratello Fuoco:
l’intera creazione.
Questa teologia della creazione esercita su di me un grande fascino, anche
all’interno di questo carcere - Vandenberg Air Force Base, porta di accesso
ai missili che rischiano di distruggere il mondo - mentre gli Stati Uniti
inseguono il sogno di un “dominio totale globale”. Da dietro le sbarre della
prigione, ma con la certezza di intravedere la verità che ci rende liberi,
diciamo: “Non nel nostro nome! Non nel nome di Gesù”.
La vita
dietro le sbarre.
Sono qui da poco più di due mesi. Sto scontando una pena di sei mesi per
aver violato il perimetro della base militare di Fort Benning, sede della
Scuola delle Americhe. Sono stato condannato alla fine
di gennaio dalla Corte Federale di Columbus, Georgia. Mi sono rifiutato di
parlare, anche quando il magistrato non ha definito la cauzione a causa
della mia assenza di reddito. Ho preferito scontare subito la mia pena,
sapendo che avrei dovuto passare un po’ di tempo in un carcere della contea,
e che poi sarei stato trasferito. Ho trascorso la prima notte nella prigione
della Contea di Columbus, poi, il mattino dopo, sono venuti a prendermi i
vice-sceriffi della Contea di Crisp che mi hanno condotto al Centro di
detenzione a Cordele, in Georgia. (...). Dopo un mese, sono stato trasferito
con un pullman federale ad Atlanta, come detenuto “in transito”. Ci sono
rimasto tre settimane. Poiché ad Atlanta c’è una grande varietà di detenuti,
esiste una forma di segregazione per motivi di sicurezza. Io mi trovavo nel
gruppo più folto di prigionieri. Le celle erano per due persone e vi stavamo
dentro 23 ore al giorno. Avevamo un’ora per la doccia, la pulizia, il
telefono, la ricreazione, la tv. Non sono concesse visite a meno che non si
sconti una pena molto lunga.
Dopo tre settimane, siamo stati improvvisamente messi su un aereo che ci ha
condotto al centro transiti dell’aero-porto di Oklahoma City. È una
struttura grande e relativamente nuova, con circa 5 piani di blocchi di
celle. Anche qui c’erano celle da due, ma avevamo più tempo da trascorrere
all’aperto e nello spazio di ricreazione.
Dopo alcuni giorni, siamo stati condotti in aereo a Victorville, California,
e da qui, in autobus, a Lompoc. Abbiamo viaggiato per 4 ore (durante le
quali siamo stati ammanettati e incatenati). Personalmente, ho trovato il
viaggio delizioso, attraverso il deserto, i fertili agrumeti e gli alberi di
avocado. Poi abbiamo fatto un bel giro sulla costa del Pacifico, dopo
Ventura e Santa Barbara, con le spiagge piene di surfisti e il sole al
tramonto su un Oceano Pacifico di un blu brillante.
Arrivati al “F.C.I. Low” (Federal Correctional Institution, un carcere di
bassa sicurezza, ndt), siamo stati processati ed assegnati a diverse unità.
Il programma è piuttosto fitto. Durante la giornata, la maggior parte dei
detenuti lavora, almeno part-time. In molti casi si tratta di lavori da
inserviente nei dormitori. Io svolgo il compito di inserviente nella
cappella. Si lavora nelle cucine, alla pulizia della mensa, o in cortile,
come imbianchini, o, ancora, come barbieri.
Si va anche a lezione. Bisogna dimostrare di essere diplomati alla scuola
superiore, altrimenti si deve partecipare alle lezioni per ottenere il
G.e.d. (General Education Diploma, equivalente al diploma superiore, ndt).
Ho dovuto frequentare le lezioni finché non ho ricevuto una copia dei miei
documenti dalla Loyola High School e dalla U.C.L.A. Abbiamo una bella
cappella per il culto e la musica, con materiali audiovisivi, corsi di
studi biblici e celebrazioni liturgiche, ed anche un’area esterna utilizzata
da cristiani, musulmani, ebrei e wiccan (Wicca è una delle religioni
appartenenti al movimento neopagano, ndt). Di quale tipo di popolazione
parliamo? I detenuti sono 1.100 e al momento si dice che siano per il 75%
ispanici. La struttura presenta diverse recinzioni con il filo spinato,
quindi non sarebbe facile evadere. Ci sono state delle rivolte occasionali.
Lo scorso fine settimana si è celebrato il Memorial Day (l’ultimo lunedì di
maggio è il giorno che l'America ha scelto per ricordare il sacrificio dei
soldati americani nelle guerre che hanno combattuto, ndt). Si sono svolti
eventi sportivi e un pranzo festivo. Sono stato fuori per una visita, quel
giorno, ma ho assistito ad alcune delle attività. È stato trasmesso “Avatar”
(l’unico film che ho visto qui).
Per lo più i detenuti hanno un atteggiamento amichevole, anche nei confronti
di un uomo anziano come me. Ci sono proteste per la posta che ricevo
(specialmente quando ho festeggiato il mio compleanno), ma in generale
sembrano disponibili.
Sono molto contento per l’ambiente ed i programmi della cappella. Sono
arrivato a Lompoc appena prima della Settimana Santa. In risposta a una
preghiera, il cappuccino p. Harold Snyder è giunto a presiedere le liturgie
cattoliche, la prima volta per la Domenica delle Palme e poi per la
Settimana santa, quindi per le domeniche successive. Mostra una grande
apertura nei confronti dei detenuti. Il vescovo Thomas John Curry, ausiliare
di Los Angeles, è venuto di recente ed ha officiato una Cresima, con grande
delicatezza e affetto. Ci sono anche cappellani cristiani, musulmani,
buddhisti e di altre religioni.
Gli spazi per le visite sono abbastanza belli, sia dentro che fuori, con un
vasto prato erboso e distributori di dolci. L’atmosfera è piacevole, il
clima è mite. Brezze oceaniche e foschie fanno sentire la presenza del mare
su tre lati. Il cibo è piuttosto variegato ed è prevista la possibilità di
un’ali-mentazione vegetariana (che è la mia scelta).
È ovvio che non possiamo dimenticare che si tratta di un carcere. Ci sono
restrizioni e punizioni. È il clima del nostro Paese ad essere repressivo e
punitivo. Le condanne sembrano in molti casi eccessivamente lunghe (anche
per reati di natura nonviolenta). I sistemi di giudizio appaiono arbitrari.
Il trauma delle famiglie per queste lunghe assenze è in sé violento. Qui,
nel mezzo della Vandenberg Air Force Base, da dove vengono lanciati missili
di guerra, sogniamo un impegno sempre più intenso a favore della pace e
della nonviolenza. Siamo pronti a condividere questi sogni e a unirci nel
tentativo di realizzare il “Regno di pace” predetto dal profeta Isaia.
Finché
un’anima è in prigione...
La gente mi chiede: “Come fai ad andare avanti?”. Il fatto è che la
maggior parte del tempo che ho trascorso in carcere negli ultimi anni è
stato in seguito alle mie proteste contro la tortura.
Se inizia ad assalirmi la tristezza per me, penso alle sofferenze vissute
nelle più terribili situazioni del mondo. Come posso lamentarmi? Come ha
affermato il sindacalista Eugene Debs, “finché ci sarà un’anima in
prigione, io non sarò libero”. Quando penso a questo (spesso durante la
notte, a letto), riesco ad accettare le mie privazioni.
Cerco di usare queste esperienze e queste riflessioni per creare
empatia nei confronti di tutti coloro che soffrono queste situazioni
terribili. Siamo tutti parte di questo mondo. Ogni persona mi è sorella e
fratello. La loro sofferenza è la mia. Il sentimento di compassione si fa
più intenso quando si rivolge lo sguardo a questa miseria. La mia situazione
diventa un passaggio nell’energia compassionevole che permea la creazione e
mi apre alle esperienze di trasformazione che spero di condividere con il
mondo. Per questo, dunque, sono grato. Si tratta di un momento prezioso. |