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Il dialogo in famiglia
Danilo Amadei
(da VITA NUOVA - settimanale diocesano diocesi di Parma )

Dopo la pubblicazione dell’articolo “Difficile essere giovani – Il disagio degli adolescenti si alimenta del vuoto degli adulti”, su “Vita nuova” di fine giugno, in diversi incontri con dei genitori si sono approfondite le analisi e mi è stato chiesto di concentrare l’attenzione, in un nuovo intervento, su alcune proposte per l’educazione in famiglia.
Inizio con due premesse. Le analisi sociali che cercano di interpretare criticamente un momento storico sociale specifico, pur essendo vere e verificabili, non devono mai farci dimenticare le specificità, l’unicità, la ricchezza, l’insostituibile dono che è ogni nostro figlio. La seconda è l’invito più che a preoccuparsi dei nostri figli adolescenti ad occuparsi di loro con curiosità, passione, disposti ad accettarne i conflitti insieme al desiderio di apertura al futuro, alla voglia di autonomia, alla ricerca della propria strada, che spesso chiede di modificare anche la nostra.
Occorre quindi tempo, ogni giorno, da dedicare all’ascolto, all’attesa dei racconti quotidiani, anche apparentemente banali, ai dubbi, alle incertezze, alle “stupidaggini” che spesso ci provocano ad una reazione, una valutazione motivata dai valori in cui crediamo e che si vivono. Con confidenza, non compiacenza.
Non dobbiamo mai nascondere le difficoltà, ma accoglierle insieme agli spiragli di soluzione, sapendo anche chiedere aiuto, comprensione, pazienza, sempre aperti ai cambiamenti.
Noi genitori non siamo né giudici né depositari della verità, ma persone in cammino, aperte a un futuro che vogliamo migliore anche per le future generazioni. Il banco di prova è la vita quotidiana, nei suoi riti e nella sua sapienza, nella coerenza tra quanto sperato e quanto praticato.
La nostra autorevolezza non arriva né dalla seduzione (ci pensa il consumismo a sedurre i nostri “adolescenti clienti”) né dalla coercizione, ma dal riconoscimento di un bene condiviso al quale dobbiamo tendere  entrambi e che  ci ha resi “adulti”.
Non dobbiamo tollerare l’ingiustizia, la violenza, la falsità e cercare sempre di capire, ma sapendo anche punire, con la consapevolezza che la migliore pena è il giudizio di chi ha sbagliato su se stesso.
La nostra vita quotidiana, la nostra casa, devono essere aperte
. Nell’accoglienza testimoniamo di essere stati noi stessi ospitati su questa terra e di riconoscere ogni persona come fratello. Fare esperienze di ospitalità, a partire da un dolore, da un’ingiustizia, da un pregiudizio, ci mette sulla stessa strada, in una sfida all’isolamento e alla chiusura che allarga i confini etici della nostra famiglia.
Nemico è solo chi non si conosce; le esperienze di incontro e di riconciliazione con chi si reputa “estraneo” convertono tutta la famiglia (chiedete a chi ha accolto i cosiddetti nomadi o “i clandestini” !)
Interrogarsi insieme sulle scelte di consumo in modo consapevole (dai beni materiali al divertimento) conoscendo i prodotti dalla loro origine alla loro trasformazione ai meccanismi di consumo, ci rende più responsabili tutti e aperti al futuro comune (magari un po’ più grati alla natura che è anche da capire e contemplare, non solo da consumare).
Non si deve temere di confrontarsi sui differenti gusti, sulle valutazioni diverse, ricordando che il vecchio di oggi era spesso il nuovo di ieri e che molta cultura ha attraversato generazioni consentendo di riconoscersi e innovare nella tradizione. Lo studio, la lettura, la ricerca cerchiamo di collegarli sempre alla nostra realtà (in questo aiuteremo anche la scuola nel suo compito specifico). Sperimentiamo insieme creativamente, con la fatica e  insieme la gioia della scoperta, come sarebbe povera la nostra vita senza le cattedrali, le piazze, gli spazi pubblici, come saremmo più soli senza la letteratura, la pittura, la musica, i viaggi, come le scienze ci aiutano a vedere meglio quel misterioso universo che ci è donato, come la democrazia va riconquistata e agita sempre, come la cultura non ammette confini.
Ad alcuni genitori ho chiesto se raccontano ai loro figli il lavoro che fanno, se ne spiegano il valore “pubblico”, se valorizzano con orgoglio i valori sociali di onestà, dignità, responsabilità, rivendicazione di una sempre maggiore giustizia come basi della convivenza civile, assai prima del guadagno e del successo. Mi è stato risposto che prevalgono troppo spesso la fatica, l’insoddisfazione, la frustrazione, il vivere giorno per giorno. Noi dobbiamo essere gli eroi del concreto quotidiano per i nostri figli, che allontanano così il fascino dei vuoti furbi virtuali dominanti. 
Le famiglie sono attraversate da generazioni diverse. I grandi eventi della storia passata e presente richiedono tempo di confronto a partire dagli effetti sulla famiglia. Consentono di capire i tempi lunghi per la conquista dei diritti e la necessità di essere protagonisti responsabili, non spettatori della vita. Il futuro deve essere una promessa per tutti, non una minaccia, che tiene insieme valorizzazione personale e comunità. Solo un mondo desiderato, cercato creativamente insieme, crea legami, produce solidarietà e riconoscimento.
L’educazione al legame, alla solidarietà, contro l’utilitarismo dominante, è alla base del riconoscimento dei propri limiti, della propria fragilità non come sconfitta, ma come condizione per aprirci alla ricchezza degli altri. Dobbiamo aiutare con concrete esperienze di solidarietà, di reciprocità (a partire dalla famiglia allargata, dai vicini di casa e dai gruppi che si frequentano), a sperimentare che la vera libertà non è basata sulla difesa dei confini ma sulla condivisione. L’uomo libero è ricco di relazioni, non chiuso nelle sue proprietà. La sicurezza vera è nel riconoscersi reciprocamente, non nella paura degli altri, nell’isolamento disperato nei propri recinti.
In famiglia dobbiamo dare valore all’esperienza del dono
, alla gratuità dell’affetto, dell’amore (anche tra i “vecchi” genitori), dell’amicizia, della natura che ci avvolge, della memoria, della solidarietà, del rispetto, come fondamento dello stare bene, dell’armonia, della semplicità, che non hanno nessun riferimento economico ma solo relazionale.
Da ragazzo, avevo undici anni, due messaggi di Giovanni XXIII, ascoltati e discussi in famiglia, hanno creato in me un modo di vedere la realtà, interpretarla e agire che ancora mi accompagna. Il primo era sul “dare quanto è superfluo” che, spiegava il “Papa Buono”, non va deciso sulla base di quanto abbiamo di troppo noi, ma su quanto manca agli altri. Il secondo “sulla notte”, che non deve mai vederci andare a dormire senza la certezza di avere fatto in quel giorno del bene a qualcuno e avere ringraziato chi ce ne ha fatto.
La fede è quotidiano della vita, non è solo pratica religiosa. Sui grandi interrogativi sulle ingiustizie, sul dolore, sulla morte, sulla vita e l’amore, il destino, il bene e il male, il tempo transitorio e l’infinito nello spazio, la violenza e la pace, le tentazioni e la santità, che tanto affascinano, quando sono presentati come esperienze della nostra umanità, i nostri figli adolescenti richiedono non solo risposte, ma condivisione. A partire da leggere insieme l’esperienza di fede di tanti uomini e donne che, in ogni tempo, non sono sfuggiti a queste sfide trovando la loro strada di testimonianza. Ascoltiamole insieme, lasciamoci interrogare, sapendo che lo Spirito è tra noi proprio oggi, nelle nostre case.
Diciamo ai nostri figli e alle nostre figlie che sono il dono più grande e inatteso della nostra vita, che a tutto potremmo rinunciare, ma non a loro
. Certo lo sanno, ma ripetiamoglielo (magari scrivendolo in alcuni momenti difficili). La loro autonomia, tanto più nel conflitto, ha bisogno di sapersi radicata nella legge dell’amore.
Parma, 28 agosto 2008