| chiudi la finestra |stampa |  

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

IMPRENDITORE E FILOSOFO

 È Brunello Cucinelli. Ama Platone e Kant. E sui loro principi ha creato unazienda a dimensione umana

DI EMANUELE COEN (da L’ESPRESSO 18 novembre 2010)

 Vallo a trovare, di questi tempi, un datore di lavoro che elimina i cartellini segna presenze, abolisce le gerarchie, paga salari più alti della media di mercato e cita San Francesco. Eppure esiste. Sulle colline umbre di Solomeo, borgo medievale a 9 chilometri da Corciano, c'è la città dell'utopia. Brunello Cucinelli, il principe dei maglioni in ca­shmere con 42 negozi monomarca e 1000 multibrand nel mondo, da Beverly Hills a Tokyo, ha stabilito qui il quartier generale e le due fabbriche. Ora, a 57 anni, l'impren­ditore ha ricevuto dall'Università di Perugia la laurea honoris causa in Filosofia ed Etica delle relazioni. «La sua azienda è riuscita a stabilire un giusto rapporto tra l'economia e l'etica, tra l'utile e il rispetto della dignità del lavoratore", spiega il preside nelle motivazioni. In effetti, più che dei suoi preziosi maglioni, Cucinelli discetta volentieri di grandi pensatori che mettono al centro l'uomo, da Platone e Marco Aurelio a Kant fino a Barack Obama, unico contemporaneo («Nei suoi scritti leggo sapienza antica, parla con l'anima»), transitando per Erasmo da Rotterdam e Sant'Agostino. «Alza gli occhi al cielo e vedrai che forse la vita ti appare più semplice», dice l'imprenditore citando l'autore delle "Confessioni". Vista da Solomeo la frase non suona inopportuna nel parco-frutteto realizzato per i momenti ricreativi dei 500 dipendenti dell'azienda tessile fondata 32 anni fa. Che all'ora di pranzo tornano a casa e la sera possono assistere agli spettacoli nel teatro fondato da Cucinelli, che è anche direttore dello stabile di Perugia. «La laurea mi emoziona, spero mi dia lo stimolo per proseguire su questa strada. Mi aiuta a essere custode pro tempore di quello che abbiamo, consapevole che potrebbe finire in qualsiasi momento». Un atteggiamento sobrio che non trova riscontro nei bilanci dell'azienda: 193 milioni di fatturato previsto nel 2010 (più 22,05 per cento rispetto al 2009), utili in crescita del 70,94 per cento, una ventina di assunzioni negli ultimi 12 mesi.

«I profitti», prosegue Cucinelli, «vengono ripartiti in quattro parti: la prima all'impresa, la seconda a me, che vivo in un piccolo paese e non ho particolari necessità. La terza parte va ai ragazzi che mi aiutano nell'impresa, perché possano lavorare in un mondo migliore e possano vivere in modo leggermente diverso. La quarta è quella destinata ad abbellire l'umanità: restaurare una chiesa, costruire un ospedale, un asilo, una biblioteca, un teatro, magari aiutare qualcuno in difficoltà».

Capitalista dal volto umano, imprenditore filosofo, mecenate delle arti, gli appellativi si potrebbero sprecare. «Benefattore? Niente affatto», taglia corto, «io credo nel capitalismo: la mia azienda, come tutte, deve produrre profitti perché è la ragione della sua esistenza. Ma applico la regola di Benedetto da Norcia: "Cerca di essere rigoroso e dolce, esigente maestro, amabile padre". Credo che all'origine ci sia la storia della mia famiglia: quando avevo 15 anni ci trasferimmo in città, mio padre lasciò la campagna per andare a lavorare in fabbrica. Faceva un lavoro faticoso, a volte la sera lo vedevo tornare a casa silenzioso perché era stato umiliato dal datare di lavoro. Questo generò in me qualcosa di speciale».

Che si tratti di un'azienda fuori dal comune è evidente:..mentre gli altri delocalizzano in Cina, lui mantiene tutta la produzione in Italia (circa 900 mila capi ogni anno), Umbria e dintorni, compreso il convento di Perugia dove alcune suore di clausura ricamano per lui. Facile, si potrebbe obiettare: per  i prodotti di fascia alta i margini sono maggiori. «In percentuale», replica, «il profitto di un'azienda del settore del lusso equivale a quello di una bella azienda metalmeccanica. Non crede che un operaio che lavora in fonderia abbia l'esigenza di essere trattato un po' meglio? Io ritengo di sì. Se in Italia vogliamo fare prodotti di grande artigianalità, qualità e creatività, abbiamo bisogno dell'essere umano, d'instaurare relazioni nuove con chi lavora. Non potremmo essere noi italiani, che siamo stati maestri nelle grandi arti, a farlo?» .