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Lettera
aperta
dei “ragazzi di Barbiana”
al Presidente della Repubblica on. Giorgio Napolitano
11 aprile 2011
Signor Presidente, lei non può certo
conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti di quell'unità
nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei
"ragazzi di Barbiana". Benché nonni ci portiamo dietro il privilegio e la
responsabilità di essere cresciuti in quella singolare scuola, creata da don
Lorenzo Milani, che si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini
sovrani". Alcuni di noi hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di
partecipare alla scrittura di quella Lettera a una professoressa che da 44
anni mette in discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non
soltanto fra gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta indietro
nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò il
comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di coscienza.
Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro, decise di
rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso. Più tardi,
nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto - dovere alla
partecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quanto
alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che
l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi
dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando
sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno
che non sono giuste (cioè quando avallano il sopruso del forte) essi
dovranno battersi perché siano cambiate”.
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo ad
un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi, addirittura
di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo all’attuale
Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziari punta a
demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alle ortiche
migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto
investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere
sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro
il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che non
cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese integro: il
Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mezzi
radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come portavoce
personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie riforme ha
trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigiani pronti a fare
di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma in
ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti nel
processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo l'obbligo di
fare qualcosa per arrestarne l'avanzata. Come cittadini che possono
esercitare solo il potere del voto, sentiamo di non poter fare molto di più
che gridare il nostro sdegno ogni volta che assistiamo a uno strappo. Per
questo ci rivolgiamo a lei, che è il custode supremo della Costituzione e
della dignità del nostro paese, per chiederle di dire in un suo messaggio,
come la Costituzione le consente, chiare parole di condanna per lo stato di
fatto che si è venuto a creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare
trionfare la sostanza sopra la forma, facendo obiezione di coscienza ogni
volta che è chiamato a promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito
della Costituzione. Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono
trovati di fronte alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di
procedura formale oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto
la prima via si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie,
repressioni, discriminazioni. Il rischio che oggi corriamo è lo
strangolamento della democrazia, con gli strumenti stessi della democrazia.
Un lento declino verso l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si
definisce democratico: questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai
nostri figli. Solo lo spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno
di assumersi le proprie responsabilità anche a costo di infrangere una
regola quando il suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i
diritti di tutti.
Signor Presidente, lasci che lo spirito
di don Milani interpelli anche lei.
Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali saluti.
Francesco Gesualdi, Adele Corradi,
Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido Carotti, Mileno Fabbiani, Nello
Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo Martinelli,
Aldo Bozzolini |