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«METTETE PANE NEI VOSTRI CANNONI»
MISSIONI CONSOLATA - MARZO 2007

Da Vicenza
a
Cameri, uno scandalo che non può essere taciuto

A Vicenza si vuole ampliare la base degli Stati Uniti, a Cameri (Novara) si vogliono assemblare i nuovi caccia militari F-35. Si adducono motivi diplomatici («i patti sono patti»), economici («si porta lavoro e ricchezza»), di opportunità («altrimenti se ne vanno da un'altra parte»), ma in verità nulla di tutto ciò può essere giustificato, se si considerano le spese militari un attentato alla pace e uno spreco assurdo di risorse. Da Vicenza a Cameri, dagli eserciti alla finanziaria: troppe scelte di guerra, troppa ipocrisia. E troppi interessi.

ESSERE PER SEMPRE SPETTATORI PASSIVI (o IMPOTENTI) DAVANTI ALLA MORTE DEL DIRITTO E DELL'ETICA?

Don Aldo Antonelli

Solo un occhio superficiale o,al­meno, sprovveduto, può vedere nell'attuale dibattito sulla nuo­va base dell'Us Army a Vicenza una semplice questione riguardante i rapporti Italia-Usa (con il collaterale e strumentale dibattito sull'antiame­ricanismo) o un problema correlato alla nostra «politica estera» (con il consequenziale e ugualmente stru­mentale riferimento alla «fedeltà» circa gli impegni precedentemente assunti dall'Italia).Il problema non è questo. Il proble­ma è l'intero contesto nel quale que­sta scelta viene a porsi; e preoccu­pante è il panorama che ne emerge. Ora noi sappiamo bene che nel mondo della comunicazione una pa­rola, un'espressione ed anche un'in­tera affermazione prendono senso dal contesto del discorso: il luogo in cui si parla, il pubblico cui ci si riferi­sce, l'oggetto del parlare ed il parlare stesso. In contesti diversi le stesse pa­role assumono valori diversi, a volte anche contraddittori. La parola «pa­dre», per portare un esempio, in con­testi diversi può significare il padre che ha generato, ma può significare anche Dio, il padrino e perfino il pa­drone e il mafioso. Quindi, onde evi­tare incomprensioni e fraintendi­menti si rende necessaria un'opera di contestualizzazione del «parlato» e di «sintonizzazione» con il parlante: tutto ciò al fine di una corretta com­prensione e di una positiva comuni­cazione. Questo lavoro «ermeneutico» in fi­losofia viene chiamato «sitz in leben». Ed è un lavoro non facile, eppur ne­cessario. Una volta, a Raimon Pa­nikkar, fu chiesto di indicare gli equi­valenti sanscriti di 25 parole chiave latine ritenute emblematiche della cultura occidentale. Egli declinò l'in­vito, perché ciò che sta alla base di una cultura non sta necessariamente alla base di un'altra. È un campo in cui i significati non sono trasferibili. «Le operazioni di traduzione sono più delicate dei trapianti cardiaci» ebbe a dire in quella occasione.

Ora qui, non si tratta di «tradurre», ma di «leggere» dei fatti e onestà e correttezza vogliono che si faccia o­pera di contestualizzazione, «sitz in leben», appunto. Proviamo allora a porre questa scelta del governo Prodi a favore dell'installazione di una nuova ba­se americana presso l'aeroporto Dal Molin di Vicenza.

In sintesi, rileviamo che:

1. il Pentagono, unilateral­mente e senza consultare gli «alleati», ha deciso di rischie­rare dalla Germania in Italia la sua brigata aerotrasportata;

2. la scelta americana è parte integrante del programma di Bush e della sua politica guer­rafondaia che pretende di combattere il terrorismo con la guerra e di imporsi come l'unico gendarme mondiale, accantonando anche e de­potenziando perfino la stessa Onu;

3. l'impegno con Bush è una eredità che ci viene dalla servile politica estera del precedente governo; una politica che in Europa non ha trovato nessun seguito,oltre l'infelice ecce­zione anglo-italiana.

Questo, in breve, il panorama circostanziato e a breve raggio.

E proviamo ad allargare, come di dovere, l'orizzonte all’eco­nomia e alle politiche che caratteriz­zano il mondo nella sua attuale di­stretta? Notiamo, allora, che la politica è stata asservita all'economia e che questa, a sua volta, trova la sua flori­dità nell'industria militare. Così l'Im­pero e la Guerra sono diventati fra­telli siamesi, le banche sono i migliori azionisti delle lobby militari e l'euro­dollaro e le armi sodomizzano sotto lo stesso tetto. In questo contesto sia la querelle di Vicenza, come quella di Cameri, ma anche la questione dell'Afghani­stan sono tutti tasselli che concorro­no a rinforzare la morsa micidiale de­gli osceni connubi di cui sopra. Da la­mentare, in aggravio al bilancio negativo delle ultime scelte gover­native, lo scandalo di una finanzia­ria che, dopo aver tagliato fondi su scuola, sanità e servizi, in nome del ri­gore e dell'austerità, per la guerra ri­serva privilegi ed extra: nella sola Ta­bella di bilancio della difesa il prece­dente importo totale di 17,782 miliardi di euro è stato portato a 18,134 miliardi, con un incremento di 352 milioni.

Si pone, allora, bruciante, la do­manda su che cosa vada lavorando una politica di pace che invece di scalfire,almeno in parte,questi ab­bracci mortiferi li consolida e li per­petua.

Bisogna purtroppo lamentare che, nonostante affermazioni in contra­rio, la «politica» considera le obiezio­ni all' attuale deriva militarista co­me variabili irrilevanti, sterili trastulli di chi si attarda a parlare di «valori». Si deve ancora lamentare, con Da­nilo Zolo,docente di filosofia del di­ritto internazionale all'Università di Firenze,che «le ragioni morali han­no scarsissimo rilievo nei rapporti in­ternazionali. Oggi prevalgono i rap­porti di forza. Il sangue di innocenti è un banale “effetto collaterale”. Il dirit­to internazionale, di fatto, è una ra­zionalizzazione ex post della volontà delle grandi potenze. E se il diritto è scarsamente efficace, l'etica è addi­rittura incommensurabile con gli o­biettivi politici,economici e militari che legittimano anche agli occhi del­le maggioranze democratiche dei paesi occidentali l'uso dei mezzi di distruzione di massa. La logica delle grandi potenze non ha nulla a che fare con i "valori" cui pure si fa retori­co riferimento: è una logica spietata i cui emblemi sono i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, sono Guan­tanamo e Abu Ghraib o, su altro ver­sante, è 1'11 settembre 2001» e,ag­giungiamo noi, Sigonella, Vicenza, Cameri e, ancora, la finanziaria.

IL PRIMATO DELLA FORZA SULLA RAGIONE NON DEVE UCCIDERE LA VOGLIA E IL DOVERE DI SOGNARE.

Don Mario Bandiera

Sono due i nodi «bellici» dell'at­tuale realtà italiana: l'allarga­mento della base militare Usa in località Dal Molin a Vicenza e l'accor­do per l'acquisto di nuovi aerei da combattimento denominati F35 con la prospettiva di un loro assemblag­gio finale presso l'aeroporto militare di Cameri, in provincia di Novara.

Il tema è uno di quelli spinosi e sui quali bisogna procedere con molta attenzione.

La Commissione diocesana Giusti­zia e Pace di Novara, da tempo aller­tata su questo tema, ha cercato di farsi interprete e di dare risonanza al magistero della chiesa su un tema così importante, ripercorrendo passo dopo passo gli interventi più incisivi e qualificanti elaborati a partire dal Concilio Vaticano II° ad oggi sulla cor­sa agli armamenti. Ed è proprio riper­correndo questi testi che si resta alli­biti di fronte alla protervia della lobby delle armi. Quando la chiesa ri­corda che ogni volta che capitali a­stronomici vengono destinati alla fabbricazione di strumenti di morte, sottraendo così ingenti risorse che potrebbero essere destinate allo svi­luppo dei popoli e alla risoluzione di emergenze drammatiche (Aids, ma­lattie, fame), gli si risponde obiettan­do che un polo tecnologico così d'a­vanguardia sarebbe una promozio­ne non solo per tutta la realtà novarese ma addirittura per l'intero Piemonte, notoriamente in una fase di crisi per ciò che riguarda i posti di lavoro.

Ci sono molti modi da cui partire per affrontare un tema così spinoso come quello degli F35, noi preferia­mo farlo stando dalla parte dei più poveri a cui non vorremo mai dire: «resta con la tua fame,le tue malat­tie, le tue emergenze, perché le risorse che potrei destinare a te e ai tuoi bambini, le utilizzeremo per costrui­re armi sempre più sofisticate e tecnologicamente avanzate che magari terremo in magazzino ma che ci aiuteranno a sentirci più sicuri di fronte alle paure che attanagliano i nostri stomaci». La scelta di stare accanto ai poveri ci sembra più aderente ai cri­teri evangelici che non a quelli detta­ti dalla «real politique».

La corsa agli armamenti è sem­pre stata una iattura per i popoli della terra ed in particolare per i paesi del cosiddetto Terzo Mondo: essa disperde enormi risorse che po­trebbero essere destinate a risolvere i principali problemi dei paesi poveri. È urgente più che mai passare da una strategia di guerra ad una strate­gia di pace. La corsa agli armamenti in quanto contraria all'uomo è con­traria a Dio. Da un punto di vista pastorale bisogna lavorare e impegnar­si per bandire questa corsa folle per due ragioni principali:

1) non c'è nessuna proporzione tra i danni causati e i valori che si vorreb­bero salvaguardare;

2) armarsi per difendersi, quando le armi di difesa hanno un potenziale distruttivo enorme, come l'atomica, perde ogni sua ragione d'essere,giu­stificazione, e legittimità.

Potremmo aggiungere che l'accu­mulo spropositato di armi nelle mani di pochi paesi, potrebbe spingere questi ad una politica di ricatto verso altre nazioni, mettendo a rischio il già precario equilibrio dei diversi paesi della comunità internazionale. In più la corsa agli armamenti co­stituisce una profonda ingiustizia perché afferma il primato della for­za sulla ragione (questo è un leit­motiv che accomuna tutti i pontefici del secolo scorso fino a BenedettoXVI, nei loro incessanti appelli per la pace).

La corsa agli armamenti è inoltre una vera pazzia perché spinge i rap­porti umani individuali e quelli poli­tici internazionali a basarsi sulla pau­ra dell'altro creando attraverso il controllo dei mass media, una specie di isterismo collettivo. La corsa agli armamenti diventa un mezzo per imporre alle nazioni più deboli la propria visione del mondo.Tutto questo non è accettabile dalla co­scienza cristiana.

La pace non è solo superamento del criterio di non belligeranza, è la riacquisizione di valori spirituali e i­deali che promanano dal vangelo, come la difesa della vita, la valorizza­zione della persona nella sua dignità e la costruzione di rapporti di giusti­zia tra individui e popoli. Se voglia­mo che la pace non resti un sogno, dobbiamo avere il coraggio di so­gnare insieme.

LA GUERRA COME SOSTEGNO DI UNA PACE CHE NON C’Ė. PERCHĖ LA PACE HA BISOGNO DI GIUSTIZIA.

Don PAOLO FARINELLA

La logica del mondo è opposta alla logica cristiana evangelica: l'una e l'altra sono incompatibili nel fine e nei mezzi. Il mondo del po­tere è finalizzato alla guerra come struttura di sostegno al dominio, il vangelo è finalizzato alla pace come struttura della coscienza individuale, fondamento della coscienza dei po­poli. Il mondo vuole dominare, il van­gelo esige di servire. Il mondo usa strumenti di distruzione anche quando potrebbe ricorrere a mezzi pacifici, il vangelo impone l'amore per i nemici come condizione essen­ziale della propria identità di figli di Dio. Il potere ha bisogno della guerra perché il suo obiettivo è l'an­nientamento dell'altro come ostaco­lo alla propria dittatura, la pace ha bisogno di giustizia perché il suo o­biettivo è la convivenza. La guerra è serva del potere, il dialogo è trampo­lino per la pace. Due mondi e due strategie che non possono mai coin­cidere o soltanto venire a compro­messo.

OPPOSTI CONTRADDITTORI.

Biso­gna scegliere: o Dio o mam­mona. O il Dio dell'esodo o il vitello della schiavitù. O la pace o la guerra.

Tolstoj ci av­verte che non è più tempo di «Guer­ra e pace» nel senso ineluttabile del destino, ma è tempo della responsa­bilità personale, sorgente del diritto pubblico e del destino dell'umanità. Non c'è una via di mezzo. Non licet! Si deve scegliere. Il mondo guer­rafondaio ha fatto proprio l'aforisma romano «se vuoi la pace prepara la guerra», sostenendo così il principio della moralità della guerra come so­stegno della pace o per lo meno co­me deterrente dello stato di pace.

Questa pseudo e lugubre filosofia è servita e serve a giustificare la guer­ra dovunque e comunque perché la pace deve essere difesa dappertutto e sempre e quindi necessita di armi che diventano così il fondamento primario dell'economia senza distin­zioni di tempi e di qualità. L'aberra­zione raggiunge livelli parossistici quando un'azione di guerra preven­tiva, un intervento armato o una spedizione di militari in assetto di guerra vengono spudoratamente definiti «azioni umanitarie». Le centi­naia di migliaia di morti innocenti in Iraq o i torturati di Abu Graib e di Guantanamo avrebbero fatto a me­no di questi aiuti umanitari che li hanno seppelliti sotto le bombe e al di fuori di ogni garanzia civile di di­ritto come prescrivono le conven­zioni internazionali.

CONSEGUENZE LOGICHE.

Come cri­stiani siamo incastrati: o Dio c'è o Dio non c'è. Se Dio c'è, le con­seguenze logiche sono inevitabili come lo sono quelle nell'ipotesi che Dio non ci sia. È finito il tempo e l'a­berrazione del «giusto mezzo» che è la logica che tutto giustifica e nulla risolve come spesso hanno motivato la loro politica i partiti cosiddetti ispi­rati al cristianesimo. Non esistono né possono esistere partiti cristiani o cattolici come non può esistere un governo cattolico o cristiano, aspira­zione truce di chi vorrebbe imporre la religiosità con la forza della spada o con l'obbligatorietà di leggi civili. La parola di Cristo è drastica e ta­gliente: non potete servire due pa­droni. L'uno (il mondo) si serve, l'altro (Dio) si cerca. I cattolici che sono nel­le istituzioni elettive, i giovani che si arruolano volontari nell'esercito, uo­mini e donne che hanno ricevuto il battesimo nel Nome di Gesù Cristo crocifisso e risorto, non possono ac­cettare qualsiasi compromesso con il militarismo comunque si camuffi e si manifesti. Nessun giovane oggi è obbligato a fare il militare in un eser­cito dove conta non più la difesa del proprio popolo, ma il grado di scien­tificità per ammazzare sempre me­glio. Un giovane che sceglie di fare il militare si mette contro la logica del vangelo e si pone in una condizione di forte rischio per la sua sopravvi­venza sia fisica che spirituale. Nessun credente può vestire una divisa mili­tare che resta incompatibile con la veste bianca del battesimo. Anche dove il servizio militare fosse obbli­gatorio, il credente è obbligato a di­ventare obiettore di quella coscienza che è creata ad «immagine e somi­glianza» di Dio. Il vangelo non è un codice di galateo o un manuale di realismo. Il vangelo è semplicemente la prospettiva del Regno di Dio che esige la non-violenza come pratica quotidiana di vita e di relazione: a chi ti percuote sulla guancia destra porgi anche la sinistra; a chi ti chiede il mantello, offri anche la tunica. Una via di mezzo non esiste né può esi­stere.

DEMOCRAZIA A SOVRANITA’ LIMITA­TA.

I cosiddetti cattolici impe­gnati in politica a qualunque mangiatoia appartengano, sono in­dissolubilmente fedeli agli Usa. Di­vorziano cattolica mente dalle mo­gli, ma restano indissolubilmente fe­deli nei secoli al matrimonio con gli Stati Uniti o meglio con il governo degli Usa che garantisce loro una masochistica sottomissione. Una parte di essi parla di pace, fa genu­flessioni doppie davanti al papa, si appella ai «valori», ma sceglie sem­pre la guerra a favore della guerra. Berlusconi, drogato di americani­smo e condizionato dal suo bisogno di essere fotografato accanto al texano Bush, ha dato carta bianca ai servizi segreti Usa e alle basi militari in Italia che come Paese cessa di es­sere una nazione autonoma e sovra­na e diventa un pied-à-terre del go­verno degli Stati Uniti, come ha di­mostrato il caso di Abù Omar. Non è da meno il governo Prodi, condizio­nato dal suo complesso di inferiorità (dimostrare di non essere anti-ameri­cano) che ha concesso il raddoppio della militarizzazione di Vicenza sul­la testa e sulla vita degli abitanti, co­prendosi con la foglia di fico della delibera comunale, relegando così la politica estera agli umori di un consiglio comunale di periferia. La smentita è venuta l’l1 febbraio 2007 dal senato della Repubblica che ha votato un ordine del giorno dell'opposizione giustificato dal seno Renato Schifani, capo dei senatori proprietà di Berlusconi,con queste parole: «La scelta di ampliare la base è di rango politico ed è coerente con la politica estera del governo, in continuità con quella del governo precedente». l'Italia cagnolino di compagnia del governo statuniten­se e democrazia a tempo e limitata.

MILITARISMO IN CLERGYMAN.

Da questa prospettiva evangeli­ca le cappellanie e gli ordi­nariati militari sono un controsenso evangelico e il segno grave di un'al­leanza tra due poteri che si autorefe­renziano e si alimentano reciproca­mente. In nome del realismo. Il segno di questa aberrazione sono i vescovi e i preti militari che diventano parte integrante dell'esercito con titoli, stellette e relativo stipendio fornito dal ministero della difesa. Ministri dell'altare embedded in tuta mimeti­ca a servizio di una struttura di pec­cato perché strutturalmente finaliz­zata all'uccisione e alla morte. Nei primi tre secoli i militari non poteva­no accedere al sacerdozio come i fi­gli dei macellai perché gli uni e gli al­tri erano familiari al sangue. Dopo o­gni guerra i preti che vi hanno preso parte ricevono la dispensa nell'even­tualità che avessero compiuto atti contrari allo status sacerdotale che propriamente non si addice al servi­zio militare (Codice Diritto Canonico 289 §1. In ogni guerra i cappellani delle diverse religioni pregano Dio perché protegga i propri soldati e ciò è una bestemmia perché esige da Dio un comportamento contraddit­torio visto che in guerra qualcuno deve pur morire. Chi deve scegliere Dio? Con quale metodo? La guerra degli uomini diventa guerra tra gli «dèi» e ci riporta indietro all'Olimpo, quando le divinità parteggiavano per l'uno o per l'altro esercito. Oggi la presenza di preti e frati e vescovi in­quadrati militarmente è una delle concause che giustificano e alimen­tano le guerre di religione e il disse­sto etico delle nostre generazioni. Se anche la chiesa con proprio persona­le è dentro al processo militarista finalizzato alla guerra e alla violenza degli stati e dei loro eserciti, è impos­sibile annunciare il vangelo delle Bea­titudini o del Magnificat o del Servo di Yhwh o pensare che il mondo pos­sa cambiare e lasciare che la pace da sola possa farcela:davanti agli occhi del mondo la stessa guerra è giustifi­cata e legittimata.

Avremmo voluto assistere ad un governo compatto e univoco, men­tre ancora una volta assistiamo allo scempio di una non-maggioranza che sta dilapidando il patrimonio che le italiane e gli italiani gli hanno conferito sull'orlo del precipizio isti­tuzionale berlusconiano.

VOGLIA DI GUERRA E IL DOVERE DEL­LA DISOBBEDIENZA.

Nel mondo cre­sce una voglia di armi e di guer­ra, una voglia così efferata e impu­dente che passa sopra i diritti naturali delle popolazioni chiamate a pagar­ne il prezzo salato in termini di salute, di ambiente e di dignità. La conces­sione agli Stati Uniti del raddoppio della base militare già esistente a Vi­cenza è solo un sintomo tragico di una situazione senza ritorno.

Come se non bastasse a Cameri in provincia di Novara c'è il progetto di assemblaggio di caccia bombardieri da guerra aerea, trasportatori di bombe e/o testate nucleari. In 15 an­ni l'Italia dovrebbe acquistarne 131 al costo previsto di 150 milioni l'uno (ma altri parlano di 200 milioni). Fac­ciamo allora un po' di conti: 8 F-35 al­l'anno costerebbero al nostro paese 1.200 milioni di euro, cioè circa il 4 % della finanziaria 2007.«Se non li fare­mo a Cameri, tante famiglie di lavo­ratori resteranno senza stipendio»,è stato detto. Ma con tutti quei soldi (pubblici) quanti posti di lavoro «virtuosi» si potrebbero creare? Un fiume di denaro pubblico buttato nelle spese militari, mentre nel mon­do la povertà avanza inesorabilmen­te e in Italia circa 3 milioni di famiglie non arrivano alla fine del mese.

A Vicenza e a Cameri bisognava dire un doppio «no», pretendendo una ridiscussione generale della po­litica estera e coinvolgendo l'intera Europa in una ricerca che analizzas­se i fallimenti degli Stati Uniti, impe­dendo che continuassero a fare strage di democrazia e di integrità territoriale di paesi sovrani e liberi.

NEMMENO UN TEMPERINO.

L'Italia terra strategica nel cuore del Mediterraneo per essere por­ta tra Occidente e Oriente, parteci­pa e condivide la politica suicida del­la rincorsa agli armamenti,diventan­do complice e causa di ingiustizie che si perpetrano in quel mondo che dice di volere aiutare con progetti di pace. I progetti di pace escludono le armi, anche il temperino degli scout perché la pace, ove fosse necessario, come è necessario, si arma dello scu­do della non-violenza che consiste nel principio aureo: quando la vio­lenza è inevitabile, è meglio subirla che darla. Nessuna deroga può es­serci al principio evangelico: «Chi di spada ferisce di spada perisce». Il frutto maturo della nostra «civiltà» consiste nel fatto che oggi in ogni guerra in atto la percentuale dei mili­tari morti è pari a1 5% mentre i civili muoiono nella misura del 95%. I mili­tari si divertono, gli innocenti muoio­no. In caso di guerra nucleare, gli uni­ci a salvarsi sarebbero i militari rin­chiusi in qualche sommergibile. L'umanità corre a ritmo serrato verso la militarizzazione senza aggettivi perché oggi i governi sono condi­zionati da una politica militari sta che determina l'economia, le allean­ze e le scelte sociali.

ESPORTARE IDIOZIA.

Gli Usa hanno ammesso ufficialmente che la guerra in Iraq (ma anche quella in Afghanistan) è stata un fallimento completo (non potendolo dire così, parlano di «errori»). Gli unici risultati di quelle scellerate guerre, volute da un incapace e scellerato capo di go­verno a cui si accodarono altri scelle­rati capi di governo, pigmei illiberali e schiavi di servilismo, sono stati la destabilizzazione delle zone di guer­re e del mondo intero che oggi è più fragile e più esposto al terrorismo che quelle guerre alimentano e in­grassano. L'idiozia di esportare la democrazia in armi ha prodotto l'ac­corciamento della democrazia negli stessi paesi produttori di guerra. Quando, come Missioni Consolata, dicemmo (confortati anche da un papa) che la guerra è una pazzia fat­ta da pazzi contro pazzi e che nulla avrebbe risolto, ma tutto avrebbe aggravato, fummo tacciati di antia­mericanismo,di disfattismo,di anti­patriottismo e finanche di conniven­za con i terroristi islamici. Fummo so­lo prevedibili e noiosi profeti impotenti. In una società civile de­mocratica, di fronte a questo sfacelo, uomini insignificanti come Bush, Blair, Berlusconi, Aznar che hanno voluto le guerre per ideologia avreb­bero dovuto non solo dimettersi da ogni carica istituzionale, ma anche scomparire dalla scena politica per­ché hanno ingannato i loro popoli, li hanno defraudati della dignità, li hanno mandati allo sbaraglio e li hanno uccisi con falsità. Licenziati per incapacità di governo o peggio ancora per incapacità di valutazione previsionale. Un capo di stato che non sa prevedere le conseguenze delle proprie scelte è una iattura per il suo popolo.

SCENARI MONDIALI: CHE SUCCEDERA ORA IN IRAN, SIRIA E PALESTINA?

Tony Blair ha di fatto affossato la (meritoria) proposta italiana all'Onu di moratoria sulla pena di morte. L'Europa, infatti, non parlerà una sola lingua perché Blair in Europa fa gli interessi degli Usa da cui non si di­scosta più di una museruola da cane. Una grande occasione perduta poli­ticamente e moralmente. Il suo de­gno compare di guerre Bush, persa la guerra in Iraq, cerca di imbastirne un'altra contro l'Iran con l'intento di scatenare una deflagrazione nel Me­dio Oriente e forse permettere ad I­sraele di usare armi atomiche per la soluzione finale di Iran, Siria e Palestina. Si è capovolto l'aforisma latino che diventa: parla di pace, ma prepara la guerra. Questa escalation verso la guerra sistematica cammina di pari passo con il degrado ambien­tale, la desertificazione del sud e del­l'Africa e la prospettiva della distru­zione del pianeta per implosione della stupidità dei governi cosiddetti democratici. Per essere una civiltà occidentale ce n'è di che vergognar­si. In tutto questo frangente, siamo in attesa di sentire la voce della gerar­chia ecclesiastica che in nome del vangelo e dell'etica che sgorga dalla sua dottrina sociale, sicuramente a­vrà una parola illuminante. Una pa­rola di salvezza per i loro popoli e il loro ambiente geografico e sociale.

«ALIENUM A RATIONE».

Sempli­cemente folle. «Quelli che vuol perdere, Dio rende pazzi», dice un proverbio latino at­tualissimo oggi: la maggior parte dei governi sono in mano a uomini folli: il mondo è già collocato sulla bocca di un vulcano in eruzione perché con le riserve atomiche la terra può essere distrutta sette volte ed essi continuano ad armarsi sempre più modernamente, occupando sempre più territori, popoli e persone e per­seguendo la sola logica che il demo­ne della guerra concepisce e parto­risce: la distruzione degli innocenti, la strage dei civili, la miseria e la po­vertà strutturale di due terzi dell'u­manità. Con un cambio di strategia: nei prossimi mesi e anni sentiremo parlare di necessità di armarsi per la salvaguardia della stabilità ambien­tale. Il prologo è cantato dagli indu­striali che hanno fomentato abbon­dantemente il dissesto ambientale ad ogni livello (è drammatico il rap­porto su clima e ambiente redatto dai maggiori esperti mondiali e reso pub­blico lo scorso 2 febbraio), ma sono pronti a convertirsi all'ecologismo e all'economia ambientale perché vi hanno intravisto un modo «altro» per fare soldi e sottomettere sempre più popoli e territori ai loro guada­gni. Non è lontano il tempo in cui ve­dremo i militari e gli eserciti converti­ti alla difesa dell'ambiente per poter­lo distruggere meglio, guadagnandoci anche il prezzo e so­praprezzo, mentre i loro popoli muoiono di fame o si avviano ineso­rabilmente verso la catastrofe am­bientale annunciata. Pazzo o folle vuol dire senza ragione/illogico ed è così che Giovanni XXIII definisce la guerra nella enciclica Pacem in terris: «alienum a ratione», semplicemente «folle».

LA VOGLIA DI GUERRA è la soluzione finale dell'istinto di aggressività che regge la morale di questa nostra epoca: molti soldati, pur vo­lontari, non vanno in guerra solo per guadagnare qualche centesimo in più, molti vanno perché spinti dall'o­dore del sangue a cui si sono aliena­ti per anni senza mai avere la possi­bilità o di menare le mani o di met­tere a frutto tutta la violenza che hanno incamerato nel tempo della preparazione professionale. I politici si divertono a garantire che i «no­stri» soldati sono professionalmen­te preparati. Traduzione: i nostri sol­dati sono preparati ad uccidere pro­fessionalmente, cioè a colpire per primi, cioè ancora ad agire «preven­tivamente» se vogliono salvarsi la pelle. I torturatori di Abu Graib tor­turavano «per diversivo o per noia». Allo stesso modo nelle strade delle nostre città persone fragili, ma che

hanno sete di guerra senza poterla realizzare mettono in atto l'unica guerra possibile per bulli annoiati: aggredire persone ancora più debo­li e fare ecatombe di stupri, di sesso, di violenza gratuita. Il futuro è già cominciato: la voglia militarista ha già intaccato il nostro vivere civile; la mentalità guerrafondaia dilaga e domina le nostre città e le nostre re­lazioni. Dio ci salvi da questo buco nero senza ritorno, se ancora è in grado di farlo. A noi cittadini inermi e credenti nel Dio di Pace, il dovere di resistere senza ambiguità.

LE ARMI NON SI DEVONO  NĖ VENDERE NĖ COSTRUIRE.

Don RENATO SACCO

«In piedi,allora,costruttori di pa­ce. Anzi, come dicono i france­si, en marche!». Queste parole di don Tonino Bello (Arena di Verona, 1989) ci devono scuotere ancora og­gi. Se ci guardiamo intorno e vediamo il crescere di una cultura militare e di guerra. Se apriamo gli occhi per vede­re cosa davvero succede dietro alle scelte di ampliamento della base Usa a Vicenza,dietro alla notizia che il quo­tidiano Libero (non certo antiamerica­no...) riportava a fine gennaio 2007, in merito alla conferma della presenza nella base di Aviano di testate nuclea­ri, dietro al folle progetto di assem­blaggio a Cameri (Novara) degli aerei da guerra F35, i cui costi sono astro­nomici, davvero urge far risuonare le parole profetiche di don Tonino: «In piedi, costruttori di pace». Guai a chi mette velocemente nel cassetto le proprie motivazioni, magari anche cri­stiane, per buttarsi negli affari, nei van­taggi di un'economia armata, che pa­re essere davvero il motore di tutta l'e­conomia e la finanza. Le armi sono un businnes pazzesco! Proprio pazzesco, sì! Perché la guerra, come dice la Pa­cem in terris di Giovanni XXIII, è «roba da matti» (alienum est a ratione).

Un segno profetico di fronte a que­sti progetti di morte ci viene dal do­cumento, firmato da mons. Ferdinan­do Charrier, vescovo di Alessandria e presidente della Commissione Pro­blemi sociali, Giustizia e Pace del Pie­monte insieme a mons.Tommaso Va­lentinetti, vescovo di Pescara-Penne e presidente di Pax Christi Italia, del 25 gennaio scorso.

Scrivono i due monsignori: «Sulla scia dei pronunciamenti del magiste­ro della chiesa desideriamo riafferma­re, come comunità cristiana, la neces­sità di opporsi alla produzione e alla commercializzazione di strumenti concepiti per la guerra. Ci riferiamo, in particolare,alla problematica sorta re­centemente sul nostro territorio pie­montese relativa all'avvio dell'assem­blaggio finale di velivoli da combatti­mento da effettuarsi nel sito aeronautico di Cameri (Novara). Rite­niamo - continua il testo - che la pro­duzione di armamenti non sia da con­siderare alla stregua di quella di beni economici qualsiasi».

Contro questa posizione si sono subito levate voci autorevoli, an­che cattoliche (ahimè!), con questi toni «pur dichiarandomi,in ter­mini ideali, vicino ai vescovi, ritengo che non si possa prescindere, in una fase delicata per la nostra economia, da una valutazione pragmatica... Dob­biamo fare tutto il possibile per far svi­luppare il nostro territorio e non pos­siamo permetterci di perdere nessu­na opportunità che vada in queste direzioni». Come a dire: il vangelo va bene, ma a livello intimistico o per le suore di clausura. Nella vita poi bisogna essere realistici,e al vangelo subentrano altri criteri! Su alcuni valori non si transi­ge (Pacs, aborto, famiglia, feconda­zione artificiale...), su altri come l'e­conomia,i soldi, la guerra...bisogna vedere, valutare...!

Un altro messaggio profetico arriva dalla insanguinata terra dell'Iraq, do­ve ho molti amici. Ci sono stato più volte, anche nello scorso mese di di­cembre. Avendo parlato del progetto degli aerei F35 al vescovo di Kirkuk, mons. Luis Sako, ecco cosa mi ha ri­sposto:

«Che vergogna! Se un beduino nel deserto si fabbrica una spada per pro­teggersi, si può capire. Ma gente del Primo Mondo, gente istruita e saggia, gente nobile che costruisce armi, ae­rei e altri strumenti di morte: questa èuna cosa vergognosa! Una cosa i­nammissibile. Basta armi! Basta di­struzioni e gente che muore ogni giorno! La vita è bella. A causa delle armi fabbricate da voi e con i vostri soldi, in Iraq ogni giorno ci sono circa 100 morti, molti feriti e profughi. Lo stesso accade adesso in Somalia, Pa­lestina, Libano e in altri paesi. Il no­stro paese è diviso e la popolazione che è rimasta vive nella paura. Queste armi sono solo fuoco e so­no brutte come i loro fabbricatori. Con questi soldi potete costruire terre nuove e formare gente nuova e aiu­tare positivamente alla crescita della vita!. Così sarete beati costruttori del­la pace e di una società migliore, inve­ce di fare con queste armi una offesa a Dio e all'umanità intera. Questa è una colpa capitale», conclude Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, I­raq (31 gennaio 2007).

Brutti segnali di guerra e profetici richiami alla pace. Siamo in Qua­resima, tempo di conversione. Ci aiutano ancora le parole di don Toni­no all'Arena di Verona: «Se non ab­biamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma nep­pure costruire... che certe forme di o­biezione sono segno di un amore più grande per la città terrena... se non ab­biamo la forza di dire tutto questo, ri­marremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali».