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POCHI MA BUONI.
Cristianesimo
minoritario
Intervista a Enzo Bianchi, Priore del
Monastero di Bose
A cura
di Jean-Marie Guénois per “ La Croix”
( ROCCA n. 02 - 15 gennaio 2008)
Lei arriva ad
affermare che la fine della cristianità è una chance per il cristianesimo
...
E lo confermo, perché il cristianesimo ha vissuto su una ambiguità, quella
di «essere» cristiani senza doverlo diventare, di essere praticante senza
vivere veramente un cammino di fede personale. La coincidenza fra fede e
società non esiste più, e la nuova situazione di minoranza dei cristiani è
una chance per manifestare che la loro fede è vissuta nella libertà e
per amore. La libertà e l'amore sono infatti le condizioni della fede
cristiana. Non sono più un caso o una necessità.
Il diventare
minoritari può essere un passo verso la scomparsa: questo non la preoccupa?
Essere minoritari non vuol dire essere insignificanti. Ci sono minoranze
efficaci, che agiscono nella società perché sia compreso il messaggio
cristiano. Bisogna vigilare perché questo statuto di minoranza non conduca
ad uno spegnimento, ma sia come il sale o la luce del mondo. Bisogna che la
minoranza cristiana abbia la possibilità reale di esercitare una vera
influenza evangelica in seno all'umanità.
Da minoritari, i
cristiani devono cercare di esercitare un'influenza sulla società?
Intanto non bisogna avere l'ossessione dell'influenza, come non bisogna
averne paura. La vera vita cristiana porta in sé un messaggio di
umanizzazione. La spiritualità cristiana è, in fondo un'arte di vivere
umanamente. Se gli uomini percepiscono che i cristiani hanno una vita buona,
vera e felice, si porranno la questione del fondamento di questa vita, e
l'annuncio di Gesù Cristo diventerà quasi naturale. Si farà nel dialogo,
senza imporsi.
La transizione da
un'epoca segnata da un cristianesimo dominante a questo nuovo statuto di
minoranza è vissuta come un trauma da molti nella Chiesa. E da lei?
È un passaggio doloroso e una prova, ma non bisogna avere paura. I nostri
occhi fanno fatica a discernere e non bisogna fidarsi delle statistiche,
perché la fede non è misurabile. Nessuno, nella nostra società
secolarizzata, è in effetti capace di misurare quanto dura l'influenza del
Vangelo quando tocca il cuore di un uomo.
Lei perciò non è
preoccupato per il futuro?
Io ho una grande fiducia, perché se crediamo che il cristianesimo è una
forma di umanizzazione, allora gli uomini si interesseranno al
cristianesimo. Se ci fossero degli ostacoli a questo, verrebbero da noi, non
dal mondo. Siamo noi che non siamo capaci di dire la nostra speranza, di
dare entusiasmo con la nostra arte di vivere e di fare della nostra vita
umana con Cristo un autentico capolavoro.
Lo stato di minoranza
può accompagnarsi ad un complicato riflesso comunitario: che ne pensa?
Bisogna riconoscere che il dialogo, l'apertura agli altri, l'esercizio dell'alterità
sono diventati più difficili, perché suscitano diffidenza e noi stiamo
attraversando una specie di inverno in tutte le religioni. Ma è un pericolo
che passerà. Se la Chiesa resiste alla mondanità, se la Chiesa capisce che
pregare Gesù per l'unità non è una moda ma appartiene all'essenza stessa
della vita cristiana, allora avremo una nuova primavera dell' ecumenismo, un
tempo nuovo per il dialogo.
È ottimista!
Ho davvero speranza. È un momento che passerà. Una volta ancora, il
cristianesimo supererà tutte queste contraddizioni.
Ma come evitare il
peggio?
Siamo condannati alla dinamica della Pentecoste. Il cristianesimo è plurale.
Deve imparare la diversità e non l'uniformità. E spero che si troverà nel
ministero di Pietro un ministero di unità che è necessaria per tutte le
Chiese, come ha voluto il Signore. Il papa in effetti può avere un suo ruolo
da giocare perché si realizzi la comunione delle Chiese. Così è stato
durante il primo millennio del cristianesimo. Oggi soffro per lo spirito
ecumenico perché nelle Chiese ci sono persone che lavorano contro l'unità o
mettono in atto prassi difensive. Non prevarranno, perché lo spirito del
Vangelo vincerà queste opposizioni. Ma diffidiamo del disprezzo per le altre
culture: non è lo spirito cristiano. Cristo è stato capace di sedersi alla
tavola dei peccatori, è morto fra due malfattori ... La Chiesa è il suo
corpo, non può seguire altra rotta che quella del suo Signore! Ma deve avere
il coraggio di essere uno spazio di incontro e di ascolto di ogni uomo
allora il Vangelo potrà dilatarsi e raggiungere tutti.
L'avvenire dei
cristiani passa anche attraverso un accresciuto dialogo con le altre
religioni?
Bisogna essere molto chiari su questo punto. Io non sono d'accordo quando si
afferma che il cristianesimo e uno dei tre monoteismi. Il cristianesimo è un
monoteismo speciale, perché la via che ci porta a Dio come comunione e
Trinità è un uomo. È per l'umanità di Cristo che possiamo andare a Dio.
Un'altra specificità è che il cristianesimo ha stabilito tre rotture: fra il
sangue e la famiglia, fra la terra e la patria, fra il tempio e la
religione. Queste tre rotture impediscono ai cristiani di essere
fondamentalisti, nazionalisti e uniformi. .. Certo, la verità resta una - è
Cristo! - ma l'antropologia cristiana è plurale, e deve assolutamente
passare attraverso un'interpretazione umana. Una terza specificità cristiana
consiste nel credere che ogni uomo è ad immagine e somiglianza di Dio. Anche
se un uomo perde la somiglianza con Dio, conserva in sé l'immagine di Dio e
resta perciò sempre capace di fare il bene. A partire da queste specificità,
e con questa capacità di ascolto, è necessario che portiamo avanti un
dialogo per essere insieme fratelli. Questo non vuol dire progredire nel
dialogo interreligioso con spirito irenico, ma condurre questi dialoghi sul
piano dell'umanità e sul piano della ragione. Avendo il coraggio del
confronto, e di chiedere all'Islam come all' ebraismo di leggere i testi
come parole umane dove si può ritrovare la parola di Dio, ma senza dare
spazio al fondamentalismo o a letture senza rapporto con la realtà.
Pensa che il futuro
del cristianesimo possa essere offuscato dallo scontro di civiltà?
È sull'etica che si avrà lo scontro di civiltà. In Italia, per esempio, vedo
montare un anticlericalismo che non c'era dieci anni fa, si trasforma anche
in anticristianesimo.
Come evitarlo?
Bisogna cercare uno stile di ascolto. I cristiani - e soprattutto i
cattolici - ascoltano troppo poco. Senza ascolto, niente comunicazione e
niente avvenire comune. Solo l'esercizio dell'ascolto può condurre alla
comunicazione, e poi la comunicazione portare alla comunione. La Chiesa, nel
campo etico, vuole essere al servizio della dignità dell'uomo: com'è
possibile che certe volte passi per fondamentalista? Ci esprimiamo con
interdetti, e allora non siamo capiti. Dobbiamo parlare ai credenti e ai
non-credenti con altri termini che non siano quelli della catechesi. Se noi
presentiamo la legge naturale come l'abbecedario della qualità umana
dell'uomo, potremo partecipare alla costruzione di un'etica mondiale.
Quale la priorità per
il futuro della Chiesa?
Per quanto riguarda la vita interna alla Chiesa, c'è una parola che non
abbiamo il coraggio di usare: «sinodalità». La sinodalità consiste nel
camminare insieme, con le nostre differenze. La Chiesa parla di
collegialità, cosa che si riferisce ad una stessa appartenenza. Ora, la
sinodalità è una necessità urgente per mostrare che la Chiesa è una
comunione nella diversità. Se la Chiesa non è una comunione al suo interno,
non saprà essere in comunione con gli altri. E quando si fa il proprio
cammino senza gli altri, si finisce col farlo contro gli altri.
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