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IL NOME DELLA
SPERANZA Io sono convinto che oggi la grande necessità è proprio quella di riuscire a tenere l’orizzonte escatologico, il ritorno del Signore attenzione, non la nostalgia di un ritorno qualunque, questo è New Age, il ritorno del Signore Gesù Cristo. Bisogna tenere ferma questa nostalgia ma nello stesso tempo imparare ad amare questa terra. La formula: fedeltà alla terra, comprendiamola bene. Non è solo una formula che ha sapore ecologico, questo eventualmente è qualcosa che ha acquistato nell 'ultimo decennio. Quando dico fedeltà alla terra significa fedeltà alla nostra condizione, alla nostra vita, alla nostra carne, al nostro corpo, al nostro vivere quotidiano, ai nostri amori, a questo mondo che attende una trasfigurazione non una dissoluzione, che attende di essere riportato all'integrità non di essere consumato dal fuoco. Noi abbiamo beneficiato, anche all'interno dell'Antico e del Nuovo Testamento, tutta una serie di vocabolario che voleva indicare la fine dell’assetto malefico di questo mondo, ma non la fine di ciò che noi abbiamo amato, di ciò che noi abbiamo creato che fa parte della nostra storia. Togliete a ciascuno di noi i suoi amori, togliete le sue creazioni, togliete i suoi desideri e quel che ha vissuto e cosa resta di noi? Resurrezione della carne non significa, tanto che risorge questo corpo che io mi ritrovo e che perde" milioni di cellule ogni giorno, ma significa che tutto ciò che ho amato, tutto ciò che ho vissuto, tutto ciò in cui ho creduto, purificato dal male che mi ha attaccato, sarà trasfigurato.
il capolavoro umano È questo l'orizzonte allora di una fedeltà alla terra. E credo sia importante in questo senso il progetto culturale così coniugato dalla chiesa italiana. Non ne amo la formula, non lo nascondo, ma cosa può essere progetto culturale? Può essere semplicemente che i cristiani reimparino la grammatica umana, delle relazioni umane, del vivere umano, del tempo che è la vita e che presentino una vita bella e buona nel senso compiuto del termine; un capolavoro umano, perché non si dà vita cristiana autentica che non sia un'opera d'arte umana. Se noi sapessimo presentare questo agli uomini questo sarebbe sufficiente per dire la speranza che è in noi. E il capolavoro umano, l'opera d'arte di vita umana è una vita vissuta in pienezza, in fedeltà alla terra ma segnata dalla logica di comunione a tutti i livelli. Vivere con gli altri, vivere per gli altri. Questo è quello che ci dice il cristianesimo; la koinonia, la comunione è il mezzo, è il fine che in Cristo Gesù ha avuto la sua evidenza umana e divina. Quando Gesù ci ha raccontato Dio, ci ha semplicemente raccontato come Dio vuol fare comunione con noi e in sé ha vissuto come un uomo può far comunione con Dio in una estrema comunione con tutti gli uomini. Io non credo che il cristiano sia chiamato a delle cose straordinarie, singolari a livello di vita umana, sono convinto che deve fare la vita umana come capolavoro perché questa è la vocazione dell'uomo creato da Dio. Ed è su questa vita umana che lui tenta di fare come capolavoro, che tiene viva quella promessa della resurrezione, della trasfigurazione del nostro corpo di miseria e di tutto l'universo.
cristiani prima che militanti La parrocchia. Credo che la chiesa che ha voluto il Signore sia la comunità, la comunità locale, perché lo spazio e il tempo son due categorie che fanno l'uomo; senza spazio e tempo non si trova l'uomo. È solo il territorio a fare chiesa, non i movimenti che sono tutt'al più semplicemente delle ipotesi che sorgono in un momento di patologia della comunità territoriale; hanno il diritto ad esserci, e han fatto gran che bene, ma son convinto che torniamo effettivamente alla parrocchia. Io ho sempre creduto nella parrocchia e spero che i cristiani nella parrocchia abbiano queste cose: un luogo in cui loro crescono in una vera gnosi cristiana; cioè un giorno, una sera alla settimana, in cui si ritrovino attorno alla Parola di Dio e che possano crescere, esser cristiani adulti, maturi, con una pienezza, con una statura, una soggettività della loro fede. E che poi si ritrovino tutti la domenica per l'eucarestia dove la koinonia non è solo con il corpo del Signore, morto e risorto, ma deve essere anche una koinonia in cui si incontra gente che si riconosce, gente che ha una appartenenza comunitaria, che non va a prendere un servizio semplicemente, come si diceva quando ero giovane: vado a prender messa. Poi io a questi cristiani quotidiani chiederei una sola cosa: che trovino un momento al giorno per pregare nella maniera che suggerisce il Signore, ricordando che la preghiera ha una fonte che è l'ascolto della parola contenuta nelle Scritture. E poi niente altro. Facciano la loro vita di genitori fedeli nel matrimonio e capaci di ascoltare i figli; facciano una vita professionale seria aiutando la trasfigurazione di questo mondo, lavorino pensando che il frutto del loro lavoro può esser fonte di comunione e di grande carità, non di elemosina. E allora, io dico, per un tale cristiano ce n'è d'avanzo, ce n'è d'avanzo. Questo sarà minimalismo, ma io sono critico verso quella forma di cristiano militante che dovrebbe essere ogni sera in parrocchia, ogni sera impegnato in qualcosa dimenticando che la vocazione è nella compagnia degli uomini. Ve lo dico da monaco, non amo questa forma di laico clericale o militante tutte le sere in opere parrocchiali che poi normalmente è un uomo malato di carità presbite, cioè vede quelli che han bisogno lontano e non vede chi ha bisogno in casa o vicino. Una parola sulla carità. Il cristianesimo senza una prassi, senza una realizzazione della caritas, non solo non è credibile, ma sarebbe semplicemente una ideologia né più né meno. Giovanni nella sua Lettera ha detto una parola definitiva per sempre: «Nessuno può dire di amare Dio che non vede se non ama il fratello che vede». Guardate questa frase di Giovanni la potremmo parafrasare, decodificare in mille maniere: nessuno può dire che comunica con Dio che non vede se non sa comunicare col fratello che vede; nessuno può dire che fa comunione con Dio che non vede se non sa fare comunione col fratello che vede. Giovanni usa il verbo agapan, un verbo non usato nel greco classico; per dire l'amore, c'era il verbo fileo, c'era l'altro verbo dell'amore passionale, erao. Giovanni usa un verbo che non trovate nel greco classico per dire che quell'amore, quella Carità con la C maiuscola, è qualcosa che discende da Dio. Ma una volta disceso da Dio, se veramente è disceso, si fa prassi tra gli uomini. Il Cantico dei Cantici termina dicendo: l'amore del Signore è più forte della morte. Giovanni dice: Dio è amore. Ma allora quando l'amore raggiunge questa perfezione l'amore è il nome della resurrezione, è il nome della speranza. In tutti gli uomini credenti e non credenti, c'è in realtà questa sete di amore, che è davvero l'immagine di Dio stampata in noi, che non è persa neanche nell'uomo più obbietto, vizioso e delinquente. Ecco è questo amore che non può esser perduto, è questo amore che ha il nome di resurrezione perché Cristo è risorto avendo dato la vita per i suoi. La cristianità oggi è finita, soprattutto io ne riconosco la fine per due elementi precisi. Il primo: è venuta meno la maggioranza. Ormai i cristiani sono condotti a riconoscersi come una minoranza. So bene che questo riconoscimento per molti è angoscioso, per molti è virtuale nel senso che, pur arrivando a confessare di essere minoranza, hanno la pretesa di continuare ad essere presenti nella società come maggioranza. Tuttavia noi siamo minoranza. Perché però questa minoranza non provoca in me e in altri una domanda angosciosa circa il futuro del cristianesimo? Perché sono convinto che la secolarizzazione ha portato a una purificazione della fede e ha reso la comunità cristiana molto più libera e autentica. Il secondo elemento per cui è venuta a mancare la cristianità, secondo me, sta nel fatto che è scomparso dall'orizzonte il nemico. Per sentirci cristianità ci vuole un nemico. Nel Medio Evo nemico era il saraceno, poi è stato il turco, poi l'uomo del Settecento, della Rivoluzione francese, poi è stato il marxismo, il comunismo. Adesso nemico, per ora, pare non esserci. Ecco allora la cristianità in crisi e forse il tentativo di rifare una nuova cristianità.
la cultura non si incultura Mai come oggi in maniera indiretta e subdola si insiste sul cristianesimo come anima dell'Occidente, sull'unità europea come il cemento della fede cristiana. Ora io pongo questo problema: se fossi un cristiano d'Africa, del Sudamerica, cinese o giapponese come leggerei questo continuo martellio della necessità che l'Europa ritrovi un'unità politica a partire da quella che era la cristianità se non come una riedizione di una nuova cristianità? Guardate, so che lo fanno anche degli uomini di chiesa tra i più aperti, ma secondo me non hanno messo a fuoco bene cos'è il Vangelo rispetto a un cristianesimo che se non ha cristianità, come dice la Lettera a Diogneto, non ha nessuna patria di qui, nessuna, né la Padania e neppure l'Europa unita, perché la patria è nei cieli e l'attendiamo di là. L'Occidente per il cristianesimo deve restare un accidente, nel senso tomistico del termine; solo se il Vangelo torna ad esser povero di cultura potrà essere inculturato. Il cristianesimo come lo viviamo noi nel cattolicesimo è una cultura, e la cultura non si incultura, si incultura la fede non una cultura già fatta. È un controsenso parlare di inculturazione quando il nostro cristianesimo è ricco di un sistema etico, di un sistema di valore filosofico, di un sistema giuridico, di un sistema amministrativo, di un sistema addirittura di assetto diplomatico. Cosa inculturiamo? Ci rendiamo conto dell'assurdità di questo? Si incultura la fede, non il cattolicesimo, non il protestantesimo.
dove sta la differenza Dove sta la minaccia alla fede cristiana nel prossimo millennio? Io la vedo in tre punti. La prima minaccia è il cristianesimo come religione. All'uomo di oggi che chiede religione, non un Dio personale, non Gesù Cristo, la tentazione è quella di far apparire il cristianesimo soprattutto come religione. Ora non c'è fede senza religione, ma il cristianesimo deve restare innanzitutto una fede. E cosa significa che deve restare una fede? Deve restare attaccato all'unica promessa cristiana che non può passare all'uomo salvatore, l'unica: la resurrezione. L'alterità, la differenza il cristianesimo la esprime là dove annuncia la resurrezione di Cristo e quindi la resurrezione nostra; la vittoria della vita sulla morte. Se il cristianesimo continua ad avere questa speranza allora il cristianesimo svolgerà davvero la sua funzione e sarà necessario come il lievito nella pasta, come il sale della terra perché in tutti gli uomini è presente quell'ansia di eternità di cui parla Qohelet. Per quell'ansia la fede cristiana della resurrezione è una promessa che solo Dio fa, che può avere senso. E’ lì, guardate, io credo, la grande sfida: o noi sappiamo annunciare la vittoria della vita sulla morte, sappiamo annunciare il regno di Dio come faceva Cristo, come faceva la chiesa primitiva, annunciare che davvero c'è la vita eterna, oppure il cristianesimo sta all'interno semplicemente di quel mercato religioso da cui oggi l'Occidente attinge in una logica del fai-da-te. Il cristianesimo deve restare ad essere una fede: la resurrezione è stata per Cristo e l'annunciamo, ma noi attendiamo che Cristo torni per partecipare tutti e tutta l'umanità alla resurrezione. Noi cristiani siamo un popolo escatologico, la nostra più grande preghiera nel cuore è Maranatha: Vieni Signore Gesù. Ed è li che noi mostriamo che la nostra fede è una promessa di Dio, l'unica promessa che l'uomo non può fare. Tutte le altre promesse l'uomo può prima o poi farle, questa no. ed è, secondo me, l'essenziale del cristianesimo anche riguardo le altre religioni.
il cristianesimo non è un'etica L'altra minaccia è il cristianesimo come etica: non stemperiamo il cristianesimo in etica. Eppure quel che succede è che i giovani sanno tutto dell'etica cristiana, poi non sanno chi è Gesù Cristo. Non osservano l'etica cristiana, ma sanno cosa il cristianesimo e la chiesa chiede nelle relazioni prematrimoniali, nella sessualità, nella vita; lo sanno perché il martellare di questo annuncio è un martellare che ha toccato tutte le orecchie, anche se poi non lo osservano. Ma il problema serio è che il cristianesimo trascende l'etica. La società chiede che noi gli diamo un'anima supplementare visto che si sono frantumate le ideologie e le morali laiche. E allora le componenti dell'attuale società non cristiana applaudono a questo tipo di chiesa. Questa chiesa serve. Ma serve per annunciare la fede o serve come cemento in una società malata, come intonaco a un muro cadente, usando l'espressione di Ezechiele? Perché intonacare muri cadenti? Guai se il cristianesimo si esprime solo in etica, e se non si esprime nella carità, nell'agape, nel dare la vita per gli altri, perché se c'è qualcosa che unisce Cristo, gli uomini e i credenti insieme è quella formula di Bonhoeffer: Gesù uomo per gli altri. Il cristiano è colui che dà la vita per gli altri; è colui che trova una ragione per morire, dunque anche una ragione per vivere. Ma guai se passasse il progetto di Kung in cui il cristianesimo si fa semplicemente portavoce di un'etica mondiale. Il cristianesimo sarebbe ridotto a filantropia e a quel punto abbisognerebbe di maestri spirituali, in concorrenza con altri maestri spirituali di altre vie religiose, che sono sovente raffinate, più delle nostre vie occidentali. E allora troveremmo là il Buddha, come diceva De Lubac: l'ultimo nemico, (in senso di opposizione) che il cristianesimo avrà è il buddhismo. Infatti dove c'è il buddhismo noi siamo fermi; da quando l'abbiamo incontrato quattrocento anni fa, non un passo, non una conversione, non una dilatazione del cristianesimo; ci dovremmo chiedere perché. Perché certo di fronte a culture come l'africana o del Sudamerica, là dove si deve portare il pane, il cristianesimo è avanzato. È certo che l'Africa domani sarà cristiana, come lo è già il Sudamerica, ma perché in Oriente non un passo, perché? Chiediamocelo. Se avessimo un cristianesimo capace di esser povero di annuncio culturale e fosse soltanto annuncio della resurrezione, non potrebbe esserci forse quell'innesto e quell'incontro tra una ricerca di Dio raffinatissima fatta dalle culture orientali per millenni con una pazienza, una devozione sovente veramente più visibile di quella che abbiamo fatto noi in Occidente?
il problema della sorella maggiore Terzo punto di questa minaccia alla fede cristiana, secondo me, viene dall'attuale organizzazione delle chiese. Ormai è scomparsa la contestazione, molti di voi si ricordano cosa è stato il postconcilio. La contestazione è scomparsa dall'orizzonte, ma non pensate che, siccome è scomparsa la contestazione, si sia allontanata la possibilità di una crisi all'interno della chiesa. In realtà c'è un'altra possibilità che avanza, quella di una crisi per implosione. Se le chiese continuano ad organizzare tutto intorno a se stesse e non a Cristo, se continuano a ecclesificare la fede come stanno facendo tutte, se continuano in questa forma in cui l'esaltazione della chiesa è un'esaltazione che contagia addirittura i non cristiani e i non credenti, io mi chiedo se questo non rappresenterà un'altra minaccia alla fede cristiana. Permettetemi di dire una parola chiara, di cui ho piena coscienza: da cosa dipende la crisi dell'ecumenismo tra chiese cristiane attuali? Pensate forse che dipenda dalla cristologia? Pensate forse che dipenda dalla dottrina? Se noi oggi siamo arrivati soprattutto a una tensione che è quasi una rottura tra chiese ortodosse e chiese cattoliche, è semplicemente per un problema di organizzazione di chiesa, in cui chiese efficienti, grandi, potenti fanno paura alle chiese piccole: il problema della sorella maggiore. È questo il vero problema. Per cui in realtà più una chiesa si organizza efficiente e domina nel mondo, più difficile diventa per la chiesa l'accogliere delle chiese povere che escono dalla persecuzione comunista o che siano presenti come minoranza nella grande marea musulmana di Siria, del Libano o di altre realtà. Questa è un'altra minaccia. Io credo che, al di là della possibilità di una confessione di fede extra nicena su Cristo che forzatamente ci dovrà essere, noi dobbiamo imparare che la fede di Nicea è la fede espressa da dei greci, da dei greco-romani. Già gli ebrei, i giudeicristiani, non potrebbero mai riconoscersi in una espressione di fede cristiana nelle formule di Nicea pur accettando che Gesù è il Cristo e dovrebbero confessarlo con altre formule. A chi di voi sfugge che, ad esempio, se per noi confessare la piena divinità di Gesù occorre dire che Gesù è Figlio di Dio, per dei giudei-cristiani l'unica formula possibile per dire che Gesù ha un rapporto di Figlio di Dio nel senso che intendiamo noi, è dire che Gesù è figlio dell'uomo? Formula che invece a noi dice niente. È biblica sì, ma non dice più nulla a noi. Allora vedete quale confessione extra nicena dovranno fare i cristiani che saranno chiamati a questo compito.
fedeltà alla terra Ma c'è un altro compito che attende, ed è quello piuttosto della spiritualità. Cioè, noi per duemila anni abbiamo atteso il Signore che ritorna disprezzando la terra nel contemptus mundi; forse è venuta l'ora in cui noi dobbiamo continuare a guardare là, a guardare le cose di lassù, come dice Paolo, aspettare il Cristo che ritorna ma amando questa terra. Permettetemi la formula: nella fedeltà alla terra. Questo è il grande compito che attende la nuova spiritualità cristiana per il Terzo millennio insieme alla nostra perseveranza nella fede e alla capacità di dare la vita per Cristo e darla per i fratelli. Enzo Bianchi |