TOMMASO, IL
NOSTRO GEMELLO.
Don Angelo Casati
(ADISTA n°40/2009)
"Il primo
giorno dopo il sabato." E poi "otto giorni
dopo.". Mi colpisce questo ritornare di
Gesù, del Risorto. Le porte erano ancora
chiuse. E lui ritorna. Ne mancava uno. Non
dice: peggio per lui. E sapeva che cosa
Tommaso aveva nel cuore, sapeva della sua
resistenza a credere. E non dice: peggio per
lui. Ritorna. Mi è risuonato nella mente un
pensiero di S. Agostino, che in parte è
vero, perché richiama la nostra
responsabilità, ma in parte contrasta, se
inteso male, con questo vangelo. Dice S.
Agostino: "Ho paura di Gesù che passa e non
ritorna". Mi tocca il cuore invece questo
Signore che ritorna. Nei cenacoli della
nostra incredulità, dei nostri dubbi, delle
nostre incertezze: non ci lascia perdere.
Lui ritorna. Ritorna per noi che
assomigliamo a Tommaso. Non era poi così
diverso Tommaso dagli altri, se il vangelo
di Matteo chiude dicendo che gli apostoli ‑
al plurale! ‑ dubitavano. All'evangelista
Giovanni succede più di una volta di
caricare tutto sulle spalle di uno solo: di
caricare sulle spalle di Giuda la critica
alla donna del profumo, quando gli altri
e-vangelisti parlano dei discepoli al
plurale. Qui carica sulle spalle di Tommaso
il dubbio, quando gli altri evangelisti
parlano al plurale.
Tommaso, il vangelo oggi ce lo ricorda, è
chiamato Didimo, cioè gemello. Gemello forse
in tanti sensi. Forse anche nel senso che in
lui la fede è gemella con l'incredulità, è
gemella con il dubbio.
E gemello anche nostro: gemello cioè di
tutti coloro che non erano là, gemello di
tutti coloro che ricevono l'annuncio della
risurrezione, senza aver visto. E quindi da
altri. E noi? Noi siamo tra questi. Nostro
gemello Tommaso.
Gemello vorrei dire con la sua storia. Una
storia, come le nostre, segnata da cammini
per lo più tortuosi. Quello di Tommaso non è
un cammino lineare. C'è una crisi. E non è
nascosta dal vangelo. Il suo cammino inizia
con molta foga, poi ecco lo smarrimento, poi
ecco che viene riaccolto dal Signore e
giunge all'essenza della fede.
C'è in Tommaso un inizio del cammino
esaltante. E voi tutti lo conoscete. È
ricordato nel vangelo della risurrezione di
Lazzaro. Gesù, ricordate, decide di
ritornare in Giudea, i discepoli impauriti
lo sconsigliano. In quell'occasione, davanti
a un gruppo di esitanti, Tommaso manifesta
la sua totale solidarietà a Gesù. Dà
coraggio al gruppo, li vuole trascinare. È
protagonista. Dice ai condiscepoli: "Andiamo
anche noi a morire con lui". È generoso. Non
mette condizioni. A costo anche di morire.
Ma poi il cammino di Tommaso conosce l'ora
della confusione. Gesù nell'ul-tima sua cena
dice ai suoi discepoli: "vado a prepararvi
un posto e del luogo dove io vado voi
conoscete la via". Ebbene Tommaso ora è
nella confusione; gli dice: "Non sappiamo
dove vai e come possiamo conoscere la via?"
(Gv 14, 5). Tommaso è nella confusione. Non
sa più la strada di Gesù: dalla certezza è
passato all'insicurezza, dalla direzione
certa allo smarrimento.
Veniamo al nostro episodio. Tommaso è
arrivato al culmine della vicenda, al
culmine dello smarrimento, al punto più
basso della confusione.
Il più coraggioso, quello che incoraggiava
gli altri, quello della sequela
incondizionata, a costo della vita, ora
mette condizioni: "Se non vedo… se non metto
la mano". E Gesù acconsente. Hai messo una
condizione? E una condizione sia. "Metti qui
il tuo dito, stendi la tua mano". Ma,
vedete, c'è uno scarto nel racconto. Uno
scarto intrigante. Colui che aveva posto le
condizioni si apre senza condizioni, crede
senza toccare, crede senza mettere il dito,
crede alle parole di Gesù. Confessa: "Mio
Signore e mio Dio". Questo è il traguardo,
il traguardo di tutti coloro che sono
gemelli, gemelli del credere e del dubitare,
il traguardo di tutti noi che ci portiamo
dentro, come Tommaso, lungo il cammino,
questo gemellaggio, questa duplicità del
credere del non credere.
Il cammino di Tommaso e l'approdo. Il
cammino ci appartiene e va verso un approdo:
"Mio Signore e mio Dio". Un approdo che non
è frutto di un controllo. Di mani o di dita.
Da che cosa è nato? Quell'approdo? Tommaso
rinuncia a toccare. Ha capito che Gesù
conosce ciò che vive nel suo cuore, conosce
i pensieri del suo cuore. Puoi abbandonarti,
puoi dare in mano la vita a uno che conosce
che cosa vive nel tuo cuore. A uno che
riconosci per il timbro della voce. Era
capitato a Maria di Magdala in un'alba
stupefatta presso la tomba dissigillata. Una
voce le disse: "Maria". E lei : "Rabbunì,
Maestro mio".
Puoi abbandonarti, puoi dare la tua vita in
mano a uno che conosce ciò che vive nel tuo
cuore, a uno che riconosci dal timbro della
voce. Nasce l'affidamento.
Non ci siamo mai chiesti perché oggi sia
così problematico per molti affidarsi alla
Chiesa? Davvero siamo tra coloro che
conoscono ciò che vive nel cuore delle donne
e degli uomini del nostro tempo? E siamo
riconosciuti dal timbro della voce?