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Croci e crocette in bilico
ovunque
Umberto Folena (Avvenire 23/08/03)
Croci, croci ovunque. D'oro, d'argento, tempestate di perline (risparmiamo)
o pietre preziose (scialiamo). Minuscole croci su caviglie abbronzate; croci
pettorali da svariati etti in bilico sulle scollature improbabili di signore
con le labbra a canotto e la pelle tesa come quella d'un tamburo. Croci che
neanche il vescovo meno attento al look si metterebbe al collo, un po' per
evitare che gli sguardi si concentrino solo lì, un po' perché tutti a una
certa età soffriamo di cervicale e certi pesi possono far precipitare la
situazione. Croci e crocette appese al polso, al piercing ombelicale,
all'orecchio, sui sandali, perfino - vista in vetrina - sulla biancheria
intima nera. Cattivo gusto? Pessimo. Ma una volta manifestato il nostro
disagio, è bene chiederci il significato della tendenza che ha segnato
l'estate 2003 al pari della braga o gonna dalla vita bassa con il fatale
emergere della biancheria griffata.
Interroghiamoci sul significato perché la croce è un segno. Anzi, è il segno
e dovremmo scriverla con la maiuscola, Croce. È il segno dei cristiani e
rappresenta il supplizio di Cristo. La sua morte. Anche la risurrezione:
quando è vuota, è una croce che Cristo ha lasciato per risorgere. Da duemila
anni è il segno per antonomasia: del dolore e della speranza, del mistero
della morte e della promessa dell'aldilà. Eppure la moda, finora, l'aveva
maneggiata con riluttanza. La moda gioca con l'immaginario dei suoi clienti.
È il suo mestiere: copre, scopre, provoca, allude. Nessuna sorpresa se
periodicamente accosta i segni del sacro con quelli del profano spinto: il
contrasto divino-umano crea shock e si fa ricordare. Ma nell'operazione si
riconosceva finora, al segno sacro, la sua sacralità. Pur sfiorando - e
talvolta oltrepassando - il limite della blasfemia, si usava il segno in
modo pertinente, come indice del sacro. Paradossalmente, anche chi bestemmia
riconosce la divinità.
Oggi però sta accadendo qualcosa di diverso. La croce viene usata in dosi
massicce in tutti i capi di vestiario e decontestualizzata. Guardandola, non
pensiamo più a Cristo. Ridotta a un ornamento tra i tanti, la croce rischia
di trasformarsi in segno che non significa più nulla. Quando la stessa croce
campeggia sul petto del consacrato e della sciùra; quando la stessa crocina
d'oro penzola al collo sia di chi vuole ricordarsi del proprio battesimo o
della prima comunione sia di chi se l'è messa solamente perché così fan
tutti; quando lo stesso segno assume significati tanti, diversi e
contraddittori, ebbene quel segno perde di forza. Dice sempre di meno. Non
richiama più, agli occhi di chi lo vede, quel che voleva richiamare.
Per questo l'invasione delle croci rischia di dare una nuova, straordinaria
spinta al processo di scristianizzazione, al di là delle intenzioni di chi
ha lanciato la moda, sia chiaro. Dietro il suo aspetto innocuo, di cattivo
gusto, ma che tendiamo tutto sommato a tollerare, l'invasione delle croci è
un autentico furto perpetrato alle nostre spalle. Ci stanno rubando quanto
di più prezioso abbiamo: il nostro Segno. La moda magari finirà com'era
cominciata, come spuntano e svaniscono tutte le mode. Ma intanto la sua dose
di veleno l'avrà propinata. E nell'indifferenza generale. Pensate un po' che
cosa sarebbe successo se su ombelichi e mutandine fossero comparse delle
mezzelune. Rivolta generale, dei musulmani vilipesi e dei cristiani pronti a
lottare per i diritti di tutti i credenti. La croce è un segno. Se lo si
priva del suo significato, muore.
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