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Intercedere. Farsi carico dell' altro
Carlo
Maria Martini
Desidero
iniziare con le parole di Gesù tratte dall'Evangelo di Luca (Lc 10,21): «Ti
ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto
queste cose ai sapienti e agl'intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì,
Padre, perché così è piaciuto a te». Testi simili a questo si trovano
anche nella Tanach (Bibbia Ebraica), precisamente in Isaia 29,14: «Perirà
la sapienza dei suoi sapienti e scomparirà l'intelligenza degli intelligenti»,
o in Isaia 19,11-12: «Certamente stolti sono i principi di Tanis, i più
sapienti dei consiglieri del faraone formano un consiglio stupido. Come
potete dire al faraone: 'Io sono discepolo dei sapienti, discepolo di
antichi regnanti'? Dove sono dunque i tuoi sapienti? Ti annuncino e facciano
conoscere ciò che progettò il Signore degli eserciti a proposito dell'Egitto».
Dietro a queste istanze vi è una opposizione: da una parte, il dotto e il
sapiente che pretendono di capire e, dall'altra, i piccoli e i fanciulli che
sono immagine del popolo pronto ad accettare le cose del regno di Dio con la
semplicità di un bambino. Nel suo duro linguaggio Paolo afferma: «Poiché,
infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo non conobbe Dio con la
sapienza, piacque a Dio di salvare quelli che credono con la stoltezza della
predicazione» (1 Cor 1,21).
1.
Il sapiente e il dotto
Con questa distinzione in mente, consideriamo dapprima il sapiente ed il
dotto. Penso che la preghiera di intercessione è tra le cose che queste
persone sono inclini a considerare come insignificanti e persino assurde.
Anche noi a volte apparteniamo a questa categoria, quando pensiamo che la
preghiera di intercessione rimanga come sospesa nell'aria senza produrre
frutto, o quando la consideriamo di seconda classe, come devozionale, da
compiersi semmai nei ritagli di tempo.
Certamente il dotto ed il sapiente non obbietteranno al primitivo
significato latino del termine «inter-cedere», che è «camminare
nel mezzo», pronto ad aiutare ciascuna delle due parti o ad interporsi
in favore di una di loro.
Potrebbero anche non obbiettare all'intercessione compiuta da una persona
verso un preciso uomo o donna o gruppo di persone. Vi sono molti esempi in
questo, nell'antica letteratura ed altrettanto nella Bibbia. Là, ad esempio,
Giuseppe domanda al capo dei coppieri del re d'Egitto di ricordarsi di lui quando
costui sarà uscito di prigione ed a parlare in suo favore al Faraone (Gen
40,14) (il capo dei coppieri dimenticò poi di compiere ciò quando fu
liberato e reintegrato nel suo lavoro!).
Un uomo ed una donna possono parlare, a nome di un altro, ad una terza
persona affinché quest'ultima cambi i propri progetti e una sapiente
intercessione può aiutare a trovare e a compiere una giusta decisione o a
rovesciare una decisione sbagliata. Ma Dio non pone in essere decisioni
sbagliate, e quindi, quando noi veniamo alla preghiera di intercessione
(cioè «stare alla presenza di Dio per un'altra persona») domandiamo
forse a Lui di intervenire e modificare la situazione di quell'uomo o donna?
Qui il sapiente e il dotto pongono molte obbiezioni. Come può Dio essere
mosso a cambiare il suo modo di pensare e correggere una decisione
sbagliata? La mente di Dio non è forse immodificabile dall'inizio? Notiamo
che questa obbiezione può essere portata a riguardo di ogni preghiera di
petizione, ma essa diventa molto forte nel caso dell'intercessione, che è
preghiera di petizione per altri. Infatti Dio generalmente dona un
aiuto con la libera collaborazione della persona interessata. Quale può
essere allora il senso del1'intrusione di altre persone?
2.
I piccoli
Ma contro il sapiente e il saggio stanno i piccoli, che ricevono dall' alto
il dono dell'intercessione e danno grande valore a questo atteggiamento che
è lo stare davanti a Dio per altri. Esso è presente in molti esempi biblici,
da Abramo che pregò per scongiurare la punizione di Sodoma (Genesi
18,22-32), a Mosè che intercedette per l'intero popolo di Israele (Esodo
32,11-13) ed anche per un solo individuo come sua sorella Miriam (Numeri
12,13); da Samuele che, nonostante l'avvenuta rottura col popolo, promise di
continuare ad intercedere per esso (1 Samuele 12,23), a Davide che pregò per
la vita di suo figlio (2 Samuele 12,16-17); da Amos che pregò il Signore Dio
di perdonare il popolo di Giacobbe perché 'egli è così piccolo' (Amos
7,1-6), a Geremia che disse al popolo di pregare per il benessere della
città in cui erano stati deportati (Geremia 29,7) e così in molte altre
situazioni.
Questa attitudine la sento personalmente di grande interesse perché, dopo
molti anni dedicati allo studio e all'insegnamento e a un ministero
pubblico, ho deciso di vivere gli ultimi giorni della mia vita qui, a
Gerusalemme, in una incessante intercessione per i bisogni delle mie sorelle
e dei miei fratelli della Chiesa di Milano, che ho avuto l'onore di servire
come Arcivescovo per più di venti due anni, e per tutto il mondo e
specialmente per le persone con le quali vivo, ricordando le parole
dell'apostolo Paolo: «I giudei prima, e poi i greci». La preghiera di
intercessione è dunque la mia prima priorità, la mia principale quotidiana
occupazione. Come allora io posso praticarla se è considerata insignificante
ed anche assurda? Penso che questa sera siamo chiamati ad entrare nel cuore
dei piccoli e degli umili, nel cuore cioè della grande intercessione che
abbiamo menzionato or ora, cosicché possiamo intravedere quanto essi hanno
compreso del valore di questa preghiera.
3.
Una rete di relazioni
Parto dallo scritto di una giovane ragazza ebrea, Etty Hillesum, morta ad
Auschwitz nel 1943 all'età di ventinove anni. All'inizio degli orrori della
Shoah, quando ormai regnava confusione e terrore fra gli Ebrei in Olanda
riguardo alla loro sorte, il giorno 11 di luglio del 1942 (quel giorno era
Shabbat), ella scrisse nel suo Diario:«Se Dio non mi aiuterà più,
allora sarò io ad aiutare Dio». E il giorno successivo, di domenica,
ella scrive una lunga preghiera nel suo diario, oltre ad altri pensieri: «Cercherò
di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non
posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me,
e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dovere aiutare te, e
in questo modo aiutiamo noi stessi ... Sembra che tu non possa far molto per
modificare le circostanze attuali ma anch' esse fanno parte di questa vita
... E quasi ad ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu
non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all'ultimo la
tua casa in noi». Etty Hillesum scrisse questa pagina quando viveva il
difficile passaggio dall' ateismo alla fede e scopriva a poco a poco lo
sconosciuto volto di Dio. Ma queste parole, che possono creare sospetto alle
menti formate in teologia, contengono una grande verità: Dio vuole farci
attenti al nostro prossimo. Dio desidera un reale interessarsi degli uni per
gli altri, un aversi a cuore, ad immagine della cura di Dio per ognuno di
noi. Egli è sempre pronto a porre ad ognuno di noi il primordiale
interrogativo che fu posto a Caino: «Dov'è tuo fratello Abele?» (Genesi
4,9). Per questo il Signore spesso non mostra il suo volto, ma splende
nell'aiuto dato ad un altro. Ciò è chiaramente espresso nella parabola
dell'ultimo giudizio, nel vangelo di Matteo (25,31.46), dove il Signore dice
a quelli che hanno aiutato il prossimo: «Tu l'hai fatto a me»
(25,40). Egli è presente in ogni opera amorevole, in tutti i gesti di
perdono, nell'impegno di coloro che lottano contro la violenza, l'odio, la
carestia, la sofferenza e via di seguito. In altre parole noi possiamo
dire che costoro considerano il mondo come una grande rete di relazioni (nel
linguaggio dei computers il web), dove ciascuno è dipendente dagli
altri. Tutto ciò è espresso con forza nelle parole dello staretz
Zosima, una delle figure chiave del capolavoro di Dostoevskij, I fratelli
Karamazov. Queste sono le parole di padre Zosima: «Amate il popolo di
Dio. Noi non siamo più santi della gente del mondo perché siamo venuti qui e
ci siamo chiusi fra queste mura, ma anzi chiunque è venuto qui, già per il
fatto di esserci venuto, ha riconosciuto in se stesso di essere peggiore
della gente del mondo e di ogni uomo sulla Terra ... E quanto più a lungo
vivrà un monaco fra le sue quattro mura, tanto più profondamente dovrà
rendersene conto. Poiché in caso contrario non valeva la pena che venisse
quaggiù. Ma quando riconoscerà non solo di essere peggiore di tutta la gente
del mondo, ma anche di essere colpevole di fronte a tutti gli uomini, sulla
Terra intera, di tutti i peccati universali e individuali, solo allora sarà
raggiunto il fine della nostra unione. Giacché sappiate, miei cari, che
ciascuno di noi è colpevole di tutto e per tutti sulla Terra, questo è
indubbio, non solo a causa della colpa comune originaria, ma ciascuno
individualmente, per tutti gli uomini e per ogni uomo sulla Terra. Questa
consapevolezza è il coronamento della vita di un monaco e anzi di ogni uomo
sulla Terra. Poiché i monaci non sono uomini diversi dagli altri, ma sono
soltanto come dovrebbero essere tutti sulla Terra. Unicamente allora il
nostro cuore si abbandonerà a un amore infinito, universale, che non conosca
mai appagamento. Allora ciascuno di noi avrà la forza di conquistare con il
suo amore il mondo intero e di purificare con le proprie lacrime tutti i
peccati. .. ». Ed egli così conclude: «Non siate superbi. Non
siate superbi con i piccoli, non
siate superbi nemmeno con i grandi. Non odiate chi vi respinge e disonora,
chi vi ingiuria e calunnia. Non odiate gli atei, né i cattivi maestri e i
materialisti, neppure i malvagi fra loro, per non parlare dei buoni giacché
ve ne sono molti di buoni, specialmente ai nostri tempi. Ricordateli così
nella vostra preghiera: 'Salva, o Signore, tutti coloro per i quali nessuno
prega, salva anche quelli che non ti vogliono pregare'. E aggiungete anche:
'Non per orgoglio ti prego, o Signore, perché anch'io sono un vile peggio di
tutto e di tutti».
Certamente questa interdipendenza, questa profonda e necessaria
interconnessione, per cui ognuno di noi è vincolato a tutti gli altri, è una
profondo mistero spirituale, che sarà manifestato nella sua pienezza
nell'ultimo giorno, quando la realtà di questo mondo sarà resa chiara a
tutte le nazioni; quando - ricordando le parole del profeta Isaia - il
Signore «distruggerà su questo monte il velo posto sulla faccia di tutti i
popoli» (Isaia 25,7), allora noi potremo capire quanto tutto è stato tessuto
e tenuto insieme dal Signore di tutti e che noi abbiamo formato insieme un
grande web di relazioni reciproche.
Oggi noi siamo chiamati a riconoscere poco alla volta questa mutua
appartenenza, che caratterizza tutti i nostri atti, secondo il comandamento:
«Tu amerai il tuo prossimo come te stesso» (Levitico 19,18). Noi
siamo chiamati ad osservare questo comandamento non solo attraverso le
nostre azioni, ma anche nella preghiera di intercessione.
4.
La preghiera di intercessione
Come spiegare ciò? Abbiamo visto che Dio stesso mostra nella Bibbia quanto
egli abbia a cuore la preghiera di intercessione.
Ma in questa preghiera noi non stiamo tentando di cambiare la mente di Dio.
Secondo la comune interpretazione teologica, il significato della preghiera
di petizione e di quella di intercessione, non è di ottenere un cambiamento
della volontà di Dio, ma di far sì che la creatura abbia parte ai doni di
Dio. Dio ci concede di desiderare quanto egli vuole donarci.
Ma noi abbiamo notato che vi è molto di più. Vi è il fatto di una mutua
responsabilità, che deve essere espressa non solo attraverso l'agire, ma
anche per mezzo della preghiera. Dio ci vuole gli uni per gli altri, egli
desidera che mostriamo per gli altri interesse, compassione, carità, mutuo
aiuto, amore in ogni cosa. Dio vuole creare una grande unità nell'umanità,
attraverso l'essere gli uni per gli altri, come Lui è misteriosamente in se
stesso un perpetuo dono di sé.
Così una piena comunione è realizzata tra gli esseri umani. Coloro che
possono fare qualcosa per gli altri nel senso fisico, materiale, sono
chiamati a farlo. Tutti gli altri sono invitati a unire la loro preghiera in
una grande intercessione. Perciò la risposta soddisfacente riguardante la
necessità della preghiera di intercessione sta nel mistero del piano di Dio,
che vuole questa profonda comunione tra tutti i suoi figli. E Dio lo vuole
perché egli è così, colui che dà se stesso, che ha cura degli altri, che li
ama fino alla morte (cf. Gv 13,1).
Certamente l'intercessione presuppone che la persona che la compie sia
accetta al Signore, sia in un certo qual senso suo amico, come è detto di
Abramo, a cui Dio non volle nascondere nulla di quanto stava per fare (cf.
Gen 18,17). L'intercessore è qualcuno che sceglie di vivere secondo il
progetto di Dio, che spera fermamente che esso si verifichi anche negli
altri. È una persona che ha cura realmente dei suoi fratelli e delle sue
sorelle e desidera che essi vivano secondo la volontà di Dio.
Perciò la presenza di molti intercessori è anche un mezzo per realizzare una
comunità che corrisponda al piano di Dio e promuovere il lavoro di
riconciliazione tra individui, popoli, culture e religioni e tra l'uomo e il
suo Dio.
Queste sono alcune delle ragioni per cui mi sento inclinato alla preghiera
di intercessione. Naturalmente so bene che la mia preghiera è molto povera,
pigra, spesso piena di distrazioni. Ma non di meno la considero come un
piccolo rigagnolo, che fluisce dentro il grande fiume che è l'intercessione
della Chiesa e delle persone buone di tutta l'umanità.
Questo grande fiume di intercessione fluisce e si immerge, per me come
cristiano, nel grande oceano dell'intercessione di Cristo, che «vive sempre
per intercedere» a nostro favore (cf. Eb 7,25; Rom 8,34). Così la mia
piccola intercessione è parte di un grande oceano di preghiera in cui il
mondo viene immerso e purificato.
Lo stesso grande scrittore della fine del diciannovesimo secolo che ho
citato prima, Dostoevskij, ci ha dato nello stesso libro una commovente
descrizione della preghiera di intercessione. Lo staretz Zosima dice a un
giovane: «Ragazzo, non scordare la preghiera. Nella tua preghiera, se è
sincera, trasparirà ogni volta un
nuovo sentimento e una nuova idea che prima ignoravi e che ti ridarà
coraggio; e comprenderai che la preghiera educa. Rammenta poi di ripetere
dentro di te, ogni giorno, anzi ogni volta che puoi: 'Signore, abbi pietà di
tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te, Poiché a ogni ora, a ogni
istante migliaia di uomini abbandonano la loro vita su questa Terra e le
loro anime si presentano al cospetto del Signore e quanti di loro lasciano
la Terra in solitudine, senza che lo si venga a sapere, perché nessuno li
piange né sa neppure se abbiano mai vissuto. Ma ecco che forse, dall'estremo
opposto della Terra, si leva allora la tua preghiera al Signore per l'anima
di questo morente, benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto
te. Come si commuoverà la sua anima, quando comparirà timorosa dinanzi al
Signore, nel sentire in quell'istante che vi è qualcuno che prega anche per
lei, che sulla Terra è rimasto un essere umano che ama pure lei. E lo
sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto
tanta pietà di quell'uomo, quanto più ne avrà Lui, che ha infinitamente più
misericordia e più amore di te. Egli perdonerà grazie a te».
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