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Vita cristiana e guarigione
Alberto Neglia (HOREB n° 3- 2007)

La pubblicità presenta tutti belli, in ottima forma e felici, ma la cronaca, e l'esperienza quotidiana, stanno lì a dirci che la storia umana è attraversata da un malessere che la scarnifica e la segna in modo determinante. Vedendo il telegiornale con tutte le immagini di guerra, di violenza e di morte, spesso affiora nella nostra mente la considerazione: che storia di dolore! Di questo malessere partecipa tutto il creato. Constatiamo che la terra è malata, che i rapporti tra i popoli sono malati, che i rapporti in famiglia sono malati, che la nostra vita intima è malata.

La malattia, segno di relazioni ferite.

La malattia è la conseguenza di una relazione disturbata con la terra, tra i popoli e con noi stessi. La malattia che tocca la vita intima è anch'essa segno di una frattura nell'armonia del corpo umano e nell'armonia tra corpo e dimensione spirituale dell'uomo. «Per la Scrittura la vita è relazione con Dio e con gli altri uomini e la malattia è un attentato alla pienezza della vita non solo per la diminuzione delle forze e per le menomazioni che provoca a livello fisico, ma anche per la minaccia o l'incrinatura dell'intera sfera relazionale che essa comporta»[1]. Con la Scrittura concorda la psicologia dicendoci che la vera malattia del nostro tempo è la mancanza di relazione. Non solo non si è capaci di mettersi in relazione con le cose, con gli altri e con Dio, ma neppure con se stessi.  La malattia è il segno di un disturbo organico o fisiologico che rivela la fragilità dell'esistenza umana, ma è anche il frutto di una spaccatura e di conflittualità tra i limiti del corpo umano e le proprie idealità.  La malattia, in un modo o in un altro tocca la vita di tutti, è un modo di esistere, connota la storia umana e la qualifica come bisognosa di guarigione e di salvezza.  Proprio perché la malattia è frutto di una spaccatura, di una relazione ferita essa provoca sofferenza, che è non solo fisica, ma anche psichica e spirituale.  La sofferenza è un'esperienza che investe l'uomo per intero, fa parte del vissuto più che del pensato. Per questo «apre un abisso buio, sul quale l'intelligenza non è in grado di fare luce, proprio per questo diventa una sfida. Tale lo è non solo per la ragione ma anche per la fede, che non risolve il mistero ma lo ripropone in modo più acuto»[2].  Chi soffre, infatti, spesso «teme di essere punito, abbandonato nelle mani di poteri oscuri, occulti, da cui non si viene fuori. È soprattutto la relazione con Dio e il suo modo di intervenire nella storia che diventa problematico in queste situazioni. I perché a questo riguardo incalzano a ritmo crescente. Perché infierisce contro di me, di noi? Perché non inter­viene? Perché tace? Perché non risponde al grido della sofferenza? Perché non ha compassione? Sono tutte domande intrise di dolore e di pena, così vicine e lontane dal "perché?" del Cristo dell'agonia: l'interrogativo più accorato e sconvolgente gridato in contesto di dolore. ( ... ) Alcuni si domandano: è frutto di punizione? ... da qui crisi depressive che rendono muti o intristiti»[3].

Gesù si prende cura dei malati.

Di fronte a questi "perché", «la riflessione teologico spirituale, in passato, ha sottolineato, in modo preponderante, come l'accettazione della malattia, delle avversità fisiche e del dolore fosse un elemento fondamentale per la compartecipazione alle sofferenze di Cristo, per la salvezza del mondo. L'antropologia teologica, oggi, invita ad un salto in positivo, mettendo in evidenza come anche la ricerca della salute sia un segno e un mezzo di salvezza»[4].  Questo nuovo orizzonte si apre grazie all'approfondimento biblico, dal quale emerge che Dio, amante della vita, non chiede sacrifici ma coinvolge nella misericordia. Egli, nell'Esodo, autopresentandosi, ci dice: «Io sono JHWH, colui che ti guarisce» (Es 15,26).  Consapevole di questo atteggiamento di Dio, il pio israelita nella preghiera, con confidenza, può dire: JHWH è «colui che perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie» (Sal 103,3), ed anche: il Signore è colui «che risana i cuori affranti e fascia le loro ferite» (Sal 147,3).  Dio guarisce perché ama, come ricorda il profeta Osea: «Li guarirò dalla loro ribellione, li amerò di vero cuore» (Os 14,5).  L'amore e il perdono divino comportano, per colui che è guarito, l'accesso a una dimensione nuova dell'esistenza e della relazione con JHWH, Dio della vita[5].  Gesù è colui che rende visibile questo atteggiamento del Padre. Dai vangeli emerge che Gesù fa conoscenza di molti malati e nei loro riguar­di non solo svolge un'attività didascalica, e kerigmatica, ma anche terapeutica:«Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23).  I vangeli, infatti, ci raccontano che Gesù ha incontrato molte persone afflitte da svariate malattie: zoppi, ciechi, sordomuti paralitici lebbrosi malati mentali, ebbene a queste persone, in vario modo segnati dal dolore nel corpo e nello spirito, Gesù non predica mai rassegnazione, non chiede mai di offrire la sofferenza a Dio. Nella malattia Gesù ha sempre colto un attentato alla pienezza dell'umanità di una persona, in quanto limitante la sua libertà, un male che mortifica l'uomo. Per questo Gesù si rapporta  con la malattia e la sofferenza con piglio liberatore: la malattia e la sofferenza sono un male da cui liberare la persona colpita per restituirle un'umanità integra, vitale e armonica; lo richiede il senso della sua missione di salvezza che egli non restringe riduttivisticamente alla sfera dello spirituale o dell'anima, come siamo soliti dire[6].

«Alzati e va’: la tua fede ti ha salvato»

Nel guarire, Gesù, però, non fa ricorso a gesti magici. Uno dei verbi che gli evangelisti usano per descrivere questa sua attività è therapeùo. Nel greco classico, questo verbo prima che guarire, significa servire; nei Vangeli è usato nel senso di "curare", "prendersi cura", e quindi, dedicarsi ai malati, farsi carico delle loro malattie e debolezze, seguire e favorire il processo che porta il malato alla guarigione.  La sua azione terapeutica avviene all'interno di una relazione. Di Gesù, nei Vangeli spesso viene detto che di fronte ai malati, egli ascolta il loro grido, prova compassione, si coinvolge nella loro sofferenza, si fa vicino, li tocca lasciandosi personalmente contaminare dal loro malessere, e stabilisce una relazione personale con loro. È all'interno di questa relazione che egli si prende cura e guarisce. Matteo, per esempio, ricorda: «vide una gran folla e sentì compassione (esplanchinìsthe) per loro e si prese cura (etheràpeusen) dei loro malati» (Mt 14,14).  È all'interno di questa relazione che egli restituisce all'altro la capacità di acquistare un atteggiamento nuovo e di ritornare a comunicare con se stesso con gli altri e con Dio.  L'azione terapeutica di Gesù mira certamente a ridare guarigione fisica a chi gli sta dinanzi, ma non si ferma a questa, la cura della salute fisica prelude alla vita piena, alla salvezza e liberazione globale dell'uomo. E’ segno di una guarigione che tocca l'uomo nel suo profondo e risveglia in lui la capacità di aprirsi e relazionarsi, senza riserve con Gesù stesso, e, a partire dall' abbraccio con Gesù, con se stesso e con le sue ferite, ma anche con tutti gli uomini e con il creato.  Dopo aver posto il segno della guarigione, spesso Gesù dice al suo interlocutore: «Alzati e va': la tua fede ti ha salvato» (Lc 17,19, ma anche 7,50 e 8,48, dove aggiunge: «va' in pace»). È come se dicesse: risorgi e apriti, cammina da vivente, il mio abbraccio, il mio respiro, ti ha dato un cuore nuovo, occhi nuovi, ha ridato un orientamento nuovo alla tua vita quindi: va' in pace, porta in te l'armonia di Dio e vivi in armonia con te stesso e con gli altri.

Pregare per guarire?

Alla luce del dato evangelico, la Chiesa, fin dai primi secoli, ha considerato Cristo come il Medico dei cristiani. Ireneo di Lione scrive: «Il Signore è venuto come medico di coloro che sono malati»?[7] Origene ricordando la promessa di Gesù: io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo, evidenziava: «Sappi vedere (nei Vangeli) che Gesù guarisce ogni debolezza e malattia, non solo in quel tempo in cui queste guarigioni avvenivano secondo la carne, ma che ancora oggi guarisce; sappi vedere che non è disceso solamente tra gli uomini di allora, ma che ancora oggi discende ed è presente»[8]. Alla luce di questo convincimento il documento del Concilio Vaticano II°, Sacrosanctum Concilium, al n. 5, facendo esplicito riferimento a S. Ignazio di Antiochia, ci ricorda che Cristo è ancora oggi "medico di carne e di spirito", e lascia intravedere (considerato il contesto liturgico) una connessione tra il vissuto liturgico, in tutte le sue espressioni, e la guarigione. E chiaro che tutta l'esperienza cristiana se è innervata seriamente dal respiro di Cristo è esperienza terapeutica, ma qui desideriamo sottolinea­re questo rapporto tra esperienza liturgica e, in modo particolare, di preghiera e guarigione. Tenendo conto di questo orizzonte, è opportuno cogliere l'interrogativo che si pone E. Peyretti: «Pregare per guarire? Da sempre chi ha pietà religiosa prega per i malati, e i malati pregano o per guarire o per mettersi nelle mani di Dio. ( ... ) Oggi siamo portati, davanti alla malattia, ad accantonare la preghiera affidandoci del tutto alla medicina. Sarebbe un riduzionismo scientista.( ... ) Sarebbe ignorare che la malattia è un evento che probabilmente non è tutto leggibile sotto l'occhio del chirurgo o il microscopio dell'analista, ma ci coinvolge nella nostra intera realtà e nelle nostre relazioni»[9]. La malattia ci coinvolge nella nostra intera realtà e nelle nostre relazioni, ora la preghiera è evento, esperienza di profonda relazione personale e per questo è via di guarigione, è esperienza terapeutica. Ovviamente qui parliamo di una preghiera che non è blaterare parole, non è esigere o comprare un favore, né esperienza di attese miracolistiche, ma un lasciarci coinvolgere da Gesù a invocare: Padre! In questa invocazione c'è il desiderio (come figlio) di vivere insieme a questo Padre l'esperienza che stiamo facendo, parlandone a lui e ascoltando i suggerimenti dello Spirito. Ci riferiamo, quindi, a una preghiera nella quale deve prevalere l'at­teggiamento teologale, aperto a una relazione soprannaturale con Dio, a partire dalla viva consapevolezza che siamo sempre figli e, a volte, figli malati, feriti. Questo tipo di preghiera, ci porta a «percepire la nostra realtà più profonda, quel punto nascosto del nostro essere in cui - inconsciamente, insensibilmente, senza mai averlo visto - noi giungiamo a Dio, scorriamo in Dio, tocchiamo Dio; o meglio quel punto in cui, a ogni istante, mentre non cessa di crearci, Dio ci tocca»[10]. E allora avvertiamo che piano piano si apre un varco e come pioggia benefica ci raggiunge la misericordia di Dio che è spazio creativo che rigenera e ci fa affacciare alla vita in modo nuovo. Questa presenza che scende sulle ferite dell'uomo, «Io con te nella sventura» (Sal 91,15), forse non opera la guarigione così come ce l'aspettiamo, ma è luce che ci indica la via da percorrere per vivere e riscattare la malattia e il dolore dal non senso, dall' assurdo, dal nulla.
E allora si percepisce che pur non essendo liberati dalla malattia, nella sua concretezza, si è liberi nella malattia e si diventa capaci di vivere in pace con la propria storia e con le proprie ferite.


[1] L. MANICARDI, Il malato e gli altri. Riflessioni sulla "visita ai malati", in Parola spi­rito e vita, (1999/2) n. 40, 183.
[2] M. BIZZOTTO, La sofferenza sfida la ragione e la fede, in CredereOggi, 25 (112005) n. 145,31.
[3] D. MONGILLO, Il mistero della malattia, in Servitium 23 (1989) n. 64, 18.
[4] Cf R. ZANCHETIA, La ricerca di salute: sacramento di salvezza in CredereOggi 25(112005) n. 145,75.
[5] Cf M. P. SCANU, "lo sono JHWH, colui che ti guarisce": Es 15,26. Considerazioni sulla metafora terapeutica in prospettiva teologica, in Parola spirito e vita, (1999/2) n. 40, 36-37
[6] Cf G. BARBAGLIO, Gesù e Paolo di fronte alla malattia e alla sofferenza, in Servitium 23(1989) n. 64, 5.
[7] 7 Adv. Haer., III, 5,2.
[8] Homiliae in Canticum Canticorum II,4.
[9] E. PEYRETTI, Curare ed essere curati, in Servitium 39 (2005) n. 161
[10] A. Luof, Sotto la guida dello Spirito, Ed Qiqajon, 1990