17 domenica C. 28 luglio 2019
CARO PAPA’ (MAMMA). Don Augusto Fontana

Papa Francesco, nell’omelia della Messa celebrata nello stadio di Morelia in Messico nel 2016, ha esordito: “Dimmi come preghi e ti dirò come vivi, dimmi come vivi e ti dirò come preghi[…]La nostra vita parla nella preghiera e la preghiera parla nella nostra vita[…]A pregare si impara, come impariamo a camminare, a parlare, ad ascoltare[…]La scuola della preghiera è la scuola della vita e la scuola della vita è il luogo in cui facciamo scuola di preghiera”. …..

Preghiamo. Rivelaci, o Padre, il mistero della preghiera filiale di Cristo, nostro fratello e salvatore e donaci il tuo Spirito, perché, invocandoti con fiducia e perseveranza, come egli ci ha insegnato, cresciamo nell’esperienza del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro della Gènesi 18,20-32. In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci ». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».
Salmo 137. Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto.

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita;
contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano.
La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi 2,12-14. Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.
Dal Vangelo secondo Luca 11,1-13. Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».  Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

CARO PAPÀ (MAMMA). Don Augusto Fontana

Chi é, chi siamo.
Di solito il dialogo rivela l’identità delle persone che si parlano. Mentre parlo con te decido chi sono per te e chi sei tu per me. La preghiera definisce l’identità di Dio e la mia. Per noi lui è Padre, per lui noi siamo figli e l’equazione determina la nostra fraternità. Chiamare Dio “Abbà, papà” significa proclamare con un respiro breve tutta la nostra storia di amore. Nelle nostre mani riceviamo la pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve» (Ap. 2,17). «E’ lo Spirito che attesta che siamo figli ed eredi» (Rom. 8,15-117). Quando chiedo a Dio: «Come mi chiamo?» Lui risponde rivelandomi il suo nome, nel quale é rivelato anche il mio. Quando chiedo a Dio: «Che devo fare?» egli risponde: «Invoca salvezza con le lacrime agli occhi e con il fuoco nell’anima» perché questa passione dell’intercedere é un passo di avvicinamento verso il Dio dalle viscere materne, é un modo per esprimere l’amore esagerato.
Macario il Grande scrive: «Coloro che sono stati degni di diventare figli di Dio e di nascere dall’alto…piangono e si affliggono per tutto il genere umano, pregano versando lacrime per l’Adamo totale, infiammati dall’amore spirituale per tutta l’umanità». Papa Francesco, nell’omelia della messa celebrata nello stadio di Morelia in Messico nel 2016, ha esordito: “Dimmi come preghi e ti dirò come vivi, dimmi come vivi e ti dirò come preghi[…]La nostra vita parla nella preghiera e la preghiera parla nella nostra vita[…]A pregare si impara, come impariamo a camminare, a parlare, ad ascoltare[…]La scuola della preghiera è la scuola della vita e la scuola della vita è il luogo in cui facciamo scuola di preghiera”.

Uno sguardo panoramico sul Padrenostro.
• S.Agostino ha scritto che il Padrenostro è il Battesimo quotidiano. Tertulliano ha scritto che il Padrenostro è la “somma di tutto il Vangelo” (Breviarium totius evangelii).
• La vera preghiera cristiana rinuncia al miracolo perchè non vuole modificare la situazione attraverso la magia. Il teologo Carlo Molari scrisse :  “Mi sembra sia Anthony de Mello a raccontare di una sua preghiera che non trovava risposta. Di fronte ad una madre in pianto perchè il figlio moriva e non sapeva cosa fare, egli pregava: «che stai facendo, mio Dio, per questa madre a cui muore il figlio? Non vedi come soffre?». L’unica risposta era il silenzio. Solo dopo lungo pregare sentì chiara la risposta: «Che faccio? Per questa madre ho fatto te!». Pregare quindi non è chiedere a Dio di intervenire al nostro posto, ma è aprirsi alla sua azione per diventare capaci di accoglierla in modo così ricco da essere in grado di compiere per noi e per gli altri ciò che la vita ci chiede. La preghiera è appunto l’atteggiamento che l’uomo assume per accogliere l’energia vitale che gli viene continuamente offerta, è l’esercizio quotidiano per aprirsi alle forme nuove di esistenza ed accogliere la forza creatrice in modo da esserne sempre pieni. E’ come quando ci mettiamo sotto il rubinetto con le mani chiuse: l’acqua scorre e non possiamo trattenerla. Quando invece apriamo le palme siamo in grado di raccogliere almeno un po’ della tanta acqua che è a nostra disposizione. Pregare è aprire le mani perchè un po’ dello straripante dono di Dio possa essere interiorizzato. La preghiera perciò non serve per scuotere l’onnipotenza di Dio a nostro favore, ma a modificare il nostro atteggiamento nei suoi confronti”.
• Nella preghiera di domanda e di intercessione scopriamo la nostra storia come storia di desideri. Nella preghiera del Padrenostro, i nostri desideri coincidono con quelli di Dio. Nella nostra preghiera di domanda di solito chiediamo secondo i nostri interessi. Nella preghiera del Padrenostro invece si desiderano le cose di Dio, di fatto si desidera Lui. Succede come nell’amore: non desidero le tue cose ma Te. Sant’Agostino dice che possiamo pregare con parole diverse dal Padrenostro, ma non possiamo chiedere cose diverse.
• La preghiera è fatta IN CRISTO. Si dice questo soprattutto della preghiera liturgica, ma anche ogni preghiera personale è fatta IN CRISTO. Noi preghiamo in Lui e con Lui. Lutero disse: ” Noi possiamo rivolgerci al cielo di Dio solo salendo sulle spalle di Cristo“.
• Il Padrenostro rappresenta la corretta relazione tra Dio e l’uomo, tra cielo e terra, tra religioso e politico. Nella prima parte di questa preghiera la causa di Dio è fatta propria dall’uomo e nella seconda parte la causa dell’uomo è presa a cuore da Dio. Ciò che Dio ha unito, nessuno separi!
• La preghiera non è il primo atto che l’uomo compie; prima dell’orazione di solito esiste uno choc esistenziale e solo dopo sorge l’invocazione, il ringraziamento. Quale choc esistenziale sta alla base del Padrenostro?:
1. Il mondo ha le vene aperte e perde sangue. La creazione geme (Rom 8,22). Ogni società ha i suoi massacri, i suoi martiri, i suoi crimini collettivi.
2. Il mio essere soffre: ” Sono uno sventurato. Chi mi libererà?“(Romani 7,24). La rottura non lacera solo le società, ma anche il cuore dell’uomo: “Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio“(Rom. 7,19). La nostra vita quotidiana non sfugge all’enigma, all’assurdo e alle nostre cattiverie.
3. “La creazione attende con impazienza” (Rom. 8,19): di fronte alle assurdità collettive e personali si possono assumere 3 atteggiamenti: rivolta, rassegnazione, speranza. Questo tempo è il tempo intermedio di crisi, di tentazioni, di decisioni, Esiste una situazione di urgenza. C’è una coscienza di catastrofe imminente. Mentre il Signore ha garantito che il mondo malvagio ha i giorni contati, tuttavia anche Lui “tarda” e da “onnipotente” si fa “impotente” e desiderante con noi.

Il Padrenostro in Luca.
Utile il confronto tra le due versioni, quella di Matteo e quella Luca. Qualcuno mi potrebbe chiedere: «Ma quale delle due ha veramente insegnato il Signore?». E io risponderei: «Il Signore ha insegnato a pregare e non ha dettato una formula».
Il Padrenostro in MATTEO 6, 9-13
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Il pane nostro epiousion {essenziale} dà a noi oggi [sèmeron], e cancella a noi i nostri debiti come noi li abbiamo cancellati ai nostri debitori,
e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal male

Il Padrenostro in LUCA 11, 2-4
Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno;
il pane nostro epiousion {essenziale} continua a dare a noi ogni giorno {kath’emèran},
e cancella i nostri peccati, perché anche noi li cancelliamo a tutti i nostri debitori,
e non ci esporre alla tentazione….
… quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».

Cerchiamo di cogliere alcuni elementi del contesto in cui Luca inserisce la preghiera del Signore.
1. La pagina di Luca è preceduta dall’episodio di Marta e Maria. Maria è il simbolo del discepolo che non si agita per cose non essenziali. Ci troviamo di fronte ad una catechesi battesimale sulla preghiera. Si potrebbe dire: ECCO LE COSE DI CUI AVETE SOSTANZIALMENTE BISOGNO.
2. Il Padrenostro di Luca si trova chiuso dentro queste 2 domande: « Padre, sia santificato il tuo nome….donaci lo Spirito Santo». La preghiera specifica del cristiano maturo è “chiedere lo Spirito Santo”.
3. All’interno di queste due domande il brano è pervaso da situazioni di “pericolo” nelle quali si trova chi sta pregando: la domanda del Regno è minacciata dalla fame, dai test della vita, dalle relazioni conflittuali e dal male. Rappresenta originariamente la preghiera per chi, chiamato a seguire Gesù, ha lasciato casa, campi, lavoro e famiglia; è l’espressione orante del radicalismo migratorio dei discepoli al seguito di Gesù Messia, accanto al quale essi sperimentano, ogni giorno, Dio come Padre. Il cristiano, comunque, prega perchè si trova in una situazione di urgenza e sta vivendo una vicenda storica che lo mette in crisi. L’orante non è uno che si trova comodamente seduto in poltrona e riempie il suo tempo con una pia elevazione dell’anima a Dio. La preghiera del Padrenostro è pronunciata da chi non ha tempo. Di solito si sente dire “Prego poco perchè non ho tempo”; come se la preghiera fosse affidata da Cristo solo a monaci o a gente sfaticata che ha tempo da vendere. Collegare i Salmi al Padrenostro significa amplificare, con tutta la storia emblematica di Israele, le grandi passioni e le grandi emergenze entro le quali vive il discepolo.

FRAMMENTI DI “PADRENOSTRO”.

PADRE. ABBA’ (papà) e IMMA’ (mamma) sono le prime parole che pronunciano i bambini ebrei. C’è quindi una componente fiducioso-familiare, anche se nella cultura ebraico-semitica l’immagine del padre conteneva meno elementi sentimentali della nostra cultura attuale; JAHWE’ veniva considerato GENITORE in quanto creatore della vita e in quanto responsabile della formazione di una massa in popolo. Il nome Jahwè significa: “Eccomi qua”: “Pertanto il mio popolo conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo: eccomi qua” (Isaia 52,6). Significa che non siamo mai orfani, smarriti, abbandonati al caso. La vita è anche grazia, ed ogni esistenza è benedizione. Impariamo così a discernere, nelle cose e negli eventi, la Paternità di Dio che, come diceva S. Ireneo di Lione, “ha creato tutto con le sue due sante mani: il Figlio e lo Spirito“. Da qui si impara a non più maledire, a non più disprezzare. Nessuna delle diverse richieste contenute nella preghiera del Signore verrà intesa rettamente se si perde contatto, durante la preghiera, con la prima parola: «Padre!» che va posta non solo prima della preghiera nel suo complesso, ma anche prima di ogni singola richiesta: Padre sia santificato il tuo nome, Padre venga il tuo regno, Padre, sia fatta la tua volontà…Pronunciare la parola “Padre” è già di per sé una preghiera. Nel culto cristiano esistono 2 brevissime preghiere: una consiste nel dire “Padre” e l’altra consiste nel dire “Amen“. Nessuno dica più che “non ha tempo di pregare!”.
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME. La parola semitica QODES si traduce con “tagliare-separare“. Viene dichiarato Santo ciò che è separato dalla quotidianità profana e quindi l’aggettivo è solo attribuibile a Jahwè IL SANTO. La domanda “sia santificato il tuo Nome” nasce da una constatazione e da un desiderio. La constatazione: la situazione oggettiva della vita, a causa delle sue profonde distorsioni, nega la glorificazione di Dio e favorisce il bestemmiare. Il desiderio: dire che Dio è SANTO è dichiarare che è il TOTALMENTE ALTRO, che non è la proiezione delle nostre alienazioni e desideri. Noi desideriamo di non addomesticare Dio nelle botteghe dei nostri interessi.
Dio vuole che anche l’uomo sia santo: “Siate santi, perchè io sono santo“(Levitico 11,44; 19,2). Dio è l’utopia realizzata di ogni uomo che desideri essere più di quanto è di fatto. Dio vuole manifestarsi santo nelle nostre opere buone: “La vostra luce risplenda davanti agli uomini perchè vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli“(Matteo 5,16). Nella tradizione giudaica l’espressione Qiddush ha-Shem (<santo [sia] il Nome>) era diventato un modo per indicare il martirio o la testimonianza pubblica.
Quando si dice che la “gloria di Dio è l’uomo vivente” significa che l’uomo costituisce la visibilità del Nome di Dio. Quando l’uomo e la donna sono impoveriti ed oppressi, il Nome di Dio va in esilio e si nasconde nella loro povertà. Noi nella preghiera chiediamo a Dio di ribaltare la situazione dell’uomo sfigurato perchè si manifesti chiara la Sua presenza, perchè avvenga definitivamente la sua Epifania.
VENGA IL TUO REGNO. E’ la domanda centrale del Padrenostro ed è il cuore dell’Evangelo perchè il nucleo del messaggio di Gesù e il movente della sue azioni stanno in questo REGNO: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Marco 1,14). La preghiera “sia santificato il tuo Nome” cesserà quando verrà il Suo Regno:”Poi sarà la fine quando il Cristo consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e potestà. Allora Dio sarà tutto in tutti” (1 Corinzi 15,23-28).
Del Regno di Dio, il Nuovo Testamento parla 122 volte sia per indicare la sovranità di Dio che per indicare la condizione dell’uomo dentro la grazia di una vita serena e giusta. Dio regna quando viene riconosciuto Dio che crea e che si prende a cuore le situazioni umane. “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto. Davanti a lui camminerà la giustizia e sulla via dei suoi passi la salvezza”. (Salmo 85). Questa fede nasce dall’esperienza dell’esodo. Esodo 2,23-25: “Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. 24 Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. 25 Dio guardò la condizione degli Israeliti e se la prese a cuore”. Jahweh è il Dio del soccorso ai bisognosi, che non si rassegna alle sofferenze causate dagli uomini.
L’uomo è abitato dal “principio-speranza” che si manifesta con la tensione verso il nuovo, verso il senza-frontiere, verso la pace e il benessere soprattutto relazionale: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leone si ciberà con la paglia del bue, il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi e non ci saranno più azioni inique né saccheggi“(Isaia 11,6-9). “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più….Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. (Apocalisse 21,1-7)
CONTINUA A DARCI OGNI GIORNO IL PANE EPIOUSION. Per quanto possano essere alti i pensieri della mente e spirituali le virtù, l’uomo ha bisogno di una infra-struttura materiale (acqua, aria, pane…). Questa infra-struttura è così importante che Gesù ha legato la salvezza o la perdizione al fatto di averla o no accolta in modo giusto e fraterno (Matteo 25, 31-46). S. Basilio Magno già nel 300 affermava: “All’affamato spetta il pane che si spreca nella tua casa; allo scalzo spettano le scarpe che ammuffiscono sotto il tuo letto. Al nudo spettano i vestiti che sono nel tuo baule; al povero spetta il denaro che si svaluta nelle tue casseforti“.
Il testo greco usa il termine “epiousion” di difficile traduzione. Forse significa “pane necessario per vivere oggi” (forse era una preghiera che i seguaci di Gesù recitavano al mattino prima di partire per l’avventura esposta della missione); o forse significa “pane definitivo”: “Beato chi mangerà il pane nel Regno di Dio” Lc.14,15). Il Signore ha insegnato a non affannarci per i domani (Matteo 6) come già il Libro dei Proverbi aveva insegnato a chiedere: “Non darmi nè povertà nè ricchezza; fammi avere il cibo necessario” (Prov.30,8). Il Signore ci ha detto “Io sono il Pane di vita” (Giov. 6).
Matteo scrive il verbo “dare” al tempo aoristo (dòs) che esprime un pressante appello: «Dacci immediatamente» (oggi). In Luca la stessa parola si trova nella forma greca del presente (didou) che significa «continua a darci» a cui fa seguito non la parola «oggi», ma «ogni giorno» (in greco: kath’emeran).
Quando si dice “pane” non si pensa solo al cibo, ma ad ogni cosa di cui abbiamo necessità per vivere bene o sopravvivere, per esempio l’amicizia, la resistenza contro le difficoltà, la serenità interiore…
CANCELLA A NOI I NOSTRI PECCATI PERCHE’ NOI LI… L’uomo non vive di solo pane, ma anche di un’altra infra-struttura senza la quale non esiste: ha bisogno di sentirsi inserito nel tessuto sociale. Il perdono è il pane della vita comunitaria. L’uomo non solo vive, ma anche con-vive. L’io personale è abitato dagli altri e compromesso con essi. Noi siamo in debito con gli altri, sempre: questo è il nostro “debito innocente”: ciò che mangiamo, di cui ci vestiamo e i servizi di cui godiamo hanno impresso il marchio della fatica di qualche uomo o donna. Oltre a questo debito “innocente” abbiamo anche dei “debiti colposi” rappresentati da ciò che doveva essere fatto per gli altri e non è stato fatto. Abbiamo poi dei “debiti dolosi”. Ciò che è stato detto dei rapporti umani si riferisce anche ai nostri rapporti con il Padre: abbiamo verso di Lui dei debiti innocenti, colposi e dolosi. E’ d’obbligo evocare la Parabola del servitore insolvente (Matteo 18,23-35): poichè Dio mi ha perdonato sono in grado di trovare le ragioni sufficienti e i motivi per perdonare ai colleghi servi, in quanto sono invaso dalla gratitudine.
Mentre la formulazione di Matteo parla di “debiti”, quella di Luca parla di “peccati”: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora, per la tua preghiera, ti saranno rimessi i peccati“(Siracide 28,2).
NON ABBANDONARCI NELLA PROVA. Dice Gesù: “Il Figlio dell’uomo, alla sua venuta, troverà forse la fede sopra la terra?” (Luca 18,8). Bisogna dunque “vegliare e pregare per non entrare nella tentazione (prova)“(Marco 14,38). Con questa parte del Padrenostro noi chiediamo di essere preservati dal perdere la fiducia in Lui. “Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà; sorgeranno falsi profeti che faranno grandi prodigi e inganneranno molti“(Matteo24,22-24). Siamo esseri strutturalmente messi in libertà e quindi in continua necessità di scegliere : “Nel mio intimo acconsento alle Legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge che muove guerra alla Legge dello spirito e che mi rende schiavo della legge del peccato. Sono uno sventurato! Chi mi libererà?…“( Romani 7,22-24). La morte stessa resta per tutti come la grande tentazione da cui essere liberati.

(Per un chiarimento su “non abbandonarci alla tentazione” consiglio di collegarsi a: https://www.interris.it/religioni/padre-nostro–chi–il-vero-tentatore) 

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