25 dicembre 2023. Memoria dell’Incarnazione
DAL DIO DI PIETRA AL DIO DI CARNE
da Liturgia della notte.
Dal libro del profeta Isaìa 9,1-6
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Màdian. Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
Salmo 95 Oggi è nato per noi il Salvatore.
Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra. Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Gioiscano i cieli, esulti la terra, risuoni il mare e quanto racchiude; sia in festa la campagna e quanto contiene, acclamino tutti gli alberi della foresta.
Davanti al Signore che viene: sì, egli viene a giudicare la terra; giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli.
Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito 2,11-14
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
Dal Vangelo secondo Luca 2,1-14
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
DAL DIO DI PIETRA AL DIO DI CARNE. Don Augusto Fontana
Parola di Dio sulla pietra.
Il Signore disse a Mosè: «Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli» (Esodo 24,12)….«Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole» (Es 32,15-16). Era una parola pietrificata, ma garantita e fedele come una roccia. Nel nostro immaginario collettivo religioso, favorito da dipinti e da film colossal, abbiamo tutti quell’immagine di Mose che scende dal monte con le due tavole di pietra. Dieci Parole scolpite sulla pietra. Per molti furono dieci comandamenti di pietra. Dieci Parole pietrificate deposte nell’arca dell’alleanza e portate a spalla nel cammino, memoriale di un patto reciproco. La pietra è segno di garanzia e stabilità. Ma anche la pietra si può frantumare. E’ bastato un vitello d’oro come idolo per scatenare lo zelo profetico di Mosè: «Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora si accese l’ira di Mosè: egli scagliò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi della montagna» (Esodo 32,19).
Erano, quelli, tempi di cavernicoli; oggi abbiamo carta e computer in tempi di fragilità contrattuale, tempi liquidi e fluidi; la carta si accartoccia e si butta, e sul computer basta un clic e tutto è cancellato. Le parole si nebulizzano e diventano vapore che si disperde. Nostalgia di tempi robusti, di alleanze non negoziabili, di dogmi garantisti, di verità chiare e distinte.
Anche Salomone sogna progetti di pietra: «Ecco, ho deciso di edificare un tempio al nome del Signore mio Dio…. Il re diede ordine di estrarre grandi massi, tra i migliori, perché venissero squadrati per le fondamenta del tempio» (1Re 5,19. 31). Nulla avrebbe potuto far tremare quei pilastri. Ma la pietra chiede una fedeltà impossibile. Con la sua rigidità perde il passo col popolo che muta, cresce, cambia, affronta nuove complessità. Ed ecco l’intelligenza profetica. «Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger 31,31-33).
Parola di Dio nella carne.
Il profeta Isaia indica la svolta: «Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». L’evangelista Luca raccoglie parole venute da lontano; segno della presenza di Dio non sarà più una stele o un tempio di pietra, ma la carne fragile di un figlio d’uomo: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Sarà questo figlio, divenuto grande, che davanti al tempio confermerà il nuovo regime di fede: “Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: «In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata»” (Matteo 24,1-2). L’evangelista Giovanni, commentando un riferimento al Tempio da parte di Gesù, annota: «Ma egli parlava del tempio del suo corpo» (Giovanni 2,21).
La storia della Rivelazione stava subendo un’accelerazione.
«Il Verbo si è fatto carne» canta Giovanni nell’ouverture del suo Vangelo (Giovanni 1,14). Francesco diceva che Gesù era la Parola abbreviata di Dio. La lunga Parola del Vecchio Testamento che ha ispirato molti profeti si fa breve nel Bambino che nasce a Betlemme.
“Farsi carne” vuol dire assumere pienamente la fragilità umana, accettare di nascere, di morire, di partecipare a tutti gli stati della vita umana nell’ambito della sua storia terrestre: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Filippesi 2, 6-7).
Anzi: divenendo simile ad un pane frammentato e mangiato; «questo è il mio corpo» dirà Gesù nella Cena Pasquale.
Ma c’è di più. Ed è l’evangelista Matteo che ci porta ai confini impensabili del “luogo di Dio”: noi incontriamo la Parola del Dio vivente in sei sacramenti della Sua presenza: «Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo 25, 37-40). «Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi» conferma l’apostolo Paolo in 1Corinzi 3,17.
Perfino quando si presenta Risorto, Gesù mostra di essersi portato dietro la sua e nostra carne: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Luca 24,39).
Allora?
Il profeta Amos aveva minacciato: «Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno» (Amos 8,12).
In questo tempo liturgico siamo portati invece pazientemente al luogo dell’incontro. I pastori «andarono dunque senz’indugio e trovarono» ( Luca 2,16). I magi « Entrati nella casa, videro il bambino» (Matteo 2,11). La maledizione è infranta per chi lo vuole. Non più un Dio lassù nei cieli o raccolto in molecole di pietra, in pensieri misticheggianti, in una chiesa pietrificata dal rito, dall’organizzazione o dalla latitanza dalla contingenza quotidiana, ma nella carne quotidiana di Gesù, del Pane eucaristico, della gente con cui coabito. «Dio si è mostrato in Gesù con tratti umanissimi perché ciò che era straordinario in Gesù non era nulla di religioso ma solo umano, umanissimo. Sì, Dio ha sembianze così umane che rischia di passare inosservato»[1].
Scrive padre Ermes Ronchi: «Dio ricomincia da Betlemme, da un bambino. L’eternità si abbrevia nel tempo, il tutto nel frammento. Anche la realtà di Dio ora sa di pane. Il Creatore non plasma più l’uomo con polvere dal suolo, dall’esterno, ma si fa lui stesso polvere plasmata. Geremia, che applica a Dio l’immagine del vasaio che «continuamente riprende in mano la sua argilla e non la butta via se un vaso riesce male, ma la lavora di nuovo» (Ger 18,3-4), direbbe che il vasaio si è fatto non soltanto anfora, vaso fragile e bellissimo, ma che si è fatto creta, polvere del suolo, di questo suolo, di questa terra. « Il Verbo si è fatto carne» (Gv 1,14), è scritto. Non solo si è fatto quel bambino; non solo si è fatto quell’uomo; ma si è fatto carne universale. Anzi nella suggestione del testo greco i due termini sono vicini, non separati da altre espressioni: ho Logos sarx egheneto, la Parola carne divenne. Da allora la vicinanza è assoluta, c’è un frammento di Logos in ogni carne, c’è qualcosa di Dio in ogni uomo, ci sono un po’ di santità e molta luce in ogni vita. L’incarnazione non è finita, Dio «accade» ancora nella carne della vita, accade nella concretezza dei miei gesti, abita i miei occhi perché sappiano guardare con bontà e con profondità. Abita le mie parole perché abbiano luce. Abita le mie mani perché si aprano a dare pace, ad asciugare lacrime, a spezzare ingiustizie. E se tu devi piangere, anche lui imparerà a piangere; e se tu devi morire, anche lui conoscerà la morte. Umiltà è la parola rivoluzionaria del Natale. Luce custodita in un guscio d’argilla. La strada più breve e più diritta tra l’uomo e Dio è la carne di Gesù, ora in braccio alla madre, un giorno in braccio alla croce. “Cammina attraverso l’uomo e raggiungerai Dio” (Sant’Agostino). Giungere a Dio amando l’umanità di Gesù, ora bambino in braccio a sua madre e poi uomo delle strade e amico di pubblicani, i suoi anni nascosti e i suoi gesti pubblici, le sue mani sui malati e i suoi occhi negli occhi dei re, i suoi piedi e la polvere delle strade di Palestina, e poi il nardo che scende, e poi il sangue che cola. E infine il suo corpo assente. La Chiesa nasce da un corpo assente. È la strada dei Magi. Noi, cercatori come loro della carne di Dio, dobbiamo cercarla là dove abita»[2]
Vederti splender negli occhi di un bimbo
e poi incontrarti nell’ultimo povero;
vederti piangere le lacrime nostre,
oppure sorridere come nessuno.
(P. David Maria Turoldo)
[1] Enzo Bianchi, La stampa 24 dicembre 2011
[2] Ermes Ronchi, Le case di Maria, Paoline.