21 febbraio 2021. Quaresima 1
ALLEANZA

1 DOMENICA Quaresima

PREGHIAMO.  Dio paziente e misericordioso, che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni, disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola, perché in questo tempo che tu ci offri si compia in noi la vera conversione. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro della Gènesi 9, 8-15
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra». Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne».
Salmo 24(25). Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 3, 18-22
Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua. Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Dal Vangelo secondo Marco 1, 12-15
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

ALLEANZA. Don Augusto Fontana
Il racconto del diluvio universale ci ricorda la situazione della nostra vita e della nostra storia: una terra “piena di violenza” (Genesi 6,11-13). Fummo incaricati di “custodire” la terra pur usandola. L’abbiamo violentata.  Stiamo in terra pochi giorni e pare proprio che la nostra fantasia non abbia limiti nel farci del male. Magari andando a tirare Dio per la giacchetta e responsabilizzarlo del “diluvio di male” in mezzo mondo:  «Perché, Signore, stai lontano, nel tempo dell’angoscia ti nascondi? » (Salmo 9,22).
Sembra che ci sia sempre un legno o un albero che il Signore intromette nei momenti critici della nostra e sua storia. L’albero dell’Eden, l’arca di Noé, il cesto di giunchi che galleggia sul Nilo con il piccolo Mosè, il roveto ardente di Mosè, il bastone con cui Mosè percuote la roccia, il bastone del pastore, l’arca dell’alleanza, il legno della croce. E, di tanto in tanto, appare il segno dell’acqua.  Simboli. Ricorrenze, forse fortuite.  E poi c’è questo segno dell’arcobaleno sulle nubi. Evento inspiegabile, allora, e quindi attribuibile a Dio. Oggi non più segno, ma solo rifrazione meteo. Eppure l’arcobaleno ci stupisce ancora. A noi piace restituirgli il valore rivelativo di fedeltà dell’alleanza unilaterale di Dio con noi. E’ un arco che parte dalla terra, sale al cielo, ritorna alla terra ed è pieno dei colori della gioia, della misericordia, dell’amore di Dio. Anche il crocifisso è piantato là sulla terra come ponte fra Dio e noi.
Una delle parole-chiave della Bibbia è ALLEANZA. La fede è cammino. Ma verso dove? Verso l’Alleanza. Ci sono epoche progressive di Alleanza: con Noè, Abramo, Mosè, i profeti, fino alla nuova Alleanza realizzata in Gesù. Normalmente il termine ebraico BERIT indica un’unione giuridica o politico-militare. E’ un’obbligazione reciproca, ma più ancora una “convergenza di intenti”. Lentamente esprimerà il legame affettivo. In periodo di patti fragili, di dichiarazioni di intenti evanescenti, di contratti a termine, sentir parlare di Alleanza fedele ci sembrerà roba dell’altro mondo.
Tra i partner si usava esprimere l’impegno attraverso un rito. La comunione reciproca emergeva nel pasto comune e nello scambio di doni. L’effetto della alleanza doveva vedersi nella pace (shalom) o salvezza. Tra i contraenti si usava “grazia e misericordia” soprattutto verso il partner più debole.
Oggi raramente si usa il termine “alleanza“ se non nelle prediche dei preti. La traduzione potrebbe essere fatta con sinonimi: Solidarietà (coinvolgimento, impegno, partecipazione);  Amicizia (dialogo, relazione interpersonale, amore); Collaborazione (cooperazione); Patto.
Alleanza in Gesù – Gesù in Alleanza.
Il libro della Genesi inizialmente dice che dopo la creazione Dio aveva visto che tutto, uomo compreso, era bello e buono. Al capitolo 6 c’è una meditazione realistica e amara: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni progetto concepito dal loro cuore non era altro che male. E si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo…Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore”. E il Signore ordina a Noè di caricare sull’Arca coppie di tutti gli animali, con un particolare curioso: dovrà caricare anche coppie di animali considerati “impuri”[1]D’ogni animale puro prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina; degli animali immondi un paio, il maschio e la sua femmina» (Genesi 7,2). Un’alleanza che sembra una ristrutturazione della creazione del genere umano, ma anche di ogni vivente puro e impuro. L’Evangelista Marco è l’unico che sottolinea che Gesù, durante la sua permanenza nel deserto, “stava con gli animali selvatici”.  Il Messia potrà giocare vicino alla buca della vipera e mettere la mano nel covo di serpenti velenosi (Isaia 11,8).
Marco usa anche la frase “lo sospinse nel deserto”: la traduzione vera sarebbe “lo cacciò nel deserto”. Il verbo “cacciare” ci richiama la cacciata di Adamo dall’Eden (Gen. 3,24) o anche la “cacciata di Israele dall’Egitto”. Gesù, nuovo Adamo, affronta il mondo della lontananza (meglio dire: “presenza critica“) di Dio, nel suo percorso tra le forze del male per riavviare il nostro ritorno. E’ come se l’Evangelista volesse far ricominciare la storia non dal momento del deserto dell’Esodo, ma dal momento del Giardino della creazione affinchè Dio non si penta mai più di averci creato: in Gesù si ricostruisce l’alleanza da capo. Gesù è l’uomo delle origini, figlio che sa stare in alleanza con Dio, segno alto di una shalom possibile. In lui, nella sua croce risorta, Dio potrà ancora dire: “Il mio arcobaleno pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra”.
L’esperienza del battesimo non ci colloca in cantucci riparati, nel tepore di una devozione confortevole. Anzi: è lo Spirito stesso che, con Gesù, fa il suo battesimo, la sua immersione nell’umanità per partecipare ai rigori della vita reale. Così si propone come punto di saldatura tra la nostra chiamata ad essere fedeli a Dio ed essere fedeli agli impegni storici. “Stava con gli animali selvatici e gli angeli lo servivano”: è un’immagine di armonia, di alleanza nella pace con Dio, con la sua creazione e con gli uomini. La Lettera agli Ebrei, scrive:“Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo Lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza nostra”.
Il “deserto” è…
Dicono che il deserto sia un luogo di purificazione. Non troverò cose comode nel deserto. Il sole picchia forte sulla testa, le escursioni termiche tra giorno e notte arrivano fino a 50 gradi, la sabbia ti lava, ti scortica, ti entra dappertutto, ti brucia in gola. Dicono. Nel deserto si bada all’essenziale, dimenticare la borraccia dell’acqua può costare la vita, perdere l’orientamento altrettanto; lì non puoi portarti dietro le solite attrezzature che usi in città, scopri di quante cose puoi fare a meno per sopravvivere. Nel deserto puoi fare cattivi incontri, animali selvatici affamati, subdoli serpenti, razzie. Dicono. Se il deserto può essere liberazione dalle chiacchiere, riscoperta del silenzio, allargamento degli spazi e degli orizzonti, è anche il luogo della prova, della tentazione. Nel deserto puoi incontrare te stesso, Dio, il maligno. E Gesù fa tutte queste esperienze: incontra Colui che lo ha mandato e che lo conferma, incontra in se stesso la volontà di fare in pieno la volontà del Padre, incontra anche le prove che lo accompagneranno per tutta la sua vita. Proviamo adesso ad applicare alcuni di questi spunti alla nostra vita. Siamo ancora all’epoca del diluvio? Certo, da allora il male non è che sia diminuito nel mondo. Oggi, come sempre, c’è chi vede questo male presente e imperante ovunque, c’è chi dice che il male non c’è e c’è chi vive alla deriva non interessandogli né male né bene, ma lasciandosi vivere a seconda dei propri interessi. Non abbiamo bisogno anche noi di ricordarci che c’è un arco di speranza per noi e per l’umanità? Se gratti al di sotto delle incrostazioni, in ogni uomo c’è nascosta almeno una speranza, c’è un desiderio di bello, c’è la voglia di colorarsi dei colori di Dio e dell’universo. Lasciamoci allora guidare dallo Spirito. Questo Spirito porta anche noi nel deserto: ci porta dentro la profondità del nostro cuore. Può essere il luogo più desolato, più arido che ci sia. Qualche volta non vorremmo neppure andarci per la paura che può fare il vuoto che rischi di trovare in esso. Ma anche se fosse così, esso è il luogo dell’incontro. Lì puoi trovare te stesso, lì puoi trovare Dio e il senso della tua vita. Certamente ci sarà da fare un po’ di pulizia. Dovremmo di nuovo chiedere aiuto allo Spirito perché cambi il cuore di pietra con un cuore di carne. Dovremmo forse scorticarci le mani per eliminare rovi ed ortiche, “per riempire le valli e abbassare le montagne”, ma anche il deserto può fiorire e non c’è cuore, per arido che sia, del tutto incapace di amare.
Così ci spinge l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 3) di Papa Francesco: «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti».


[1] cammelli, maiali, animali d’acqua privi di squame o pinne, talpe, topi, sauri, serpenti, uccelli spazzini di cadaveri (Levitico 11).




14 febbraio 2021. Domenica 6 ordin.
UNA TRASGRESSIONE DI DIO

6 Domenica B

 Preghiamo. Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo, per collaborare all’opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro del Levìtico 13,1-2.45-46
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».
Salmo 31.  Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia.
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno.
Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 10,31-11,1
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

UNA TRASGRESSIONE DI DIO. Don Augusto Fontana.
 C’è un doppio modo di diventare discepoli: o perché si è stati direttamente chiamati o perché si è stati guariti. L’opera di guarigione è una convocazione e un rito di invio in missione. La sequela, dunque, è composta da chiamati e da guariti, da convocati dalla “parola” e da convocati dai “segni”.
Non sia inutile ricordare che il Vangelo di Marco pare rivolto prevalentemente a dei catecumeni: quindi in ogni suo racconto e catechesi è bene tener vivo il sospetto che l’evangelista ci stia informando sulla prassi battesimale della sua comunità. E tornano le domande: Chi è Gesù? Chi è il discepolo? E soprattutto: dove ci porta questo Gesù? Non sarebbe male che queste domande costituissero la griglia di lettura e di ascolto anche del testo evangelico di oggi, sentendoci protagonisti dell’evento. Benchè già battezzati, siamo un po’ ancora “catecumeni”.
Probabilmente Marco si trova anche alle prese con evidenti problemi interni alla sua (e nostra?)  comunità: se siamo “impuri” ed emarginati dalle leggi religiose come veniamo trattati da Gesù? E se invece ci consideriamo gente per bene e integrati, come ci collochiamo davanti agli esclusi, infetti, pericolosi? Ognuno di noi ha la sua categoria di immondi che gli fanno un po’ schifo, che gli fanno storcere la bocca, che non intendiamo toccare per non infettarci.
«Una società che non sa salvare deve ricorrere alla repressione, alla reclusione, alla emarginazione, per difendersi. L’uomo incapace di salvare deve “salvarsi” e la “legittima difesa” può andare anche fino all’uccisione di colui che si ritiene aggressore. Così, incapaci di vincere il male, si “vince” colui che ne è vittima: lo si toglie fuori dai piedi…Il tempo del Messia è il tempo in cui il sano non rifiuta di prendere per mano il malato senza timori né verso di lui né nei confronti della malattia, perché sa di poter vincere il male. Se per tenerci puliti dobbiamo continuare a isolarci sotto la campana di vetro delle nostre istituzioni, a chi testimoniamo? Continueremo a rendere sterile la Parola di salvezza? Ogni volta che in noi prevale l’atteggiamento di difesa o di ostilità, non facciamo altro che accodarci ad una umanità incapace di salvare; le nostre chiese e i nostri gruppi saranno sempre rifugi da “gente perbene”, in cui troppi non avrebbero voglia di entrare per ascoltare la parola che fa vivere, e continueranno a restare esclusi. Chiesa e società rischieranno ancora di ritrovarsi abbinate nell’accettare e avallare le medesime esclusioni»[1].
…velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”…
La società in cui vivevano gli antichi uomini della Bibbia sottolineava molto la gravità della lebbra (sotto questo nome andavano diverse affezioni della pelle); nella prima lettura abbiamo sentito che i lebbrosi dovevano vivere isolati, e segnalare la loro presenza con delle vesti strappate e con il gridare: “Immondo, immondo!“. La lebbra veniva vista come il peggiore dei mali, proprio a causa della concezione che legava il peccato alla malattia: l’idea di fondo è che la lebbra, e in definitiva ogni malattia, sia un castigo di Dio per il peccatore. Il lebbroso perciò era uno scomunicato e bisognava evitare la sua presenza per il contagio fisico e morale. Chi era lebbroso era dunque escluso dalla città dei vivi, “buttato via”, dato per morto. Di fronte a questa disgrazia, le persone sane e religiose erano autorizzati a pensare: “sicuramente quel lebbroso deve aver commesso qualche grave peccato…” (cf. Gv 9,34); addirittura poteva arrivare a dire: “ben gli sta, ci poteva pensare prima… se l’è cercata…”.
…Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse…
Ma ecco che succede qualcosa che è come un terremoto che fa crollare tutti questi ragionamenti come un castello di carta, una scossa che fa crollare il muro di separazione che isolava i puri dagli impuri. La prima mossa è quella del lebbroso che aveva sentito parlare di Gesù, di questo profeta che annunciava l’inizio di un nuovo regno, che proclamava il perdono e la guarigione dal male: invece di gridare “immondo, immondo” il lebbroso prende il coraggio a due mani e, trasgredendo le regole stabilite da Mosè, si presenta a Gesù con questa bellissima confessione di fede: se vuoi, puoi purificarmi!
Gesù non gli dice “va’ via, allontanati”, come avrebbe potuto fare un ebreo osservante, e tanto meno, “te la sei cercata…” ma è preso da un misto di collera e commozione [così si può dedurre dall’incertezza dei manoscritti greci, molti dei quali hanno orgistheis, “preso da collera” al posto di splagchnistheis, “preso da commozione”]: Gesù è preso da collera per quella mentalità che aveva portato alla scomunica del lebbroso e, contemporaneamente, è profondamente mosso a compassione per la miseria della condizione umana. Anche Gesù trasgredisce le regole, le buone maniere igieniche, quando servono soltanto a fornire alibi all’indifferenza: stende la mano e lo tocca. Quando si tratta di amare e di soccorrere chi soffre non valgono più le regole dell’ordine civile e religioso…
Il puro tocca l’impuro e prende su di sé la nostra lebbra: “Ecco l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo!” (Gv 1,29).  Paolo scriverà in Romani 9,3: «Vorrei infatti essere io stesso anatema (scomunicato), separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne».
E Gesù morirà come uno scomunicato, fuori dalle mura della città, col volto sfigurato come quello di un lebbroso, messo all’indice dai passanti, che potevano pensare: “sicuramente quell’uomo crocifisso deve aver commesso qualche grave peccato…” o addirittura potevano arrivare a dire: “ben gli sta, ci poteva pensare prima… se l’è cercata”. È quello che S. Paolo chiama lo “scandalo della croce” (cf. 1Cor 1,23). Il Crocifisso resta per sempre la risposta e il rimedio anche ad ogni immagine distorta di Dio: non una divinità pronta a castigare ma un Dio ricco di misericordia che prende su di sé attraverso il Figlio il peccato e il dolore del mondo; per questo Gesù “può anche salvare per sempre quelli che, per mezzo di lui, si avvicinano a Dio, essendo sempre vivente per intercedere in loro favore” (Eb 7,25).
La cultura dello “scarto”.
Papa Francesco nella Evangelii gaudium n. 53 scrive: «Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”».


[1] AA.VV. Omelie nelle comunità Anno B, Marietti editori, 1979 pag. 265




7 gennaio 2021. Domenica 5 ord.
UNA GIORNATA DI GESU’

5 Domenica B –

Preghiamo. O Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove, perché sull’esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro di Giobbe 7,1-4.6-7
Giobbe parlò e disse: «L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”. La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricòrdati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene».
Salmo 146  Risanaci, Signore, Dio della vita.
È bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d’Israele.
Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome.
Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza;
la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi.
 Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 9,16-19.22-23
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.
Dal Vangelo secondo Marco 1,29-39
Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».  E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

UNA GIORNATA DI GESU’. Don Augusto Fontana.
Marco vuole presentarci una “giornata tipo” del Signore, le sue scelte, le sue priorità, i suoi tempi.
Provo ad esaminare la mia giornata, quali sono i miei orari, i miei appuntamenti fissi, gli impegni inderogabili e le mie pigre infedeltà. In questa pagina dell’evangelista Marco sembra che il Dio eterno e senza tempo si sia incarnato anche nel nostro orologio, nei cicli orari. Le ore scandiscono anche la sua giornata fatta di mattini, sere, notti, ore, perfino nei racconti della passione, morte e risurrezione. Il tempo è entrato nell’eterno senza tempo. Quante volte ci diciamo (o sentiamo dire): per questa cosa (per la preghiera, per la mia formazione, per la condivisione), proprio non ho avuto tempo. A volte non sta qui il problema. Perché neanche domani ci sarà il tempo, se quella scelta non è una priorità. L’affermare che manca il tempo, a volte vuol dire semplicemente affermare che quella cosa non è ancora importante. La vera domanda è sempre: quali sono le costanti, le scelte ripetute, le decisioni che sottomettono a sé le altre nella mia vita?
Come Marco ci descrive questa giornata del Signore? Ci fa incontrare Gesù che affronta il male e che guarisce, Gesù che prega, Gesù che, sapendo di essere per tutti, predica sempre più in là dei luoghi dove già  è conosciuto. La giornata di Cafarnao  è il giorno in cui Gesù organizza la sua missione sul ritmo di predicazione, liberazione, preghiera.
In Cafarnao sono significativi i luoghi dove Gesù agisce: la Sinagoga (luogo della riunione della comunità per la preghiera e l’insegnamento religioso), la casa (luogo della famiglia e della vita privata), la porta della città (luogo dell’amministrazione della giustizia, delle pratiche civili, dei pedaggi e delle tasse). Poi c’è pure il monte del silenzio e della preghiera. L’attività di Gesù tocca dunque tutte le sfere della vita umana.
Malattia e guarigioni.
Nella Sinagoga si erano sorpresi del suo insegnamento dato con autorevolezza ed era esplosa una domanda “Che è mai questo?”. Ma l’interrogativo è subito messo a lato dalle “smanie di guarigione” da parte degli abitanti di Cafarnao. L’interesse per Gesù ripiega sull’interesse per i propri guai.
E’ un’umanità lacerata che soffre con Giobbe e che ci rappresenta nella nostra legittima ribellione contro la malattia o nella ricerca di senso della malattia. La tenerezza di Dio così ben rappresentata dal Salmo 146, pare essere messa in crisi dalla disintegrazione della vita da parte della malattia, della morte, della scarsa qualità della vita.
La malattia era un flagello che toccava ogni casa e per la quale non c’erano che pochi rimedi e, talvolta, solo per classi agiate. La gente povera era davvero disarmata. La malattia era una forza da scongiurare e durante la quale pregare, prima ancora che esaminare e curare. E Gesù si fa prossimo a questa debolezza strutturale nostra e pone gesti simbolici di guarigione.
Nel Vangelo di Marco i miracoli raccontati sono 20 e occupano un terzo circa della narrazione (209 versetti su 666). Ciò significa che l’autore dà ad essi un ruolo particolare nella sua catechesi. Anche la liturgia di questo anno B sarà connotata da questa caratteristica: dalla 4a alla 9a domenica il lezionario riporta l’attività di cura da parte di Gesù.
Innanzitutto i miracoli o le guarigioni non sono separabili dal suo messaggio. Quando la gente chiede un “segno” Gesù si lamenta: «Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione”»(Mc. 8,11-12). I segni sono completamento del suo messaggio, sono Parole visibili. L’imposizione del segreto messianico (“ma non permetteva di parlare”) significa che Gesù vuole che i miracoli siano interpretati solo all’interno della catechesi ecclesiale e dopo l’evento pasquale; vuole che restino un segno complesso, nascosto al mondo. Occorre affidarsi al Vangelo, alla persona di Gesù e non alla magia. I miracoli sono segno del conflitto tra Regno di Dio e ciò che gli si oppone. Sono segni del trasferimento della condizione umana nell’universo di Dio.
Una giornata completa.
…Subito…Per 27 volte Marco usa questo avverbio; pare che sia una sua ossessione per indicare sollecitudine, fretta, urgenza. Come se incombesse qualcosa: il Regno di Dio è vicino, è qui, imminente, sta transitando.
…nella casa la febbre….Nessun luogo è esente dal male sia la sinagoga che la casa quotidiana; là lo spirito impuro, qui la febbre sintomo fisico e simbolo di malattie più interiori. In Levitico 26,16 e Deuteronomio 28,22 la febbre appartiene all’elenco dei castighi per l’alleanza tradita. Qui siamo ancora di sabato e la donna è impedita a svolgere le sue funzioni previste per preparare nella casa la liturgia domestica del sabato. E’ quella febbre che indebolisce le nostre domeniche, paralizza il sacerdozio liturgico domenicale inchiodando gran parte dei battezzati al letto dei sonni e delle pigrizie. Liberare dalla febbre significa rendere una persona abile al servizio liturgico e conviviale.
…gli parlano di lei…Molte volte nel Vangelo, anche nel finale di quello odierno, i malati vengono “portati…presentati…convocati” dalla chiesa, dai discepoli. C’è una corresponsabilità ecclesiale, una mediazione preventiva che mi inquieta e, insieme, mi onora. Io sono responsabile dei fratelli e delle sorelle della comunità, ne posso essere diaframma divisorio o ponte di contatto con Gesù. Ed anch’io sono una povera creatura presentata al Signore dalla preghiera invocante e cura della mia comunità.
…si avvicina, prende per mano, alza…Sono i tre verbi battesimali di Gesù, la successione operativa e salvifica tutt’ora in atto nei miei confronti. Ma è anche un progetto per una chiesa che dalla liturgia sinagogale entra nella casa quotidiana degli uomini: si avvicina, prende per mano e solleva.
La mano forte che ha liberato il popolo dalle mani del faraone diventa oggetto di preghiera del salmo 17:
Ti amo, Signore, mia forza, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore.
Già mi avvolgevano i lacci degli inferi, già mi stringevano agguati mortali.
Nel mio affanno invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio:
stese la mano dall’alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque,
mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene.
Tra poco Gesù ripeterà il gesto di “prendere per mano” e lo farà con Pietro che affonda nelle acque: «e subito Gesù stese la mano e lo afferrò». E Pietro impara quel gesto come un gesto consueto e quasi liturgico per la chiesa; alla porta del Tempio, insieme a Giovanni, si trova davanti uno storpio che chiede l’elemosina; non ha né oro né argento da offrirgli, ma solo la forza liberante del Nome di Gesù e «presolo per la mano destra lo sollevò» (Atti 3,6-7).
…si mise a servirli… La guarigione della donna (e di ogni battezzato) ha una conclusione interessante: appare il verbo “diakoneo” (servire), quasi a dire che la liberazione non è solo “liberazione da” ma anche “liberazione per”. Servirlo significa “seguirlo fino in fondo”.
…uscì e se ne andò in un luogo deserto e là pregava… Gesù “esce” nel deserto. La sua preghiera è parte integrante della giornata, appartiene all’agenda degli impegni. Ed è il luogo anche della “tentazione” rappresentata  dalla pressione interessata e zelante della chiesa che lo cerca e lo trova, ma non per restare con lui in preghiera ma per dirgli «Tutti ti cercano. Pianta lì e datti una mossa». Anche nella notte del Getsemani i discepoli non partecipano alla sua drammatica preghiera:«Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?”» (Marco 14,37). Anch’io sono così: o divento ipercinetico per lo zelo attivistico o mi assopisco. La preghiera raramente appartiene alla mia agenda di discepolo.
…Andiamocene altrove… e andò per tutta la Galilea…La preghiera non immobilizza Gesù; lo rende deludente per certe attese banali e, insieme, sorprendente e imprevedibili per i nuovi sentieri che imbocca.
«Quindi una giornata a Cafarnao che si apre con la preghiera pubblica in sinagoga e si chiude con la preghiera solitaria e si snoda attraverso l’insegnamento e le opere. Una giornata in cui stanno insieme lotta e contemplazione, stare tra amici e tra gente comune, attenzione a Dio e all’uomo, entrare e uscire, darsi e sottrarsi per darsi ancora. Una giornata completa[1]».


[1] Pronzato, Un cristiano comincia a leggere il Vangelo di Marco, Gribaudi.




31 gennaio 2021. domenica 4 ord
PAROLA CHE INQUIETA E LIBERA

Quarta domenica ord ciclo B

Preghiamo. O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza e il liberatore dalle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine di coloro che a te si affidano. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Dal libro del Deuterònomio 18,15-20
Mosè parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”».

Sal 94  Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza.

Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo,il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere».
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 7,32-35
Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.

Dal Vangelo secondo Marco1,21-28
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Cosa abbiamo in comune con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea. 

DI’ SOLTANTO UNA PAROLA…Don Augusto Fontana

Parola profetica che inquieta.
Abituati ai molti programmi televisivi parolai, i talk show, alle chiacchiere dei politici e ai sermoni dei preti, alle parole date e non mantenute, siamo da un lato perplessi e dall’altro affascinati quando incontriamo qualcuno che dice e fa, ci colpisce con una parola chirurgica che taglia e cuce, libera e guarisce, dice “ti amo” e tu cambi vita: « La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace. È più tagliente di qualunque spada a doppio taglio. Penetra a fondo, fino al punto dove si incontrano l’anima e lo spirito, fin là dove si toccano le giunture e le midolla. Conosce e giudica anche i sentimenti e i pensieri del cuore» (Ebrei  4,12).
Quando Gesù viene presentato al Tempio sentiamo il vecchio Simeone che rivela alla madre chi è e che farà quel bambino: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima». ( Luca 2, 34-35). Compie una promessa: «Io susciterò un profeta in mezzo a voi e gli porrò in bocca le mie parole ed egli vi dirà quanto io gli comanderò. A lui darete ascolto» (Deut. 18,18). Una parola, dunque, strettamente legata e identificata con la persona di Dio e la vita di chi la pronuncia. Non chiacchiere.
San Paolo ha un’espressione incredibile: «La parola della croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio» (1 Corinti 1,18). Dice proprio così: “La Parola della croce” (o logos tou stauru). La croce è una Parola “veramente capace di farci conoscere Dio” (Lutero). Scriveva il Padre della chiesa S. Gregorio di Nissa: “La croce è teologa[1].
Dickinson (poetessa americana del 1800) scriveva: «C’è chi dice che una parola, una volta pronunciata, muore. Ebbene io vi dico che è proprio in quell’istante che comincia a vivere».
Dentro di noi e attorno a noi, spesso, abbiamo costruito un “sistema religioso” che a lungo andare diventa talmente mastodontico, organizzato, affannoso, variegato, alto e largo come un grattacielo che ci oscura l’essenziale: il sole. E’ da un po’ che settori di noi-chiesa tentano di ridimensionare le strutture artificiali per tornare a godere il sole della Parola, quella che divenne Carne.
Si narra che un giorno un pellegrino stava percorrendo il suo sentiero quando passò davanti ad un uomo che sembrava un monaco e che stava seduto in un campo. Lì vicino altri uomini lavoravano su un edificio di pietra. «Mi sembri un monaco!», gli disse il pellegrino. «E difatti lo sono» rispose il monaco. «E chi sono quelli che stanno lavorando sul monastero?» domandò incuriosito il pellegrino. «Sono i miei monaci – rispose l’altro – e io sono il loro abate». «Magnifico! – commentò il pellegrino – E’ stupendo vedere costruire un monastero!». «A dir la verità lo stiamo demolendo» disse l’abate. «Lo state demolendo? – esclamò stupito il pellegrino – E perché?». «Per poter vedere tutte le mattine il sorgere del sole», rispose l’abate.
A che vale il cattolicissimo grattacielo religioso con tutte le devozioni, le tombolate, le sfilate matrimoniali e battesimali, le adunate, se diventano un elefantiaco diaframma che impedisce di accedere al sole della Parola-Pane?
Per tutti noi è destinata questa Parola che talvolta è carezza e talaltra è fendente. E per tutti noi, e non solo per pochi catechisti o rari evangelizzatori, è destinata perché ne diventiamo cassa di risonanza: “Io manderò il mio spirito – dice il Signore – su tutti gli uomini: i vostri figli e le vostre figlie saranno profeti, gli anziani avranno sogni e i giovani avranno visioni” (Gioele 3,1-2).

La giornata di Cafarnao.
Marco 1,21 «Giunsero intanto alla città di Cafàrnao e quando fu sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare». Entra nella Sinagoga “la casa dell’ascolto e della preghiera in assemblea”. Non viene riferito il contenuto dell’insegnamento ma possiamo ricordarci quanto annunciato domenica scorsa: «Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è veniente qui; è urgente che smettiate di essere conformisti e abitudinari, e che aderiate a me e vi affidiate alla mia buona notizia».  A Cafarnao Gesù passa una giornata di sabato, il giorno della creazione e della pasqua. E frequenta parecchi luoghi: la sinagoga, la casa, la strada. Inaugura così la sua missione pubblica a tutto campo occupando tutti gli spazi disponibili sacri e profani. In città e nel deserto. E’ una giornata in cui Gesù “lotta” e contempla, sta con gli amici e con la gente comune, è colpito dalle miserie umane ed è attento a Dio, entra ed esce, si dona e si sottrae. Una giornata in cui non manca nulla. E noi incuriositi lo osserviamo con alcune domande dentro: «Chi è costui? Che dice? Che fa? Dove va?». Ma soprattutto: «Dove ci porta?».
Oggi abbiamo sentito nel Vangelo di Marco: «La gente che ascoltava era meravigliata del suo insegnamento: Gesù era diverso dai maestri della legge, perché insegnava come uno che ha piena autorità… Tutti i presenti rimasero sbalorditi e si chiedevano l’un l’altro: «Che succede? Questo è un insegnamento nuovo, dato con autorità. Costui comanda perfino agli spiriti maligni ed essi gli ubbidiscono!».
Nella Sinagoga c’è brava gente, ma anche un “indemoniato” che recita un Credo ortodosso “Gesù nazareno, sei il Santo di Dio”. Si fa presto a “dire il Credo” e Gesù lo sa, anche per me:  «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» (Mc 7,6).
Scrive Padre Ermes Ronchi: «L’uomo indemoniato di Cafarnao frequenta il luogo sacro, recita le benedizioni, eppure in lui abita un demone. I demoni accettano la fede del sabato, quella limitata al sacro e alle proprie devozioni. Il Dio vero invece è da sorprendere nella vita più che nel tempio, nella polvere della strada che scende da Gerusalemme a Gerico più che nel fumo degli incensi, nelle piaghe del povero Lazzaro più che nei bagliori dell’oro del Santo dei Santi. Sta in tutto ciò che sa di amore. Ciò che Cristo rovina è la nostra giustificata, scusata, legittimata convivenza con il male, la nostra mediocrità, il nostro mondo di maschere e di bugie».
Parola autorevole. Un insegnamento nuovo, dato con autorità.
Qualcuno ritrova la radice del termine “auto-rità” dal greco “autos-rein”: è lo ‘scorrere’ (‘rein’) di ‘me stesso‘ (‘autòs’) nell’altro. E’ quindi come una trasfusione, un fare partecipe l’altro di quello che sono vitalmente: questa è la vera autorevolezza, e questa è la forza (nel testo geco: exousia che si può tradurre anche con “abilità”) della parola. Questa forza, ci dice il vangelo, crea stupore e permette allo spirito vitale che passa in questa ‘trasfusione’ di essere superiore ad ogni male e ad ogni spirito ‘immondo’. La parola autorevole trasforma prima me e poi, eventualmente, chi mi ascolta.
Altri[2] dicono che il termine latino “auctoritas” deriva dal verbo “augere” che significa  “far crescere”. Il vocabolo greco exousìa traduce l’ebraico shaltan ed è riservato solo a Dio. Di qui viene lo sconcerto (thambeomai significa uno “stupore unito a spavento”) davanti alla parola creativa e trasformante del Profeta di Nazaret, a cui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani chiederanno conto: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?» (Mc 11,28).
Oggi siamo invitati a comprendere che il parlare di Dio è evento creatore, capace di cambiare le cose: la sua Parola è comunicazione della sua stessa vita, non rivelazione di dottrine o misteri. Per Dio il parlare vuol dire rischiare, affidarsi alla possibilità di una accoglienza libera da parte di coloro a cui si rivolge.  Questo gioco tra potenza e rischio inizia ogni volta quando la Parola di Dio viene conosciuta, letta, meditata, o anche proclamata nelle nostre assemblee domenicali. E questo Soffio divino aleggia sulle acque della nostra povera capacità di ascolto, a volte così magmatica, attendendo una casa accogliente. La Parola non ha paura degli ostacoli e delle opposizioni: teme soltanto la noia. L’opposto dell’accoglienza non è il rifiuto, ma il “lasciar dire”.
La liberazione non è mai un fatto tranquillo. Giovanni (cap. 6,60-61) ricorda che a Cafarnao ci fu una crisi dei discepoli: « Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?”.  Gesù, disse loro:  “Questo vi scandalizza? …Forse anche voi volete andarvene?”». Pietro dirà a Gesù anche a nome nostro: «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciamo che Tu sei il Santo di Dio» (Giov. 6, 69) Ancora Simone un giorno veniva richiamato ad abbandonarsi alla Parola (Luca 5,5):  «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». E il centurione romano e pagano chiedendo la guarigione per il suo servo, proclamava un Credo, per me ancora così difficile: «Comanda con una parola e il mio servo sarà guarito» ( Luca 7,7). E perfino i samaritani, dopo aver ascoltato la samaritana del Pozzo di Sichar le avevano detto:  «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».  (Giovanni  4,42).


[1] Primo discorso sulla resurrezione di Cristo
[2] Mons. F. Lambiasi vescovo, in “Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi“. Ave, Roma 2008




24 gennaio 2021. Domenica 3a ord
SI FA PRESTO A DIRE “CONVERSIONE”

3° domenica ordinario B 

Preghiamo. O Padre, che nel tuo Figlio ci hai dato la pienezza della tua parola e del tuo dono, fa’ che sentiamo l’urgenza di convertirci a te e di aderire con tutta l’anima al Vangelo, perché la nostra vita annunci anche ai dubbiosi e ai lontani l’unico Salvatore, Gesù Cristo. AMEN
Dal libro del profeta Giona 3,1-5.10
Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli.  Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si convertì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
Sal 24 Fammi conoscere, Signore, le tue vie.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 7,29-31
Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!
 Dal Vangelo secondo Marco 1,14-20
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

SI FA PRESTO A DIRE “CONVERSIONE”. Don Augusto Fontana
Si fa presto a dire “conversione!”.  Nella liturgia odierna persino Dio muta parere e decisioni: «si convertì[1] riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Giona 3,10). Anche Gesù cambia idea di fronte alla preghiera della donna siro-fenicia (Mc 7,24-30).
Non so più quale povero prete abbia detto: «A 20 anni volevo convertire il mondo, a 40 anni ho incominciato a pensare a convertire la mia parrocchia, ora che di anni ne ho 80 sarà meglio che mi affretti a convertire me stesso». Io sono così, spiazzato da pagine bibliche dalle quali fatico ad estrarre, per la cinquantesima volta, gli imperativi del Signore, nascosti – come in una miniera – nelle sue buone notizie. Sono esausto e senza evidenti conversioni da narrare: nessuna caduta da cavallo, nessun tavolo delle imposte abbandonato lì, nessun albero di sicomoro su cui abbia lasciato brandelli di braghe per la curiosità di vedere Gesù, nessun pozzo di Sichar che mi abbia fatto centro nel cuore, nessuna barca o rete abbandonata, nessun tesoro trovato per cui sia valsa la pena vendere tutto per comprare quel campo. Nel mappamondo della mia vita non esiste la pietra miliare che ho visto in Ecuador e su cui è tracciata la linea ideale che divide il pianeta in due emisferi, o di qua o di là. Anzi: forse da tempo mi diverte tenere un piede di qua e uno di là, per non dover decidermi a riprendere el camino, a ricominciare. I cosiddetti recommençants “ricomincianti” esistono[2]. Né indifferenti, né catecumeni, dunque, ma battezzati che cercano di ripartire. Padre Henri Burgeois, fondatore del movimento, scriveva: «Bisogna rispondere ad un’attesa nuova. Perché se ne sono andati dalla Chiesa? Per una crisi profonda, magari dovuta a una esperienza traumatica causata da un lutto, da un divorzio, esperienza su cui non hanno ottenuto adeguata comprensione. È vero, c’è chi ha lasciato per problemi di tempo schiacciato dagli impegni di lavoro. Ma c’è pure chi è stato “bruciato” dal confronto con un sacerdote scorbutico o poco sensibile. E decidono di ricominciare per un motivo occasionale, magari l’incontro con un sacerdote a casa di amici; c’è chi vive un’esperienza spirituale forte, durante la visita a un monastero per esempio, o una emozione inattesa».
Io non sono capace di improvvise inversioni o radicali conversioni; mi accontenterei di una lenta crescita, di un’impercettibile mutazione genetica, di un lento evoluzionismo del mio essere e della mia storia verso la Cristificazione. Mi risuona un ritornello del poeta spagnolo Antonio Machado: «Caminante no hay camino; se hace camino al andar», per chi cammina non c’è già un sentiero, perché il sentiero lo traccia chi cammina. «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri» (Salmo 24).
Il paradosso di Ninive.
Giona era un talebano, di quelli tosti che vogliono che esista l’inferno e digrignano i denti se qualcuno diffonde il sospetto che l’inferno non ci sia o, se c’è, che sia vuoto. Giona temeva che, alla fine, la misericordia di Dio avrebbe prevalso sul castigo promesso all’iniqua città di Ninive.  Dio lo aveva invitato ad andare a Ninive, in Assiria; ma lui aveva pensato bene di partire per Tarsis, in occidente e cioè in direzione opposta (Giona 1,3). Ninive non è scelta a caso: era odiosa per gli ebrei, simbolo di arroganza e crudeltà. Basta leggere il breve libro del profeta Nahum, interamente dedicato a Ninive e alla rovina decretata da Dio. L’Assiria aveva distrutto il Regno del Nord e minacciato seriamente la stessa Gerusalemme. Un ebreo non poteva provare che un senso di profonda avversione nei confronti di questo popolo, anche a distanza di anni quando ormai Ninive era stata distrutta. Il paradosso è che tale città, pagana e arrogante, sia presentata come esemplare nella conversione. Giona non fa a tempo a percorrerla tutta (“tre giornate di cammino”) che già tutti si convertono, dai grandi ai piccoli, e si fa penitenza dal re sino agli animali (3,7-9, versetti omessi dalla liturgia). Se anche gli asini e i cammelli si convertono, la lezione diventa severa. Il Signore aveva detto al profeta Ezechiele “Se invece che a Israele ti inviassi a popoli barbari, accoglierebbero meglio il tuo messaggio” (cf. Ez 3,4-7).
Il risultato della conversione dei niniviti provoca l’irritazione di Giona e il rimprovero di Dio per la sua grettezza. Anche fuori d’Israele si può trovare una reale apertura a Dio, addirittura superiore a quella di Israele.  Come si vede, c’è una forte prossimità spirituale al Nuovo Testamento e a Gesù, che davanti a un pagano esclama: “in nessuno, in Israele, ho trovato tanta fede” (Mt 8,10-12; Lc 7,9). E dirà anche: «Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c’è più di Giona» (Matteo 12,41). Risultato? La pretesa della chiesa di moralizzare il mondo, la mia pretesa di convertire la parrocchia, la tua pretesa di chiedere conversioni altrui, diventano paradossalmente la fossa dove cadiamo, la pietra di inciampo e di scandalo.
Convertitevi e credete al vangelo.
Guardare, chiamare, lasciare, seguire: quattro verbi narrativi e teologici.

  1. Vide. È uno sguardo che punta su di me, mi mette a fuoco dalla folla, mi tira fuori dal mucchio grigio e anonimo della massa. Nel racconto del giovane ricco, lo sguardo esprime una intensa vibrazione di affetto: “fissatolo, lo amò” (Mc 10,21). Questa dello sguardo è una costante strutturale dei racconti biblici di chiamata: «Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli, alzatosi, lo seguì» (Marco 2,14). «Il Signore vide che Mosè si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”» (Esodo 3,4). Pare che dopo questi sguardi, fin dal grembo materno (cfr. Gal 1,15; 4,9), le cose non restino più quelle di prima, e la persona è destinata a diventare altra.
  2. Chiamò. Questa chiamata non accade durante una solenne liturgia al tempio nella città santa, come avvenne per il profeta Isaia, o mentre recitano salmi o fanno un digiuno rituale o un pellegrinaggio; li raccoglie nell’esercizio del loro duro mestiere, nel contesto feriale di una riva del lago di Galilea. A questo punto lo sguardo si fa voce. E’ Lui che chiama personalmente i discepoli, mentre nel giudaismo erano i discepoli che si sceglievano il rabbi. E’ una chiamata deduttiva: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre» (Geremia 20,7). “Vi farò diventare pescatori di uomini”. Marco per dire “pescatori” usa il termine greco “alieis”, Luca, più fine, usa il termine greco zogron (Lc 5,10) dal verbo zôgreô che letteralmente significa “catturare viventi”. Pietro e i suoi compagni saranno dei pescatori speciali: prenderanno i pesci-uomini non per farli morire, ma per farli rivivere. Infatti il “mare” – secondo la mentalità biblica – è simbolo del “male”.
  3. I verbi del discepolo: lasciare, seguire, verbi che dicono un distacco radicale (dal lavoro, dagli affetti) e una sequela immediata, generosa, totale. Ma una risposta così deve avere una spiegazione necessaria e sufficiente. L’unica ragione di tutto è in quel pronome personale: seguite-me. I quattro pescatori seguono Gesù “subito”, insiste Marco. Forse non perché conoscono le sue dottrine o regole di vita, ma perché lo sentono affidabile, gli fanno credito e gli consegnano tutto il loro futuro. Ancora una volta è credere/fidarsi/affidarsi il primo verbo per il discepolo, un verbo che contiene tutti gli altri: lasciare, seguire, testimoniare… È il verbo che proclameremo nella liturgia per declinarlo poi – subito – nella vita.

Mentre gettavano le reti.
 Chiamati non durante un Corso intensivo di esercizi spirituali, ma in ambiente e orario di lavoro. I battezzati laici hanno una propria vocazione in forza del Battesimo. C’è carenza di preti, ma più ancora di laici battezzati che vivano con più coscienza ed entusiasmo il loro servizio evangelico così come, per esempio, lo prospetta il Decreto sull’apostolato dei laici[3]: «Tutti i laici facciano gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia, del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, come la correttezza, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza di animo: virtù senza le quali non ci può essere neanche una vera vita cristiana».

Fratel Carlo Carretto[4] ebbe a dire parole indigeste: « Francesco d’Assisi non volle essere prete perché aveva il carisma di sviluppare nella Chiesa una delle più grandi idee della mistica di tutti i tempi, l’idea del sacerdozio di tutti i battezzati, quella che in gergo teologico chiamiamo “sacerdozio dei fedeli”. Per molto tempo fui convinto che esistesse solo il sacerdozio dei preti e che il compito sacerdotale fosse demandato, come in antico, alla tribù di Levi. Io non sono un prete, ma quando offro me stesso e le creature che mi circondano al mio Altissimo Signore mi sento profondamente sacerdote. Non dimentichiamolo: nel battesimo diveniamo tutti sacerdoti. Ma che pericolo può correre la Chiesa di Gesù nell’affermare con forza che tutti i battezzati, uomini e donne, piccoli e grandi, sapienti e ignoranti, sono a pieno titolo sacerdoti? Tutti! Anche i peccatori! E lo sono non per loro merito, ma perché innestati in Cristo col battesimo diventano in Lui santi, profeti, sacerdoti (1°Lettera di Pietro 2, 9). Perché allora predicare con tanta insistenza questa grandezza solo per coloro che saranno ordinati preti dal Vescovo? E dare l’impressione, e non solo l’impressione, che i laici sono i paria della Chiesa e che non contano proprio nulla? Si direbbe proprio che ciò che conta per la Chiesa è il sacerdozio ministeriale e per esso consacra tutte le sue energie e aspirazioni. Il resto? Un riempitivo, una massa anonima. Una mucca da mungere quando occorrono i mezzi. Un panorama di teste a cui rivolgere rimproveri o consigli assennati».

Come i laici potranno esprimere il “lasciare barca, reti, parentele e seguire Lui”? Sapresti narrare le tue vocazioni?


[1] I “Settanta” traducono in greco dall’ebraico “metenòesen o theos”; dove il verbo metanoeô significa appunto convertirsi . La traduzione pare che sia stata fatta nei secoli II-I a.C.
[2] http://www.stpauls.it/jesus03/0306je/0306je42.htm
[3] Paolo VI (18 novembre 1965) Cap. 1 n. 4
[4] Carlo Carretto, nato ad Alessandria nel 1910 e morto a Spello nel 1988, ricoprì la carica di presidente dell’Azione Cattolica Italiana. Successivamente, entrò a far parte della congregazione laica dei piccoli fratelli di Gesù, fondata nel 1933 da Renè Voillaume




17 gennaio 2021. Domenica 2a ord
ANDARE, VEDERE, DIMORARE.

Domenica 2ª Tempo ordinario B

 Preghiamo. O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen
Dal primo libro di Samuèle 3,3b-10.19
In quei giorni, Samuèle dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuèle!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuèle!»; Samuèle si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuèle fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: «Samuèle!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuèle: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuèle andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuèle, Samuèle!». Samuèle rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta».Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.
 Salmo 39 (40) R. Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà.
Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo».
Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 6,13-15.17-20
Fratelli, il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.  Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo.  Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
Dal vangelo secondo Giovanni 1,35-42
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. 

ANDARE, VEDERE, DIMORARE. Don Augusto Fontana
La chiamata dei discepoli e quella di Samuele potrebbero affondare le loro radici in un evento narrato nel del Libro dell’Esodo (3, 2-6): l’incontro di Mosè con il Roveto ardente sul monte Oreb:  L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?».  Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!».  Rispose: «Eccomi!».  Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!».  E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».  Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Dunque «Voglio avvicinarmi a vedere…Non avvicinarti, togliti i sandali» che fa da contrappunto alla pagina evangelica: «“Maestro, dove dimori?”». Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui».
Fonte di questa attrazione è un misterioso fascino, come ci confida Geremia in una pagina autobiografica (20, 7-9): «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me. Così la parola del Signore è diventata per me motivo di scherno ogni giorno. Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!”.  Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo».
E’ Dio ad avere l’iniziativa, come indica il vecchio sacerdote Eli al giovane apprendista profeta nel racconto che, forse, viene tramandato per spiegare il passaggio dalla centralità del sacerdozio rituale alla centralità del profetismo. La parola di Dio passa dal sacerdozio al profetismo, come una parola nuova e libera di Dio, più legata alla giustizia o ingiustizia nei confronti dei poveri che agli intrallazzi tra tempio e reggia. Samuele sarà voce del popolo di fronte agli errori e agli abusi della monarchia nascente, e non mera giustificazione del potere da parte della religione. Come ci ricorda il Salmo Responsoriale, l’essenziale è compiere la volontà di Dio, la sua prevalente attenzione per la giustizia nei confronti dei deboli piuttosto che ai sacrifici rituali.
Anche nel racconto evangelico la vocazione è un’attrazione, una seduzione. Qui la chiamata di Dio viene mediata da Gesù che si aggancia al desiderio e alla domanda curiosa dell’essere umano che cerca: «”Rabbì, dove dimori?”…”Venite e vedrete”». La risposta al fascino inizia con un seguire e un vedere e finisce con un restare a vivere con Lui: «Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno dimorarono con lui».
E’ il tema della chiamata, della vocazione. Ma attenzione ai riflessi condizionati: quasi istintivamente si pensa alla vocazione sacerdotale o religiosa. La Bibbia ci parla di chiamata come qualcosa che riguarda tutti. Dio per ciascuno di noi ha la strategia adatta, le ore sempre aperte. La chiamata non è condizionata da fasce orarie, come certi sportelli di ufficio, dalle…alle…
Se siamo solo attenti e ci sforziamo di riconoscere la sua voce, le sue chiamate sono tante e quotidiane. “Sto alla porta e busso. Se qualcuno mi aprirà, noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui“. (Apocalisse 3).
Gesù non si autoconsegna a scatola chiusa. Gesù vedrà (e vede) tentennare i suoi. «Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”» (Gv 6,66-67).
Sordità, fracasso, agitazione, superficialità, attivismo religioso, mode sono virus pericolosissimi per i quali non esiste vaccinazione preventiva e garantista.
Mentre i due credono di cercarlo, è Gesù che li nota, li sceglie, si volta e chiede “Che cercate?” ed essi rispondono secondo le loro possibilità: “Maestro, dove dimori?“. Per loro Gesù è un maestro come tutti gli altri, un uomo come tutti gli altri, che ha una casa e che si può visitare, per fare la richiesta di entrare nel club dei suoi discepoli. Ma Gesù non risponde indicando un luogo preciso. Nel tipico stile giovanneo, la sua risposta è allusiva e simbolica: “venite e vedrete“, ma la casa di Gesù non è indicata, e la frase successiva la potremmo rendere così: ” Dunque andarono e videro dove DIMORAVA e quel giorno DIMORARONO presso di lui”. Da notare che le famose parole della parabola della vite usano lo stesso verbo: “Io sono la vite e voi i tralci: DIMORATE in me, e io in voi“, e ancora “DIMORATE nel mio amore”. L’evangelista fa passare in secondo piano il luogo fisico dell’abitazione di Gesù, e mette in rilievo lo stare con lui. Ciò che i discepoli devono “vedere” non è un luogo, ma la persona di Gesù.
Dove e quando potrò fare esperienza di Gesù? Proviamo a pensare ad alcune frasi di Gesù:  – “Io sono con voi tutti i giorni ” (Mt 28,20).  – “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro“. (Mt 18,20) – “Questo è il mio corpo“.  “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25).
Il filosofo Kierkegaard scriveva nell’Esercizio del cristianesimo: «Signore Gesù Cristo Tu non sei venuto al mondo per essere servito e quindi neppure per farti ammirare o adorare nell’ammirazione. Tu eri la via e la vita, Tu hai chiesto solo “imitatori”. Salvaci dall’errore di volerti ammirare o adorare nell’ammirazione invece di seguirti e assomigliare a Te».  Da Gesù si va non per riceverne rivelazioni metafisiche o donare sguardi adoranti quanto per condividerne, come possiamo, il suo servizio. E la sua preghiera.




10 gennaio 2021. Epifania pasquale di Gesù al Giordano
UNO SQUARCIO NEI CIELI

Battesimo del Signore nel Giordano

Preghiamo. Padre onnipotente ed eterno, che dopo il battesimo nel fiume Giordano proclamasti il Cristo tuo amatissimo Figlio, mentre discendeva su di lui lo Spirito Santo, concedi ai tuoi figli, rinati dall’acqua e dallo Spirito, di vivere sempre nel tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del profeta Isaìa 55,1-11
Così dice il Signore: «O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora. Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Salmo da Isaia 12.  Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza.
Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere, fate ricordare che il suo nome è sublime.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 5,1-9
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.
Dal Vangelo secondo Marco 1,7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Antico Battistero a vasca – Puglia

UNO  SQUARCIO NEI CIELI. Don Augusto Fontana
Battesimo deriva dalla parola greca “baptizein” che significa “immersione”. Giovanni il Battezzatore aveva lanciato questo segno nelle acque del Giordano per fare memoria viva della liberazione di Israele dall’Egitto attraverso le acque del Mar Rosso. Era un rito ma più ancora un invito a cambiare vita: «si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati». Gesù si mette in fila e partecipa alla riforma lanciata dal profeta Giovanni. Ma il vero Battesimo di Gesù avverrà durante la sua immersione nella morte ed emersione nella risurrezione come dice Giovanni in Marco 1,8: «Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo». Anche per noi il Battesimo rischia di restare un rito anagrafico. Paolo aveva scritto ai Galati (3,27): «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo». Il Vescovo di Parma l’8 gennaio 2021 ci ha consegnato questa domanda: «Dobbiamo chiederci cosa cambierebbe nella nostra vita e nelle famiglie se non fossimo battezzati»; e ha aggiunto: «Non dobbiamo chiudere a chiave la fede relegandola a un fatto privato, perché ha una importante valenza sociale e politica». Gesù, infatti, da quel giorno inizia la sua vita pubblica di Rabbi raccogliendo una piccola comunità messianica.

Lancio una sfida. Se la vorrai raccogliere ti prego di osservare, in ascolto, le tre colonne e metterle a confronto. Il lavoro è già un po’ facilitato, avendo messo in grassetto alcune parole che ritornano nelle tre narrazioni/catechesi dell’Evangelista Marco.

Marco Capitolo 1
BATTESIMO

Marco Capitolo 9
TRASFIGURAZIONE

Marco da Capitoli 15 e 16
MORTE E RISURREZIONE

In quei giorni Dopo sei giorni il primo giorno dopo il sabato,
deserto …fiume Giordano li porta sopra un monte alto al luogo del Gòlgota
fu immerso… uscendo Fu trasfigurato E` risorto, non è qui.
lo Spirito discendere su di lui come colomba le sue vesti…bianche si divisero le sue vesti…. videro un giovane vestito d’una veste bianca
si presentò Giovanni…. accorrevano tutti gli abitanti confessanti i loro peccati E apparve loro Elia con Mosè Con lui crocifissero anche due ladroni…. il centurione che gli stava di fronte,
vide squarciarsi i cieli una voce dalla nube velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso.
«Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto».  «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!».
lo Spirito lo sospinse nel deserto Mentre scendevano dal monte, vi precede in Galilea. Là lo vedrete,

C’è una coerenza narrativa che mi sorprende. Quasi che i tre racconti siano come le famose Matrioske, le bambole russe, una dentro l’altra, tutte uguali fin nei minimi particolari. Occorre stare in allerta. Marco narra il Battesimo nel Giordano e la Trasfigurazione, con un occhio agli eventi pasquali. E carica il racconto di spezzoni e frammenti pasquali. Dunque, per capire il Battesimo di Gesù nel Giordano occorre accettare la sfida che ti ho lanciato e che spero tu abbia raccolto.
Si tratta di Epifanie, di Manifestazioni. Per rivelarci e per comprendere “Chi è lui e chi è il suo discepolo”. Ma soprattutto dove Lui ci sta portando: nel deserto, giù dal monte, nella Galilea delle genti.
<<Vide squarciarsi i cieli>>.
Tra i particolari che mi suggestiona maggiormente c’è quello del cielo che SI SQUARCIA e quella voce/parola che deborda dai cieli.
Il profeta Isaia (63, 7-19) percorrendo le tappe storiche di infedeltà e conversione del popolo,  si appellava alla fedeltà di Dio e terminava con una invocazione valida in tutti i tempi e circostanze: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!». Per cogliere questa immagine, è utile ricordare che nel tempio di Gerusalemme una volta all’anno, il sommo sacerdote entrava nel Santo dei Santi, cioè quella parte del tempio (dove per noi oggi c’è l’altare o il Tabernacolo) in cui veniva custodita l’ARCA DELL’ALLEANZA: era il luogo in cui si riteneva che fosse concentrata la presenza di Dio e proprio per questo nessuno poteva accedervi. Questa parte era separata dal resto del tempio da un tendone. Solo il sommo sacerdote poteva varcare quel limite ed entrare in contatto con Dio: un Dio pensato ormai come mistero lontano, staccato. Con Gesù questo velo cade e lo spazio tra l’uomo (terra) e Dio (cielo) è uno spazio senza diaframmi divisori; ormai è diventato inutile il gesto del sommo sacerdote di entrare oltre il “velo” una volta l’anno; anche nel momento della morte di Gesù, Marco ripresenta questa immagine: «Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo».
Possiamo capire meglio, alla luce di queste pagine, tutta la storia del nazareno e tutto il suo messaggio, ma questi cieli aperti su Gesù costituiscono un annuncio prezioso anche per ciascuno/a di noi. Sulla nostra piccola, povera e semplice vita, spesso travagliata ed affannata, il cielo è aperto. Non dobbiamo mai pensare che, per i nostri errori o per i nostri smarrimenti, per le nostre contraddizioni o fragilità, Dio abbia interrotto con noi la comunicazione, il dialogo. Il “cielo” sorride non sui “santi” o sui perfetti, ma proprio sulle persone come noi. Gesù ha annunciato, anzi ha fatto sperimentare, se così posso dire, a molte persone che Dio non cessa mai di sorriderci anche se il Suo sorriso qualche volta è oscurato dalle nostre o altrui nubi. Gesù ha incontrato molte persone che si erano ormai convinte che Dio le “giudicasse dall’alto dei cieli” e non riuscivano più a vedere il “cielo aperto”, cioè la pace con Dio, il Suo perdono, il Suo caldo invito a vivere con fiducia. La samaritana, la donna adultera, il centurione, l’emarginato di Gerasa: quanti, incontrando Gesù, videro riaprirsi i cieli…
E io?
1) Questa pagina evangelica può anche suonare per noi come un invito alla vigilanza e alla responsabilità. Poiché, se è vero che Dio non interrompe mai il dialogo con noi, è altrettanto vero che siamo noi che possiamo chiudere il cielo sopra di noi, cioè possiamo mettere Dio alla porta della nostra vita. Oggi è uno dei rischi più concreti. In questa società delle “cose” e degli “oggetti”, nella cultura del “vedo e tocco”, non c’è nulla di più facile che accantonare Dio come non evidente, non concreto. Se io Gli chiudo la porta della mia casa, Dio si lascia mettere fuori gioco. Forse, sempre più concentrati sui nostri desideri, sulla veloce giostra degli affanni e degli affari, il “Cielo” comincia a non interessarci più, a farsi lontano.  Concentrati su noi stessi, l’operazione di chiusura del Cielo avviene lentamente, quasi insensibilmente. Riusciamo a disfarci di Dio in modo gentile e Dio accetta il Suo tramonto nelle nostre vite senza buttarci nell’angoscia o farci penare nei sensi di colpa.
2) Qualche volta penso che forse anch’io ho vissuto e ho predicato in modo tale da aver chiuso i cieli per qualcuno. Potrebbe riferirsi proprio a noi cristiani la pagina che Matteo (23,13)  dirige verso alcuni farisei: “Voi chiudete agli uomini la porta del regno di Dio: non entrate voi e non lasciate entrare quelli che vorrebbero entrare”.




6 gennaio 2021. Epifania
DALLA LEGGENDA ALL’INCANTO.

Epifania
Preghiamo. O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria. Per Gesù nostro Signore. Amen
Dal libro del profeta Isaìa 60,1-6
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.
Salmo 71  Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 3,2-3a.5-6
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Dal Vangelo secondo Matteo 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

ANNUNZIO DEL GIORNO DELLA PASQUA. Dopo la proclamazione del Vangelo.
Fratelli e sorelle carissime, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 4 aprile.  In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:  Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 17 febbraio. L’Ascensione del Signore, il 16 maggio. La Pentecoste, il 23 maggio. La prima domenica di Avvento, il 28 novembre.  Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore.  A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Amen.

Dalla leggenda all’incanto. Don Augusto Fontana
E’ difficile liberarci da accessori leggendari  di questa festa per entrare nell’omelia dell’evangelista. La leggenda coccola gli appetiti fantastici, la profezia li turba. Matteo ricopriva, nella sua comunità, quel ruolo che nella sinagoga veniva chiamato “Meturgheman”, colui che traduceva e dava spiegazioni sul Targum, Bibbia tradotta in dialetto aramaico. Matteo, mentre narra Gesù, sfoglia questa Bibbia. E’ alla ricerca di pagine che lo aiutino a meditare sull’evento di Gesù “re dei giudei” rifiutato dai teologi della propria religione, dai poteri costituiti e misteriosamente accolto da pagani impuri. Ne esce un racconto «molto leggendario, però ricchissimo di contenuti simbolici e prefigurativi»[1] (Matteo 2,1-12). E ne nasce anche una festa liturgica che nelle mani del cattolicesimo occidentale si è un po’ sottosviluppata. Il monaco Enzo Bianchi, ci ricorda: «Per il cristianesimo orientale, il Natale è una festa piccola; la grande festa – che corrisponde al nostro Natale – è l’Epifania. Nel primo millennio l’Epifania celebrava, nell’unico giorno, la venuta dei magi, il Battesimo nel Giordano, le nozze di Cana, come dice ancora oggi l’antifona dei Vespri : «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo…». Anche per la Chiesa del primo millennio l’importante della vita di Gesù è dal Battesimo in poi, perché il Battesimo è la manifestazione ad Israele, le Nozze di Cana la manifestazione ai discepoli, l’Epifania la manifestazione alle genti, ai popoli lontani. Queste tre grandi manifestazioni vengono incluse nell’ Epifania chiamata addirittura Teofania, cioè manifestazione di Dio»[2].
Attorno a Gesù, Matteo mette in scena alcuni personaggi, chiamati màgoi, astrologi o osservatori del cielo stellato provenienti da non si sa dove. Certamente non sono giudei. Gli offrono la loro presenza. Ed anche i prodotti della loro tradizione, dei loro rituali e della loro economia che hanno evocazioni e profumi misteriosamente cultuali, messianici, pasquali. Una stella, poi, fa impazzire teologi, biblisti e astrologi, fa sognare uomini e donne dell’Oroscopo, emoziona coreografi di presepi. Tutti gli antichi credevano che quando nasceva un uomo si accendesse una stella. Anche gli israeliti avevano accolto la misteriosa profezia di un veggente pagano, Balaam: «Una stella spunta su Giacobbe,un uomo sorge da Israele»[3]. Occhi puntati, dunque, verso le tenebre della storia in attesa che il Messia ebreo vi tracciasse dentro la sua scia di vivaci speranze. La stella/simbolo appare, scompare, riappare, si sposta, si ferma; «perfino un antico commento latino osserva che qui Matteo sta esagerando. Evidentemente non sta parlando di una cometa o di un altro qualsiasi fenomeno astrologico. E’ come se parlasse di un angelo»[4]. E’ come se parlasse dei segni dei tempi, delle nostre tormentate coscienze, delle pagine scritte e non scritte dei nostri giornali. Ottant’anni anni dopo la morte/resurrezione di Gesù, la comunità ricorda che già nella casa (“casa” e non “grotta”) di quell’infanzia ecclesiale avevano incominciato a circolare stranieri inattesi (senza Bibbie o Encicliche in tasca) e doni provenienti da lontane tradizioni e rituali, simbolo di un’adorazione liturgica ad alta densità di significato messianico: «Che il Messia viva e gli sia dato oro di Saba» (Salmo 72, 15). Gesù detto Cristo non è più il Dio tribale, la proprietà privata di un club di devoti. In quella casa giungono uomini con percorsi zigzaganti, inconsueti, extra-mappe, orripilanti per occhi e orecchi troppo catto-devoti. Inizia la Cristofania, la trasparenza, a dispetto di ogni requisizione e aggiotaggio degli “eredi aventi diritto” (Efesini 3, 2-6). Il palcoscenico creato da Matteo, infatti, così riscaldato e illuminato da annunci e luci sconfinanti, possiede anche una parete ammuffita. Si vedono profilarsi ombre di sapienti rabbini, barbogi teologi dalla facile citazione testuale. E, fornicante con loro, un agitatissimo capetto volgare e machiavellico, Erode. Tutti lì a sfogliare pagine di Santa Scrittura, pietrificate dalla loro abitudinarietà e dai loro privati e minacciati interessi. Eppure anche in quelle mani si è conservata la secolare Rivelazione.
«Vi sono dunque due coordinate che consentono di individuare il luogo in cui si trova il Messia: la stella e la Bibbia. La stella che rappresenta i segni dei tempi, le occasioni della storia e anche, più banalmente, i casi della vita. E’ il Verbo iscritto nella creazione, il linguaggio silenzioso delle cose.  La stella conduce vicino all’evento messianico, ma da sola non raggiunge il bersaglio: occorre anche la verifica della Santa Scrittura. I magi non vanno direttamente a Betlemme, si fermano a Gerusalemme. E’ da Gerusalemme che esce la Torà, la Parola del Signore. Solo nella congiunzione fra la stella apparsa ai pagani e la parola custodita da Israele è possibile individuare l’evento del messia. La stella conduce alla Scrittura e la Scrittura riattiva la stella: insieme conducono al luogo dove si trova l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E’ a quel momento che la stella si ferma, la parola si fa evento e noi siamo ricolmi di una grandissima gioia»[5]. Il Libro Santo e la vita celebrano un bel matrimonio. Ma mi picchia nel cuore un martellante interrogativo; cosa vuol dirmi la Rivelazione con quello strano finale: «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»? Aggirano Gerusalemme e tornano ai confini. Padre Balducci forse una risposta l’ha trovata: «Non c’è più nessuna città santa, perché è la terra che è santa. Non c’è più una casta sacra che domina e dirige le speranze, perché le speranze camminano secondo il movimento dello Spirito. Gesù dirà – in contrapposizione perfetta alle parole di Isaia (Isaia 60, 1-6) –  non che i popoli verranno verso Gerusalemme, ma che i suoi discepoli andranno fino ai confini della terra. La salvezza viaggerà verso i confini. Ecco la novità del vangelo»[6].
Tu, O Dio, danzi con tutti. E io non sono geloso.
Occorre tornare a rivisitare le nostre speranze e le nostre certezze relative alla volontà di salvezza universale da parte di Dio. Recentemente il dibattito ecumenico si è imbarbarito, dopo fasi alterne di positivi avvicinamenti e di letargo. Occorre anche rendere stima e onore a tutti coloro che hanno continuato a navigare con prudenza e con apertura critica verso un ecumenismo che ha le sue radici teologiche anche nel genio di Paolo, frutto dell’incrocio creativo (non esente da tensioni) del suo cuore ebraico, della sua mente greca e della sua vita romana: «per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di Cristo: che i pagani e i non circoncisi cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo. A me è stata concessa questa grazia di annunziare a loro le imperscrutabili ricchezze di Cristo»[7].  Dobbiamo continuare a restare aperti, a diffondere la cultura dell’integrazione reciproca, a cercare e creare occasioni di incontro contro ogni gelosia religiosa e teologica, a frenare ogni strisciante predicazione che porti il Padre di Gesù a ridiventare un Dio tribale, confessionale ed esclusivista. Il Card. Montini, nella sua prima Lettera Pastorale (Quaresima 1955 “Omnia nobis est Christus”) si faceva profeta della speranza con queste parole che sembrano scritte per noi: «Dall’inquietudine degli spiriti laici e ribelli e dall’aberrazione delle dolorose esperienze umane, prorompe fatale una confessione al Cristo assente: di Te abbiamo bisogno. Di te abbiamo bisogno, dicono anche altre voci isolate e disparate: ma sono molte oggi e fanno coro. E’ una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto: di pensosi che intravedono qualche evanescenza di Cristo; di generosi che da Lui imparano il vero eroismo; di sofferenti che sentono la simpatia per l’Uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura; di onesti che riconoscono la saggezza del vero Maestro; di volenterosi che sperano di incontrarlo nelle vie diritte del bene; di convertiti che confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averLo trovato».


[1] Alberto Mello Evangelo secondo Matteo,Ed Qiqajon, 1995. 
[2] Appunti dal Corso tenuto a Bose da Enzo Bianchi: Dal Gesù della storia al Cristo della fede.
[3] Libro dei Numeri 24,17
[4] A. Mello op. cit. pag. 67.
[5] A. Mello op. cit. pag. 68-69.
[6] E.Balducci Il mandorlo e il fuoco,Borla, Vol. 3 pag. 72.
[7] passim Lettera agi Efesini cap. 3




3 gennaio 2021. 2a domenica dopo Natale
QUANDO LA POLVERE E’ DIVENTATA CARNE.
P. Ermes Ronchi

Preghiamo. Padre di eterna gloria,  che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
 Dal libro del Siràcide 24,1-4.12-16
La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti” . Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell’assemblea dei santi ho preso dimora».

Sal 147 .  Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
Celebra il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio, Sion, perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini e ti sazia con fiore di frumento. 
Manda sulla terra il suo messaggio: la sua parola corre veloce.
Annuncia a Giacobbe la sua parola, i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione, non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.
 Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 1,3-6.15-18
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.  Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-5.9-14).
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Quando la polvere è diventata carne
padre Ermes Ronchi (04-01-2004)

«In principio era il Verbo e il Verbo era Dio». Vangelo immenso che ci impedisce piccoli pensieri, che opera come uno sfondamento verso l’eterno, verso l’«in principio», verso il «per sempre». Per assicurarci che c’è un senso, un progetto che ci supera, che non viviamo i nostri giorni solo attorno al breve giro del sole, che non viviamo la nostra vita solo dentro il breve cerchio dei nostri desideri. Ma che c’è come un’onda immensa che viene a infrangersi sui nostri promontori e a parlarci di un Altro, che è Primo e Ultimo, vita e luce del creato.

«E il Verbo si è fatto carne». Dio ricomincia da Betlemme. Il grande miracolo è che Dio non plasma più l’uomo con polvere del suolo, dall’esterno, come fu in principio, ma si fa lui stesso polvere plasmata, bambino di Betlemme e carne universale. Da allora c’è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C’è santità, almeno incipiente, e luce in ogni vita. Dio accade ancora nella carne della vita, la mia. Accade nella concretezza dei miei gesti, abita i miei occhi, le mie parole, le mie mani perché si aprano a donare pace, ad asciugare lacrime, a spezzare ingiustizie. E se tu devi piangere, anche lui imparerà a piangere. E se tu devi morire anche lui conoscerà la morte. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. E nessuno potrà dire: qui finisce l’uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme. E quegli occhi sono gli occhi di Dio, è la fame di Dio, è l’umiltà di Dio.

«A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio». Senso ultimo della storia: per questo Cristo è venuto. Dopo il suo Natale è ora il tempo del mio Natale: Cristo nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso. La sua nascita vuole la mia nascita. Dall’alto. La Parola di Dio è come un seme che genera secondo la sua specie, genera figli di Dio. Se appena viene accolta. Accogliere, verbo che genera. Accogliere, nostro compito umanissimo. L’uomo diventa ciò che accoglie in sé, l’uomo diventa la Parola che ascolta, l’uomo diventa ciò che lo abita. Vita vera, vita di luce è essere abitati da Dio. Tutte le parole degli uomini ci possono solo confermare nel nostro essere carne, realtà incompleta e inaffidabile. Ma il salto, l’impensabile accade con la Parola che genera la vita stessa di Dio in noi. Ecco la vertigine: la vita stessa di Dio in noi. Questa è la profondità ultima del Natale. Oltre, c’è solo il roveto inestinguibile.




1 gennaio 2021
BENEDETTO

1 Gennaio 2021

Preghiamo. Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio…
Dal libro dei Numeri 6, 22-27
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
Salmo 66  Dio abbia pietà di noi e ci benedica.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine, governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 4,4-7
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 BENEDETTO[1]

La liturgia della Parola di questo primo giorno del nuovo anno ci parla, tra le altre cose, della benedizione. Nella prima lettura è Dio che benedice l’uomo. Nella seconda lettura è l’uomo che benedice Dio, gridando a Lui: “Abbà!”. Nel Vangelo sono i pastori che, tornando da Betlemme benedicono Dio per tutto ciò che hanno visto e udito. A capodanno chiediamo a Dio la sua benedizione, in modo speciale. 

Ma cos’é una benedizione?
In ebraico il verbo bārak  significa dotare di forza vitale e il sostantivo berākā  significa forza salutare, vitale. I due termini hanno anche il significato di inginocchiarsi e ginocchio che in oriente sono un eufemismo, cioè un modo attenuato e indiretto, per indicare gli organi sessuali maschili. In sintesi: benedire significa trasmettere la propria capacità generativa ad un altro rendendolo fecondo. L’azione del benedire è unica, si può dare cioè una sola volta nella vita e non può più essere revocata. In Genesi 27, Giacobbe, complice la madre, inganna il padre Isacco e ruba la sua benedizione che era destinata invece al primogenito Esaù suo fratello maggiore. Esaù, appena se ne rende conto, corre dal padre e implora per sé la benedizione, ma il padre Isacco non può fare nulla perché benedicendo il figlio minore, che per questo resterà benedetto per sempre (v. 33), si è svuotato definitivamente di tutta la sua capacità generativa. Con buona pace dei cattolici che continuano a chiedere benedizioni dei muri delle case, di indumenti o auto, quando Dio “benedice” lo fa una sola volta per sempre e la sua benedizione non ha scadenza come le mozzarelle! Il problema allora non è “essere benedetti” ma “vivere da benedetti”. Quando nella Liturgia il presbitero “benedice” il popolo, non duplica, non moltiplica, ma invita a fare memoria dell’unica, originaria e irrevocabile benedizione della Creazione e del Battesimo. Semmai è come se dicesse «Dio ci ha benedetti una volta per tutte in Cristo. Ora andiamo e viviamo da benedetti e non da maledetti».  Dio mantiene le sue benedizioni promesse.  Si narra che Rabbi ‘Aqiba si recò, con altri rabbini e discepoli, sulle rovine del Tempio distrutto. E videro uscire una volpe dalle macerie di quello che fu il Tabernacolo, il luogo più Santo del Tempio. Si misero a piangere tutti, ricordandosi le promesse dell’Eterno: «Distruggerò il vostro Tempio e lo farò abitare da volpi e sciacalli!». Con i loro occhi stavano vedendo la prova che l’Eterno non manca mai di realizzare le sue promesse. E piangevano, piangevano. Ma Rabbi ‘Aqiba si mise a ridere fra lo stupore di tutti. Di fronte alle scandalizzate rimostranze dei presenti, disse: «Rido perché se l’Eterno mantiene le promesse di distruzione, non mancherà di mantenere presto anche le promesse di redenzione»[2].

  • Benedetti noi.

Chiediamo la benedizione di Dio sull’anno nuovo, sui nostri progetti, le attività quotidiane, gli incontri, il lavoro. “Benedire” (che deriva dal greco “eu-loghia”) significa “dire bene”. Se Dio ci bene-dice, vuol dire che dice-bene-di-noi: è contento, approva ciò che stiamo facendo.  “Porranno il mio nome sugli israeliti” è un’espressione semitica che indica il favore divino. Questo è il sogno di ognuno di noi: avere il favore di Dio.  In fondo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom 8,31). Dio talvolta “dice-bene-di-noi” (benedice).
C’è una pagina della Bibbia che ci spiega il senso della benedizione di Dio.
All’inizio del libro di Giobbe, viene raccontata una strana scena, che si svolge in cielo: si tratta di un dialogo tra Dio e satana. Dio dice a satana: “Hai visto il mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio e sta lontano dal male”. La pagina ci ricorda anche l’elogio che Gesù fa di Giovanni Battista (Matteo 11,11): «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Dio dice-bene-di Giobbe e di Giovanni Battista e di ogni “piccolo”. Come quando dei genitori si vantano di un figlio e ne dicono bene. E in questo momento, Dio cosa sta dicendo di me? Non sarebbe bello che, proprio ora, Lui stesse dicendo a satana: “Hai visto la mia serva Anna, Maria, il mio servo Giovanni…”….Ciascuno provi a mettere ora, sulle labbra di Dio, il proprio nome. E si immagini questa scena: Dio che si compiace di te, davanti al suo e tuo avversario. Che Dio dica-bene-di noi dipende anche da  noi. Questo è uno dei motivi per cui la prima lettura, parlando della benedizione agli israeliti, ha tutti i verbi al congiuntivo, non all’indicativo: ti benedica, ti protegga, faccia brillare, ti sia propizio, rivolga, ti conceda…Perché questi verbi passino all’indicativo è necessario il “sì” dell’uomo a Dio. Perché questi desideri di Dio su di me divengano realtà c’è bisogno di me. Solo io posso rendere possibile questa benedizione. Anche nella liturgia si dice sempre “Vi benedica Dio onnipotente…”, oppure “il Signore sia con voi”, oppure “Dio onnipotente abbia misericordia, perdoni, vi conduca”…Benedire non è qualcosa di automatico, e neppure un gesto magico. É il sigillo e l’approvazione che Dio pone sulle nostre scelte, sulla nostra vita, vissuta rettamente, secondo la sua Parola. É Dio che ti dice: “Così va bene”. Anche se gli altri ti mettono i bastoni tra le ruote, o ti maledicono, o ti allontanano. Oggi ci dovremmo porre la domanda più importante di quest’anno: “Signore, cosa dici di me?”.  Noi spesso ci teniamo tanto che gli altri parlino bene di noi! Siamo più preoccupati della benedizione degli uomini, che di quella di Dio. Oggi la Parola di Dio ci mette una pulce nell’orecchio: l’unica cosa che conta è il punto di vista di Dio. “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6,26). 

  • Benedetto Dio!

Ma c’è, brevemente, un altro aspetto che emerge dalla liturgia odierna. La Parola di Dio ci mostra come anche l’uomo debba benedire Dio. Quando l’ebreo benedice Dio usa sempre il participio passato passivo bārûk-benedetto perché in Dio la benedizione è uno «stato» permanente della sua persona, mai un augurio. Non dice «Sia benedetto!» (che indica un compiersi nel tempo) ma «Dio è Benedetto». Sempre. Lui è  la benedizione. Ma tale benedizione, che esce dalle nostre labbra, è possibile solo se Dio ci dona il suo Spirito, ci dice la seconda lettura. É lo Spirito che grida nel nostro cuore la benedizione più grande: “Abbà, papà!”. Senza lo Spirito Santo è difficile benedire Dio. I nostri occhi si fermano alla superficie, non riescono a vedere a un palmo dal naso. La carne fa resistenza. Molte persone non riescono più a dire- bene di Dio, da molti anni. Sono rimaste ferite da sofferenze e prove: hanno attribuito a Dio il male ricevuto. Perché dovrei dire-bene di Dio? Solo lo Spirito Santo può aprire i loro occhi e far vedere loro oltre. Il primo frutto della presenza dello Spirito è questo desiderio di benedire. Finalmente lo Spirito Santo ci fa vedere Dio com’è, ci fa riconoscere il suo volto. Nel Vangelo abbiamo sentito come, i pastori assistono all’apparizione dell’angelo “e la gloria del Signore li avvolse di luce”. É questa luce che permette loro di riconoscere Dio in un bambino, come anche di diventare testimoni delle meraviglie di Dio e di benedirlo, lodarlo e glorificarlo per ogni cosa.

Un anno per desiderare, vegliare, volere.
 Un racconto ebraico narra di un rabbino che chiese al Messia quando sarebbe arrivato. Il Messia rispose: «Domani». Il rabbino tornò a casa e si mise ad aspettarlo. Il Messia però non venne e il rabbino si infuriò con lui perché gli aveva mentito; andò ad esprimere la sua collera al profeta Elia, ma questi gli disse: « Ti sbagli, il Messia non ha mentito. Ha detto “Domani”, ed è vero; però significa “Quando lo desidererai, quando sarai pronto, quando lo vorrai”».
Scrive Bonhoeffer sei mesi prima di venire impiccato dai nazisti: «La cosa principale è che si tenga il passo di Dio, che non si continui a precederlo di qualche passo, ma nemmeno che si resti indietro di qualche passo» (Resistenza e Resa, 1969, pag. 163).  Nel Vangelo di oggi si dice che, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, i pastori “andarono in fretta” a Betlemme. Come aveva fatto prima Maria, dirigendosi “in fretta” verso la casa di Elisabetta. Tanto Maria come i pastori colgono l’urgenza dell’ “oggi” e di fronte al quale non è ammissibile nessun ritardo o disattenzione. E’ l’atteggiamento del credente che cerca di stare al ritmo dei passi di Dio. Destinatari della buona notizia si trasformano in annunciatori della medesima e iniziano “ad annunciare ciò che l’angelo aveva detto di questo bambino”.
Si sottolinea, anche, l’atteggiamento di Maria: “Maria da parte sua custodiva questi eventi e li meditava nel suo cuore“. Il verbo greco tradotto come “conservare/custodire” è syntereo, che significa letteralmente “custodire con accuratezza qualcosa di prezioso e di valore“. L’altro verbo tradotto come “meditare” è il verbo greco symballo, che significa letteralmente: “mettere insieme due realtà che sono separate”, “confrontare“. Suppone un atteggiamento dello spirito che crea sintesi, che riesce a trovare una logica in mezzo a cose o situazioni apparentemente senza senso. Il verbo greco è coniugato al tempo perfetto, il che indica un’azione ripetuta, continua. Luca, quindi, descrive Maria come una discepola che legge continuamente gli avvenimenti per scoprire il loro significato più profondo, modello per ogni credente, chiamato a scoprire il mistero e la presenza del Dio nel “prendersi cura” della creazione, del prossimo, della pace. Già, la PACE!


[1] Mi avvalgo di riflessioni di don A.Bellinato e di Don P. Farinella.
[2] De Benedetti in “Ciò che tarda avverrà”. Ed Qiqajon, Bose