Epifania del Signore alle genti
DALLA LEGGENDA ALL’INCANTO. Don A.Fontana

«I magi non erano re e non erano tre; e non avevano offerto né oro, né incenso, né mirra…»; fu così che, da quella omelia, alcuni parrocchiani si defilarono per sempre e io mi bruciai la possibilità di diventare vescovo o Papa. Me ne sono fatto una ragione. Chi osa toccare la leggenda, muore. La leggenda coccola gli appetiti fantastici, la profezia li turba. Matteo ricopriva, nella sua comunità, quel ruolo che nella sinagoga veniva chiamato “Meturgheman”, colui che traduceva in dialetto aramaico il testo ebraico e ne dava spiegazioni. Matteo, mentre narra Gesù, sfoglia questa Bibbia.

Dal libro del profeta Isaìa 60,1-6
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.

Sal 71 Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio di re la tua giustizia;

egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis[1] e delle isole portino tributi, i re di Sceba e Saba[2] offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 3,2-3a.5-6
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

Dal Vangelo secondo Matteo 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente[3] a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

ANNUNZIO DEL GIORNO DELLA PASQUA
Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.
Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 12 aprile. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 26 febbraio. L’Ascensione del Signore, il 24 maggio. La Pentecoste, il 31 maggio. La prima domenica di Avvento, il 29 novembre. Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore. A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Amen.

DALLA LEGGENDA ALL’INCANTO. Don Augusto Fontana
«I magi non erano re e non erano tre; e non avevano offerto né oro, né incenso, né mirra…»; fu così che, da quella omelia, alcuni parrocchiani si defilarono per sempre e io mi bruciai la possibilità di diventare vescovo o Papa. Me ne sono fatto una ragione. Chi osa toccare la leggenda, muore. La leggenda coccola gli appetiti fantastici, la profezia li turba.
Matteo ricopriva, nella sua comunità, quel ruolo che nella sinagoga veniva chiamato “Meturgheman”, colui che traduceva in dialetto aramaico il testo ebraico e ne dava spiegazioni. Matteo, mentre narra Gesù, sfoglia questa Bibbia. E’ alla ricerca di pagine che lo aiutino a meditare sull’evento di Gesù “re dei giudei” rifiutato dai teologi della propria religione, dai poteri costituiti e misteriosamente accolto da pagani impuri e non circoncisi. Ne esce un racconto «molto leggendario, però ricchissimo di contenuti simbolici e prefigurativi»[4]. E ne nasce anche una festa liturgica che nelle mani del cattolicesimo occidentale si è un po’ sottosviluppata.
L’ex priore di Bose, Enzo Bianchi, commentava: «Per il cristianesimo orientale, il Natale è una festa piccola; la grande festa – che corrisponde al nostro Natale – è l’Epifania. Nel primo millennio l’Epifania celebrava, nell’unico giorno, la venuta dei magi, il Battesimo nel Giordano, le nozze di Cana, come dice ancora oggi l’antifona dei Vespri : «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo…». L’Oriente è dossologico (cioè più celebrativo che emozionale e conoscitivo ndr.). Ritiene un’eresia il fatto che noi possiamo parlare di Gesù bambino. Anche per la Chiesa del primo millennio l’importante della vita di Gesù è dal Battesimo in poi, perché il Battesimo è la manifestazione ad Israele, le Nozze di Cana la manifestazione ai discepoli, l’Epifania la manifestazione alle genti, ai popoli lontani. Queste tre grandi manifestazioni vengono incluse nell’ Epifania chiamata addirittura Teofania, cioè manifestazione di Dio»[5].
Attorno a Gesù, Matteo mette in scena alcuni personaggi, chiamati màgoi (astrologi o osservatori del cielo stellato?) provenienti da non si sa dove. Certamente non sono giudei. La loro origine extra-comunitaria è chiara. Gli offrono la loro presenza. Ed anche i prodotti della loro tradizione e dei loro rituali; doni che hanno evocazioni e profumi misteriosamente cultuali, messianici, pasquali. I campesinos ecuadoreñi gli avrebbero offerto un poncho, una collana di pepas e maialini[6]. Ho il sospetto che non sempre gli sia gradito l’onore adorante che proviene dalla smagliante e siliconata società occidental-cattolica; anzi, spesso Lui pare gradire che l’offertorio liturgico rovesci – sulle bianche tovaglie – arrugginiti spezzoni di lavoro, lacrimate piaghe purulente, dolci baci di amori fedeli o ricostruiti, bambole resuscitate dalle discariche delle favelas, cantilene di salmi al ritmo di luridi banjos.
Una stella, poi, fa impazzire teologi, biblisti e astrologi, fa sognare uomini e donne dell’Oroscopo, emoziona coreografi di presepi, degni eredi dei mesopotamici che accoglievano il solstizio d’inverno e, forse, stelle comete, con 12 giorni di festeggiamenti. Tutti gli antichi credevano che quando nasceva un uomo si accendesse una stella. Anche gli israeliti avevano accolto la misteriosa profezia di un veggente pagano, Balaam: «Una stella spunta su Giacobbe, uno scettro(Messia) sorge da Israele»[7]. Occhi puntati, dunque, verso le tenebre della storia in attesa che il Messia ebreo vi tracciasse dentro la sua scia di vivaci speranze. La stella/simbolo appare, scompare, riappare, si sposta, si ferma; «perfino un antico commento latino osserva che qui Matteo sta esagerando. Evidentemente non sta parlando di una cometa o di un altro qualsiasi fenomeno astrologico. E’ come se parlasse di un angelo»[8]. E’ come se parlasse dei segni dei tempi, delle nostre tormentate coscienze, delle pagine scritte e non scritte dei nostri giornali. Ottant’anni anni dopo la morte/resurrezione di Gesù, la comunità ricorda che già nella casa (“casa” e non “grotta”) di quell’infanzia ecclesiale avevano incominciato a circolare stranieri inattesi (senza Bibbie o Encicliche in tasca) e doni provenienti da lontane tradizioni e rituali, e che i primi baci erano scesi a livello di bambino con l’arabo calore adorante di un inchino. Gesti e figure quotidiane capaci di essere elevate a simbolo di un’adorazione liturgica ad alta densità di significato messianico: «Che il Messia viva e gli sia dato oro di Saba» (Salmo 72, 15). Gesù detto Cristo non è più il Dio tribale, la proprietà privata di un club di devoti. In quella casa giungono uomini con percorsi zigzaganti, scandalosi per occhi e orecchi troppo verginali. Inizia la Cristofania, la trasparenza, a dispetto di ogni rivendicazione e requisizione da parte di “eredi aventi diritto” (Efesini 3, 2-6). Il palcoscenico creato da Matteo, infatti, così illuminato da annunci e luci sconfinanti, possiede anche una parete ammuffita. Si vedono profilarsi ombre di sapienti rabbini, barbogi teologi dalla facile citazione testuale. E, compagno di merende, un agitatissimo capetto volgare e machiavellico, Erode. Tutti lì a sfogliare pagine di Santa Scrittura pietrificate dalla loro abitudinarietà e dai loro privati e minacciati interessi. Eppure anche in quelle mani si è conservata la secolare Rivelazione, le profezie senza tempo, le chiavi di lettura dei segni dei tempi, delle nostre tormentate coscienze e delle pagine scritte e non scritte dei nostri giornali. «Vi sono dunque due coordinate che consentono di individuare il luogo in cui si trova il Messia: la stella e la Bibbia. La stella che rappresenta i segni dei tempi, le occasioni della storia e anche, più banalmente, i casi della vita. E’ il Verbo iscritto nella creazione, il linguaggio silenzioso delle cose. La stella conduce vicino all’evento messianico, ma da sola non raggiunge il bersaglio: occorre anche la verifica della Santa Scrittura. I magi non salgono direttamente a Betlemme, si fermano a Gerusalemme. E’ da Gerusalemme che esce la Torà, la Parola del Signore. Solo nella congiunzione fra la stella apparsa ai pagani e la parola custodita da Israele è possibile individuare l’evento del messia. La stella conduce alla Scrittura e la Scrittura riattiva la stella: insieme conducono al luogo dove si trova l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E’ a quel momento che la stella si ferma, la parola si fa evento e noi siamo ricolmi di una grandissima gioia»[9]. Il Libro Santo e la vita celebrano un bel matrimonio. Ma mi picchia nel cuore un martellante interrogativo. Cosa vuol dirmi la Rivelazione con quello strano finale: «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»? Aggirano Gerusalemme e tornano ai confini. Padre Balducci forse una risposta l’aveva trovata: «Non c’è più nessuna città santa, perché è la terra che è santa. Non c’è più una casta sacra che domina e dirige le speranze, perché le speranze camminano secondo il movimento dello Spirito. Gesù dirà – in contrapposizione perfetta alle parole di Isaia (Isaia 60, 1-6) – non che i popoli verranno verso Gerusalemme, ma che i suoi discepoli andranno fino ai confini della terra. La salvezza viaggerà verso i confini. Ecco la novità del vangelo»[10].
Individuare e annunciare prodigi “normali”. Il mondo è sotto la grazia.
Quando e dove possiamo salutare il mondo facendo vibrare le speranze che contiene? L’uomo moderno non ha perduto il senso del simbolico e del sacramentale. Continua ad essere generatore di simboli espressivi della sua interiorità, come gli uomini delle epoche passate, e continua ad essere capace di interpretarli. Forse è divenuto sordo ad un certo numero di simboli che nel tempo si sono sclerotizzati e mummificati. Tanto che molti segni, anche nella chiesa, devono essere spiegati; ma un segno che deve essere spiegato ci dice che è un segno che dovrebbe essere cambiato. Il simbolico, tuttavia, resta parte integrante del vissuto dell’essere umano. L’uomo si colloca di fronte alle cose e agli eventi con tre atteggiamenti principali: la diffidenza, la manipolazione, l’abitudine. E’ raro l’atteggiamento di sorpresa, stupore, contemplazione.
All’origine del sacramento c’è sempre una storia: «C’era una volta una brocca…un pezzo di pane…un uomo chiamato Gesù…una cena pasquale…un’adultera…». Il linguaggio dei sacramenti non è argomentativo, ma evocativo. Talvolta diventa performativo cioè porta ad una modificazione della prassi umana. Padre Leonard Boff mi spiega, con una simpatica teologia, il valore simbolico/sacramentale dei segni, degli eventi della vita e delle cose: «In casa mia c’è una brocca di alluminio. Essa ha accompagnato la famiglia nei molti traslochi. Prese parte a tutto. Venne sempre con noi. Ogni volta che si beve da lei non si beve solo acqua, ma la freschezza, la dolcezza, la storia familiare. Quella brocca, come il sentiero di casa, la pipa lasciata dal padre sul tavolo prima che un infarto lo togliesse agli affetti: tutte cose che cessano di essere cose e diventano persone: puoi udire la loro voce e far riaffiorare il loro messaggio. Sono cose che possiedono un cuore. Si sono trasformate in sacramenti: sono cioè segni che contengono, mostrano, rammentano, visualizzano, trasmettono un’altra realtà diversa da loro ma presente in loro. L’uomo moderno guarda, spesso senza vedere. Le cose hanno una fessura attraverso la quale penetra una luce che illumina il loro mistero e che le rende trasparenti, diafane. Dentro questa brocca c’è la storia della famiglia. Gesù di Nazaret è questa brocca. E’ la Parola data, l’AMEN per sempre di Dio di fronte alla quale anche noi tentiamo di impegnarci con una nostra parola data»[11].
Tu, o Dio, danzi con tutti. E io non sono geloso.
Occorre tornare a rivisitare le nostre speranze e le nostre certezze relative alla volontà di salvezza universale da parte di Dio. Recentemente il dibattito ecumenico si è imbarbarito, dopo fasi alterne di positivi avvicinamenti e di letargo. Occorre anche rendere stima e onore a tutti coloro che hanno continuato a navigare con prudenza e con apertura critica verso un macro-ecumenismo che ha le sue radici teologiche anche nel genio di Paolo, frutto dell’incrocio creativo (non esente da tensioni) del suo cuore ebraico, della sua mente greca e della sua vita romana: «per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di Cristo: che i pagani e i non circoncisi cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo. A me è stata concessa questa grazia di annunziare a loro le imprevedibili ricchezze di Cristo»[12]. Dobbiamo continuare a restare aperti, a diffondere la cultura dell’integrazione reciproca, a cercare e creare occasioni di incontro contro ogni gelosia religiosa e teologica, a frenare ogni strisciante predicazione che porti il Padre di Gesù a ridiventare un Dio tribale, confessionale ed esclusivista.


[1] Una località adesso sconosciuta. La Spagna sembra il paese più probabile.
[2] Le ipotesi più probabili sulla loro ubicazione indicano l’attuale Yemen oppure l’attuale Somalia.
[3] Un testo apocrifo, il Vangelo armeno dell’Infanzia, dice: “Il primo era Melkon re dei Persiani; il secondo Gaspar, re degli Indi; il terzo Balthasar re degli Arabi”; i tre personaggi diventarono i
rappresentanti dei discendenti di Cam, Sem e Jafet, figli di Noè, cioè di tutte le razze di Europa, Asia e Africa.

[4] Alberto Mello Evangelo secondo Matteo,Ed Qiqajon, 1995.
[5] Appunti dal Corso tenuto a Bose da Enzo Bianchi: Dal Gesù della storia al Cristo della fede.
[6] cf. Antonietta Potente La diversità: dono di Dio al mondo, dono del mondo a Dio, in ADISTA 89/2000.
[7] Libro dei Numeri 24,17. L’antica versione aramaica, riflettendo la tradizione giudaica, sostituisce il termine “scettro” con “messia”.
[8] A. Mello op. cit. pag. 67.
[9] A. Mello op. cit. pag. 68-69.
[10] E.Balducci Il mandorlo e il fuoco, Borla, Vol. 3 pag. 72.
[11] elaborazione da Leonard Boff I sacramenti della vita , Borla.
[12] passim Lettera agli Efesini cap. 3




1 Gennaio 2020.
BENEDETTO. Don Augusto Fontana

Chiediamo la benedizione di Dio sull’anno nuovo, sui nostri progetti, le attività quotidiane, gli incontri, il lavoro. “Benedire” (che deriva dal greco “eu-loghia”) significa “dire bene”. Se Dio ci bene-dice, vuol dire che dice-bene-di-noi: è contento, approva ciò che stiamo facendo. Con buona pace dei cattolici che continuano a chiedere benedizioni dei muri delle case, di indumenti o auto, quando Dio “benedice” lo fa una sola volta per sempre e la sua benedizione non ha scadenza. Il problema allora non è “essere benedetti” ma “vivere da benedetti”. In fondo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom 8,31). Dio talvolta “dice-bene-di-noi” (benedice).

Preghiamo. Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio…

Dal libro dei Numeri 6, 22-27
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

Sal 66  Dio abbia pietà di noi e ci benedica.

Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 4,4-7
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 BENEDETTO[1] . Don Augusto Fontana

La liturgia della Parola di questo primo giorno del nuovo anno ci parla, tra le altre cose, della benedizione. Nella prima lettura è Dio che benedice l’uomo. Nella seconda lettura è l’uomo che benedice Dio, gridando a Lui: “Abbà!”. Nel Vangelo sono i pastori che, tornando da Betlemme benedicono Dio per tutto ciò che hanno visto e udito. A capodanno chiediamo a Dio la sua benedizione, in modo speciale. 

Ma cos’é una benedizione?
In ebraico il verbo bārak  significa donare forza vitale, donare fecondità. L’azione del benedire è unica, si può dare cioè una sola volta nella vita e non può più essere revocata. In Genesi 27, Giacobbe, complice la madre, inganna il padre Isacco e ruba la sua benedizione che era destinata invece al primogenito Esaù suo fratello maggiore. Esaù, appena se ne rende conto, corre dal padre e implora per sé la benedizione, ma il padre Isacco non può fare nulla perché benedicendo il figlio minore, che per questo resterà benedetto per sempre (v. 33), si è svuotato definitivamente di tutta la sua capacità generativa. Con buona pace dei cattolici che continuano a chiedere benedizioni dei muri delle case, di indumenti o auto, quando Dio “benedice” lo fa una sola volta per sempre e la sua benedizione non ha scadenza. Il problema allora non è “essere benedetti” ma “vivere da benedetti”. Quando nella Liturgia il presbitero “benedice” il popolo, non duplica, non moltiplica, ma invita a fare memoria dell’unica, originaria e irrevocabile benedizione della Creazione e del Battesimo. Semmai è come se dicesse «Dio ci ha benedetti una volta per tutte in Cristo. Ora andiamo e viviamo da benedetti e non da maledetti».

  • Benedetti noi.

 

Chiediamo la benedizione di Dio sull’anno nuovo, sui nostri progetti, le attività quotidiane, gli incontri, il lavoro. “Benedire” (che deriva dal greco “eu-loghia”) significa “dire bene”. Se Dio ci bene-dice, vuol dire che dice-bene-di-noi: è contento, approva ciò che stiamo facendo.
Porranno il mio nome sugli israeliti” è un’espressione semitica che indica il favore divino. Questo è il sogno di ognuno di noi: avere il favore di Dio.  In fondo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom 8,31). Dio talvolta “dice-bene-di-noi” (benedice).
All’inizio del libro di Giobbe, viene raccontato un dialogo tra Dio e satana. Dio dice a satana: “Hai visto il mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio e sta lontano dal male”. La pagina ci ricorda anche l’elogio che Gesù fa di Giovanni Battista (Matteo 11,11): «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista».
Dio dice-bene-di Giobbe e di Giovanni Battista e di ogni “piccolo”. Come quando dei genitori si vantano di un figlio e ne dicono bene.

  • Benedetto Dio!  

 

La Parola di Dio ci mostra come anche l’uomo debba benedire Dio, dire-bene di Dio. É lo Spirito che grida nel nostro cuore la benedizione più grande: “Abbà, papà!”. Senza lo Spirito Santo è difficile benedire Dio. Molte persone non riescono più a dire-bene di Dio, da molti anni. Sono rimaste ferite da sofferenze e prove: hanno attribuito a Dio il male ricevuto. Perché dovrei dire-bene di Dio? Solo lo Spirito Santo può aprire i loro occhi e far vedere loro oltre. Il primo frutto della presenza dello Spirito è questo desiderio di benedire.Nel Vangelo abbiamo sentito come, i pastori assistono all’apparizione dell’angelo “e la gloria del Signore li avvolse di luce”. É questa luce/Spirito Santo che permette loro di riconoscere Dio in un bambino, di benedirlo, di dire-bene di Lui.




Domenica 29 dicembre 2019
INCARNATO IN UNA FAMIGLIA E IN UN POPOLO. Don A.Fontana

Sulla famiglia, sacra ma non santa, oggi c’è rissa: famiglia naturale, famiglia laica, sacramentale, omo o etero, unione di fatto. Scendono in campo grossi calibri ecclesiastici (celibi!) per difendere i valori famigliari “non negoziabili”, da trasformare in leggi dello Stato usando la lobby teodem DOC. (quelli di “Dio-patria-famiglia” bigami o quasi). E noi preti, senza moglie e figli, pontifichiamo dai nostri scranni come gli scribi e i farisei a cui Gesù diceva: «Guai a voi, esperti della Legge di Mosè, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito» (Lc 11, 46).

Preghiamo.
O Dio, nostro Padre, che nella santa famiglia di Nazareth ci hai dato un vero modello di vita, fa’ che nelle nostre famiglie e comunità fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo
Dal libro del Siràcide 3, 3-7.14-17
Il Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.

Sal 127 Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.
Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.

Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene.
La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa.
Ecco com’è benedetto l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita!
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési 3,12-21
Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre. Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

Dal Vangelo secondo Matteo 2,13-15.19-23
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

INCARNATO IN UNA FAMIGLIA E IN UN POPOLO. D. Augusto Fontana
Sulla famiglia, sacra ma non santa, oggi c’è rissa: famiglia naturale, famiglia laica, sacramentale, omo o etero, unione di fatto. Scendono in campo grossi calibri ecclesiastici (celibi!) per difendere i valori famigliari “non negoziabili”, da trasformare in leggi dello Stato usando la lobby teodem (quelli di “Dio-patria-famiglia” bigami o quasi). E noi preti, senza moglie e figli, pontifichiamo dai nostri scranni come gli scribi e i farisei a cui Gesù diceva: «Guai a voi, esperti della Legge di Mosè, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito» (Lc 11, 46). Io ho sperimentato il lavoro e per esperienza so che lì si sono infranti tutti i modelli ideati dalle Encicliche sul lavoro, obbligandomi ad una quotidiana mediazione (a volte al ribasso, a volte al rialzo) tra principî allo stato puro e contingenze problematiche. Se mi fossi sposato potrei parlare di famiglia, avendo custodito e confrontato nel cuore la Parola di Dio con la mia carne e storia. Rinuncio a cercare una corrispondenza diretta tra Bibbia e famiglia, come se la Santa Scrittura di oggi offrisse un prontuario di ricette o modelli di famiglia. Eppure mi intriga questo Dio-per-noi che si è fatto carne, prendendone su di sé tutte le conseguenze: appartenere ad un nucleo familiare, ad una etnia, ad una tradizione religiosa, ad un contesto politico nazionale e internazionale, reso «in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele» (Eb 2,17).
Mai come oggi la pastorale si è mobilitata per Corsi di catechesi pre e post. Il matrimonio Concordatario non lo si nega a nessuno: molti lo pretendono come diritto individuale, come se fosse un pedaggio o una prudente vaccinazione. Quasi tutti i matrimoni nascono in chiesa e finiscono in tribunale. Ne sento l’aspra responsabilità. Resta immutato il dramma di una profonda separazione tra quanto si celebra e il suo esito post rituale. Se voglio affondare lo sguardo dentro la ferita aperta, posso intonare il Dies irae: tutte le ricerche in atto ci assicurano che stanno aumentando le violenze e gli omicidi intra-familiari, che aumentano le separazioni e le conflittualità. E tutti sappiamo che con l’andar del tempo lo smalto dell’innamoramento si opacizza, la coppia vivacchia, i modelli educativi sono liquidi e scivolosi. Ma tu hai capito che sarebbe ingeneroso generalizzare e amalgamare tutte le famiglie nella poltiglia delle statistiche, dei morbosi talk show televisivi e dei patologici rapporti giornalistici. Grazie a Dio conosco, come te, stupende famiglie santificate e santificanti, dolci, solidali, aperte, celebranti, carismatiche; immagini sacramentali di un Dio sposo fedele e famiglia trinitaria. E conosco le lacrime inconsolabili quando la morte, e non la fine di un amore, infrange un’alba o un giorno talmente luminoso da non mettere in conto mai che possa venire sera.
In questo contesto medito le letture di oggi con un occhio alla famiglia e uno alla comunità cristiana. Perché non so bene se oggi si celebra la Santa Famiglia o la Santa Comunità. Anzi lo so: la seconda lettura di oggi è un’esortazione primariamente rivolta alla Comunità e, di riflesso, ad ogni convivenza che abbia un qualche sapore di famiglia: «rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione».
E’ vero che il Concilio Vaticano II° ha scritto: “La famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e a comporre convenientemente i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società” (Gaudium et Spes 52). Ma è pure vero che Giovanni Paolo II° nella sua Familiaris Consortium (n.21) ha scritto: «la famiglia cristiana offre una rivelazione e una realizzazione specifica della comunione ecclesiale». Il Catechismo della Chiesa cattolica offre interessanti indicazioni (nn. 1655-1657): «Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla santa Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la « famiglia di Dio. Fin dalle sue origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti. Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. È per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un’antica espressione, chiama la famiglia “Chiesa domestica”[1] in cui «i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede. È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità. È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita». L’esortazione apostolica “Amoris laetitia” di Papa Francesco dopo il Sinodo sulla famiglia scrive tra l’altro: «Sappiamo che nel Nuovo Testamento si parla della “Chiesa che si riunisce nella casa” (cfr 1 Cor 16,19; Rm 16,5; Col 4,15). Lo spazio vitale di una famiglia si poteva trasformare in chiesa domestica, in sede dell’Eucaristia, della presenza di Cristo seduto alla stessa mensa. Così si delinea una casa che porta al proprio interno la presenza di Dio, la preghiera comune e perciò la benedizione del Signore»(n.15).
Dalla Scrittura ci vengono alcuni dati di fondo. Occorre non dimenticare oggi che Gesù ha relativizzato la famiglia: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,35-37). A chi gli faceva notare che sua madre e i suoi familiari lo stavano aspettando, Gesù reclama: «E chi è mia madre o i miei fratelli? Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,50).
Vorrei entrare nei testi dei “Vangeli dell’infanzia” di Matteo e Luca ed evidenziarne alcune scoperte:

  1. Giuseppe e Maria sono una coppia pressata dalla vita e da problemi. Giuseppe ha una bella grana da sbrogliare, tra una dubbia moralità della moglie e una precisa disposizione delle Legge mosaica in materia. Maria pure ha la sua rogna con una maternità inusuale e un’altrettanto inusuale discussione con Dio. Tutti e due devono affrontare un lungo viaggio per sottoporsi a un censimento partorito dalle paranoie del potere. E poi quel parto avventuroso. E poi quella fuga all’estero con neonato al seguito. E poi quel rientro alla chetichella, come due perseguitati politici. E poi quella vita senza storia a Nazaret interrotta da qualche pellegrinaggio a Gerusalemme dove l’adolescente Gesù, da loro educato alla Sinagoga e alla Torà, non risparmia un indimenticabile divino grattacapo. Tutto ciò che è detto e ciò che non è detto ma immaginato, ci parla di una comunità non esentata dalla storia, non ritirata in mistici conventi o monasteri, ma travolta e ferita da eventi. Come me e te.
  2. Paolo nella seconda Lettura esorta famiglie e comunità: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali». Giuseppe e Maria sono una coppia in ascolto della Parola che è loro compagna degli eventi. Una Parola che si materializza narrativamente nei SOGNI, nei SEGNI, nell’ANGELO. E non solo per loro: pastori e magi sono loro degni compagni di rivelazione e icone di discepoli ascoltanti. In Luca prevale il linguaggio diretto dell’angelo. In Matteo la Parola dell’Angelo è mediata dal sogno[2]. Davanti agli eventi e alla rivelazione, appaiono due persone in profondo ascolto (Giuseppe, mentre stava pensando a queste cose….Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore). Giuseppe pare non dialogare apertamente con la Rivelazione, a differenza di Maria che incarna la discepola interrogante («Come è possibile? Non conosco uomo»). E comunque dopo ogni rivelazione, ambedue questi discepoli della Parola si affrettano a compiere ciò che l’Angelo e il Sogno aveva proposto o comandato.

Mi piace il libro (Vita Liquida. Ed Laterza) di un sociologo a me caro, Zygmunt Bauman: «La vita liquida è una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza…Ovunque l’accento cade su atti come dimenticare, cancellare, mollare, sostituire…La costanza, la resistenza, la vischiosità delle cose animate e inanimate, costituiscono il più sinistro e grave dei pericoli, sono la fonte delle peggiori paure e bersaglio delle aggressioni più violente». A fronte di questa analisi realista e senza appello, che descrive l’infezione che ha intaccato i gangli vitali di famiglie e comunità, il resistente ascolto di Maria e Giuseppe si staglia sul fondo come la concreta attuazione di una parola del Signore riferita da Matteo 7, 24-27: «Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia».


[1] Cost. dogm. Lumen gentium, 11
[2] Matteo 2: [20]Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse…[13]Essi (i magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse….[19]Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse….[22]Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno




Festa dell’Incarnazione.
DAL DIO DI PIETRA AL DIO DI CARNE. Don Augusto Fontana

Nel nostro immaginario collettivo religioso, favorito da dipinti e da film colossal, abbiamo tutti quell’immagine di Mosè che scende dal monte con le due tavole di pietra. Dieci Parole scolpite sulla pietra. Per molti furono dieci comandamenti di pietra. Dieci Parole pietrificate deposte nell’arca dell’alleanza e portate a spalla nel cammino, memoriale di un patto reciproco. La pietra è segno di garanzia e stabilità. Ma anche la pietra si può frantumare. E’ bastato un vitello d’oro come idolo per scatenare lo zelo profetico di MosèLa pietra chiede una fedeltà impossibile. Con la sua rigidità perde il passo col popolo che muta, cresce, cambia, affronta nuove com­plessità…. 

Preghiamo. O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo nei suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del profeta Isaìa 9, 1-6
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce. Ora essa ha illuminato il popolo che viveva nell’oscurità. Signore, tu hai dato loro una grande gioia, li hai fatti felici. Gioiscono davanti a te come quando si miete il grano. Tu hai spezzato il giogo che gravava sulle loro spalle e li opprimeva. I calzari dei soldati invasori e tutte le loro vesti insanguinate saranno distrutte dal fuoco. È nato un bambino per noi! Ci è stato dato un figlio! Gli è stato messo sulle spalle il segno del potere regale. Sarà chiamato: ‘Consigliere sapiente, Dio forte, Padre per sempre, Principe della pace’. Diventerà sempre più potente, e assicurerà una pace continua. Governerà come successore di Davide. Il suo potere si fonderà sul diritto e sulla giustizia per sempre. Così ha deciso il Signore dell’universo nel suo ardente amore, e così sarà.

Sal 95. Oggi è nato per noi il Salvatore.
Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra.

Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Gioiscano i cieli, esulti la terra, risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene, acclamino tutti gli alberi della foresta.
Davanti al Signore che viene: sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli.
Dalla lettera di san Paolo Apostolo a Tito 2,11-14
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

Dal Vangelo secondo Luca 2,1-14
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». 

DAL DIO DI PIETRA AL DIO DI CARNE. Don Augusto Fontana

Parola di Dio sulla pietra.
Il Signore disse a Mosè: «Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli» (Esodo 24,12)…. Era una Parola pietrificata, ma garantita e fedele come una roccia. Nel nostro immaginario collettivo religioso, favorito da dipinti e da film colossal, abbiamo tutti quell’immagine di Mosè che scende dal monte con le due tavole di pietra. Dieci Parole scolpite sulla pietra. Per molti furono dieci comandamenti di pietra. Dieci Parole pietrificate deposte nell’arca dell’alleanza e portate a spalla nel cammino, memoriale di un patto reciproco. La pietra è segno di garanzia e stabilità. Ma anche la pietra si può frantumare. E’ bastato un vitello d’oro come idolo per scatenare lo zelo profetico di Mosè: «Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora si accese l’ira di Mosè: egli scagliò dalle mani le tavole e le spezzò ai piedi della montagna» (Esodo 32,19).… La pietra chiede una fedeltà impossibile. Con la sua rigidità perde il passo col popolo che muta, cresce, cambia, affronta nuove com­plessità. Ed ecco l’intelligenza profetica. «Questa sarà l’alleanza che conclu­derò con la casa d’Israele: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger 31,31-33). Oggi abbiamo carta e computer in tempi di fragilità, tempi liquidi e fluidi; la carta si accartoccia e si butta, e sul computer basta un clic e tutto è cancellato. Le parole diventano vapore che si disperde.

Parola di Dio nella carne.
Il profeta Isaia indica la svolta: «Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». L’evangelista Luca ci dice che il segno della presenza di Dio non sarà più un tempio di pietra, ma la carne fragile di un figlio d’uomo: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, coricato in una mangiatoia». Sarà questo figlio, divenuto grande, che davanti al tempio confermerà il nuovo regime di fede: “Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: «In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata»” (Matteo 24,1-2). L’evangelista Giovanni, commentando un riferimento al Tempio da parte di Gesù, annota: «Ma egli parlava del tempio del suo corpo» (Giovanni 2,21). La storia della Rivelazione stava subendo un’accelerazione. «Il Verbo si è fatto carne» canta Giovanni nell’ouverture del suo Vangelo (Giovanni 1,14). Francesco diceva che Gesù era la Parola abbreviata di Dio. La lunga Parola del Vecchio Testamento che ha ispirato molti profeti si fa breve nel Bambino che nasce a Betlemme.  “Farsi carne” vuol dire assumere pienamente la fragilità umana, accettare di nascere, di morire, di partecipare a tutti gli stati della vita umana nell’ambito della sua storia terrestre: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Filippesi 2, 6-7). Anzi: diventa un pane frammentato e mangiato; «questo è il mio corpo» dirà Gesù nella Cena Pasquale. Ma c’è di più. Ed è l’evangelista Matteo che ci porta ai confini impensabili del “luogo di Dio”: noi incontriamo la Parola del Dio vivente in sei sacramenti della Sua presenza: «Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo 25, 37-40). Perfino quando si presenta Risorto, Gesù mostra di essersi portato dietro la sua e nostra carne: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Luca 24,39).

Allora?
Il profeta Amos aveva minacciato: «Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno» (Amos 8,12). In questo tempo liturgico siamo portati invece pazientemente al luogo dell’incontro. I pastori «andarono dunque senz’indugio e trovarono» (Luca 2,16). La maledizione è infranta per chi lo vuole. Non più un Dio lassù nei cieli o raccolto in una religione pietrificata dal rito, dall’organizzazione, ma nella carne quotidiana di Gesù, del Pane eucaristico, della gente con cui coabito. «Dio si è mostrato in Gesù con tratti umanissimi perché ciò che era straordinario in Gesù non era nulla di religioso ma solo umano, umanissimo. Sì, Dio ha sembianze così umane che rischia di passare inosservato»[1]. Dio ricomincia da Betlemme, da un bambino. «Il Verbo carne si è fatto » (Gv 1,14), è scrit­to nel testo in greco di Giovanni. Nella suggestione del testo greco i due termini sono vicini, non separa­ti da altre espressioni: ho Logos sarx egheneto, la Parola carne divenne. Da allora la vicinanza è assoluta, c’è un frammento di Logos in ogni carne, c’è qualcosa di Dio in ogni uomo, ci sono un po’ di santità e molta luce in ogni vita. L’incarnazione non è finita, Dio «accade» an­cora nella carne della vita, accade nella concre­tezza dei miei gesti, abita i miei occhi perché sap­piano guardare con bontà e con profondità. Abita le mie parole perché abbiano luce. Abita le mie mani perché si aprano a dare pa­ce, ad asciugare lacrime, a spezzare ingiustizie. E se tu devi piangere, anche lui imparerà a piangere; e se tu devi morire, anche lui conoscerà la morte. La strada più breve e più diritta tra l’uomo e Dio è la carne di Gesù, ora in braccio alla madre, un giorno in braccio alla croce[2].

Cammina attraverso l’uomo e raggiungerai Dio” (Sant’Agostino).


[1] Enzo Bianchi, La stampa 24 dicembre 2011
[2] Ermes Ronchi, Le case di Maria, Paoline.




4a domenica di Avvento. 22 dicembre 2019
DAL SOGNO AL SEGNO.D. Augusto Fontana

Giuseppe ci prende per mano e ci porta sulla soglia della Festa dell’Incarnazione. Giuseppe uomo giusto, silente, ascoltante, coinvolto in un dramma di coscienza e di una vocazione. Giuseppe uomo dei “sogni”. “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo” canta Luciano Ligabue. Nel cantico dei Cantici troviamo la ragazza (la chiesa?) che dice: «io dormo, ma il mio cuore veglia» (Cant 5,2). Un sonno leggero, un dormiveglia che le permette di ascoltare un leggero bussare alla porta: «Un rumore! È il mio amato che bussa: “Aprimi, sorella mia, amica mia”».Nel Nuovo Testamento si parla poco di “sogni”, ma nel Vangelo di Matteo troviamo un’eccezione.

Preghiamo.
O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola, nell’obbedienza della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del profeta Isaìa 7,10-14
In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».
Sal 24 (23) Ecco, viene il Signore, re della gloria.
Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti.

È lui che l’ha fondato sui mari e sui fiumi l’ha stabilito.
Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli.
Egli otterrà benedizione dal Signore, giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
Lettera dell’apostolo Paolo ai Romani 1,1-7
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
Dal Vangelo secondo Matteo 1,18-24
Ora la genesi di Gesù Cristo così era: sua madre Maria, essendo fidanzata di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era giusto e non voleva esporla pubblicamente, decise di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

DAL SOGNO AL SEGNO. D. Augusto Fontana
Mentre Giuseppe stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse…Giuseppe ci prende per mano e ci porta sulla soglia della Festa dell’Incarnazione. Giuseppe uomo giusto, silente, ascoltante, coinvolto in un dramma di coscienza e di una vocazione. Giuseppe uomo dei “sogni”. “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo” canta Luciano Ligabue.
Nel cantico dei Cantici troviamo la ragazza (la chiesa?) che dice: «io dormo, ma il mio cuore veglia» (Cant 5,2). Un sonno leggero, un dormiveglia che le permette di ascoltare un leggero bussare alla porta: «Un rumore! È il mio amato che bussa: “Aprimi, sorella mia, amica mia”».
Dio completa la creazione di Adam facendolo passare attraverso un intenso e simbolico “sonno” : Allora il Signore Dio fece scendere un torpore (nel greco dei LXX: extasi) sull’uomo, che si addormentò (nel greco dei LXX: ipnosi); gli tolse un lato e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò, con il lato che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. (Gen. 2,21-22).
Giacobbe, mentre fugge dal fratello Esaù, decide di passare la notte all’aperto, si addormenta e sogna:“Ed ecco una scala tra la terra e il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano per essa. Ed ecco il Signore si presentava a lui e diceva: …..Io sono con te, e ti guarderò dovunque tu andrai …” Giacobbe al suo risveglio dice: “Certo il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo!”.
Nel Nuovo Testamento si parla poco di “sogni”, ma nel Vangelo di Matteo troviamo un’eccezione. Matteo narra sei sogni di cui cinque si trovano nel vangelo dell’infanzia, cioè nei primi due capitoli. La persona che più sogna è Giuseppe. Infatti su cinque sogni menzionati nei primi due capitoli di Matteo, quattro hanno per soggetto Giuseppe e uno i maghi che vengono dall’oriente. Tra i sogni di Giuseppe quello che riveste una maggiore importanza è certamente il primo (1,20-21), il cosiddetto “annuncio a Giuseppe”. Giuseppe si trova in una situazione apparentemente senza via di uscita (1,18-19): «18b Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva esporla a infamia, decise di lasciarla segretamente». In una simile situazione per Maria non c’era solo il problema del “ripudio” da parte di Giuseppe suo sposo, ma c’era per lei il rischio della vita. Per una donna considerata adultera era prevista la lapidazione.
I “sogni” nella Bibbia sono un linguaggio, un modo di dire, un “genere letterario”. I racconti della nascita di Gesù, in particolare i “sogni” che la accompagnano, ci rivelano che nella nostra storia ci sono dei reali segni di rivelazione che dobbiamo saper riconoscere. I racconti dell’infanzia di Gesù in Matteo sono un intreccio di progetti, speranze, paure… Ci sono i progetti di Giuseppe riguardo alla sua vita e alla sua famiglia. Ci sono le paure e i timori dei grandi che sono aggrappati al loro potere e vedono minacce dietro ogni angolo. Ma poi ci sono anche i progetti di Maria, il desiderio dei magi … e tutto sembra essere nelle mani dell’uomo più forte e i piccoli e i poveri sembrano solo soccombere. Ma “i sogni” rivelano che non è tutto lì[1]. 

Annunciazione a Giuseppe il giusto, uomo del silenzio, dei sogni e dei segni.
gli apparve in sogno un angelo del Signore… Il sogno è per la Bibbia un luogo privilegiato dell’incontro con Dio, perché indica lo spazio dell’interiorità lo spazio dove le nostre difese sono più abbassate. Il sogno è paradossalmente il luogo in cui riusciamo essere più veri, perché non ci perdiamo nella superficialità dell’apparenza del quotidiano. Il sogno di Giuseppe rappresenta un passaggio dalle sue giustificate preoccupazioni al coraggio della decisione, si tratta di un passaggio dalle tenebre del dubbio alla luce del discernimento. Attraverso il sogno, Giuseppe entra in dialogo con una promessa che va al di la della sua vita: riconosce che le sue scelte non sono solo sue ma ricadono sugli altri. Nella sua decisione non può tener presente solo la sua dignità, la sua buona fama, ma deve tener conto della vita degli altri[2].
Secondo il Vangelo di Luca l’Annunciazione è fatta a Maria, secondo il Vangelo di Matteo Dio parla a Giuseppe. Giuseppe, l’uomo dei sogni, nei Vangeli non parla mai, ma sa ascoltare la Parola che lo abita, il sogno. Le due annunciazioni hanno luogo nelle case. Dio, ancora, sembra preferire la casa al tempio. Forse vorrà dirci che in ogni giorno di vita ci può essere offerta un’annunciazione quotidiana? L’annunciazione a Giuseppe è meno conosciuta dell’annunciazione a Maria. Anche la tradizione iconografica è assai scarna. Non c’è dialogo, non ci sono domande esplicite come quella di Maria né come quella di Acaz, ma la scena non manca di drammaticità.
Giuseppe, figlio di Davide… Lo scopo è quello di garantire a Gesù la discendenza davidica secondo le profezie antiche. Quasi a dire che Gesù non “scende dalle stelle” (come recita un canto tradizionale), ma è entrato pienamente nella nostra storia, nella nostra umanità, con tutto ciò che questo comporta. Gesù è figlio di una storia imperfetta. Normalmente nella Bibbia le genealogie venivano segnate attraverso la successione dei padri, eppure Matteo (1,1-16) non esita a interrompere questa successione tutta al maschile, inserendo quattro nomi di donne straniere (Tamara, Racab, Ruth e la moglie di Uria), donne dalla vita complessa, protagoniste e vittime di prevaricazioni e abusi. Gesù è dunque colui che compie le attese di questa umanità imperfetta[3].
E lo chiameranno Jeshuah…Ma in questa lunga storia di patriarchi e matriarche c’è una frattura, una sincope: di solito era il padre a dare il nome al figlio; qui invece Giuseppe viene espropriato dal suo potere e gli viene consegnato un Nome già confezionato: “a lui sarà dato il nome di Emmanuele”.
poiché era giusto… L’uomo “giusto” cammina a zig zag tra i sogni e i segni di Dio. Anche Gesù viene chiamato “uomo giusto” dalle labbra di un suo carnefice: «Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: “Veramente quest’uomo era giusto”» ( Lc 23,47).
fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore…. A volte vorremmo continuare a sognare per sempre: un po’ per il semplice gusto di sognare, un po’ perché così possiamo allontanare il momento della decisione. Una vita senza sogni sarebbe arida, è vero, ma spesso rischiamo di rimanere intrappolati nei nostri sogni, rischiamo di non decidere mai. Questo testo di Matteo descrive invece la dinamica della vita dell’uomo giusto, che si lascia incontrare da Dio nel profondo, si mette in ascolto, ma poi decide, senza esitare, e passa all’azione[4]. Questo suo obbedire senza far domande è un ritornello nel racconto di Matteo: quando si tratta di fuggire in Egitto, di tornare in Palestina, di stabilirsi a Nazaret di Galilea invece che in Giudea, di inseguire con Maria quel figlio dodicenne che avevano smarrito nel tempio.

Il Segno.
Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio…
Nelle due annunciazioni c’è, forse, anche un annuncio per i dubbiosi, per gli angosciati della giusta scelta. Un’alba che, aprendosi sul “non temere” dei messaggeri, ci libera dall’angoscia del fare o non fare la cosa giusta, e ci autorizza a rischiare, a sbagliare forse, a generare.
Il termine “segno”, nella tradizione veterotestamentaria, è una azione con cui Dio attesta la sua presenza nella storia di Israele e della salvezza. Chiedere un segno ad un inviato è chiedergli le credenziali della sua missione, una dimostrazione spettacolare o una certificazione. Oggi diremmo “un miracolo”, una “evidenza” inconfutabile che accorci la fatica dell’andarci in fondo ed elimini la quota percentuale di “fede/fiducia”. Sono circondato da segni che non corrispondono all’idea di Dio che ho dentro. Mi viene utile un collegamento con altri segni “deboli”. Segni che esistono, ma non hanno la carica dirompente del segno inequivocabile:

  1. Nel sepolcro: «Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende» (Luca 24, 12).
  2. A Betlemme: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc. 2, 12).
  3. I due discepoli di Emmaus scoprono segni dentro di loro: «Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Luca 24, 32).

Anch’io sono alla ricerca di segni dopo il mio risveglio dai sogni, ma resto ancora così cieco e perplesso. Faccio delle ipotesi:

  1. Posso pensare che non c’è fine alla malizia umana e nulla serve per chi non vuol vedere. Nella parabola del ricco e del mendicante Lazzaro, il ricco invoca l’apparizione di Abramo ai suoi cinque fratelli per la loro conversione. L’insegnamento finale della parabola fa per noi: «Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi». (Luca 16, 31).
  2. Io chiedo segni “dal cielo” e la Parola mi mostra segni “dalla terra”. Guardo in alto e la Parola mi spinge a guardare in basso. Provo a pensare a tutte le rivelazioni che Gesù ha dato: «Il Regno di Dio è simile a…». Seme nella terra, lievito nella pasta, tesoro nascosto nel campo, mercante che cerca una perla preziosa, rete gettata nel mare (“nel male”), un cammello che passa nella cruna di un ago, pubblicani e prostitute che passano avanti, un re che fa un banchetto di nozze per suo figlio, dieci ragazze che escono incontro allo sposo, una donna mette al mondo un figlio, un bambino nasce in condizioni poco invidiabili…Dio nell’apparente banalità del quotidiano.

Gesù, insomma, non rispetta i tratti essenziali delle mie teologie, delle mie aspettative, delle mie catalogazioni.
Luigino Bruni in un editoriale di Avvenire[5] (11 maggio 2014) scriveva: «Le vocazioni esistono, anche nel nostro mondo post-moderno e disincantato che sembra non saper più sognare e ascoltare le voci profonde della vita. Possiamo avere idee diverse su Chi o che cosa sia la voce che chiama, ma è un dato d’esperienza che le vocazioni riempiono la terra, la fanno vivere e rinascere ogni giorno. Non potremmo spiegare (o lo spiegheremmo poco e male) l’esistenza di artisti, scienziati, poeti, missionari, ma anche la presenza di molti imprenditori sociali e civili, senza prendere in considerazione la categoria di vocazione.  E non conosceremmo dimensioni essenziali della vita (tra cui la gratuità) se non ci fossero sulla terra persone ‘mosse da dentro’, che non camminano dietro a incentivi ma seguono una voce.  Puoi diventare qualcosa che non sei ancora, e che è la parte migliore di te. Ogni persona ha una vocazione, una via alla propria eccellenza e al bene comune, un ‘non ancora’ che aspetta di diventare ‘già’; ma non tutte le vocazioni fioriscono, perché senza l’incontro con persone e luoghi di gratuità queste voci non si sentono, restano soffocate dai rumori del quotidiano, un rumore che è troppo forte nella nostra civiltà. Tutte le volte che una persona scopre, segue, e poi custodisce una vocazione, lì accade sempre un incontro tra passato, presente e futuro, tra cielo e terra, che cambia e migliora il mondo per sempre».


[1] Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli
[2] Gaetano Piccolo, Leggersi dentro con il Vangelo di Matteo, Paoline, 2018, pag 19.
[3] Gaetano Piccolo, idem, pag 18.
[4] Gaetano Piccolo, idem, pag 18-19
[5] La porta del cielo è una voce




Domenica 3a di avvento. 15 dic 2019
SPERANZA IN AGONIA? D.Augusto Fontana

Lo scrittore teologo Sergio Quinzio, nel saggio Mysterium iniquitatis, immaginava che nell’anno 2000 l’ultimo Papa scrivesse la sua ultima Enciclica “Mysterium iniquitatis” definendo come dogma infallibile il “fallimento del cristianesimo nella storia del mondo”. Dopo la firma dell’Enciclica, il Papa Pietro II° sale all’interno della cupola della basilica di S. Pietro e si suicida lasciandosi cadere “sul luogo dei falsi trionfi”. Anche Giovanni il Battezzatore nutre dubbi sul messianismo realizzato di Gesù. I discepoli di Gesù patiscono scandalo dall’evidente fallimento. Noi non siamo in condizioni migliori di loro  perchè vediamo che la terra non fiorisce di bellezza e non si vede nessun sentiero santo su cui camminano i riscattati dal Signore.

Preghiamo.
Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore il nostro cammino incontro a colui che viene e fa’ che, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del profeta Isaìa 35,1-6.8.10
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.
Salmo 146 (145) Vieni, Signore, a salvarci.
Protagonista                azione                                  uomini della soglia
Il Signore                      creatore                                          

Il Signore                      fedele alle promesse
Il Signore                      rende giustizia                        agli oppressi
Il Signore                      dona il pane                          agli affamati
Il Signore                      libera                                    i prigionieri
Il Signore                      ridona la vista                        ai ciechi
Il Signore                      rialza                                    chi è caduto
Il Signore                      ama                                     i giusti
Il Signore                      protegge                               lo straniero
Il Signore                      sostiene                                orfano e vedova
Il Signore                      sbarra la via                         agli oppressori
Il Signore                      regna per sempre           
                

Dalla lettera di san Giacomo apostolo 5,7-10
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Dal Vangelo secondo Matteo 11,2-11
Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

SPERANZA IN AGONIA? D. Augusto Fontana
Esperti in delusioni.
Lo scrittore teologo Sergio Quinzio, nel saggio Mysterium iniquitatis[1], immaginava che nell’anno 2000 l’ultimo Papa scrivesse la sua ultima Enciclica “Mysterium iniquitatis” definendo come dogma infallibile il “fallimento del cristianesimo nella storia del mondo”. Dopo la firma dell’Enciclica, il Papa Pietro II° sale all’interno della cupola della basilica di S. Pietro e si suicida lasciandosi cadere “sul luogo dei falsi trionfi”. Anche Giovanni il Battezzatore nutre dubbi sul messianismo realizzato di Gesù. I discepoli di Gesù patiscono scandalo dall’evidente fallimento. Noi non siamo in condizioni migliori di loro perchè “vediamo che la terra non fiorisce di bellezza e non si vede nessun sentiero santo su cui camminano i riscattati dal Signore. Allora ci dobbiamo domandare: qual è la ragione di questo scandalo? In che senso la promessa del Signore non è scaduta e può essere ancora annunciata senza che la smentita dei fatti renda mute le nostre labbra? Molte volte le speranze che incontriamo ci sembrano un prodotto dell’illusione e della volontà di autoconsolazione. Forse, per essere cristiani dobbiamo barare sulla realtà e far finta che le cose non vadano come stanno andando? Molte volte è così. Io penso che il primo nostro dovere sia quello di non mentire di fronte ai fatti. E’ una condizione di maturazione della nostra fede. Dobbiamo affrontare lo scandalo di una promessa di Dio continuamente narrata nelle nostre assemblee e di fatto smentita tutti i giorni. La nostra speranza non si deve basare sulle conferme o meno dei fatti, perchè si basa sulla fede in Dio. E’ solo questa speranza che è legittimamente immune dalla smentita dei fatti. La speranza è più forte dei fatti. Non li salta, non li aggira; li attraversa e li contesta. Se io spero e credo che il Regno di Dio viene, non lo credo per un esame della storia. Nell’altra faccia della realtà, la fede contempla il Dio che si è impegnato. Se io credo che il mondo sarà cambiato non è per i segni che riesco a discernere dentro il groviglio dei fatti, ma perchè c’è la promessa di Dio che è la ragione ultima del mio sperare. Per questo, la speranza che si appoggia sulla fede si manifesta come invincibile pazienza. Pazienza non in senso passivo, ma come perseverante volontà di affrontare i fatti, di vederli nella trasparenza della promessa, di far germogliare ciò che in essi c’è di positivo e di combattere ciò che c’è di negativo. La pazienza si paga. Innanzitutto mettendosi dalla parte dei deboli, coloro che hanno diritto di sperare.”[2]

Coraggio, ecco il vostro Dio (Profeta Isaia)
Il brano appartiene alla “piccola Apocalisse” del Libro di Isaia e non è opera di Isaia perchè il contesto storico da cui ha origine è il periodo dei primi anni dopo l’esilio a Babilonia. In quegli anni lo Stato di Israele, già diviso in due regni, era aggredito dagli Idumei (Edom). In questo periodo di difficoltà e oppressione, i capitoli 34-35 annunciano la fine delle aggressioni di Edom e un periodo di tranquillità religiosa e sociale.
Vv.1-2: terra e deserto tra gioia, canti e fiori. E Dio che vi passeggia dentro. Qualcuno sorride davanti a questa illusa promessa paradisiaca da “paese della cuccagna”. Altri spiritualizzano il deserto identificandolo con l’anima. Innanzitutto occorre accettare questo “materialismo biblico della speranza” che non trascura le esigenze della convivenza terrena. Il cap. 8 del Deuteronomio può servire per capire questa pagina: “Il Signore nel deserto ti ha fatto provare fame per farti capire che l’uomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca di Dio. Il tuo vestito non si è logorato e il tuo piede non si è gonfiato durante i quarant’anni nel deserto. Ora il Signore sta per farti entrare in un paese pieno di sorgenti e di raccolti dove non ti mancherà nulla. Ma tu quando avrai mangiato e avrai costruito belle case e abbonderai di denaro e di cose, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio”.
Vv.3-4: incoraggiamento ai poveri rimasti delusi di Dio. In Isaia 40,27-31 si dice: < Perché dite: ” Il nostro diritto è trascurato dal nostro Dio”? La sua sapienza è inscrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani si stancano e gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi>.

Le pozzanghere dove si riflette Dio (Salmo 146).
Questo Salmo è il primo del gruppo denominato dagli ebrei Hallel(lode). Si cuce bene addosso alla proclamazione di Isaia e alle parole di Gesù nel Vangelo di oggi. Più che una preghiera di invocazione, il Salmo è una proclamazione di fede o, meglio, una descrizione di ciò che è in atto. Anche Gesù nel Vangelo dirà:<Andate a riferire ciò che udite e vedete>.
Forse il compositore del Salmo non è solo uno spettatore/notaio che registra eventi accaduti ad altri, ma è lui stesso un cliente di Dio che ha sperimentato la Sua capacità trasformante, dopo aver fatto il lacchè e il galoppino di qualche politico che conta.  Il salmista compone dodici giaculatorie, dodici articoli di un Credo, eventi visti e sperimentati. Una litania di nomi di Dio che in ebraico suonano così: il creatore, il fedele….. Poi un elenco di soggetti in fila davanti alla soglia del tempio dove Dio distribuisce le sue speranze a chi le attende. Infine un elenco della attività di Dio, da disturbare i sonni di ogni benpensante religioso o della nostra fede borghese e assenteista .

Dopo aver seminato, siate pazienti. (Lettera di Giacomo cap.5)
v.7:Dunque. Il brano liturgico inizia con una conclusione: dunque…. Cosa aveva scritto Giacomo, prima di queste righe, per dover tirare queste conclusioni? La comunità di Giacomo era convinta che il ritorno del Signore fosse imminente, ma ciò non le impediva di inquinare la vita quotidiana con una serie di infedeltà che provocano Giacomo ad offrire consigli morali, al termine dei quali si pone questo cap. 5.
v.7-9:Venuta del Signore. Una buona vita evangelica quotidiana costituisce una strategia dell’attesa del Signore in atteggiamento di pazienza attiva. Noi, che viviamo con gli occhi fissi ai sassi del sentiero, abbiamo bisogno di riproporci un test: io Chi aspetto?
La Pazienza. La pazienza evangelica non è una virtù primariamente psicologica, ma teologica, cioè motivata dalle tradizionali rassicurazioni della fede: <Spera nel Signore e segui la sua via; ti esalterà, tu possederai la terra e vedrai il fallimento dell’empio>(Salmo 37,34); <Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore>(Salmo 27); <In Te mi sono rifugiato, mai sarò deluso…Siate forti, riprendete coraggio o voi tutti che sperate nel Signore> (Salmo 31). La pazienza evangelica non è una virtù passiva, in quanto l’agricoltore attende ma dopo aver seminato.
Visto che in questo mese ricorre il 54° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II° (8 dicembre 1965), possiamo rileggere alcune righe del Lumen gentium(36/379):< I fedeli devono riconoscere la natura intima di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio, e aiutarsi a vicenda in una vita più santa anche con le opere terrene così che il mondo sia imbevuto dello Spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace. Nel compiere questo dovere, i laici hanno il posto di primo piano. Così Cristo, per mezzo dei membri della sua Chiesa, illuminerà sempre di più con la sua luce salvifica l’intera società umana>.
Beato chi non si scandalizza di me (Vangelo di Matteo)
Con i cap. 11-12 assistiamo ad una svolta nel Vangelo di Matteo. Nei primi 10 capitoli, l’avvicinarsi del Regno in Gesù sembrava non incontrare ostacoli. L’opposizione non è assente, ma Gesù ne salta sempre fuori vincente. Dopo questi due capitoli, il Vangelo sarà presentato come la storia di un rifiuto. Solo i piccoli e i semplici non verranno scandalizzati dal mistero. Il brano di oggi è composto di 2 parti: il racconto dell’ambasciata dei discepoli di Giovanni e l’elogio di Giovanni (e di chiunque è come lui) da parte di Gesù.
Colui che deve venire. E’ un titolo messianico molto conosciuto tra i profeti e il popolo. E’ uno dei nomi di Dio: il Veniente. Chi è il cristiano se non colui che con le lampade accese aspetta lo sposo veniente? E se tarda, lo aspetta perchè Egli deve venire.
Ciò che udite e vedete. E’ strano come Matteo usi anche il verbo “udire” riferendosi ai SEGNI. Di solito i segni devono solo essere visti. Invece occorre anche udire i segni.
Beato chi non si scandalizza. Il termine greco skandalon si usava per indicare la trappola per catturare gli animali, oppure una trave o sasso contro cui si inciampa. Questa ulteriore Beatitudine di Matteo definisce che entrerà nel Regno chi rispetta Dio come Dio senza addomesticarlo e chi accetta che la sua trascendenza si riveli non nel fondamentalismo da talebani, ma nella debolezza della misericordia. Ma c’è una sottile precisazione da fare: qualche volta Dio si rivela Dio proprio quando ci scandalizza. Il Natale banalizzato, mieloso, ripetitivo come una cantilena, colmo di ovvietà religiose superficiali e di saturazione sociologica non ci scandalizza più.

Ho chiesto al Signore:<Aumenta la mia fede!>. E Lui mi ha risposto:<Non posso, figliolo! Non posso proprio, visto chi frequenti, dove vivi, come ti vesti>. Da quel giorno mi sono scandalizzato di Lui. E sono rimasto senza beatitudine. Ma mi sono tenuto il mio Natale; un giocattolo banale da non barattare con nessun Dio serio.


[1] S. Quinzio Mysterium iniquitatis, Adelphi edizioni 1995, pag. 86.
[2] E. Balducci Il mandorlo e il fuoco, Borla 1980, pag.30-34




IMMACOLATA. CHI?
d. Augusto Fontana

Oggi è festa di Gesù, santo, immacolato nella carità, figlio di Dio fin da prima della creazione del mondo. Sì, il mio occhio si ferma su Gesù, concepito uomo immacolato, figlio santo, fratello giusto. Anche oggi, nel pieno dell’Avvento, l’occhio si deve fermare sul Santo dei Santi, San Gesù di Nazareth, stella incandescente della nostra fede, prima ancora che fare l’elogio di luna Maria che vediamo brillare di luce indiretta nelle nostre notti, colpita dal sole mentre viaggia negli spazi siderali della Storia della salvezza. Per trovare la donna Maria di Nazareth occorre scavare perché è stata seppellita sotto una montagna di dogmi, leggende, visioni e devozioni.

 Dal libro della Genesi 3,9-15.20.
[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12 Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13 Il Signore Dio disse alla donna : «Che hai fatto? ». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». 14 Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. 15 Io porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». 20  L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

 Salmo 98/97,Rit. Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie
1Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo.
2Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
3Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio.

4Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni!

 Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1,3-6.11-12
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. 11 In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – 12 ad essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.

Dal Vangelo secondo Luca 1,26-38
In quel tempo, 26 l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia, il Signore è con/in mezzo a te». 29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30 L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e 33 regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34 Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35 Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: « Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

SCELTI IN CRISTO PER ESSERE SANTI E IMMACOLATI NELLA CARITA'(Efesini 1).
Don Augusto Fontana

Oggi è festa di Gesù, santo, immacolato nella carità, figlio di Dio fin da prima della creazione del mondo. Ugo di San Vittore si esprime così: “Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento” (De arca Noe, 2, 8). Noi oggi, come scriveva l’evangelista Giovanni (1,14), contempliamo “la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”. Noi oggi celebriamo la nostra liturgia con Gesù, uomo come noi “escluso il peccato”(Eb 4,15-16). Sì, il mio occhio si ferma su Gesù, concepito uomo immacolato, figlio santo, fratello giusto.
Quando in parrocchia moriva qualcuno, i parenti ci tenevano a incontrarmi per raccontare le virtù del defunto o defunta: “sorrideva sempre…amava i cani e la natura…gran lavoratore e mangiatore…” ecc. E poi mi chiedevano: “Lo dica questo durante la predica”. Ma io li deludevo perché nella liturgia dobbiamo soprattutto parlare di Gesù, della sua vita-morte-risurrezione in cui anche la vita del defunto riceve senso. Anche oggi, nel pieno dell’Avvento, l’occhio si deve fermare sul Santo dei Santi, San Gesù di Nazareth, stella incandescente della nostra fede, prima ancora che fare l’elogio di luna Maria che vediamo brillare di luce indiretta nelle nostre notti, colpita dal sole mentre viaggia negli spazi siderali della Storia della salvezza.

Un po’ di storia di questa festa[1].
L’8 dicembre 1854, dopo un’ampia consultazione dell’episcopato di tutto il mondo, Pio IX definiva il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria con la Bolla Ineffabilis Deus: « ….con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina la quale ritiene che la beatissima Vergine Maria, per singolare grazia e privilegio di Dio Onnipotente a lei concesso in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, sia stata preservata da ogni macchia di colpa originale fin dal primo istante della sua creazione, è stata da Dio rivelata, ed è perciò da credere fermamente».
Già nel sec. IV, Procolo (+ 305), martire napoletano, dice che la Madre di Dio doveva essere formata «da un’argilla monda» come Adamo ed Eva prima del peccato e l’espressione è citata da Pio IX nella bolla Ineffabilis Deus con cui dichiara il dogma. Nel IX secolo in Irlanda si celebra una festa della «Concezione di Maria» fissata al 2 o 3 maggio. Nel XII secolo, i monasteri benedettini di Inghilterra la celebrano l’8 dicembre. Da questo momento la sua diffusione è rapida: Normandia, Lione, Belgio, Spagna, Francia, Italia e in alcuni monasteri della Germania. San Bernardo (1091-1153), un grande devoto di Maria, contestò la legittimità della festa da poco introdotta: tutte le creature nessuna esclusa hanno bisogno della redenzione di Cristo. Anche Tommaso di Aquino (1228-1274) è sulla stessa linea. Nella sessione VI del Concilio di Trento del 1546 alcuni padri conciliari chiesero la promulgazione di una definizione dogmatica dell’immacolata concezione. Alessandro VII (1655-1667) l’8 dicembre 1661 precisava il contenuto della concezione immacolata di Maria: la preservazione dell’anima della Vergine dalla colpa originale «a causa dei meriti di Gesù Cristo suo figlio, Redentore del genere umano». Dunque questo dogma nasce dalla Rivelazione biblica implicita e interpretata; e dalla devozione popolare.

Il peccato originale[2].
Molto di questa festa lo si deve alla teologia del “peccato originale” secondo Agostino (+430) un po’ manicheo, ma solo un po’. Il teologo Pelagio (+420) affermava che ogni uomo nasceva innocente, ma con la capacità di compiere il male, grazie al dono del libero arbitrio. Agostino gli si opponeva sostenendo che il peccato dei progenitori era ereditario per tutti i secoli dei secoli. Nel 418 il concilio di Cartagine si schierò con la posizione di Agostino e condannò come eretici i pelagiani. E noi restammo inchiodati lì fino ai giorni nostri.
Il dogma dovrebbe crescere e lievitare dall’interno, come afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II (Dei Verbum, n. 8): «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro sia con l’intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro che con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio».
Dopo il Concilio Vaticano II° molti teologi, Vescovi e Papi hanno fatto barriera attorno alla dottrina del “peccato originale” con tenue aperture sul complesso dei dogmi. Dovremmo dare per scontato che una dottrina fondata su racconti così remoti come quelli della Genesi e sulle riflessioni dell’Apostolo Paolo (Rom. 5,12-21) contengano ‘rivestimenti’ culturali oggi improponibili e che la Chiesa si trovi nella necessità «di presentare, difendere ed illustrare le verità della fede divina con concetti e parole più comprensibili alle menti formate alla odierna cultura filosofica e scientifica» (Paolo VI, discorso del 11 luglio 1966 ai partecipanti al Simposio sul peccato originale tenutosi a Nepi).
Il Papa Benedetto XVI nella Catechesi del 10 dicembre 2008 aveva detto, tra l’altro: «Se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale, è perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della libertà in Cristo. La conseguenza di ciò è che non dovremmo mai trattare del peccato di Adamo e dell’umanità in modo distaccato dal contesto salvifico, senza comprenderli cioè nell’ orizzonte della giustificazione in Cristo».
L’uomo non è in grado di ac­cogliere i doni divini in un solo istante, ri­chiede molto tempo per interiorizzare tutte le informazioni necessarie allo sviluppo completo delle sue strutture. Per questo nasce incompiuto e imperfetto. La possibilità di compiere il male, che ne consegue, accompagna tutto il suo processo sto­rico. Solo alla fine, quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15, 28) anche il male, il disordine, la morte saranno sconfitti. D’altra parte l’imperfezione delle creature si esprime in scelte negative che guastano le relazioni, deturpano la vita e inquinano anche la sua trasmissione alle nuove generazioni. Ogni creatura nasce con i limi­ti, le debolezze e le insufficienze causate dalle violenze, dalle idolatrie e dagli errori delle generazioni precedenti. La responsabilità degli umani è che molti diventino testimoni efficaci della potenza del Bene e della fecondità dell’Amore in modo che la Vita prevalga sulla morte.
Anche Gesù fatto in tutto simile a noi “eccetto che nel peccato” è stato tentato e ha dovuto fare delle scelte continue; come si può supporre che anche Maria, battezzata nella benevolenza originaria di Dio, abbia vissuto nella fatica della fede, come quando Gesù a 12 anni viene smarrito dai genitori « Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio… Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole… Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,43-50). I tre giorni di smarrimento anticipano la fatica di Maria nello smarrimento della croce e della tomba vuota.

Per trovare la Chiesa in Maria.
Per trovare la donna Maria di Nazareth occorre scavare perché è stata seppellita sotto una montagna di dogmi, leggende, visioni e devozioni.
A Nazaret. Dio si manifesta a una giovane donna, in una casa a Nazareth lontano da Gerusalemme, cuore religioso del paese. È forte il contrasto con l’annuncio al sacerdote Zaccaria nel tempio. “Dio sceglie quello che è stolto per il mondo… quello che è debole per il mondo… quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla…” (1Cor 1,27-29). Nazareth, “un paesino senza storia della meticcia Galilea, dal sacro al profano. Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa” (E.Ronchi).
A una donna. Gesù la chiamerà sempre Donna. È il nome che Adamo ha dato ad Eva: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,23). Venuto a mancare il vino a Cana Gesù le dice: «Donna, che vuoi da me?» (Gv 2,3-4). Gesù in croce vedendo sua madre e indicando il discepolo Giovanni disse: «Donna, ecco tuo figlio!». (Gv 19,26-27). Maria è la donna della creazione nuova o rinnovata (cf. Genesi 3,9-15.20). La chiesa è “donna” ricavata dal lato di Adamo, nata dal lato del crocifisso.
Rallegrati. In greco è Kaire! che vuol dire rallegrati! Non è un educato “buongiorno”, ma un saluto profetico. Il profeta Zaccaria, annunciando la venuta del re Messia, aveva esclamato: Rallegrati, figlia di Sion, esulta, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re (Zc 9,9). E tre secoli prima il profeta Sofonia aveva usato identiche parole: Rallegrati, figlia di Sion, manda grida di gioia, Israele (Sof,14). Maria, come sospetto, ascoltava le Sante Scritture e i racconti del suo popolo; intuisce dunque che il saluto la risucchia come protagonista dell’Ora del Messia.
Piena di grazia. (ebr. Hesed. Greco Karis=amore gratuito e performante). Papa Giovanni Paolo II aveva osservato che per rendere con più esattezza la sfumatura del termine greco (kekaritomene), non si dovrebbe dire semplicemente “piena di grazia”, bensì “resa piena di grazia” oppure “colmata di grazia“, il che indicherebbe chiaramente che non si tratta di bellezza o fascino personale ma di un amore gratuito e performante di Dio che è “ricco di grazia e di fedeltà” (Esodo 34,6). Il termine è adoperato nella Lettera agli Efesini 1,6: “a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto”. Per Paolo in Romani 5,15, ciò che è detto a Maria è per tutti gli uomini (la grazia di Dio e il dono concesso in[…] Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini). Nella Lettera agli Efesini oggi abbiamo ascoltato: « In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”. Maria è il concentrato di una destinazione universale per battezzati e non. “Non è piena di grazia perché ha detto “sì” a Dio, ma perché Dio ha detto “sì” a lei prima ancora della sua risposta. E lo dice a ciascuno di noi: ognuno pieno di grazia, tutti amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre, piccoli o grandi ognuno riempito di cielo” (E. Ronchi).
Il Signore è con te. Maria, forse, sa a chi erano state rivolte prima di lei: “Non temere io sarò con te” dice il Signore a Mosè, l’uomo dell’Esodo (Esodo 3, 12); “come sono stato con Mosè, così sarò anche con te”, parole rivolte da Dio a Giosuè, l’uomo che fa entrare Israele nella terra promessa (Giosuè 1, 15); “il Signore è con te uomo forte e valoroso” dice l’angelo a Gedeone quando annuncia la sconfitta dei Madianiti attraverso di lui (Giudici 6,12). Maria, forse, capisce che non sta ascoltando un complimento ma una vocazione e una missione a diventare una colonna della lunga storia di salvezza.
Eccomi. “Maria con la sua ultima parola rivela il nostro vero nome. Il nome dell’uomo è: «Eccomi!»”. (E.Ronchi).

Il Concilio Vaticano II° afferma: «In Maria la Chiesa ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione e in lei contempla ciò che essa desidera e spera di essere» (Sacrosantum Concilium 103).


[1] Mi riferisco ad appunti di don Paolo Farinella
[2] Mi riferisco a studi del teologo Carlo Molari (articoli vari in ROCCA, Pro Civitate Christiana, Assisi, anni 2012, 2013, 2014, 2016)




1a domenica di Avvento A. 1 dicembre 2019
VEGLIATE DUNQUE. D.Augusto Fontana

Invidio chi aspetta qualcuno. O qualcosa. Invidio la gente di buona volontà in Israele e Palestina; invidio i monaci che vegliano nell’ansia paziente; invidio la ragazza che attende la licenza del fidanzato militare in Iraq; invidio Francesca e Marco che tra pochi giorni partoriranno. Li invidio tutti, e altri ancora, perchè io, al massimo, divento uomo dell’attesa impaziente solo alla fermata dell’autobus o allo sportello di banca. Viviamo tempi senza progettualità, quasi alla giornata, dove ci si riduce a rimanere a galla, a sopravvivere, a tirare a campare, a tirarsi fuori dai fastidi. L’Avvento è un buon tempo per rimettersi seduti con Dio, ma senza pantofole. La vigilanza è un dinamismo costruttivo.

1a domenica avvento A

Preghiamo. O Dio, Padre misericordioso, che per riunire i popoli nel tuo regno hai inviato il tuo Figlio Unigenito, maestro di verità e fonte di riconciliazione, risveglia in noi uno spirito vigilante, perché camminiamo sulle tue vie di libertà e di amore fino a contemplarti nell’eterna gloria. Per Gesù Cristo il nostro Signore.
ISAIA 2, 1- 5
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.

Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sui colli; ad esso affluiranno tutte le genti.
Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.
Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore.

Salmo 122. Andiamo con gioia incontro al Signore.
Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!».

Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!
È là che salgono le tribù, le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele, per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide.
Chiedete pace per Gerusalemme: vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi.
Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene.

Lettera ai Romani 13. 11-14
E’ ormai suonata l’ora (kairòs)di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò:

  • gettiamo via le opere delle tenebre,
  • indossiamo le armi della luce,
  • comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, in litigi e gelosie.
  • Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.

MATTEO 24,37-44
Gesù disse ai suoi discepoli: Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti, perché nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

VEGLIATE, DUNQUE. Don Augusto Fontana

ISAIA. «Venite, camminiamo alla luce del tempio del Signore».
L’Oracolo di Isaia è pronunciato in un momento di crisi politico-religiosa: il popolo cerca delle alleanze politiche e non Dio. Il contesto storico lo si può capire da Isaia 2,7 nel quale possiamo riconoscere anche il nostro tempo: «Il paese è pieno di argento, oro e tesori; molti sono i cavalli e i carri da guerra; è pieno di idoli e la gente adora l’opera delle proprie mani». Per facilitare la lettura di oggi evidenzierò alcuni termini attorno a cui è organizzato il messaggio:

  • Il monte del tempio del Signore più alto dei miei tempietti;
  • convocazione universale di “tutti i popoli”;
  • pace messianica.

Rivisitiamo i temi del messaggio di Isaia.

  • Il monte del tempio del Signore. Sarà eretto più alto di tutti i monti. Non ti fa venire in mente lo sforzo umano della torre di Babele in Genesi 11,1-9? Nella logica dell’Avvento, questo Tempio del Signore è la carne di Gesù di Nazaret, Tempio del Dio vivente. Sopra alle vette delle montagne e delle torri che ho costruito nella mia coscienza e nella mia organizzazione sociale e familiare, c’è da attendere che Lui svetti più in alto. Nella mappa della nostra coscienza e del nostro vivere collettivo possiamo rilevare tanti tempietti e boschetti religiosi; sono le nostre architetture babeliche. La persona di Gesù è più in alto o più in basso? La grande attesa è incominciare a desiderare, con impazienza e con pazienza, che svetti questa guglia.
  • Tutti i popoli. L’universalismo di Isaia farà fatica a farsi strada nel sovranismo di Israele. Le epifanie di Gesù hanno sedotto molti, soprattutto quelli che non erano ritenuti degni di appartenenza ai circoli esclusivi dei puri e dei praticanti: «Questo è il mio sangue sparso per voi e per tutti». L’ansia esclusivistica prevale, oggi, sull’ansia inclusiva ed estensiva. Le strategie diffusive le lasciamo, purtroppo, gestire solo ai centri di marketing delle aziende per collocare i prodotti su mercati sempre più vasti. L’Avvento è partecipare all’ansia estensiva di Gesù. «camminare, salire, affluire, andare»: sono i verbi dell’uomo davanti alle epifanie di Dio. Il Tempio che sogna Isaia non è più il Tempio in cui si offrono sacrifici cruenti e culti esteriori, ma è il Tempio dove il Signore indicherà le sue vie e ci darà la forza di camminare sui suoi sentieri (vers.3). L’Avvento è tempo di strategie di accostamento, è tempo per lasciarci sedurre e abbordare da Lui.
  • L’arte della pace. E’ l’arte del trasformare la lingua da punta che ferisce in vomere che ara la durezza dell’interlocutore; è l’arte del trasformare le fabbriche di armi in fabbriche per lo sviluppo. Intanto nel 2018 il Governo italiano ha stanziato 25 miliardidi euro per la difesa (1,4 per cento del Pil), con un aumento del 4% rispetto al 2017 e ha autorizzato l’esportazione di armi per 5 miliardi. L’avvento è la beatitudine di accogliere il Gesù della pace integrale: quella con Dio anche nel momento in cui si rivela come Mistero, quella col coniuge e col collega, quella di una politica ragionata e non rissosa, quella dei deboli e non dei forti, quella basata sulla coscienza prima ancora che sulle leggi. E chi più ne ha più ne metta.

PAOLO. Tempo di svegliarsi e rivestirsi.
Il brano appartiene al Cap. 13 della Lettera di Paolo ai Romani scritta dopo solo 24 anni dalla risurrezione di Gesù. Paolo, dopo aver svolto profondissime riflessioni sul mistero di un Dio che salva gratuitamente, tira alcune conseguenze etiche per il comportamento del cristiano. Nel Cap. 12 dice: «Vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto umano e spirituale». Per Paolo, dunque, il vero culto si celebra con gli strumenti della vita quotidiana e ne offre alcuni esempi nei capitoli 12 e 13. Al termine del capitolo 13 egli offre la ragione fondamentale di questi atteggiamenti cristiani: ogni ora della nostra vita deve diventare la dimostrazione che stiamo vivendo non più nella notte dello smarrimento, dell’incoscienza e della pigrizia, ma nel giorno pieno del passaggio del Signore. Nel linguaggio biblico esistono due termini per indicare il tempo:

  1. Kronos = i secondi, i minuti, le ore dell’orologio. Quel tempo che scivola via senza arte né parte, routinario, annoiato, senza sbocchi. Quel tempo ansiogeno che accatasta un’attività dopo l’altra, come quintali di rifiuti non smaltiti sui marciapiedi della nostra vita.
  2. Kairòs = gli appuntamenti gioiosi; le scadenze severe e cariche di responsabilità; l’ora delle firme che impegnano e dei patti che coinvolgono; gli eventi che ti cambiano la vita.

Possiamo evidenziare alcuni temi attorno a cui si sviluppa il messaggio del brano:

  • svegliarsi
  • spogliarsi del pigiama (l’abito della notte, le opere delle tenebre)
  • rivestirsi del Signore Gesù (gli abiti da lavoro onesto e quelli per la festa fraterna).

Il tempo dell’Avvento è Kairòs, ma io ho ancora addosso il pigiama da notte e ho dato una manata decisa a quella maledetta sveglia che ha suonato. Mi sono girato e sto riaddormentandomi. Hanno anche suonato alla porta: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Apocalisse 3).

MATTEO. Travolti da cose buone, dimentichiamo Dio.
Come riconoscere i segni premonitori di una scadenza carica di responsabilità? Come accorgersi della venuta del Signore? Per rispondere a queste domande della Chiesa, l’Evangelista Matteo, nel Cap. 24 mette in campo 3 parabole: quella del fico, quella del diluvio e quella del proprietario e del ladro. Nel brano odierno vengono citate le ultime due.
Attendere (AD-TENDERE) non significa “aspettare”, ma “TENDERE-A”. E l’Avvento non è preparazione alla festa del Natale. Il compito della liturgia di Avvento è farmi uscire dall’asfissia del presente: un presente che mi anestetizza o mi droga o mi culla o mi sovreccita. Sì, perchè oggi abbiamo ridotto il nostro tempo (Kronos) a dormire o correre. La liturgia introduce una alternativa: svegliati, fermati e inginocchiati!. Nel brano del Vangelo è ben descritto chi vive con affanno il presente, drogato dall’attivismo: la vera malattia del sonno della fede è non accorgersi della relazione con Gesù. Osserviamo bene le attività umane elencate da Gesù: mangiare, lavorare, sposarsi. Non sono scelte disumane o peccaminose. Noi dimentichiamo Dio, travolti da cose buone.
La frase “uno sarà tolto e l’altro verrà lasciato” vogliono indicare che la vita è una partita che si gioca senza tempi supplementari. C’è chi viene preso e travolto e chi viene liberato. Il rischio di distrarsi è forte. Il rischio di dormire altrettanto. Il sonno, per i vangeli, rappresenta il rifiuto di stare con Gesù. Nel racconto della Trasfigurazione e nell’agonia del Getsemani, i 3 discepoli testimoni “erano oppressi dal sonno”; il termine greco upnò richiama l’ipnosi, l’ubriacatura, la vertigine. Siamo quindi invitati a evitare di lasciarci andare, di galleggiare. Spesso si galleggia e si sopravvive anche in una fede non morta, ma che vive di rendita. Il cristiano dell’Avvento è un appassionato inquieto del Regno di Dio: Venga il tuo Regno!
Viviamo tempi senza progettualità, quasi alla giornata, dove ci si riduce a rimanere a galla, a sopravvivere, a tirare a campare, a tirarsi fuori dai fastidi. Occorre ritrovare in Gesù stesso il progetto unitario della vita, il Kairòs che rimette in moto un ripensamento sui modelli di vita, di consumo, di lavoro, di relazioni. L’Avvento è un buon tempo per rimettersi seduti con Dio, ma senza pantofole. La vigilanza è un dinamismo costruttivo.




IL SERVO CHE FU FATTO RE. 24 novembre 2019
Don Augusto Fontana

Il trono di Gesù, di volta in volta, fu una mangiatoia per animali, un palo sospeso, un catino, una mensa, un asinello. E per ambasciatori si scelse affamati, assetati, nudi di casa e di vestiti, ammalati, carcerati, stranieri impuri. Un re da burla: «intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, si burlavano di lui dicendo: “Salve, re dei Giudei” e gli sputavano addosso» (Matteo 27,29-30). Macabra liturgia di investitura regale.

Preghiamo. O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre; fa’ che camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua gloria in paradiso. Egli è Dio, e vive e regna con te…

Dal secondo libro di Samuèle 5,1-3
In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero (dall’ebraico mašīaḥ=messia)  Davide re d’Israele.

Sal 121 Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!».

Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!
È là che salgono le tribù, le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele, per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési 1,12-20
Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce.

È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

Dal Vangelo secondo Luca 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male (niente fuori luogo; dal greco: udèn àtopon)». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «Amen io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». 

UN RE COL GREMBIULE. D. Augusto Fontana
L’ultima Domenica dell’Anno liturgico accentua le connotazioni della festa di Pasqua-Ascensione. La festa di oggi, di fatto, celebra in sintesi tutto il mistero di Gesù di Nazareth: «Cristo è morto ed è ritornato alla vita per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,9). Paolo, nelle sue Lettere, per 243 volte chiama Gesù con l’attributo di Signore e 358 volte lo chiama Cristo; ma è cosciente che questi titoli, di origine pasquale, portano scompiglio: «noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor 1, 23). Crocifisso…scandalo…stupidità (in greco: morìan). Parole blasfeme per orecchie pie e devote.
Oggi il 2° Libro di Samuele e l’Inno liturgico riportato dalla Lettera ai Colossesi privilegiano titoli solenni: Re, Capo, Pastore, Messia, Signore, Christòs, Primogenito. Parole strane, d’altri tempi. Parole che hanno tuttavia travolto e trasfigurato mistici, martiri, discepoli. Ma che a me oggi -forse per mia colpa – non mi svelano granché, non mi scardinano, non mi buttano in ginocchio, non mi fanno trattenere il fiato, non mi accelerano i battiti. Eppure sono ancora curioso. Cosa avrà voluto dire l’apostolo Tommaso con quel suo «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28)? E Marta e Maria: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11, 21.32)? E Maria di Màgdala quando annuncia ai discepoli: «Ho visto il Signore» (Gv 20,18)?
E poi: che senso avrà oggi il “Cristo Re” per i sette presbiteri nigeriani sequestrati (tra cui due uccisi durante la prigionia) in meno di otto mesi?
“Cristo Re”, è l’opposto di ciò che Gesù di Nazareth è stato: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Lc. 22,27). “Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire”(Mt. 20,28).
I suoi discepoli, di ieri e di oggi, spesso sono tentati di sognare poltrone, visibilità, invidiabili share, ola da stadio: «E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate”» (Mc 10,35-38). Lui, il maestro laverà i loro piedi dicendo: «Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri».(Gv 13,13-14). E sul Golgota, alla sua destra e sinistra ci saranno due banditi con-crocifissi. Nel Vangelo di Giovanni, dopo la narrazione del segno della condivisione dei pani e dei pesci, viene detto che “Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo” (6,15). E quando Giuda sta per consegnare Gesù si sente chiamare così:« Amico…». (Matteo 26,50).
Dunque Gesù servo e amico più che re. Allora decidiamoci una buona volta di fare una petizione al Papa per cambiare la festa di CRISTO RE in festa di CRISTO SERVO. Toglierebbe molti equivoci, a partire dalle motivazioni originarie della festa istituita da Pio XI nel 1925 per reagire al laicismo e per rivendicare il ruolo di una chiesa regina[1].
Già il Concilio Vaticano II° aveva dato una sterzata: “Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana. Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori. Ha rivelato l’amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d’ogni giorno. Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale. Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua regione. Nella sua predicazione ha chiaramente affermato che i figli di Dio hanno l’obbligo di trattarsi vicendevolmente come fratelli. Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di tutti. «Nessuno ha maggior amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici» (Gv15,13)[2].

Un re da burla.
Il trono di Gesù, di volta in volta, fu una mangiatoia per animali, un palo sospeso, un catino, una mensa, un asinello. E per ambasciatori si scelse affamati, assetati, nudi di casa e di vestiti, ammalati, carcerati, stranieri impuri. Un re da burla: «intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, si burlavano di lui dicendo: “Salve, re dei Giudei” e gli sputavano addosso» (Matteo 27,29-30). Macabra liturgia di investitura regale.
Luca ha sviluppato il racconto della crocifissione con sapiente abilità compositiva indirizzandolo al suo particolare interesse di annuncio. Gesù appare come il prototipo del martire che affidandosi a Dio sopporta ogni derisione. Nella richiesta di perdono per i carnefici e nella parola a uno dei delinquenti egli si mostra come il salvatore dei peccatori. La scena della crocifissione è un dramma sacro, una liturgia[3]: «Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui… Il popolo stava a guardare… Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando queste cose» (Luca 23,27.35.48-49). Ai piedi della croce si va formando la sua e nostra comunità. I conoscenti di Gesù e le donne rappresentano il nucleo della Chiesa.
Visto che tutti “assistevano da lontano”, chi avrà raccontato a Luca questo dialogo di tre morenti che avevano ancora la forza di emettere fiato in agonia? Luca è l’unico tra gli evangelisti che riporta questo dialogo. Forse si ricordava di aver scritto il capitolo 15 con le tre parabole della misericordia verso i perduti. Durante la passione Gesù incrocia 4 criminali: Barabba liberato durante il processo, il centurione che glorifica Dio dicendo “veramente quest’uomo era giusto” e i due crocifissi con lui di cui uno “santificato”. Per ora è un raccolto che sta nel palmo di una mano per questo Rabbi-agricoltore che ha seminato e sprecato a piene mani. Gesù non è un re politico arruffapopolo che agglutina le masse; si rivolge spesso, e anche qui, all’uno, a me o a te come se non esistesse nessun’altro.
La catechesi di Luca si concentra sulla triangolazione di un dialogo:

 -«Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!».
 -«Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di straordinariamente fuori luogo
 -«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
 -«Amen io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Qual è il senso e la portata di questa festa per la mia e tua esistenza?

Dio aveva posto l’uomo in un giardino di delizie (in ebraico: gan ‘eden); giardino che verrà poi chiamato in greco paràdeisos che designa un giardino recintato, un parco. Vale la pena citare il libro del Cantico dei cantici (4,13): «Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, i tuoi germogli sono un paradiso di melograni, con i frutti più squisiti». Il giardino chiuso o paradiso non è un luogo ma è una persona amata: “sarai con me” come ora “sei con me”.

  1. Riconoscere che Cristo è mio-re significa adattarmi gradualmente a pensare che Lui è Dio vivo, e quindi – come diceva il Card. Martini[4] – «significa che Dio è imprevedibile, che la sua azione nei nostri riguardi è libera e sovrana, che non possiamo mai calcolare niente in anticipo. Un Dio che non è fatto come lo penso io, che non dipende da quanto io attendo da lui, che può dunque sconvolgere le mie attese, proprio perché è vivo».
  2. Riconoscere che, per Cristo, regnare significa servire ci porterà a capire «che il cristianesimo non è un’ideologia che aspira ad essere imposta con la forza dello Stato. I mezzi del potere sono estranei al cristianesimo che sarà sempre più un fermento, una luce, una profezia, un esempio che non impone nulla e si presenta nell’umiltà»[5].
  3. Riconoscere e celebrare Cristo-Re significa ridare anche consistenza al ruolo Sacerdotale e liturgico di ogni battezzato. Benché piccola e balorda che sia, ogni assemblea liturgica anticipa nel tempo la liturgia finale del regno.
  4. Riconoscere e celebrare Cristo-Re significa che ogni battezzato potrà scoprire il valore sacramentale e salvifico della sua pratica messianica nel lavoro, in famiglia, nel volontariato, nel rispetto della creazione e della vita, nell’accoglienza dei piccoli, nella riammissione degli esclusi. Domenica scorsa anche tu, forse, hai vissuto la 3a Giornata mondiale dei poveri. Papa Francesco, tra l’altro, ha scritto: «La speranza si comunica anche attraverso la consolazione, che si attua accompagnando i poveri non per qualche momento carico di entusiasmo, ma con un impegno che continua nel tempo. I poveri acquistano speranza vera non quando ci vedono gratificati per aver concesso loro un po’ del nostro tempo, ma quando riconoscono nel nostro sacrificio un atto di amore gratuito che non cerca ricompensa…Agli occhi del mondo appare irragionevole pensare che la povertà e l’indigenza possano avere una forza salvifica; eppure, è quanto insegna l’Apostolo quando dice: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1 Cor 1,26-29). Con gli occhi umani non si riesce a vedere questa forza salvifica; con gli occhi della fede, invece, la si vede all’opera e la si sperimenta in prima persona».

[1] Dall’Enciclica Quas primas di Pio XI: «La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi… Tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio… La celebrazione di questa festa sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi ».
[2] Gaudium et spes n. 32
[3] Josef Ernst, Il vangelo secondo Luca. Vol. 2°, Morcelliana, 1990, pag. 891
[4] C.M.Martini, Il giardino interiore. Una via per credenti e non credenti, PIEMME.
[5] O. Clèment in “Il potere crocifisso”, Qiqajon




Domenica 33a – 17 novembre 2019
CRISIS. Don Augusto Fontana

Nel “Credo” diciamo: “ di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti”. Chiamare Dio con il nome di giudice potrebbe ingannarci perché gli attribuiamo le caratteristiche dei giudici della nostra società. Di fatto la nostra parola italiana «giudizio» deriva dalla parola greca «crisis» che significa «valutazione, scelta». Dio allora é una persona, un evento che ci mette in crisis cioè non ci lascia nell’indifferenza, ma ci conduce a prendere posizione, a esprimere il nostro parere, a schierarci, a prendere parte. Di solito diamo valore negativo alla crisi, e quando vogliamo comunicare il nostro malessere diciamo: «Sono in crisi!»; ma esistono crisi e destabilizzazioni molto positive e desiderabili, come per esempio le fasi di crescita e di progresso. 

Preghiamo.
O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, fa’ che, attraverso le vicende, liete e tristi, di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza possederemo la vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del profeta Malachìa 3,19-20
Ecco: sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.
Salmo 97   Il Signore giudicherà il mondo con giustizia.
Cantate inni al Signore con la cetra, con la cetra e al suono di strumenti a corde;

con le trombe e al suono del corno acclamate davanti al re, il Signore.
Risuoni il mare e quanto racchiude, il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne davanti al Signore che viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési 3,7-12
Fratelli, sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.
Dal Vangelo secondo Luca 21,5-19
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

 CRISIS. Don Augusto Fontana
Nel salmo 98 abbiamo proclamato: «il Signore giudicherà i popoli con giustizia». Nel “Credo” diciamo: “ di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti”. Chiamare Dio con il nome di giudice potrebbe ingannarci perché gli attribuiamo le caratteristiche dei giudici della nostra società. Di fatto la nostra parola italiana «giudizio» deriva dalla parola greca «crisis» che significa «valutazione, scelta». Dio allora é una persona, un evento che ci mette in crisis cioè non ci lascia nell’indifferenza, ma ci conduce a prendere posizione, a esprimere il nostro parere, a schierarci, a prendere parte. Di solito diamo valore negativo alla crisi, e quando vogliamo comunicare il nostro malessere diciamo: «Sono in crisi!»; ma esistono crisi e destabilizzazioni molto positive e desiderabili, come per esempio le fasi di crescita e di progresso. Dire che Dio é giudice, che è la nostra crisi, potrebbe allora significare che noi dobbiamo sentirci responsabili davanti a lui. La vita é un’amministrazione di ciò che ci é stato affidato e quindi é responsabilità.
L’immagine di “Dio giudice” non ci garba. Il biblista André Wénin, in un suo Corso su Genesi 1-11 affronta il problema: «Davvero un giudice è una figura così negativa? Di per sé un giudice è una figura positiva, naturalmente se fa bene il suo mestiere. Ma di per sé un giudice non è una persona cattiva. E’ una persona temibile da parte di chi si sente colpevole. Ma per la vittima…meno male che ci sono i giudici… Un giudice, di per sé, è una figura positiva anche per il colpevole. Penso che un giudice abbia un doppio ruolo. Primo. Stabilire la verità dei fatti, chi è colpevole e chi innocente, chi ha fatto una cosa e chi l’ha subita; e se chi lo ha fatto ha delle circostanze attenuanti. E se chi si crede innocente ha provocato. Secondo. Deve rendere o fare giustizia agli innocenti e rimediare il torto subìto con una compensazione. Ma anche rendere giustizia al colpevole dandogli una pena adeguata per fargli prendere coscienza del danno che ha causato alla vittima e alla società. Rende quindi un servizio anche al colpevole».

Nelle ultime 3 domeniche del ciclo liturgico, prima dell’avvento, la liturgia ha accentuato l’attenzione verso la direzione del nostro cammino, il “giorno del Signore”. Nella religiosità popolare degli ebrei “il giorno del Signore” significava

  • giorno di liberazione da ogni minaccia incombente
  • giorno di realizzazione delle sue promesse e quindi un giorno dolce e invocato per l’oggi.
  • giorno del rendiconto anche per la comunità di Dio, come dicono i profeti dall’8° secolo a.C., e quindi un giorno severo di scadenze e di responsabilità tanto da desiderarne il rinvio o di volerne conoscere la data per difenderci o non farci trovare impreparati.

Noi usiamo il termine “giorno del Signore” per indicare la Pasqua, la domenica.
La prima domanda che mi viene spontanea é chiedermi se quando mi alzo alla mattina della domenica ho la percezione di trovarmi di fronte a un giorno di liberazione da ogni minaccia incombente, giorno di realizzazione delle promesse del Signore e di responsabilità davanti a Lui.
Giorno, quindi dolce e attraente, ma anche giorno severo e preoccupante.
Proviamo rileggere le letture sante di oggi per ritrovare questi spunti, facendoci accompagnare dalla preghiera che inaugura l’assemblea liturgica: «O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l’umanità nel tempio vivo del tuo figlio, fa’ che attraverso le vicende liete e tristi di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza possederemo la vita».
Il profeta Malachia scrive il suo libretto dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, in un tempo in cui le speranze e la gioia iniziale si erano spente di fronte al risorgere di tutte le miserie, le truffe, le ingiustizie di prima. Gli uomini giusti e onesti, i fedeli di Dio, si chiedono se valga la pena continuare e se il Signore interverrà mai un giorno a rendere giustizia. Non posso cavarmela puntando il dito solo su determinate persone. La superbia e l’autosufficienza hanno radice e germoglio anche dentro di me. In me c’é un mondo decrepito e inaccettabile agli occhi di Dio sul quale anch’io desidero la fine. E non posso essere sicuro di essere catalogato tra coloro che onorano il suo Nome. Stando a certe affermazioni del Vangelo («Non chi dice Signore, Signore…») non posso escludere di essere anch’io tra coloro che hanno continuamente il Nome di Dio in bocca. Il Nome di Dio infatti é più affidato alle mani che alla bocca («…ma chi fa la volontà del Padre mio…»).
La differenza tra gli idoli e Dio é questa: Dio abita il nostro tempo e non assiste impassibile, come gli idoli, alle vicende del mondo. Jahweh porta a termine la storia. Il profeta assicura: «Tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia che brucia…per voi invece che rendete culto a Dio verrà come un calore benefico». Si tratta, come dice Gesù nel Vangelo, di paziente perseveranza. Di resilienza[1]. Una vigilanza attiva, direbbe Paolo nel testo liturgico di oggi, ai suoi cristiani di Tessalonica che avevano tirato i remi in barca in una spiritualità disinteressata del mondo e a cui ribatte: «Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace». E si vanta di essere prete-operaio per darne l’esempio: «Noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi». La storia, la politica, l’amore, il lavoro non perdono consistenza davanti alla «attesa del Suo Ritorno». L’illusione e la delusione, lo sbadiglio e l’abbaglio sono atteggiamenti non consoni alla vigilanza di fronte al giorno del Signore. Scrive Daniele Garota[2]: “Léon Bloy ri­porta una riflessione di Ernest Hello, nella quale un uomo divorato dalla consapevolezza di essere «sulla strada dell’inferno», con sentimenti di noia e con l’età che avanza verso la morte, dice: «Tuttavia se Dio mi proponesse di lasciare per un istante queste cose noiose, monotone, bugiarde, mo­ribonde e mortali, che mi portano alla disperazione presente e a quella eterna, per cambiarle con la vita, con la gioia, con la beatitudine, mi rifiuterei, non lo ascolterei neppure! Me n’andrei a un divertimento noioso, dicendogli: “Vattene! Vattene, padrone del­l’estasi e proprietario della gioia; vattene, sole che ti levi nella tua raggiera di porpora e d’oro! Vattene, maestà. Vattene, splendore! Vattene, tu che hai suda­to sangue nel Giardino degli Olivi! Vattene, tu che sei trasfigurato sul Tabor! Vattene, io vado al caffè dove mi annoio”.
“E perché ci andate?”.
“Perché ho preso l’abitudine”».

Il caffè, la distrazione, la noia: ma c’è forse alla fi­ne un morbo più devastante di questo nelle nostre so­cietà sazie e goderecce? «Il caffè è la casa aperta, al livello della strada – dice Lévinas[3]luogo della so­cialità facile, senza responsabilità reciproca. Si entra senza necessità. Ci si siede senza stanchezza, si beve senza sete … perché si può andare al caffè a rilas­sarsi e così si sopportano gli orrori e le ingiustizie di un mondo senz’anima … Luogo di dimenticanza, dell’o­blio dell’altro: ecco il caffè ».

Non sarà subito la fine…Prima:

  • Non seguiteli…Non lasciatevi turbare
  • Guardate di non lasciarvi ingannare.
  • Questo vi darà occasione di testimonianza
  • Con la vostra perseveranza salverete le vostre vite.

Chiudo citando un testo del rabbino chassidico di Berditschev (XVIII secolo) divenuto preghiera di alcuni ebrei ad Auschwitz:
Dovunque io vada, Tu!
Dovunque io sosti, Tu!
Solo Tu,
ancora Tu,
sempre Tu,
Dio Tu!
Cielo, Tu.
Tu, Terra, Tu!
Dovunque mi giri e dovunque miri, Tu!
Solo Tu!
sempre Tu!
Se mi va bene, Tu!
Se sono in pena, Tu!
Solo Tu, ancora Tu!
Sempre Tu!
Dio Tu!


[1] dal latino: resilire rimbalzare, saltare indietro. Si paragona spesso al comportamento dell’acqua che si adatta ad ogni forma o recipiente, può ricordare la duttilità, la malleabilità.
[2] Daniele Garota, Il coltello di Abramo (ed. Paoline)
[3] E. Lévinas, Dal sacro al santo, Città Nuova, Roma 1985, p. 49