7 aprile 2024. Domenica 2a di Pasqua
TOMMASO detto IL GEMELLO. Gemello di chi?

Seconda domenica di Pasqua B –

Preghiamo. O Dio, che in ogni Pasqua domenicale ci fai vivere le meraviglie della salvezza, fa’ che riconosciamo con la grazia dello Spirito il Signore presente nell’assemblea dei fratelli, per rendere testimonianza della sua risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dagli Atti degli Apostoli 4,32-35
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
Sal 117  Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.
Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:«Il suo amore è per sempre».
La destra del Signore si è innalzata, la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore.
Il Signore mi ha castigato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte.
La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 5,1-6
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
Dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo (Gemello), non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

TOMMASO detto IL GEMELLO. Don Augusto Fontana

Didimo significa GEMELLO. Tommaso ha tantissimi gemelli: ciascuno di noi è gemello di Tommaso e può rendersi conto che il proprio rapporto con Gesù di Nazareth è più o meno come quello di Tommaso ma anche come quello della moltitudine di coloro che erano diventati credenti nella originaria comunità.
La fede come prassi, amore, shalom: la risurrezione visibile.
Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza alla resurrezione“; la forza dice riferimento alla convinzione interiore, ma anche alle “mani” cioè alla prassi.”Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le tue forze“(Deut. 6,5); “In Cristo ciò che conta…è la fede che opera per mezzo della carità“! (Galati 5,6); ” Che giova se uno dice di avere la fede, ma non ha le opere?… La fede se non ha le opere è morta in se stessa…Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta “ ( Giac. 2,1-26).  L’onere della prova della risurrezione non è più affidata alla tomba vuota, ma alla prassi dei credenti, alla trasformazione della esistenza nel senso della Koinonia (amore/comunione): Avevano un cuor solo ed un’anima sola  …Ogni cosa era fra loro in comune (Esiste un’ipoteca sociale su ciò che considero mio e si tratta più di un usufrutto che di una proprietà)…a tutti veniva distribuito secondo il bisognonon c’erano più bisognosi fra loro ( cf. Deut. 15,4).
Luca afferma che la prima comunità ha ricevuto un triplice dono: quello di annunciare senza timore, l’unità di cuore e di cose, la liberazione dalle necessità: questa è l’immagine (ideale) della Chiesa di tutti i tempi.
La koinonia non è prima di tutto un comunitarismo economico, bensì una capacità di ascoltare l’altro di saper perdere tempo per l’altro; si tratta di una accoglienza empatica, di un abbattimento dei muri di separazione dell’indifferenza e, oggi, dei nazionalismi o della religione del farsi i fatti propri. Il dono della koinonia è un dono pasquale perchè toglie la pietra dal sepolcro dove sono mummificate ed imputridite le energie egocentriche che vengono invece liberate a favore dell’altro.
Come tutti sanno, Atti 4,32-35 è il secondo dei tre sommari sulla vita della primitiva comunità (Atti 2,42-47 e 5,11-16) che costituiscono un progetto di comunità cristiana ideale a cui ispirarsi.
I tratti caratteristici contenuti in questo sommario sono tre: il cuore, l’anima e il portafoglio; il cuore costituisce il principio della vita personale dell’uomo: “avere un cuore solo” significa unione nel pensiero, nella volontà e nei sentimenti. L’anima (nel testo greco: psuchê) indica l’individualità personale: “avere un’anima sola” esprime comunione interpersonale. Il portafoglio era, già allora, un’appendice del corpo umano, carne della mia carne e osso delle mie ossa.
Il “credere” come itinerario.
La fede, in questo testo di Giovanni, non richiama l’idea di conquista, di un diploma conseguito una volta per tutte, bensì assomiglia ad un itinerario con conseguenti fatiche, dubbi, sorprese, novità, incertezze, squarci di luce e zone di buio. Il cristiano non è uno che “ha” la fede, ma uno a cui è concessa, ogni giorno, la grazia di credere. Infatti al mattino io non mi ritrovo la fede come un abito che ho smesso la sera precedente e che mi basta indossarlo di nuovo. Devo ricominciare a credere ogni mattina: questo sarà il mio lavoro quotidiano (cfr. Giov. 6,28-29). La parola degli apostoli avvia un programma di ricerca, ma poi ogni discepolo farà la propria esperienza personale, incontrandosi a tu per tu con Lui o con uno dei segni lasciati da Lui. Ognuno ha la sua strada e Cristo è il primo a rispettarla come rispetta il cammino di Tommaso anche se proclama “Beati quelli che crederanno senza aver visto“.
Per me la risurrezione rimane uno scandalo, tanto quanto la croce. Anche per molti discepoli il dubbio circondò la risurrezione tanto quanto la delusione accompagnò la crocifissione. “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno“. E’ una delle due beatitudini del quarto Vangelo accanto all’altra: “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica“(Gv. 13,17). Non è cosa facile credere nella resurrezione di Gesù, evento centrale della vita di Cristo e del cristianesimo. Il dubbio non fu solo di Tommaso anche se il suo dubbio, nel brano odierno, diventa una specie di drammatizzazione simbolica di tutti i dubbi serpeggianti anche nella primitiva comunità: Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.” (Giovanni 20,9); “Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non sapevano (testo greco: edeisan) che era Gesù.”(Giovanni 21,4).
 Il cammino per giungere al grido di Tommaso (Mio Signore e mio Dio) è un cammino lungo e difficile per tutti: è il cammino del credere. La fede normalmente attende dei segni. Gesù da un lato non era molto d’accordo su questa pretesa di avere dei segni:  «Gesù cominciò a dire: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorchè il segno di Giona”» (Luca 11,29).  Tuttavia Giovanni stesso si appella al lettore e gli chiede la fede sulla base dei segni ” Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli… Questi sono stati scritti, affinchè crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perchè, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Giovanni 20,30-31).
Chiede troppo Tommaso? L’esigenza di Tommaso è l’esigenza di tutti. Ma l’esemplarità di Tommaso non sta solo nella sua somiglianza con noi che abbiamo bisogno di segni.  Tommaso, pur incredulo, non ha abbandonato i suoi amici discepoli (la sua chiesa, comunità, parrocchia, assemblea). Ha accettato di riunirsi a loro, di attendere con loro: “C’era con loro anche Tommaso“(v.26). Il risorto gli concede l’esperienza di quel segno, non isolatamente ma in seno alla comunità dei discepoli, riuniti “otto giorni dopo“. E’ un’indicazione non cronologica, ma liturgica. L’assemblea eucaristica della domenica appare come il luogo privilegiato della presenza del Signore risorto e del suo eventuale riconoscimento.
Tommaso è anche il discepolo che non si accontenta di ciò che narrano gli altri con-discepoli («Gli dicevano gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”»): vuole fare un’esperienza personale («Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani…”»). In un clima di persistente religiosità “per tradizione e per sentito dire”, vorrei eleggere Tommaso santo protettore di tutti gli incuriositi che abbandonano la cuccia domestica della “civil religion” e decidono di volerci guardar dentro ingaggiandosi personalmente. Per anni mi è stato insegnato a disprezzare Tommaso e, con lui, tutti i poveri buzzurri che volevano differenziarsi dalla massa ripetitiva, anonima e anagrafica dei cattolici obbedienti, riverenti, ossequienti come portaborse di Dio.
Ma Tommaso è anche, ambiguamente, il discepolo inquirente, quella parte di me che coltiva un così mastodontico piano di sicurezza, da non lanciarsi mai nell’abbandono della fede dei semplici. Gesù ha sempre prediletto i semplici: “Ti benedico,Padre, perchè hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli“( Matteo 11,25).
Tra questi semplici ci sono coloro che non hanno la possibilità di riflettere troppo sui contenuti della loro fede. I problemi teologici, esegetici e critici non fanno per loro; non li conoscono, non se ne curano, non li potrebbero sostenere. Credono e basta. Ma non tutti sono così. L’uomo moderno assomiglia sempre più a Tommaso e a tutti quegli apostoli e discepoli critici che per credere hanno avuto bisogno di un segno e non si sentono più di credere solo per sentito dire. Non è detto che questo sia un guadagno, ma di fatto esistono questi ricercatori e si sa che corrono dei rischi.
Resta comunque il fatto che OGGI l’unica prova della resurrezione siamo noi con la nostra vita di cristiani. Almeno potremmo giocare lo stesso ruolo che ha giocato la tomba vuota: non un segno che obbliga in modo incontrovertibile alla adesione, ma un segno debole che induce “gioia e stupore”, come è accaduto alle donne e ai discepoli recatisi al sepolcro vuoto. Oggi il volto di Dio siamo noi, siamo la sua parola, le sue opere, i suoi prodigi. Oppure siamo la sua maschera, il suo schermo, la sua caricatura. Se la società che ci circonda attende o aspira a qualcosa di santo, quello glielo dobbiamo mostrare e non solo promettere. La Chiesa non può solo auspicare pace, giustizia e solidarietà, ma deve concretizzarle e mostrarle al mondo.




31 marzo 2024. Pasqua di risurrezione
STUPORE E MOVIMENTO

PASQUA DI RISURREZIONE di Gesù di Nazaret

 Dal Vangelo secondo Giovanni 20,1-9
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Dal Vangelo secondo Marco 16,1-7
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».
Da Vangelo di Luca 24,13-35
 Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro.  Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

STUPORE E MOVIMENTO. Don Augusto Fontana

La parola libertà in ebraico, contiene la radice hfsh (חֹפֶשׁ) che vuol dire cercare. Un uomo è libero se continua a cercare. Le crisi, che sembrano bloc­carci, in realtà aprono spazi, rompono gusci di comodità e creano le condizioni per mettersi di nuovo in marcia, in ricerca. Sono questi momenti di vuoto, di sospensione, di attesa, che rinnovano il mondo. Non dovrei temerli, ma viverli. Ciò che mi dovrebbe preoccupare, oggi, non è la crisi in quanto tale, ma l’indisponibilità a viverla. Non mi fido del futuro, dell’inedito che con­tiene, e mi abbarbico al presente per tratte­nerlo. Questa crisi ha lo stato d’animo degli apostoli i quali, dopo le apparizioni di Gesù, si rinchiudono in casa, intimoriti sul da farsi, o, peggio, è la crisi di Giuda appeso alla corda, incapace di guardare oltre. Il timore di perderci rallenta qualsiasi movimen­to di crescita. La vera crisi è dunque nell’assen­za di fiducia, nella cecità verso l’impossibile di oggi, che sarà possibile domani. Questa situazione può sbloccarsi solo riaprendo­ci al movimento naturale della vita, quel movi­mento del quale la crisi è parte, perché annullan­do le nostre sicurezze, ci apre al cambiamento.
Rileggendo i testi biblici di Pasqua possiamo riconoscere, fra altre infinite ricchezze e stimoli, almeno tre parole incandescenti che illuminano e ustionano i discepoli di ieri e noi, presunti discepoli di oggi: fermarsi,  guardare/ascoltare,  camminare.

 Fermati!
Il primo movimento che ci occorre è in realtà un non-movimento. Una sosta. Shabbat, così gli ebrei (non guerrafondai!) chiamano il giorno del riposo. È il giorno in cui si cancella ciò che si crede di sapere, in cui si abbandona quello che si crede di avere. Questa sosta è necessaria per liberarci dal condiziona­mento mentale di ciò che siamo, per aprirci gli occhi. Shabbat è il tempo liberato dalla costri­zione del fare, dai vincoli del già visto, già cono­sciuto; per questo ci permette di vegliare su ciò che non si vede, di andare al di là del visibile, di inventare nuove strade, di ricreare e ricrearsi.
Vorremmo trovare un immediato benessere per uscire dalla crisi, scoprire quel farmaco che possa cancellare il male. Ma la fretta, del credere o del vivere, è il demone della «felicità senza sforzo» e ci porta a non affrontare i problemi che stanno dietro le crisi e che, rimossi troppo velocemente, sono come veleni non smaltiti. La fretta non permette alle ferite di guarire, ane­stetizza solo la parte dolente, nega il vissuto, ci priva del diritto alla convalescenza. Chi si rialza troppo in fretta da una malattia sa che è destina­to a ricadute. Quello che ci serve è altro: accogliere le domande che ci salgono dal cuore e dal mistero della vita degli uomini, delle guerre a pezzi, delle migrazioni, della delinquenza. Tutti i discepoli della Pasqua e tutti i loro racconti sono pieni zeppi di soste, di Sabati, di stop.

Guarda dentro (Ascolta).
Il nostro punto di partenza è il luogo da cui vor­remmo fuggire, come i discepoli di Emmaus in fuga dalla comunità e da Gerusalemme. Il luogo del nostro quotidiano, dei sogni falliti e delle speranze deluse. È nel groviglio d’ogni giorno, nel piccolo fram­mento di pane spezzato, nella umile striscia di tela deposta nei nostri sepolcri, che si nasconde il senso della nostra esistenza. Dare valore al quo­tidiano o agli umili segni sacramentali, o alla Parola piccola come un seme, o al fratello che ci sfiora e a volte ci ferisce con gli artigli della sua impertinente debolezza: tutto questo ci permette di toccare la vita, di starci dentro senza scappare. Occorre uno sguardo profondo o almeno progressivo che faccia legge­re la realtà (“Vide e si fidò”; “lo riconobbero”) e porti alla luce ciò che sta dentro. Occorre un cuore attento e duttile che riesca a ve­dere fra i crepacci del presente il fiore che nasce o trasformare le ferite in feritoie.

Riprendi il cammino.
Nella vita noi avanziamo per scoperta di tesori: “Dov’è il tuo teso­ro, là sarà anche il tuo cuore“. Occorre quindi che io mi rimetta in cam­mino, consapevole che la vita ha dinamiche di resistenza, ma che queste non mi devono bloc­care. In tutti noi c’è la capacità di ribellarsi e affrontare questa realtà. E allora dobbiamo avere il coraggio di percor­rere strade che nessuno ha ancora percorso, di pensare idee che nessuno ha ancora pensato. La crisi del mondo non deve trascinarsi dietro la crisi della nostra speranza.

Angelo Silesio (mistico del XV° sec.) scrisse: «Cammina dove non puoi. Guarda dove non vedi. Ascolta dove nulla risuona: così sarai dove Dio parla»[2].

Pare che il Vescovo brasiliano Hélder Câmara abbia detto o scritto: « É grazia divina cominciare bene; è grazia più grande resistere nel cammino, ma è grazie delle grazie non smettere mai». (É graça divina começar bem. Graça maior persistir na caminhada. Mas graça das graças é não desistir nunca).


[1] Rielaborazione da Luigi Verdi NON FUGGIRE, E’ SOLO CRISI  (Fraternità di Romena, Marzo 2012)
[2] Fonte: J.T. Mendonça, Padre nostro che sei in terra, Qiqajon, 2013, pag. 64




24 marzo 2024. Domenica della Passione
Perchè tutto questo spreco?

Passione di nostro Signore Gesù Cristo dal Vangelo secondo Marco (14-5)

 Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo. Dicevano infatti:  «Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo».

Lettore 1: La donna discepola dell’amore e della risurrezione

Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro:  «Perché tutto questo spreco di olio profumato?»

Lettore 2: «Perché tutto questo spreco di olio profumato?»

Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri!».  Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse:  «Lasciatela stare; perché le date fastidio? Lei ha compiuto verso di me un’opera buona;

Lettore 2: Lei ha compiuto verso di me un’opera buona

i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre. Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto».

Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici,

Lettore 2: uno dei Dodici

si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù. Quelli all’udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l’occasione opportuna per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero:  «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?».  Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro:  «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo [14]e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, gia pronta; là preparate per noi».  I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua.

Lettore 1: “Mangiare la Pasqua” in un clima di amore e tradimento

Venuta la sera, egli giunse con i Dodici. [18]Ora, mentre erano a mensa e mangiavano, Gesù disse:  «In verità vi dico, uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà».  Allora cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro:  «Sono forse io?».

Lettore 2: «Sono forse io?».

Ed egli disse loro:  «Uno dei Dodici, colui che intinge con me nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito! Bene per quell’uomo se non fosse mai nato!».  Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo:  «Prendete, questo è il mio corpo».  Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse:  «Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti.  In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio».

Lettore 1:Getsemani: preghiera, solitudine, tradimento, consegna

E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro:  «Tutti rimarrete scandalizzati,

Lettore 2: «Tutti rimarrete scandalizzati,

poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea».  Allora Pietro gli disse:  «Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò».  Gesù gli disse:  «In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte».  Ma egli, con grande insistenza, diceva:  «Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò».  Lo stesso dicevano anche tutti gli altri.

Lettore 1: Pietro e noi discepoli del sonno.

Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli:  «Sedetevi qui, mentre io prego».  Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro:  «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate».  Poi, andato un pò innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva:  «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu».  Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro:  «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?

Lettore 2: Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?

Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole».  Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole. Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne la terza volta e disse loro:  «Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».  E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno:  «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta».  Allora gli si accostò dicendo:  «Rabbì»  e lo baciò.

Lettore 2:  e lo baciò.

Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono. Uno dei presenti, estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio. Allora Gesù disse loro:  «Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi. Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!».  Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.

Lettore 1: Pietro rinnega, si ricorda della Parola, piange.

Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del sommo sacerdote; e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti attestavano il falso contro di lui e così le loro testimonianze non erano concordi. Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo:  «Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo».  Ma nemmeno su questo punto la loro testimonianza era concorde. Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo:  «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?».  Ma egli taceva e non rispondeva nulla.

Lettore 2: Ma egli taceva e non rispondeva nulla.

Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli:  «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?».  Gesù rispose:  «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo».   Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse:  «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?».  Tutti sentenziarono che era reo di morte. Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli:  «Indovina».  I servi intanto lo percuotevano.  Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse:  «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù».  Ma egli negò:  «Non so e non capisco quello che vuoi dire».  Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti:  «Costui è di quelli».  Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro:  «Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo».  Ma egli cominciò a imprecare e a giurare:  «Non conosco quell’uomo che voi dite».

Lettore 2: «Non conosco quell’uomo ».

Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto:  «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte».  E scoppiò in pianto.

Lettore 1: Processo e condanna di Gesù innocente. E noi, solidali con Barabba.

Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato. Allora Pilato prese a interrogarlo:  «Sei tu il re dei Giudei?».  Ed egli rispose:  «Tu lo dici».  I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse. Pilato lo interrogò di nuovo:  «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!».  Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato. Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta. Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio. La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva. Allora Pilato rispose loro:  «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?».  Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba. Pilato replicò:  «Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?».  Ed essi di nuovo gridarono:  «Crocifiggilo!». Ma Pilato diceva loro:  «Che male ha fatto?».  Allora essi gridarono più forte:  «Crocifiggilo!».  E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba

Lettore 2:  volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba

e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte. Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo:  «Salve, re dei Giudei!».  E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.

Lettore 2: lo condussero fuori per crocifiggerlo

Lettore 1: Il Cireneo, discepolo della croce. Il centurione pagano, discepolo della fede. Gesù ama, prega e muore da Figlio di Dio

Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio, e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra. I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano:  «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, [30]salva te stesso scendendo dalla croce!».  Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano:  «Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo».  E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Lettore 2: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano:  «Ecco, chiama Elia!».  Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo:  «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce».  Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse:  «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!».

Lettore 2: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!».

Lettore 1: Le discepole e i discepoli della “vigilia”e dell’attesa

C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto.




17 marzo 2024. Domenica 5a Quaresima
ALLEATI

Domenica 5a di Quaresima

Preghiamo: Padre, ascolta il grido del tuo Figlio che, per stabilire la nuova ed eterna alleanza, ci ha amati fino alla morte di croce; fa’ che nelle prove della vita partecipiamo intimamente alla sua passione redentrice, per avere la fecondità del seme che muore ed essere accolti come tuo raccolto nel Regno dei cieli. Per Cristo nostro Signore.

GLI ALLEATI. Don Augusto Fontana

Se volessimo dare un titolo un po’ provocatorio a questa 5a Domenica di Quaresima, potremmo intitolarla la Domenica degli Alleati. Se la storia ci insegna tristemente che le alleanze umane sono passeggere e spesso determinate da interessi di parte o paura del nemico, l’alleanza tra Dio e l’umanità viene rivelata e proposta, nelle Letture bibliche di domenica, così:

  1. Nella prima lettura: la promessa di questa alleanza.
  2. Nella seconda: il suo prezzo.
  3. Nel Vangelo: la sua realizzazione.

UNA PROMESSA PAGATA E MANTENUTA DA DIO.
La pagina di Geremia è talmente bella che alcuni sposi la scelgono come prima lettura per il loro matrimonio.

Dal libro del profeta Geremia (Ger 31,31-34)
Ecco verranno i giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri , quando li presi per mano per farli uscire dall’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio e essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri , dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non i ricorderò più del loro peccato”.

Nell’afflizione del vedere Gerusalemme distrutta e i giudei divisi tra coloro che restarono e quelli che vennero deportati, si odono le parole del profeta Geremia come un canto al perdono e alla speranza. Dio vuole ricominciare con il suo popolo, proponendogli di siglare una “nuova alleanza” non più scritta sulle tavole ma nel cuore stesso dell’uomo. E l’altro regalo che Dio ci fa, è quello di farci accedere gratuitamente alla sua conoscenza. Non bisogna pagare, non bisogna essere grandi o piccoli, di una razza o dell’altra: Dio si rivela nella storia di ciascun popolo, senza discriminazioni, senza dimenticare nessuno. Si promette un patto nuovo (che è come dire “qualcosa di simile non si era mai visto prima”) e stabile (durerà fino alla fine, senza pentimenti e ripensamenti), che Dio realizzerà con il suo popolo: questo patto viene preso come punto di riferimento dagli sposi cristiani, che si impegnano in un amore simile a quello di Dio: “Prometto di esserti fedele sempre…e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Tutto questo, sulle labbra di un giovane, che stringe la mano di una ragazza, non è forse qualcosa di nuovo e (con l’aiuto di Dio) stabile?
Questa alleanza nuova e stabile, di cui parla il profeta Geremia, ha tre caratteristiche chiare:

  1. Sarà scritta nel cuore degli uomini.
  2. Sarà tale che gli uomini “non dovranno più istruirsi gli uni gli altri”.
  3. Sarà caratterizzata dalla remissione dei peccati.

1)  “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore”
Questo patto tra Dio e l’uomo sarà scritto “non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori”   (2 Cor 3,3). Ci sono parecchie differenze tra una cosa scritta sulla pietra e una cosa scritta sulla carne del cuore. La pietra è fredda, il cuore è caldo. Possiamo mettere in pratica “le dieci Parole” di Dio con freddezza, sentendone magari il peso e le privazioni, senza calore e gioia. La pietra è fuori dell’uomo, il cuore dentro. Possiamo sentire ciò che Dio ci chiede come una costrizione esterna, che non fa presa con convinzione nel nostro intimo.
Geremia ci dice che “verranno giorni” in cui Dio renderà l’uomo capace di mettere in pratica i suoi “comandi” senza rigidità ma con entusiasmo, come frutto di una scelta libera e convinta. Qualcuno potrà dire: «possibile?». Se Dio lo promette nella Bibbia, evidentemente vuol dire che è possibile. Stiamo parlando, è chiaro, di qualcosa che non viene dall’uomo, ma è un dono di Dio. Ezechiele ci dà una mano nella comprensione: “Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36,27).
Va sottolineato però che occorre anche la nostra cooperazione e generosità.
I “giorni” di cui parla il profeta Geremia sono il nostro oggi, i giorni che seguono l’evento della Pentecoste. Con la discesa dello Spirito Santo è iniziata una nuova fase nella storia dell’umanità: Dio è presente stabilmente tra noi con il suo Spirito, e ci guida in un cammino nuovo e personale.
2)  “Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri”.
Questo secondo aspetto della promessa è strettamente connesso al primo.  Direbbe S. Giovanni “L’unzione che avete ricevuto da Lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna” (1 Gv 2, 27). L’unzione è la presenza dello Spirito Santo. E’ come avere un maestro interiore, che nel cuore ti guida verso ciò che senti giusto e santo per te. Nessuna imposizione, nessuna violenza: ma la sobria presenza di Dio, lo Spirito Santo è capace di convincere la coscienza meglio di qualsiasi predicatore o catechista, meglio di qualsiasi discussione o controversia.
3) “Io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato… (Ma quanto  mi costi!)”
 “Questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati” dice il celebrante durante la Messa, ripetendo le parole di Gesù.  Lo scopo di Dio, nell’istituire questa alleanza, è di avvicinare a sé gli uomini. Per portarci vicino a sé, Dio deve rimuovere gli ostacoli, quelli che il linguaggio biblico chiama “peccati”. Tutto questo è avvenuto grazie all’amore crocifisso di Cristo. Quanto sia “costato” a Dio questo “sgombero” è ben espresso nella seconda lettura odierna.

Dalla lettera agli ebrei (Eb 5,7-9)
Cristo, nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.
Gesù rivela così il suo lato più umano e più vicino alle nostre sofferenze. “Per le sue piaghe noi siamo stati guariti”   (Is 53, 5). Potremmo dire: per il suo amore crocifisso siamo stati attirati al Padre: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”.

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 12,20-33)
In quel tempo  tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!”. La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Rispose Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.

Questa brevissima parabola del “seme che muore” presenta una volta in più la lezione fondamentale del Vangelo intero e del messaggio di Gesù: l’amore che offre se stesso, e per questo si perde, e morendo a se stesso, genera vita. Siamo di fronte ad uno dei tipici paradossi del Vangelo. Il paradosso è una figura letteraria che consiste in una contraddizione apparente: perdere-guadagnare, morire-vivere, offrire-tenere, dare-ricevere… Sembrano dimensioni o realtà contraddittorie, ma non lo sono nella realtà. Rendersi conto che non esiste tale contraddizione, cogliere la verità del paradosso, significa scoprire il Vangelo. In Gesù si esprime una volta di più l’accesso dell’umanità alla comprensione e alla possibilità di questo paradosso. In natura, nel mondo animale soprattutto, il principale istinto è quello dell’autoconservazione. L’essere umano, al contrario, si caratterizza per essere capace di uscire da se stesso e offrire la propria vita per amore. L’umanizzazione consiste proprio in questo “de-centramento” da se stessi, che è un con-centramento sugli altri. In fondo, questa parabola corrisponde al comandamento nuovo: “questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni e gli altri come io vi ho amato; non c’è amore più grande di chi da la vita” (Gv 15,12-13).  




10 marzo 2024. Domenica 4a quaresima
ALLEANZA: DISGRAZIA O GRAZIA?

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA  B 

Preghiamo. Dio, buono e fedele, che mai ti stanchi di richiamare chi sbaglia verso una vera conversione e nel tuo Figlio innalzato sulla croce ci guarisci dai morsi del maligno, donaci la ricchezza della tua grazia perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore.
Dal secondo libro delle Cronache 36,14-16.19-23
In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
 Sal 136.  Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.
Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.
Perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra.
Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 2,4-10
Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
Dal Vangelo secondo Giovanni 3,14-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

ALLEANZA: DISGRAZIA O GRAZIA? DIO E’ CON NOI ANCHE QUANDO E’ CONTRO DI NOI?

I due libri delle Cronache, con il Libro di Esdra e il Libro di Neemia, formano una unità letteraria da leggersi insieme. Furono scritti circa nel 300-250 a.C., e cioè 3 secoli dopo la fine dell’esilio Babilonese. Il loro Genere Letterario può definirsi “meditazione storica” per sostenere le riforme politico-religiose di Esdra e Neemia e per giustificare la nuova teocrazia installata al Sud, a differenza di quella fallita al Nord. Preoccupazione principale fu quella di affermare che l’esilio babilonese non aveva interrotto le promesse di Dio in quanto sia il babilonese Nabucodonosor (che deporta Israele) e sia il persiano Ciro (che lo libera nel 538 a.C.) sono ambedue strumenti nelle mani di Dio per esercitare un amore esigente e tenero.
Il popolo ebraico (residente nella Giudea, al Sud di Israele), dopo 2 secoli dal ritorno in patria, di fatto è ancora ridotto ad una piccola e povera comunità, perseguitata dai samaritani del Centro-Nord a cui l’autore del Libro delle Cronache vuol dimostrare che il popolo del Sud è “il piccolo resto, la piccola assemblea” fondata da Dio. Sono, sotto sotto, richiami alla speranza per tempi difficili e sono parole di consolazione per un popolo che vive in situazione minoritaria e di povertà. Se la riforma religioso-politica di Giosia non ha portato cambiamenti radicali è perché occorre una vera conversione, un cambiamento di rotta. Dio si dimostra «Totalmente diverso», imprevedibile e, umanamente parlando, contrario alle nostre attese.
Osserviamo l’andamento del rapporto conflittuale tra il popolo e il suo Dio e l’andamento alternato dell’amore esigente e tenero di Dio:  [14]Anche tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà…[15]Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo …[16]Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti… al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine[21]attuandosi così la parola del Signore, predetta per bocca di Geremia…[22]…a compimento della parola del Signore predetta per bocca di Geremia, il Signore suscitò lo spirito di Ciro…
Immaginate un ebreo schiavo seduto sui fiumi di Babilonia a sentir parlare dell’amore di Dio; immaginate i discepoli che scrutano da lontano il cadavere del loro Gesù appeso sulla croce: questi annientamenti non vanno nella direzione del benessere atteso come segno di amore di Dio. Dio opera nella croce di Cristo uno stratagemma di incredibile forza: il crollo delle sicurezze storiche, umane, religiose, istituzionali non trascinano con sé il crollo dei progetti di Dio né lo allontanano da noi perché Dio va in esilio con il suo popolo ed è lì su quella croce.
Noi siamo abituati ad una fedeltà gregaria, quella del portaborse che dice sempre di sì al capo. La fedeltà di Dio a noi non è di questo tipo; è una fedeltà critica. Dio sembra entrare nelle nostre sicurezze con le parole profetiche disturbanti, le critiche acute, i fallimenti del progressismo vincente da primi della classe, la ribellione dei poveri e degli esclusi. E’ difficile credere in un Dio che non viene a tutelare le nostre soddisfazioni spirituali, le elevazioni mistiche, l’ottimismo decadente e che invece mi dà la croce come unico luogo di lettura della storia. Dio, fonte di insicurezza giusta per i sicuri e fonte di sicura speranza per tutti gli smarriti. (Salmo 146, 6-10).
Tu mi dai la caccia come si fa con un leone!” grida Giobbe a Dio, dal suo tormento. E aveva ragione: Dio inizia a ricercarci tra gli alberi dell’Eden fin dal giorno del suo primo grido “Adamo, dove sei?”. Questo  grido non si è più spento nella foresta della nostra storia. Dio ci rimane fedele, ci cerca in tutte le nostre fughe e alibi, come uno sposo che va a cercare la moglie sui viali, come un padre/madre che aspetta il figlio scappato o come un pecoraio che va a prelevare una pecora sbandata.
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unico; chi crede il Lui ha la vita eterna”. Pare che questa frase (GV 3,16) costituisca il centro di tutto il Vangelo di Giovanni. Ma questo annuncio costituisce un  “Mistero”, nel senso che la cosa non è poi tanto evidente; è una testimonianza che viene proposta alla mia fede e non alla mia rilevazione immediata. Qualunque osservazione che  facciamo ci fa chiedere: ma c’è davvero questo amore che presiede a tutto?
Padre Ernesto Balducci[1] ha scritto, al riguardo, una pagina interessante: «Noi vorremmo poter arrivare alla certezza dell’amore di Dio a partire dall’esperienza. Se noi entriamo in una casa dove tutto è squallido, in disordine, polveroso diciamo: qui non c’è un amore che governa, una maternità che provvede. Ebbene noi siamo in un mondo di questo tipo. Per questo dobbiamo stare attenti a non compromettere la nostra fede con facili slogan della devozione. Questo è detto anche a chiare lettere nel Vangelo di oggi: il luogo e il momento in cui l’amore di Dio si è manifestato al mondo in maniera eccellente è proprio un momento e un luogo dove la nostra osservazione constata il contrario. La crocifissione di un uomo giusto, abbandonato da tutti anche dagli amici, non è un segno dell’amore di Dio, ma dell’assenza di Dio. Siamo nel cuore del paradosso cristiano: da una parte affermiamo che il principio di tutto è l’amore di Dio per il mondo e dall’altra sappiamo che questo amore viene rivelato proprio là dove tutte le categorie dell’intelletto umano sono portate a constatare l’assenza dell’amore. Tenendo uniti questi due estremi ci è possibile entrare in un’intelligenza di fede che è un’intelligenza nell’oscuro e non nella chiarezza. Facciamo un esempio. Immaginiamo un padre di famiglia che, seduto a tavola con moglie e figli, dica: “Davvero il Signore ci ha voluto bene; non ci manca niente, gli affari vanno bene, la salute non manca. Dobbiamo ringraziare Dio che ci ha voluto bene”. Sarebbe un discorso di falsa fede. Considerare come segno dell’amore di Dio le cose che vanno bene è stabilire un rapporto di immediatezza che è spezzato dalla croce di Cristo. Non c’è immediatezza tra la nostra esperienza e questo amore. Basta una coscienza critica perché ci si renda conto che il nostro benessere, familiare o collettivo, è basato sulla più iniqua espropriazione di innumerevoli altre creature. Sarebbe strano questo Dio che manda felicità in una famiglia costruendola sull’iniquità e l’ingiustizia. Ecco perché il nostro tempo ci chiama a ripulire la fede dalle ideologie di comodo. Del resto la lezione ci viene confermata anche dal brano forte della prima lettura biblica. Immaginate un ebreo seduto sui fiumi di Babilonia, schiavo, a parlare dell’amore di Dio! Eppure in quella schiavitù c’era l’amore correttivo e critico di Dio,  un amore che non andava d’accordo con le aspettative del popolo quando, precedentemente, si trovava nel benessere. La descrizione di questo popolo di Giuda che vive nell’infedeltà, accetta le idolatrie di altri popoli, uccide i profeti, costruisce ricchi palazzi e case eleganti, ci fa pensare ad un certo mondo in cui viviamo. Quando le cose vanno così bene probabilmente – dice il testo biblico – c’è un’infedeltà. Quel che conta non è che le cose vadano bene, ma che si viva con fedeltà. Dio opera allora uno stratagemma di incredibile forza, tale cioè da inserire per sempre un sospetto, un  dubbio, in tutta la storia della nostra fede cristiana: cioè Dio, proprio perché amava il suo popolo, lo lascia preda degli avversari. Tutto viene distrutto: Tempio, palazzi, organizzazione politica. L’esilio è amore di Dio per il popolo. E Dio realizza la salvezza attraverso Ciro, un pagano. Questo modo di procedere di Dio è assolutamente contrario alle nostre comode strategie della provvidenza. Dio è con noi anche quando è contro di noi. La correzione, amante, di Dio cade su di noi spesso nel momento in cui siamo nella massima sicurezza. Non dobbiamo disprezzare le parole profetiche, le parole disturbanti, le critiche acute perché in esse si annida la speranza di uscita dalle nostre micidiali e false sicurezze. Torniamo alla domanda iniziale: Dio ama il mondo? Certo che lo ama, ma non per ratificarlo, non perché gli diciamo “Grazie, Dio, perché tutto ci va bene e tu lo confermi”. Noi crediamo nel Dio-amore perché mette in crisi le nostre sicurezze e quando diciamo “Siamo arrivati” lui ci rimette in cammino. Credo nell’amore di Dio: non perché viene a tutelare le mie soddisfazioni spirituali, le mie elevazioni mistiche, il mio ottimismo decadente, ma perché sento che mi mette in crisi, mi obbliga a vivere con respiro universale per farmi solidale con l’ultimo degli uomini all’ombra della Croce, unico luogo di lettura del suo terribile amore che afferra gli ultimi degli uomini per sollevarli al cospetto dei potenti per convincerli a proclamare la fine delle loro false sicurezze. Mentre gli altri grideranno soddisfatti che le cose vanno bene ci renderemo scomodi contestatori che dicono: no! Le cose vanno male. E quando gli altri dicono che le cose vanno malissimo, avremo la strana gioia di gridare che invece vanno bene. Questa stranezza turba anche chi la vive e lo rende valido segno della permanenza dell’amore di Dio, fonte di insicurezza giusta per i sicuri e fonte di sicurezza per gli smarriti, perché non c’è ragione di essere smarriti»[2].


[1] Fu una delle personalità di maggior spicco nella cultura del mondo cattolico italiano nel periodo che accompagnò e seguì il Concilio Vaticano II. Fu legato a Giorgio La Pira, David Maria Turoldo, Lorenzo Milani e molti altri cattolici democratici. Morì nel 1992 all’età di 69 anni, a seguito di un grave incidente stradale.
[2] E. Balducci, Il mandorlo e il fuoco, Vol. II° anno B, Ed. Borla




3 marzo 2024. Domenica 3a di Quaresima
 UN’ALLEANZA IN DIECI PAROLE. ANZI IN UNA: GESU’

III DOMENICA DI QUARESIMA B

Preghiamo. Signore, nostro Dio, santo è il tuo nome; piega i nostri cuori ai tuoi comandamenti e donaci la sapienza della croce, perché, liberati dal peccato che ci chiude nel nostro egoismo, ci apriamo al dono dello Spirito per diventare tempio vivo del tuo amore. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro dell’Èsodo 20, 1-3.7-8.12-17  In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile.
Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.
Non commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
 Salmo 18.  Signore, tu hai parole di vita eterna.
La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice.
I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,  rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti.
Più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1,22-25
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Dal Vangelo secondo Giovanni 2,13-25
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete[1]. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

 UN’ALLEANZA IN DIECI PAROLE. ANZI IN UNA: GESU’. Don Augusto Fontana

Il Tempio nel corpo.
Il testo di Esodo 20 è collocato tra l’annuncio della Alleanza (Esodo 19) e la sua celebrazione (Esodo 24).  Vengono rivelate (donate) Dieci Parole: «E parlò ‘Eloim tutte queste parole». Parole di libertà appartenenti alla “Legge” (Torah), un termine che, nel linguaggio occidentale contemporaneo, non rende giustizia alla densità significativa, coinvolgente e amante attribuitagli dagli uomini giusti dell’ebraismo; basta rileggersi il lungo e mistico salmo 119 o i versetti del salmo 18 di oggi.
Più che di leggi, precetti e comandi si tratta di istruzioni, insegnamenti e parole convincenti. Ancora oggi mi resta il dubbio che l’esperienza “religiosa” instauri con Dio una sottomissione servile, moralistica, giuridica, mercantile che uccide il sogno del nostro fidanzamento con Lui, come ci dicono i profeti Osea (Cap.2) ed Ezechiele (Cap. 16).  Un Rabbino, a chi gli faceva notare che il Decalogo conteneva troppe proibizioni (7 “non” …), disse: “Nelle Dieci Parole c’è una sola proibizione fondamentale: non tornate indietro, non tornate in Egitto, alla casa di schiavitù”. Infatti si trascura che le Dieci Parole incominciano così: «Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù». Non un liberatore “spirituale”, ma “integrale”; uno a cui sta a cuore oltre che la giustizia sociale, anche la liberazione dalla tentazione di intorbidare lo stile di vita una volta entrati nella Terra Promessa: non avrai altro Dio all’infuori di me e non vi opprimerete a vicenda,  né con le cose né nei rapporti. Le Dieci Parole non interpellano solo il singolo: sono i rapporti comunitari che vengono liberati. Gesù dirà che tutta la Legge si riassume nell’amare[2] e per evitare equivoci si presenta con le Beatitudini.
La “Trasfigurazione” del Tempio.
In tutte le culture il Tempio rappresenta l’ombelico che congiunge divino e umano, ma anche divide il tabernacolo dal cortile, ritma il tempo con le celebrazioni e organizza tramite la legge la convivenza sociale. Senza Tempio, il cosmo è come una ruota senza mozzo. Buono o perverso, liberante o schiavizzante che sia, senza un suo Tempio l’uomo non può esistere. L’animale è condotto dall’i­stinto, l’uomo è mosso dal desiderio di raggiungere un fine che dà senso al suo vivere, al suo desiderio di felicità. Il Tempio offre questo ed è il luogo del senso della vita, della festa e della comunione. Ma tende sempre a diventare anche luogo di mercanteggio con Dio, giustificazione di oppressione dell’uomo in nome di Dio. Al centro delle antiche città c’è sempre il Tem­pio, diventato nella cristianità il «duomo» (domus=casa), la casa di tutti. Oggi al centro troviamo la Borsa, con il culto del libero mercato e della new economy, nel cui nome si con­duce una fanatica guerra santa, senza guardare in faccia a nessuno, distrug­gendo la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti (cf. Sal 24,1). L’operazione è condotta in modo indolore, grazie al narcotico prodotto in altri tem­pli: del consumo, del divertimento, dello sport.
Dio, Tempio e uomo sono tre realtà che si rispecchiano; ma soprattutto l’uomo e il tempio hanno un volto diver­so secondo l’immagine che si ha di Dio. Se Dio è colui che ha in mano tutto e domi­na tutti, il suo fedele tende a scimmiottare il Potente; il Tempio allora diventa lo strumento di giustificazione di ogni oppressione. Se Dio è uno che si consegna e serve, l’uomo vero è colui che serve e il Tempio diventa luogo di comunione e amore.
Il Figlio dell’uomo, vero Tempio, sarà ucciso proprio da chi si è ingannato su Dio e sul Tempio e quindi anche sull’uomo. Questa visita di Gesù al Tempio visita la nostra idea di Dio e di uomo.
«Ma egli parlava del tempio del suo corpo»: il Tempio, chiamato da Gesù «casa del Padre mio» e poi «santuario», è infine identificato con il suo «corpo». La carne della Parola è ormai la «tenda» di Dio in mezzo a noi, dove noi stessi siamo di casa con lui. In Gesù il tempio diventa ciò di cui è segno: è cielo aperto sulla terra, terra aperta su Dio.
Gesù non ce l’ha col Tempio, né col Sabato, né con la Legge. Ma sa che in agguato si annida in noi la strumentalizzazione del Nome di Dio, l’abuso della religione in atti privati, il mercanteggiamento tra favori, sacramenti, benedizioni e opere buone. Ci si è messo in mezzo: prima di entrare nel Tempio, nel Sabato e nella Legge passerete su di Me, sul mio corpo, scandalo per la religione e stupidità per filosofie, economie e politiche. Nella preghiera iniziale abbiamo chiesto il dono di diventare TEMPIO DEL SUO AMORE. Difficile oggi trovare il tempo di “andare in chiesa”, ma più difficile e raro è “essere Chiesa in Lui”.
Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire voi stessi come sacrificio gradito a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pietro 2, 4-5).


[1] Nel Tempio potevano entrare solo le monete giudaiche e i pellegrini dovevano cambiare le monete romane con le monete giudaiche. I cambiavalute chiedevano un cambio molto alto. Inoltre pare che i sacerdoti rifiutassero gli animali portati da lontano, in modo che i pellegrini dovevano comprare, e caro prezzo, un animale dai venditori nel Tempio. Pare che cambiavalute e mercanti condividessero il guadagno illecito con i sacerdoti del Tempio.
[2] Matteo 22, 36-39: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose:  «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».




25 febbraio 2024
RESISTERE IN UN UN‘ALLEANZA RESPONSABILE.

 Preghiamo. O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Dal libro della Gènesi 22,1-2.9.10-13.15-18
In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
Salmo 115.  Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.
Ho creduto anche quando dicevo: «Sono troppo infelice».
Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli.
Ti prego, Signore, perché sono tuo servo; io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo, negli atri della casa del Signore, in mezzo a te, Gerusalemme.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8,31-34
Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!
Dal Vangelo secondo Marco 9,2-10
[Dopo sei giorni] Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

PER RESISTERE IN UN UN‘ALLEANZA RESPONSABILE. Don Augusto Fontana

 Sono decisamente imbarazzato di fronte al racconto del Libro della Genesi. Certo, forse dietro c’è la memoria di un mutamento decisivo nel culto che passa dai sacrifici umani a quelli degli animali. Qualcuno dice che il racconto è simbolico; sarebbe una rappresentazione scenica per dire che Dio aveva dato in “dono” Isacco ad Abramo, ma Abramo si era lentamente dimenticato della origine del suo figlio e ne aveva fatto una proprietà privata, un diritto; allora Dio chiede ad Abramo di mollare la preda e compiere un gesto qualsiasi che indichi la restituzione del figlio alla sua origine di “figlio donato da Dio[1]“. Qualcuno si spinge a interpretare le figure di Abramo e di Isacco come storie profetiche di ciò che accadrà in seguito: Dio Padre metterà sull’altare della croce Suo figlio unigenito Gesù e ve lo lascerà morire! Accostamento facile, tradizionale, osceno; non sia fuori luogo ricordare le parole di Gesù ai cupi teologi di tutti i tempi: “Dio vuole misericordia e non sacrificio” (Matteo 9,13). E Lui di Dio se ne intendeva. Effettivamente è un po’ strana l’immagine di un Dio che chiede morte per far procedere i propri piani o per placarsi offese. In questi giorni abbondano notizie di qualcuno che approfitta della religione in modo fanatico seminando morte. Eppure non voglio trovare scuse per fuggire da questa pagina forte e tenera, da questo Abramo, tipo della fede per tutte le generazioni e anche per me abituato a rapporti e impegni light, brevi, semiseri, frizzanti. Oggi celebriamo la resistenza della fede nella oscurità del tunnel con in mano la lampada della promessa e della Parola (“si udì una voce…ascoltatelo”) che non elimina la notte né tutto il tunnel, ma mi consente di camminare, illuminando un metro dopo l’altro: «Lampada ai miei passi è la tua Parola»  (salmo 119,105). Nel Salmo di oggi preghiamo così: «Ho creduto anche quando dicevo: “Sono troppo infelice”». Resistenza e senso di responsabilità: a me resta l’impressione che l’esperienza di fede e di alleanza non sia mai rassicurante, ma sconvolgente; mai soporifera ma responsabilizzante; mai acquietante, ma liberante; mai mortificante, ma energetica. Come un buon matrimonio riuscito. Anche per Lui, Padre, partner dell’amicizia/alleanza, non c’era un altro figlio di riserva e, in Cristo, Dio si è rovinato per noi. Si è impegnato con noi in modo serio; per questo Paolo ha scritto oggi per noi: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?”.
ASCENDERE, RIMANERE, DISCENDERE.
Vediamo anzitutto la forza simbolica del racconto[2].
Dopo sei giorni“: questa annotazione di tempo è stata irragionevolmente “tagliata” dal testo ufficiale della Liturgia e non ne capisco il motivo. E’ un tempo che evoca i “sei giorni” della creazione o i “sei anni” di lavoro prima dell’anno sabbatico. E’ quindi un tempo produttivo di semina, di lavoro, di preparazione. Dopo questi sei giorni avviene la Trasfigurazione. Potremmo dire che la Trasfigurazione appartiene ad un “altro tempo” che irrompe nel “tempo ordinario” al fine di produrre un contrasto, un disequilibrio, un richiamo, una correzione. Per la comunità di Marco e per noi, la Trasfigurazione accade di domenica in domenica, di Eucaristia in Eucaristia, dopo i nostri “sei giorni”.
“Tre discepoli + Tre Persone splendenti”: Pietro, Giacomo e Giovanni in rappresentanza di tutta la comunità dei discepoli; Gesù, Mosé ed Elia in rappresentanza della “comunità dei santi”. Comunità maschile bisognosa della correzione che si avrà attorno alla tomba della Pasqua dove le donne discepole attive, curiose e affettuose prevalgono su discepoli maschietti impauriti, paralizzati, tardivi. Forse per questo, l’incontro delle due comunità fa solo “sei”. La pienezza del “sette” avrà luogo mediante l’inclusione della comunità femminile, quando nel Giorno di Pasqua la comunità femminile assumerà una presenza ed un ruolo rilevante anche per gli apostoli e i discepoli maschi “autorità della chiesa”.
“Tre tende: la “tenda” ci porta all’esperienza dell’Esodo. Il tempo delle tende è anche tempo dell’alleanza tribale, di solidarietà, di uguaglianza. Nella festa delle tende (sukkot) ciascuna famiglia costruisce una tenda/capanna e la abita ricordando l’uscita dall’Egitto.  C’è un enfasi nel simbolismo trinitario: tre Esseri splendenti (Gesù, Mosé, Elia), tre discepoli (Pietro, Giovanni, Giacomo), tre tende (Esodo); tre volte tre, insieme alla gloria di Dio. Tre significa comunità, perfezione, pienezza. E’ la proposta comunitaria di Dio per l’umanità. E’ il progetto da costruire una volta che si torna in pianura.
Vestiti splendenti“: lo splendore ed il bianco esprimono la profondità e l’integrità del cambiamento avvenuto. Le prime comunità cristiane usavano vestiti bianchi appena lavati per simbolizzare la nuova vita che si proponevano di vivere. Più che di abito si tratta di “pelle”, qualcosa di organico e non di appiccicaticcio. Sto rovistando da tempo nel cassetto della mia vita ordinaria per cercare dove ho riposto o smarrito questa dignitosa veste battesimale e domenicale: ho trovato solo un certificato cartaceo. Ma non è propriamente ciò che cercavo.
Nube: qui da noi il cielo coperto può rovinare sogni e progetti di viaggi, ferie, feste, manifestazioni. Quando ero in Brasile, in tempo di secca arida e caliente, l’improvvisa apparizione di nuvoloni significava ombra, pioggia, vegetazione fresca, allegria, benedizione. La nube, nella Bibbia, è sempre messa in relazione con Dio. E’ un segno visibile della presenza e della compagnia gratificante di Dio. Lo fu durante la traversata del deserto quando Dio camminava davanti a loro, sotto forma di nube e di voce, indicando la strada.
Salire sull’alto monte“: evoca l’Horeb o il Sinai, luoghi dove Mosé ed Elia fecero una forte e trascinante esperienza di Dio.
“Discendere dal monte” verso la pianura, verso l’incontro e la trasformazione umana e sociale. La chiesa non comprende un messianismo che passi per la croce. Per “correggere” questa situazione vissuta dalla comunità post-pasquale di Marco, il racconto introduce la Trasfigurazione. La comunità non può “ridurre” la fede all’entusiasmo post-pasquale. E’ la tentazione che si esprime sulla montagna illuminata quando i discepoli vogliono piantare le tende molto lontano dalla pianura. La brillantezza dei vestiti vuole sottolineare il fascino che esercita sugli uomini questo tipo di esperienza religiosa “slegata” dalla sofferenza e dal dolore umano che avvengono quotidianamente in pianura; è una religione adorante che vuole controllare la gloria pasquale senza aprirla al lavoro creativo umanizzante. La “chiesa degli Zebedei” rappresenta un’esperienza di resurrezione “chiusa” alle sfide del mondo e che esalta l’aspetto glorioso e trionfante di Gesù risorto senza assumerne la morte sulla croce. Talvolta anch’io mi sento uno dei figli di Zebedeo.
“Questo è il mio figlio amato, ascoltatelo”: il progetto comunitario sottolineato sulla montagna è certificato dalle parole di Dio. Attorno al figlio amato si costituisce la comunità dei discepoli. La sua parola è il cammino che la comunità dei discepoli deve seguire.
Ascesa e discesa sono reciprocamente necessarie. Ascesa per celebrare e godere dei sussurri della fede. Discesa per vivere la fede in mezzo alla conflittualità e alla contraddizione. Il monte per ascoltare il progetto. La valle per costruirlo nella quotidianità e nella diversità. I “sei giorni” di lavoro e fatica hanno bisogno del “settimo” di riposo e adorazione.
LA TENTAZIONE DELLO STRAORDINARIO.
«Camminerò davanti al Signore, nella terra dei viventi». Così potrebbe aver detto Gesù a Pietro che lo voleva trattenere sul monte di quell’ assaggio di risurrezione che noi chiamiamo trasfigurazione. Così abbiamo pregato e promesso nel ritornello del Salmo. La tentazione dell’esperienza religiosa è spesso quella della fuga dalla quotidianità normale (la terra dei viventi) alla ricerca dell’evento straordinario. Nel momento in cui Dio, in Gesù, migra dalla propria divinità verso la nostra normalità, noi a volte lo andiamo a cercare nello straordinario, nel miracolo, nel magico, nella abbreviazione dei tempi feriali, nel candore di “monti” devozionali che crediamo tocchino il cielo. Diciamoci la verità: se Dio ci avesse consultati, prima di fare ciò che ha fatto, lo avremmo abbondantemente smentito, come Pietro: “Per quanto mi riguarda, farò di tutto perché questa crocifissione non ti accada” (Marco 8,31-32). Pietro anziché “lavorare per il Regno”, vorrebbe “vincere al lotto il Regno ”: una giocata, una scommessa e via!, verso una vincita veloce e abbondante.
Appartenere all’alleanza di Dio in Cristo non significa appartenere ad una religione anagrafica che si liquida con qualche sporadico dovere compiuto; il coinvolgimento della fede è qualcosa che brucia, che lascia segni sulla carne perché cerca di toccare la storia. I discepoli hanno paura perché, consciamente o no, temono di essere coinvolti nella vicenda di Gesù. Scenderemo dall’Eucarestia pasquale che celebriamo con il quesito bruciante che i discepoli avevano dentro: “Si domandavano l’un l’altro che cosa significava resurrezione dai morti”. Veramente: cosa tocca ora a noi?


[1] Servizio della Parola, 495/2018 pag.95-96
[2] Elaboro un commento da http://ospiti.peacelink.it/romero/parola.htm




18 febbraio 2024. Domenica 1a Quaresima
ALLEANZA

1 DOMENICA Quaresima

PREGHIAMO.  Dio paziente e misericordioso, che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni, disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola, perché in questo tempo che tu ci offri si compia in noi la vera conversione. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro della Gènesi 9, 8-15
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra». Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne».
Salmo 24(25). Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 3, 18-22
Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua. Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Dal Vangelo secondo Marco 1, 12-15
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

ALLEANZA. Don Augusto Fontana

Il racconto del diluvio universale ci ricorda la situazione della nostra vita e della nostra storia: una terra “piena di violenza” (Genesi 6,11-13). Fummo incaricati di “custodire” la terra pur usandola. L’abbiamo violentata.  Sembra che ci sia sempre un legno o un albero che il Signore intromette nei momenti critici della nostra e sua storia. L’albero nell’Eden, l’arca di Noé, il cesto di giunchi che galleggia sul Nilo con il piccolo Mosè, il roveto ardente di Mosè, il bastone con cui Mosè percuote la roccia, il bastone del pastore, l’arca dell’alleanza. Il legno della croce.
E poi c’è questo segno dell’arcobaleno sulle nubi. E’ un arco che parte dalla terra, sale al cielo, ritorna alla terra. Anche il crocifisso è piantato là sulla terra come ponte fra Dio e noi.
Una delle parole-chiave della Bibbia è ALLEANZA, che nella Bibbia risuona 287 volte. Credere è camminare verso l’Alleanza. Ci sono epoche progressive di Alleanza: con Noè, Abramo, Mosè, i profeti, fino alla maturazione della Alleanza realizzata in Gesù. In periodo di patti fragili, di contratti a termine, sentir parlare di Alleanza fedele ci sembra roba dell’altro mondo. Oggi raramente si usa il termine “alleanza“. La traduzione potrebbe essere fatta con sinonimi: amicizia, patto. Alleanza è un mangiare insieme. Alleanza indica “catena”, anello, vincolo: quello che non fai tu lo faccio al posto tuo, purché l’alleanza rimanga in piedi. Alleanza è testamento: sono le disposizioni che IO faccio per te. Tu hai solo la libertà di accettare o rifiutare.
Alleanza in Gesù – Gesù in Alleanza
Il libro della Genesi inizialmente dice che dopo la creazione Dio aveva visto che tutto, uomo compreso, era bello e buono. Al capitolo 6 c’è una meditazione realistica e amara: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni progetto concepito dal loro cuore non era altro che male. E si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo…Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore”. Ma il Signore ordina a Noè di caricare sull’Arca coppie di tutti gli animali (Genesi 7,2). Un’alleanza che sembra una ristrutturazione della creazione del genere umano.
Nell’alleanza unilaterale, simile a un testamento, Dio non detta alcuna clausola per gli uomini. E’ Dio che si impegna senza condizioni. E si impegna a non attuare nessuna forma di violenza. Il segno è l’arcobaleno: l’arco era strumento di guerra. Dio rompe l’arco da guerra e si impegna a non fare più guerra all’umanità.
Marco usa la frase “lo spinse nel deserto”. E’ come se l’Evangelista volesse far ricominciare la storia dal momento del Giardino della creazione affinchè Dio non si penta mai più di averci creato: in Gesù si ricostruisce l’alleanza da capo. In lui, nella sua croce risorta, Dio potrà ancora dire: “Il mio arcobaleno sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra”.
La Lettera agli Ebrei, scrive:“Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo Lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza nostra”.
Proviamo adesso ad applicare alcuni di questi spunti alla nostra vita. Siamo ancora all’epoca del diluvio? Non abbiamo bisogno anche noi di ricordarci che c’è un arco di speranza per noi e per l’umanità? Se gratti al di sotto delle incrostazioni, in ogni uomo c’è nascosta almeno una speranza, c’è un desiderio di bello, c’è la voglia di colorarsi dei colori di Dio e dell’universo. Lasciamoci allora guidare dallo Spirito. Questo Spirito porta anche noi nel deserto: ci porta dentro la profondità del nostro cuore. Può essere il luogo più desolato, più arido che ci sia. Lì puoi trovare te stesso, lì puoi trovare Dio e il senso della tua vita. Così ci spinge l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 3) di Papa Francesco: «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada».
Mercoledì scorso, durante la celebrazione eu­caristica del mercoledì delle Ceneri, il ve­scovo di Parma Enrico Solmi nell’o­melia ha sottolineato: «Con­vertire il cuore: è questo il messaggio del mercoledì delle Ceneri, e che accomuna credenti e non credenti, comunità reli­giosa e civile. Il cuore è luogo nel quale risuona la voce dell’umanità più au­tentica, perché lì Dio parla a tutti. Abbiamo feste nazio­nali della repubblica, delle forze arma­te, della liberazione…Perché non fare un giorno del cuore per la città? Guardare al “cuore” della nostra città: l’identità profonda, relazio­nale, includente, e vedere cosa c’è e cosa c’è da rettifi­care, cambiare, crescere. Non chiamiamo esperti, po­litici, ma le mamme e i papà; facciamoci aiutare da chi fa fatica ad andare avanti, dai poveri. Passiamo anche dai carcerati, sentiamo chi cura le malattie del corpo e del­l’anima. Ascoltiamo chi, nella storia. ci ha fatto cre­scere. Diamo parola alla vita di donne e uomini da tutti riconosciuti rifondatori del­la nostra collettività».

Di fronte all’inumana crudele violenza che diluvia oggi sulla terra «L’unica risposta possibile per interrompere il gioco al massacro del terrorismo fondamentalista è provare a non lasciarsi intossicare dal suo veleno. Senza cedere al “non senso” dell’orrore, senza rispondere al ricatto del terrore con altro dolore innocente». (Marco Girardo, Avvenire 10 ottobre 2023).




11 Febbraio Domenica 6
Una trasgressione di Dio

6 Domenica B 

Preghiamo. Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo, per collaborare all’opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro del Levìtico 13,1-2.45-46
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».
Salmo 31.  Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia.
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno.
Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 10,31-11,1
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

UNA TRASGRESSIONE DI DIO. Don Augusto Fontana

 C’è un doppio modo di diventare discepoli: o perché si è stati direttamente chiamati o perché si è stati guariti. L’opera di guarigione è una convocazione e un rito di invio in missione. La sequela, dunque, è composta da chiamati e da guariti, da convocati dalla “parola” e da convocati dai “segni”.
Non sia inutile ricordare che il Vangelo di Marco pare rivolto prevalentemente a dei catecumeni: quindi in ogni suo racconto e catechesi è bene tener vivo il sospetto che l’evangelista ci stia informando sulla prassi battesimale della sua comunità. E tornano le domande: Chi è Gesù? Chi è il discepolo? E soprattutto: dove ci porta questo Gesù? Non sarebbe male che queste domande costituissero la griglia di lettura e di ascolto anche del testo evangelico di oggi, sentendoci protagonisti dell’evento. Benchè già battezzati, siamo un po’ ancora “catecumeni”.
Probabilmente Marco si trova anche alle prese con evidenti problemi interni alla sua (e nostra?)  comunità: se siamo “impuri” ed emarginati dalle leggi religiose come veniamo trattati da Gesù? E se invece ci consideriamo gente per bene e integrati, come ci collochiamo davanti agli esclusi, infetti, pericolosi? Ognuno di noi ha la sua categoria di immondi che gli fanno un po’ schifo, che gli fanno storcere la bocca, che non intendiamo toccare per non infettarci.
«Una società che non sa salvare deve ricorrere alla repressione, alla reclusione, alla emarginazione, per difendersi. L’uomo incapace di salvare deve “salvarsi” e la “legittima difesa” può andare anche fino all’uccisione di colui che si ritiene aggressore. Così, incapaci di vincere il male, si “vince” colui che ne è vittima: lo si toglie fuori dai piedi…Il tempo del Messia è il tempo in cui il sano non rifiuta di prendere per mano il malato senza timori né verso di lui né nei confronti della malattia, perché sa di poter vincere il male. Se per tenerci puliti dobbiamo continuare a isolarci sotto la campana di vetro delle nostre istituzioni, a chi testimoniamo? Continueremo a rendere sterile la Parola di salvezza? Ogni volta che in noi prevale l’atteggiamento di difesa o di ostilità, non facciamo altro che accodarci ad una umanità incapace di salvare; le nostre chiese e i nostri gruppi saranno sempre rifugi di “gente perbene”, in cui troppi non avrebbero voglia di entrare per ascoltare la parola che fa vivere, e continueranno a restare esclusi. Chiesa e società rischieranno ancora di ritrovarsi abbinate nell’accettare e avallare le medesime esclusioni»[1].
…velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”…
La società in cui vivevano gli antichi uomini della Bibbia sottolineava molto la gravità della lebbra (sotto questo nome andavano diverse infezioni della pelle); nella prima lettura abbiamo sentito che i lebbrosi dovevano vivere isolati, e segnalare la loro presenza con delle vesti strappate e con il gridare: “Immondo, immondo!“. La lebbra veniva vista come il peggiore dei mali, proprio a causa della concezione che legava il peccato alla malattia: l’idea di fondo è che la lebbra, e in definitiva ogni malattia, sia un castigo di Dio per il peccatore. Il lebbroso perciò era uno scomunicato e bisognava evitare la sua presenza per il contagio fisico e morale. Chi era lebbroso era dunque escluso dalla città dei vivi, “buttato via”, dato per morto. Di fronte a questa disgrazia, le persone sane e religiose erano autorizzati a pensare: “sicuramente quel lebbroso deve aver commesso qualche grave peccato…” (cf. Gv 9,34); addirittura poteva arrivare a dire: “ben gli sta, ci poteva pensare prima… se l’è cercata…”.
…Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse…
Ma ecco che succede qualcosa che è come un terremoto che fa crollare tutti questi ragionamenti come una scossa che fa crollare il muro di separazione che isolava i puri dagli impuri. La prima mossa è quella del lebbroso che aveva sentito parlare di Gesù, di questo profeta che annunciava l’inizio di un nuovo regno, che proclamava il perdono e la guarigione dal male: invece di gridare “immondo, immondo” il lebbroso prende il coraggio a due mani e, trasgredendo le regole stabilite da Mosè, si presenta a Gesù con questa bellissima confessione di fede: se vuoi, puoi purificarmi!
Gesù non gli dice “va’ via, allontanati”, come avrebbe potuto fare un ebreo osservante, e tanto meno, “te la sei cercata…” ma è preso da un misto di collera e commozione [così si può dedurre dall’incertezza dei manoscritti greci, molti dei quali hanno orgistheis, “preso da collera” al posto di splagchnistheis, “preso da commozione”]: Gesù è preso da collera per quella mentalità che aveva portato alla scomunica del lebbroso e, contemporaneamente, è profondamente mosso a compassione per la miseria della condizione umana. Anche Gesù trasgredisce le regole, le buone maniere igieniche, quando servono soltanto a fornire alibi all’indifferenza: stende la mano e lo tocca. Quando si tratta di amare e di soccorrere chi soffre non valgono più le regole dell’ordine civile e religioso…
Il puro tocca l’impuro e prende su di sé la nostra lebbra: “Ecco l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo!” (Gv 1,29).  Paolo scriverà in Romani 9,3: «Vorrei infatti essere io stesso anatema (scomunicato), separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne».
E Gesù morirà come uno scomunicato, fuori dalle mura della città, col volto sfigurato come quello di un lebbroso, messo all’indice dai passanti, che potevano pensare: “sicuramente quell’uomo crocifisso deve aver commesso qualche grave peccato…” o addirittura potevano arrivare a dire: “ben gli sta, ci poteva pensare prima… se l’è cercata”. È quello che S. Paolo chiama lo “scandalo della croce” (cf. 1Cor 1,23).
Il Crocifisso resta per sempre la risposta e il rimedio anche ad ogni immagine distorta di Dio: non una divinità pronta a castigare ma un Dio ricco di misericordia che prende su di sé attraverso il Figlio il peccato e il dolore del mondo; per questo Gesù “può anche salvare per sempre quelli che, per mezzo di lui, si avvicinano a Dio, essendo sempre vivente per intercedere in loro favore” (Eb 7,25).
La cultura dello “scarto”.
Papa Francesco nella Evangelii gaudium n. 53 scrive: «Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”».


[1] AA.VV. Omelie nelle comunità Anno B, Marietti editori, 1979 pag. 265




4 febbraio 2024. Domenica 5a ord
UNA GIORNATA DI GESU’

5 Domenica B –

Preghiamo. O Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove, perché sull’esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro di Giobbe 7,1-4.6-7
Giobbe parlò e disse: «L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”. La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricòrdati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene».
Salmo 146. Risanaci, Signore, Dio della vita.
È bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d’Israele.
Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome.
Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza; la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi.
 Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 9,16-19.22-23
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.
 Dal Vangelo secondo Marco 1,29-39
Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».  E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

UNA GIORNATA DI GESU’.  Don Augusto Fontana

Marco vuole presentarci una “giornata tipo” del Signore, le sue scelte, le sue priorità, i suoi tempi.
Provo ad esaminare la mia giornata, quali sono i miei orari, i miei appuntamenti fissi, gli impegni inderogabili e le mie pigre infedeltà. In questa pagina dell’evangelista Marco sembra che il Dio eterno e senza tempo si sia incarnato anche nel nostro orologio, nei cicli orari. Le ore scandiscono anche la sua giornata fatta di mattini, sere, notti, ore, perfino nei racconti della passione, morte e risurrezione. Il tempo è entrato nell’eterno senza tempo.
Quante volte ci diciamo (o sentiamo dire): per questa cosa (per la preghiera, per la mia formazione, per la condivisione), proprio non ho avuto tempo. A volte non sta qui il problema. Perché neanche domani ci sarà il tempo, se quella scelta non è una priorità. L’affermare che manca il tempo, a volte vuol dire semplicemente affermare che quella cosa non è ancora importante. La vera domanda è sempre: quali sono le costanti, le scelte ripetute, le decisioni che sottomettono a sé le altre nella mia vita?
Come Marco ci descrive questa giornata del Signore? Ci fa incontrare Gesù che affronta il male e che guarisce, Gesù che prega, Gesù che, sapendo di essere per tutti, predica sempre più in là dei luoghi dove già  è conosciuto.
La giornata di Cafarnao  è il giorno in cui Gesù organizza la sua missione sul ritmo di predicazione, liberazione, preghiera.
In Cafarnao sono significativi i luoghi dove Gesù agisce: la Sinagoga (luogo della riunione della comunità per la preghiera e l’insegnamento religioso), la casa (luogo della famiglia e della vita privata), la porta della città (luogo dell’amministrazione della giustizia, delle pratiche civili, dei pedaggi e delle tasse). Poi c’è pure il monte del silenzio e della preghiera. L’attività di Gesù tocca dunque tutte le sfere della vita umana.
Malattia e cura.
Nella Sinagoga si erano sorpresi del suo insegnamento dato con autorevolezza ed era esplosa una domanda “Che è mai questo?”. Ma l’interrogativo è subito messo a lato dalle “smanie di guarigione” da parte degli abitanti di Cafarnao. L’interesse per Gesù ripiega sull’interesse per i propri guai. E’ un’umanità lacerata che soffre con Giobbe e che ci rappresenta nella nostra legittima ribellione contro la malattia o nella ricerca di senso della malattia. La tenerezza di Dio così ben rappresentata dal Salmo 146, pare essere messa in crisi dalla disintegrazione della vita da parte della malattia, della morte, della scarsa qualità della vita.
La malattia era un flagello che toccava ogni casa e per la quale non c’erano che pochi rimedi e, talvolta, solo per classi agiate. La gente povera era davvero disarmata. La malattia era una forza da scongiurare e durante la quale pregare, prima ancora che esaminare e curare. E Gesù si fa prossimo a questa debolezza strutturale nostra e pone gesti simbolici di guarigione.
Nel Vangelo di Marco i miracoli raccontati sono 20 e occupano un terzo circa della narrazione (209 versetti su 666). Ciò significa che l’autore dà ad essi un ruolo particolare nella sua catechesi. Anche la liturgia di questo anno B sarà connotata da questa caratteristica: dalla 4a alla 9a domenica il lezionario riporta l’attività di cura da parte di Gesù.
Innanzitutto i miracoli o le guarigioni non sono separabili dal suo messaggio. Quando la gente chiede un “segno” Gesù si lamenta: «Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione”»(Mc. 8,11-12).
I segni sono completamento del suo messaggio, sono Parole visibili. L’imposizione del segreto messianico (“ma non permetteva di parlare”) significa che Gesù vuole che i miracoli siano interpretati solo all’interno della catechesi ecclesiale e dopo l’evento pasquale; vuole che restino un segno complesso, nascosto al mondo. Occorre affidarsi al Vangelo, alla persona di Gesù e non alla magia.
I miracoli sono segno del conflitto tra Regno di Dio e ciò che gli si oppone. Sono segni del trasferimento della condizione umana nell’universo di Dio.
Una giornata completa.
SubitoPer 27 volte Marco usa questo avverbio; pare che sia una sua ossessione per indicare sollecitudine, fretta, urgenza. Come se incombesse qualcosa: il Regno di Dio è vicino, è qui, imminente, sta transitando.
nella casa la febbre….Nessun luogo è esente dal male sia la sinagoga che la casa quotidiana; là lo spirito impuro, qui la febbre sintomo fisico e simbolo di malattie più interiori. In Levitico 26,16 e Deuteronomio 28,22 la febbre appartiene all’elenco dei castighi per l’alleanza tradita. Qui siamo ancora di sabato e la donna il giorno prima forse era impedita a svolgere le sue funzioni previste per preparare nella casa la liturgia domestica del sabato. E’ quella febbre che indebolisce le nostre domeniche, paralizza il sacerdozio liturgico domenicale inchiodando gran parte dei battezzati al letto dei sonni e delle pigrizie. Liberare dalla febbre significa rendere una persona abile al servizio liturgico e conviviale.
gli parlano di leiMolte volte nel Vangelo, anche nel finale di quello odierno, i malati vengono “portati…presentati…convocati” dalla chiesa, dai discepoli. C’è una corresponsabilità ecclesiale, una mediazione preventiva che mi inquieta e, insieme, mi onora. Io sono responsabile dei fratelli e delle sorelle della comunità, ne posso essere diaframma divisorio o ponte di contatto con Gesù. Ed anch’io sono una povera creatura presentata al Signore dalla preghiera invocante e cura della mia comunità.
si avvicina, prende per mano, alzaSono i tre verbi battesimali di Gesù, la successione operativa e salvifica tutt’ora in atto nei miei confronti. Ma è anche un progetto per una chiesa che dalla liturgia sinagogale entra nella casa quotidiana degli uomini: si avvicina, prende per mano e solleva.
La mano forte che ha liberato il popolo dalle mani del faraone diventa oggetto di preghiera del salmo 17:
Ti amo, Signore, mia forza, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore.
Già mi avvolgevano i lacci degli inferi, già mi stringevano agguati mortali.
Nel mio affanno invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio:
stese la mano dall’alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque,
mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene.

Tra poco Gesù ripeterà il gesto di “prendere per mano” e lo farà con Pietro che affonda nelle acque: «e subito Gesù stese la mano e lo afferrò». E Pietro impara quel gesto come un gesto consueto e quasi liturgico per la chiesa; alla porta del Tempio, insieme a Giovanni, si trova davanti uno storpio che chiede l’elemosina; non ha né oro né argento da offrirgli, ma solo la forza liberante del Nome di Gesù e «presolo per la mano destra lo sollevò» (Atti 3,6-7).
si mise a servirli La cura della donna (e di ogni battezzato) ha una conclusione interessante: appare il verbo “diakoneo” (servire), quasi a dire che la liberazione non è solo “liberazione da” ma anche “liberazione per”. Servirlo significa “seguirlo fino in fondo”.
uscì e se ne andò in un luogo deserto e là pregava Gesù “esce” nel deserto. La sua preghiera è parte integrante della giornata, appartiene all’agenda degli impegni. Ed è il luogo anche della “tentazione” rappresentata  dalla pressione interessata e zelante della chiesa che lo cerca e lo trova, ma non per restare con lui in preghiera ma per dirgli «Tutti ti cercano. Pianta lì e datti una mossa». Anche nella notte del Getsemani i discepoli non partecipano alla sua drammatica preghiera:«Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?”» (Marco 14,37). Anch’io sono così: o divento ipercinetico per lo zelo attivistico o mi assopisco. La preghiera raramente appartiene alla mia agenda di discepolo.

Andiamocene altrove… e andò per tutta la GalileaLa preghiera non immobilizza Gesù; lo rende deludente per certe attese banali e, insieme, sorprendente e imprevedibili per i nuovi sentieri che imbocca.

«Quindi una giornata a Cafarnao che si apre con la preghiera pubblica in sinagoga e si chiude con la preghiera solitaria e si snoda attraverso l’insegnamento e le opere. Una giornata in cui stanno insieme lotta e contemplazione, stare tra amici e tra gente comune, attenzione a Dio e all’uomo, entrare e uscire, darsi e sottrarsi per darsi ancora. Una giornata completa» ( Pronzato, Un cristiano comincia a leggere il Vangelo di Marco, Gribaudi)