3 marzo 2024. Domenica 3a di Quaresima
 UN’ALLEANZA IN DIECI PAROLE. ANZI IN UNA: GESU’

III DOMENICA DI QUARESIMA B

Preghiamo. Signore, nostro Dio, santo è il tuo nome; piega i nostri cuori ai tuoi comandamenti e donaci la sapienza della croce, perché, liberati dal peccato che ci chiude nel nostro egoismo, ci apriamo al dono dello Spirito per diventare tempio vivo del tuo amore. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro dell’Èsodo 20, 1-3.7-8.12-17  In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole:
«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile.
Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.
Non commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
 Salmo 18.  Signore, tu hai parole di vita eterna.
La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice.
I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi.
Il timore del Signore è puro,  rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti.
Più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 1,22-25
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Dal Vangelo secondo Giovanni 2,13-25
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete[1]. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

 UN’ALLEANZA IN DIECI PAROLE. ANZI IN UNA: GESU’. Don Augusto Fontana

Il Tempio nel corpo.
Il testo di Esodo 20 è collocato tra l’annuncio della Alleanza (Esodo 19) e la sua celebrazione (Esodo 24).  Vengono rivelate (donate) Dieci Parole: «E parlò ‘Eloim tutte queste parole». Parole di libertà appartenenti alla “Legge” (Torah), un termine che, nel linguaggio occidentale contemporaneo, non rende giustizia alla densità significativa, coinvolgente e amante attribuitagli dagli uomini giusti dell’ebraismo; basta rileggersi il lungo e mistico salmo 119 o i versetti del salmo 18 di oggi.
Più che di leggi, precetti e comandi si tratta di istruzioni, insegnamenti e parole convincenti. Ancora oggi mi resta il dubbio che l’esperienza “religiosa” instauri con Dio una sottomissione servile, moralistica, giuridica, mercantile che uccide il sogno del nostro fidanzamento con Lui, come ci dicono i profeti Osea (Cap.2) ed Ezechiele (Cap. 16).  Un Rabbino, a chi gli faceva notare che il Decalogo conteneva troppe proibizioni (7 “non” …), disse: “Nelle Dieci Parole c’è una sola proibizione fondamentale: non tornate indietro, non tornate in Egitto, alla casa di schiavitù”. Infatti si trascura che le Dieci Parole incominciano così: «Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù». Non un liberatore “spirituale”, ma “integrale”; uno a cui sta a cuore oltre che la giustizia sociale, anche la liberazione dalla tentazione di intorbidare lo stile di vita una volta entrati nella Terra Promessa: non avrai altro Dio all’infuori di me e non vi opprimerete a vicenda,  né con le cose né nei rapporti. Le Dieci Parole non interpellano solo il singolo: sono i rapporti comunitari che vengono liberati. Gesù dirà che tutta la Legge si riassume nell’amare[2] e per evitare equivoci si presenta con le Beatitudini.
La “Trasfigurazione” del Tempio.
In tutte le culture il Tempio rappresenta l’ombelico che congiunge divino e umano, ma anche divide il tabernacolo dal cortile, ritma il tempo con le celebrazioni e organizza tramite la legge la convivenza sociale. Senza Tempio, il cosmo è come una ruota senza mozzo. Buono o perverso, liberante o schiavizzante che sia, senza un suo Tempio l’uomo non può esistere. L’animale è condotto dall’i­stinto, l’uomo è mosso dal desiderio di raggiungere un fine che dà senso al suo vivere, al suo desiderio di felicità. Il Tempio offre questo ed è il luogo del senso della vita, della festa e della comunione. Ma tende sempre a diventare anche luogo di mercanteggio con Dio, giustificazione di oppressione dell’uomo in nome di Dio. Al centro delle antiche città c’è sempre il Tem­pio, diventato nella cristianità il «duomo» (domus=casa), la casa di tutti. Oggi al centro troviamo la Borsa, con il culto del libero mercato e della new economy, nel cui nome si con­duce una fanatica guerra santa, senza guardare in faccia a nessuno, distrug­gendo la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti (cf. Sal 24,1). L’operazione è condotta in modo indolore, grazie al narcotico prodotto in altri tem­pli: del consumo, del divertimento, dello sport.
Dio, Tempio e uomo sono tre realtà che si rispecchiano; ma soprattutto l’uomo e il tempio hanno un volto diver­so secondo l’immagine che si ha di Dio. Se Dio è colui che ha in mano tutto e domi­na tutti, il suo fedele tende a scimmiottare il Potente; il Tempio allora diventa lo strumento di giustificazione di ogni oppressione. Se Dio è uno che si consegna e serve, l’uomo vero è colui che serve e il Tempio diventa luogo di comunione e amore.
Il Figlio dell’uomo, vero Tempio, sarà ucciso proprio da chi si è ingannato su Dio e sul Tempio e quindi anche sull’uomo. Questa visita di Gesù al Tempio visita la nostra idea di Dio e di uomo.
«Ma egli parlava del tempio del suo corpo»: il Tempio, chiamato da Gesù «casa del Padre mio» e poi «santuario», è infine identificato con il suo «corpo». La carne della Parola è ormai la «tenda» di Dio in mezzo a noi, dove noi stessi siamo di casa con lui. In Gesù il tempio diventa ciò di cui è segno: è cielo aperto sulla terra, terra aperta su Dio.
Gesù non ce l’ha col Tempio, né col Sabato, né con la Legge. Ma sa che in agguato si annida in noi la strumentalizzazione del Nome di Dio, l’abuso della religione in atti privati, il mercanteggiamento tra favori, sacramenti, benedizioni e opere buone. Ci si è messo in mezzo: prima di entrare nel Tempio, nel Sabato e nella Legge passerete su di Me, sul mio corpo, scandalo per la religione e stupidità per filosofie, economie e politiche. Nella preghiera iniziale abbiamo chiesto il dono di diventare TEMPIO DEL SUO AMORE. Difficile oggi trovare il tempo di “andare in chiesa”, ma più difficile e raro è “essere Chiesa in Lui”.
Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire voi stessi come sacrificio gradito a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pietro 2, 4-5).


[1] Nel Tempio potevano entrare solo le monete giudaiche e i pellegrini dovevano cambiare le monete romane con le monete giudaiche. I cambiavalute chiedevano un cambio molto alto. Inoltre pare che i sacerdoti rifiutassero gli animali portati da lontano, in modo che i pellegrini dovevano comprare, e caro prezzo, un animale dai venditori nel Tempio. Pare che cambiavalute e mercanti condividessero il guadagno illecito con i sacerdoti del Tempio.
[2] Matteo 22, 36-39: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose:  «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».




25 febbraio 2024
RESISTERE IN UN UN‘ALLEANZA RESPONSABILE.

 Preghiamo. O Padre, che ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio, nutri la nostra fede con la tua parola e purifica gli occhi del nostro spirito, perché possiamo godere la visione della tua gloria. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Dal libro della Gènesi 22,1-2.9.10-13.15-18
In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
Salmo 115.  Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.
Ho creduto anche quando dicevo: «Sono troppo infelice».
Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli.
Ti prego, Signore, perché sono tuo servo; io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo, negli atri della casa del Signore, in mezzo a te, Gerusalemme.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8,31-34
Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!
Dal Vangelo secondo Marco 9,2-10
[Dopo sei giorni] Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

PER RESISTERE IN UN UN‘ALLEANZA RESPONSABILE. Don Augusto Fontana

 Sono decisamente imbarazzato di fronte al racconto del Libro della Genesi. Certo, forse dietro c’è la memoria di un mutamento decisivo nel culto che passa dai sacrifici umani a quelli degli animali. Qualcuno dice che il racconto è simbolico; sarebbe una rappresentazione scenica per dire che Dio aveva dato in “dono” Isacco ad Abramo, ma Abramo si era lentamente dimenticato della origine del suo figlio e ne aveva fatto una proprietà privata, un diritto; allora Dio chiede ad Abramo di mollare la preda e compiere un gesto qualsiasi che indichi la restituzione del figlio alla sua origine di “figlio donato da Dio[1]“. Qualcuno si spinge a interpretare le figure di Abramo e di Isacco come storie profetiche di ciò che accadrà in seguito: Dio Padre metterà sull’altare della croce Suo figlio unigenito Gesù e ve lo lascerà morire! Accostamento facile, tradizionale, osceno; non sia fuori luogo ricordare le parole di Gesù ai cupi teologi di tutti i tempi: “Dio vuole misericordia e non sacrificio” (Matteo 9,13). E Lui di Dio se ne intendeva. Effettivamente è un po’ strana l’immagine di un Dio che chiede morte per far procedere i propri piani o per placarsi offese. In questi giorni abbondano notizie di qualcuno che approfitta della religione in modo fanatico seminando morte. Eppure non voglio trovare scuse per fuggire da questa pagina forte e tenera, da questo Abramo, tipo della fede per tutte le generazioni e anche per me abituato a rapporti e impegni light, brevi, semiseri, frizzanti. Oggi celebriamo la resistenza della fede nella oscurità del tunnel con in mano la lampada della promessa e della Parola (“si udì una voce…ascoltatelo”) che non elimina la notte né tutto il tunnel, ma mi consente di camminare, illuminando un metro dopo l’altro: «Lampada ai miei passi è la tua Parola»  (salmo 119,105). Nel Salmo di oggi preghiamo così: «Ho creduto anche quando dicevo: “Sono troppo infelice”». Resistenza e senso di responsabilità: a me resta l’impressione che l’esperienza di fede e di alleanza non sia mai rassicurante, ma sconvolgente; mai soporifera ma responsabilizzante; mai acquietante, ma liberante; mai mortificante, ma energetica. Come un buon matrimonio riuscito. Anche per Lui, Padre, partner dell’amicizia/alleanza, non c’era un altro figlio di riserva e, in Cristo, Dio si è rovinato per noi. Si è impegnato con noi in modo serio; per questo Paolo ha scritto oggi per noi: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?”.
ASCENDERE, RIMANERE, DISCENDERE.
Vediamo anzitutto la forza simbolica del racconto[2].
Dopo sei giorni“: questa annotazione di tempo è stata irragionevolmente “tagliata” dal testo ufficiale della Liturgia e non ne capisco il motivo. E’ un tempo che evoca i “sei giorni” della creazione o i “sei anni” di lavoro prima dell’anno sabbatico. E’ quindi un tempo produttivo di semina, di lavoro, di preparazione. Dopo questi sei giorni avviene la Trasfigurazione. Potremmo dire che la Trasfigurazione appartiene ad un “altro tempo” che irrompe nel “tempo ordinario” al fine di produrre un contrasto, un disequilibrio, un richiamo, una correzione. Per la comunità di Marco e per noi, la Trasfigurazione accade di domenica in domenica, di Eucaristia in Eucaristia, dopo i nostri “sei giorni”.
“Tre discepoli + Tre Persone splendenti”: Pietro, Giacomo e Giovanni in rappresentanza di tutta la comunità dei discepoli; Gesù, Mosé ed Elia in rappresentanza della “comunità dei santi”. Comunità maschile bisognosa della correzione che si avrà attorno alla tomba della Pasqua dove le donne discepole attive, curiose e affettuose prevalgono su discepoli maschietti impauriti, paralizzati, tardivi. Forse per questo, l’incontro delle due comunità fa solo “sei”. La pienezza del “sette” avrà luogo mediante l’inclusione della comunità femminile, quando nel Giorno di Pasqua la comunità femminile assumerà una presenza ed un ruolo rilevante anche per gli apostoli e i discepoli maschi “autorità della chiesa”.
“Tre tende: la “tenda” ci porta all’esperienza dell’Esodo. Il tempo delle tende è anche tempo dell’alleanza tribale, di solidarietà, di uguaglianza. Nella festa delle tende (sukkot) ciascuna famiglia costruisce una tenda/capanna e la abita ricordando l’uscita dall’Egitto.  C’è un enfasi nel simbolismo trinitario: tre Esseri splendenti (Gesù, Mosé, Elia), tre discepoli (Pietro, Giovanni, Giacomo), tre tende (Esodo); tre volte tre, insieme alla gloria di Dio. Tre significa comunità, perfezione, pienezza. E’ la proposta comunitaria di Dio per l’umanità. E’ il progetto da costruire una volta che si torna in pianura.
Vestiti splendenti“: lo splendore ed il bianco esprimono la profondità e l’integrità del cambiamento avvenuto. Le prime comunità cristiane usavano vestiti bianchi appena lavati per simbolizzare la nuova vita che si proponevano di vivere. Più che di abito si tratta di “pelle”, qualcosa di organico e non di appiccicaticcio. Sto rovistando da tempo nel cassetto della mia vita ordinaria per cercare dove ho riposto o smarrito questa dignitosa veste battesimale e domenicale: ho trovato solo un certificato cartaceo. Ma non è propriamente ciò che cercavo.
Nube: qui da noi il cielo coperto può rovinare sogni e progetti di viaggi, ferie, feste, manifestazioni. Quando ero in Brasile, in tempo di secca arida e caliente, l’improvvisa apparizione di nuvoloni significava ombra, pioggia, vegetazione fresca, allegria, benedizione. La nube, nella Bibbia, è sempre messa in relazione con Dio. E’ un segno visibile della presenza e della compagnia gratificante di Dio. Lo fu durante la traversata del deserto quando Dio camminava davanti a loro, sotto forma di nube e di voce, indicando la strada.
Salire sull’alto monte“: evoca l’Horeb o il Sinai, luoghi dove Mosé ed Elia fecero una forte e trascinante esperienza di Dio.
“Discendere dal monte” verso la pianura, verso l’incontro e la trasformazione umana e sociale. La chiesa non comprende un messianismo che passi per la croce. Per “correggere” questa situazione vissuta dalla comunità post-pasquale di Marco, il racconto introduce la Trasfigurazione. La comunità non può “ridurre” la fede all’entusiasmo post-pasquale. E’ la tentazione che si esprime sulla montagna illuminata quando i discepoli vogliono piantare le tende molto lontano dalla pianura. La brillantezza dei vestiti vuole sottolineare il fascino che esercita sugli uomini questo tipo di esperienza religiosa “slegata” dalla sofferenza e dal dolore umano che avvengono quotidianamente in pianura; è una religione adorante che vuole controllare la gloria pasquale senza aprirla al lavoro creativo umanizzante. La “chiesa degli Zebedei” rappresenta un’esperienza di resurrezione “chiusa” alle sfide del mondo e che esalta l’aspetto glorioso e trionfante di Gesù risorto senza assumerne la morte sulla croce. Talvolta anch’io mi sento uno dei figli di Zebedeo.
“Questo è il mio figlio amato, ascoltatelo”: il progetto comunitario sottolineato sulla montagna è certificato dalle parole di Dio. Attorno al figlio amato si costituisce la comunità dei discepoli. La sua parola è il cammino che la comunità dei discepoli deve seguire.
Ascesa e discesa sono reciprocamente necessarie. Ascesa per celebrare e godere dei sussurri della fede. Discesa per vivere la fede in mezzo alla conflittualità e alla contraddizione. Il monte per ascoltare il progetto. La valle per costruirlo nella quotidianità e nella diversità. I “sei giorni” di lavoro e fatica hanno bisogno del “settimo” di riposo e adorazione.
LA TENTAZIONE DELLO STRAORDINARIO.
«Camminerò davanti al Signore, nella terra dei viventi». Così potrebbe aver detto Gesù a Pietro che lo voleva trattenere sul monte di quell’ assaggio di risurrezione che noi chiamiamo trasfigurazione. Così abbiamo pregato e promesso nel ritornello del Salmo. La tentazione dell’esperienza religiosa è spesso quella della fuga dalla quotidianità normale (la terra dei viventi) alla ricerca dell’evento straordinario. Nel momento in cui Dio, in Gesù, migra dalla propria divinità verso la nostra normalità, noi a volte lo andiamo a cercare nello straordinario, nel miracolo, nel magico, nella abbreviazione dei tempi feriali, nel candore di “monti” devozionali che crediamo tocchino il cielo. Diciamoci la verità: se Dio ci avesse consultati, prima di fare ciò che ha fatto, lo avremmo abbondantemente smentito, come Pietro: “Per quanto mi riguarda, farò di tutto perché questa crocifissione non ti accada” (Marco 8,31-32). Pietro anziché “lavorare per il Regno”, vorrebbe “vincere al lotto il Regno ”: una giocata, una scommessa e via!, verso una vincita veloce e abbondante.
Appartenere all’alleanza di Dio in Cristo non significa appartenere ad una religione anagrafica che si liquida con qualche sporadico dovere compiuto; il coinvolgimento della fede è qualcosa che brucia, che lascia segni sulla carne perché cerca di toccare la storia. I discepoli hanno paura perché, consciamente o no, temono di essere coinvolti nella vicenda di Gesù. Scenderemo dall’Eucarestia pasquale che celebriamo con il quesito bruciante che i discepoli avevano dentro: “Si domandavano l’un l’altro che cosa significava resurrezione dai morti”. Veramente: cosa tocca ora a noi?


[1] Servizio della Parola, 495/2018 pag.95-96
[2] Elaboro un commento da http://ospiti.peacelink.it/romero/parola.htm




18 febbraio 2024. Domenica 1a Quaresima
ALLEANZA

1 DOMENICA Quaresima

PREGHIAMO.  Dio paziente e misericordioso, che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni, disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola, perché in questo tempo che tu ci offri si compia in noi la vera conversione. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro della Gènesi 9, 8-15
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra». Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne».
Salmo 24(25). Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via.
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 3, 18-22
Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito. E nello spirito andò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere, che un tempo avevano rifiutato di credere, quando Dio, nella sua magnanimità, pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l’arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua. Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi; non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo. Egli è alla destra di Dio, dopo essere salito al cielo e aver ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze.
Dal Vangelo secondo Marco 1, 12-15
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

ALLEANZA. Don Augusto Fontana

Il racconto del diluvio universale ci ricorda la situazione della nostra vita e della nostra storia: una terra “piena di violenza” (Genesi 6,11-13). Fummo incaricati di “custodire” la terra pur usandola. L’abbiamo violentata.  Sembra che ci sia sempre un legno o un albero che il Signore intromette nei momenti critici della nostra e sua storia. L’albero nell’Eden, l’arca di Noé, il cesto di giunchi che galleggia sul Nilo con il piccolo Mosè, il roveto ardente di Mosè, il bastone con cui Mosè percuote la roccia, il bastone del pastore, l’arca dell’alleanza. Il legno della croce.
E poi c’è questo segno dell’arcobaleno sulle nubi. E’ un arco che parte dalla terra, sale al cielo, ritorna alla terra. Anche il crocifisso è piantato là sulla terra come ponte fra Dio e noi.
Una delle parole-chiave della Bibbia è ALLEANZA, che nella Bibbia risuona 287 volte. Credere è camminare verso l’Alleanza. Ci sono epoche progressive di Alleanza: con Noè, Abramo, Mosè, i profeti, fino alla maturazione della Alleanza realizzata in Gesù. In periodo di patti fragili, di contratti a termine, sentir parlare di Alleanza fedele ci sembra roba dell’altro mondo. Oggi raramente si usa il termine “alleanza“. La traduzione potrebbe essere fatta con sinonimi: amicizia, patto. Alleanza è un mangiare insieme. Alleanza indica “catena”, anello, vincolo: quello che non fai tu lo faccio al posto tuo, purché l’alleanza rimanga in piedi. Alleanza è testamento: sono le disposizioni che IO faccio per te. Tu hai solo la libertà di accettare o rifiutare.
Alleanza in Gesù – Gesù in Alleanza
Il libro della Genesi inizialmente dice che dopo la creazione Dio aveva visto che tutto, uomo compreso, era bello e buono. Al capitolo 6 c’è una meditazione realistica e amara: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni progetto concepito dal loro cuore non era altro che male. E si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo…Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore”. Ma il Signore ordina a Noè di caricare sull’Arca coppie di tutti gli animali (Genesi 7,2). Un’alleanza che sembra una ristrutturazione della creazione del genere umano.
Nell’alleanza unilaterale, simile a un testamento, Dio non detta alcuna clausola per gli uomini. E’ Dio che si impegna senza condizioni. E si impegna a non attuare nessuna forma di violenza. Il segno è l’arcobaleno: l’arco era strumento di guerra. Dio rompe l’arco da guerra e si impegna a non fare più guerra all’umanità.
Marco usa la frase “lo spinse nel deserto”. E’ come se l’Evangelista volesse far ricominciare la storia dal momento del Giardino della creazione affinchè Dio non si penta mai più di averci creato: in Gesù si ricostruisce l’alleanza da capo. In lui, nella sua croce risorta, Dio potrà ancora dire: “Il mio arcobaleno sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra”.
La Lettera agli Ebrei, scrive:“Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo Lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza nostra”.
Proviamo adesso ad applicare alcuni di questi spunti alla nostra vita. Siamo ancora all’epoca del diluvio? Non abbiamo bisogno anche noi di ricordarci che c’è un arco di speranza per noi e per l’umanità? Se gratti al di sotto delle incrostazioni, in ogni uomo c’è nascosta almeno una speranza, c’è un desiderio di bello, c’è la voglia di colorarsi dei colori di Dio e dell’universo. Lasciamoci allora guidare dallo Spirito. Questo Spirito porta anche noi nel deserto: ci porta dentro la profondità del nostro cuore. Può essere il luogo più desolato, più arido che ci sia. Lì puoi trovare te stesso, lì puoi trovare Dio e il senso della tua vita. Così ci spinge l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 3) di Papa Francesco: «Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada».
Mercoledì scorso, durante la celebrazione eu­caristica del mercoledì delle Ceneri, il ve­scovo di Parma Enrico Solmi nell’o­melia ha sottolineato: «Con­vertire il cuore: è questo il messaggio del mercoledì delle Ceneri, e che accomuna credenti e non credenti, comunità reli­giosa e civile. Il cuore è luogo nel quale risuona la voce dell’umanità più au­tentica, perché lì Dio parla a tutti. Abbiamo feste nazio­nali della repubblica, delle forze arma­te, della liberazione…Perché non fare un giorno del cuore per la città? Guardare al “cuore” della nostra città: l’identità profonda, relazio­nale, includente, e vedere cosa c’è e cosa c’è da rettifi­care, cambiare, crescere. Non chiamiamo esperti, po­litici, ma le mamme e i papà; facciamoci aiutare da chi fa fatica ad andare avanti, dai poveri. Passiamo anche dai carcerati, sentiamo chi cura le malattie del corpo e del­l’anima. Ascoltiamo chi, nella storia. ci ha fatto cre­scere. Diamo parola alla vita di donne e uomini da tutti riconosciuti rifondatori del­la nostra collettività».

Di fronte all’inumana crudele violenza che diluvia oggi sulla terra «L’unica risposta possibile per interrompere il gioco al massacro del terrorismo fondamentalista è provare a non lasciarsi intossicare dal suo veleno. Senza cedere al “non senso” dell’orrore, senza rispondere al ricatto del terrore con altro dolore innocente». (Marco Girardo, Avvenire 10 ottobre 2023).




11 Febbraio Domenica 6
Una trasgressione di Dio

6 Domenica B 

Preghiamo. Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo, per collaborare all’opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro del Levìtico 13,1-2.45-46
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento».
Salmo 31.  Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia.
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno.
Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia!
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 10,31-11,1
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

UNA TRASGRESSIONE DI DIO. Don Augusto Fontana

 C’è un doppio modo di diventare discepoli: o perché si è stati direttamente chiamati o perché si è stati guariti. L’opera di guarigione è una convocazione e un rito di invio in missione. La sequela, dunque, è composta da chiamati e da guariti, da convocati dalla “parola” e da convocati dai “segni”.
Non sia inutile ricordare che il Vangelo di Marco pare rivolto prevalentemente a dei catecumeni: quindi in ogni suo racconto e catechesi è bene tener vivo il sospetto che l’evangelista ci stia informando sulla prassi battesimale della sua comunità. E tornano le domande: Chi è Gesù? Chi è il discepolo? E soprattutto: dove ci porta questo Gesù? Non sarebbe male che queste domande costituissero la griglia di lettura e di ascolto anche del testo evangelico di oggi, sentendoci protagonisti dell’evento. Benchè già battezzati, siamo un po’ ancora “catecumeni”.
Probabilmente Marco si trova anche alle prese con evidenti problemi interni alla sua (e nostra?)  comunità: se siamo “impuri” ed emarginati dalle leggi religiose come veniamo trattati da Gesù? E se invece ci consideriamo gente per bene e integrati, come ci collochiamo davanti agli esclusi, infetti, pericolosi? Ognuno di noi ha la sua categoria di immondi che gli fanno un po’ schifo, che gli fanno storcere la bocca, che non intendiamo toccare per non infettarci.
«Una società che non sa salvare deve ricorrere alla repressione, alla reclusione, alla emarginazione, per difendersi. L’uomo incapace di salvare deve “salvarsi” e la “legittima difesa” può andare anche fino all’uccisione di colui che si ritiene aggressore. Così, incapaci di vincere il male, si “vince” colui che ne è vittima: lo si toglie fuori dai piedi…Il tempo del Messia è il tempo in cui il sano non rifiuta di prendere per mano il malato senza timori né verso di lui né nei confronti della malattia, perché sa di poter vincere il male. Se per tenerci puliti dobbiamo continuare a isolarci sotto la campana di vetro delle nostre istituzioni, a chi testimoniamo? Continueremo a rendere sterile la Parola di salvezza? Ogni volta che in noi prevale l’atteggiamento di difesa o di ostilità, non facciamo altro che accodarci ad una umanità incapace di salvare; le nostre chiese e i nostri gruppi saranno sempre rifugi di “gente perbene”, in cui troppi non avrebbero voglia di entrare per ascoltare la parola che fa vivere, e continueranno a restare esclusi. Chiesa e società rischieranno ancora di ritrovarsi abbinate nell’accettare e avallare le medesime esclusioni»[1].
…velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”…
La società in cui vivevano gli antichi uomini della Bibbia sottolineava molto la gravità della lebbra (sotto questo nome andavano diverse infezioni della pelle); nella prima lettura abbiamo sentito che i lebbrosi dovevano vivere isolati, e segnalare la loro presenza con delle vesti strappate e con il gridare: “Immondo, immondo!“. La lebbra veniva vista come il peggiore dei mali, proprio a causa della concezione che legava il peccato alla malattia: l’idea di fondo è che la lebbra, e in definitiva ogni malattia, sia un castigo di Dio per il peccatore. Il lebbroso perciò era uno scomunicato e bisognava evitare la sua presenza per il contagio fisico e morale. Chi era lebbroso era dunque escluso dalla città dei vivi, “buttato via”, dato per morto. Di fronte a questa disgrazia, le persone sane e religiose erano autorizzati a pensare: “sicuramente quel lebbroso deve aver commesso qualche grave peccato…” (cf. Gv 9,34); addirittura poteva arrivare a dire: “ben gli sta, ci poteva pensare prima… se l’è cercata…”.
…Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse…
Ma ecco che succede qualcosa che è come un terremoto che fa crollare tutti questi ragionamenti come una scossa che fa crollare il muro di separazione che isolava i puri dagli impuri. La prima mossa è quella del lebbroso che aveva sentito parlare di Gesù, di questo profeta che annunciava l’inizio di un nuovo regno, che proclamava il perdono e la guarigione dal male: invece di gridare “immondo, immondo” il lebbroso prende il coraggio a due mani e, trasgredendo le regole stabilite da Mosè, si presenta a Gesù con questa bellissima confessione di fede: se vuoi, puoi purificarmi!
Gesù non gli dice “va’ via, allontanati”, come avrebbe potuto fare un ebreo osservante, e tanto meno, “te la sei cercata…” ma è preso da un misto di collera e commozione [così si può dedurre dall’incertezza dei manoscritti greci, molti dei quali hanno orgistheis, “preso da collera” al posto di splagchnistheis, “preso da commozione”]: Gesù è preso da collera per quella mentalità che aveva portato alla scomunica del lebbroso e, contemporaneamente, è profondamente mosso a compassione per la miseria della condizione umana. Anche Gesù trasgredisce le regole, le buone maniere igieniche, quando servono soltanto a fornire alibi all’indifferenza: stende la mano e lo tocca. Quando si tratta di amare e di soccorrere chi soffre non valgono più le regole dell’ordine civile e religioso…
Il puro tocca l’impuro e prende su di sé la nostra lebbra: “Ecco l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo!” (Gv 1,29).  Paolo scriverà in Romani 9,3: «Vorrei infatti essere io stesso anatema (scomunicato), separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne».
E Gesù morirà come uno scomunicato, fuori dalle mura della città, col volto sfigurato come quello di un lebbroso, messo all’indice dai passanti, che potevano pensare: “sicuramente quell’uomo crocifisso deve aver commesso qualche grave peccato…” o addirittura potevano arrivare a dire: “ben gli sta, ci poteva pensare prima… se l’è cercata”. È quello che S. Paolo chiama lo “scandalo della croce” (cf. 1Cor 1,23).
Il Crocifisso resta per sempre la risposta e il rimedio anche ad ogni immagine distorta di Dio: non una divinità pronta a castigare ma un Dio ricco di misericordia che prende su di sé attraverso il Figlio il peccato e il dolore del mondo; per questo Gesù “può anche salvare per sempre quelli che, per mezzo di lui, si avvicinano a Dio, essendo sempre vivente per intercedere in loro favore” (Eb 7,25).
La cultura dello “scarto”.
Papa Francesco nella Evangelii gaudium n. 53 scrive: «Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”».


[1] AA.VV. Omelie nelle comunità Anno B, Marietti editori, 1979 pag. 265




4 febbraio 2024. Domenica 5a ord
UNA GIORNATA DI GESU’

5 Domenica B –

Preghiamo. O Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove, perché sull’esempio di Cristo impariamo a condividere con i fratelli il mistero del dolore, illuminati dalla speranza che ci salva. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro di Giobbe 7,1-4.6-7
Giobbe parlò e disse: «L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me sono toccati mesi d’illusione e notti di affanno mi sono state assegnate. Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”. La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. I miei giorni scorrono più veloci d’una spola, svaniscono senza un filo di speranza. Ricòrdati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene».
Salmo 146. Risanaci, Signore, Dio della vita.
È bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode.
Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d’Israele.
Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite.
Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome.
Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza; la sua sapienza non si può calcolare.
Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi.
 Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 9,16-19.22-23
Fratelli, annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo. Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.
 Dal Vangelo secondo Marco 1,29-39
Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».  E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

UNA GIORNATA DI GESU’.  Don Augusto Fontana

Marco vuole presentarci una “giornata tipo” del Signore, le sue scelte, le sue priorità, i suoi tempi.
Provo ad esaminare la mia giornata, quali sono i miei orari, i miei appuntamenti fissi, gli impegni inderogabili e le mie pigre infedeltà. In questa pagina dell’evangelista Marco sembra che il Dio eterno e senza tempo si sia incarnato anche nel nostro orologio, nei cicli orari. Le ore scandiscono anche la sua giornata fatta di mattini, sere, notti, ore, perfino nei racconti della passione, morte e risurrezione. Il tempo è entrato nell’eterno senza tempo.
Quante volte ci diciamo (o sentiamo dire): per questa cosa (per la preghiera, per la mia formazione, per la condivisione), proprio non ho avuto tempo. A volte non sta qui il problema. Perché neanche domani ci sarà il tempo, se quella scelta non è una priorità. L’affermare che manca il tempo, a volte vuol dire semplicemente affermare che quella cosa non è ancora importante. La vera domanda è sempre: quali sono le costanti, le scelte ripetute, le decisioni che sottomettono a sé le altre nella mia vita?
Come Marco ci descrive questa giornata del Signore? Ci fa incontrare Gesù che affronta il male e che guarisce, Gesù che prega, Gesù che, sapendo di essere per tutti, predica sempre più in là dei luoghi dove già  è conosciuto.
La giornata di Cafarnao  è il giorno in cui Gesù organizza la sua missione sul ritmo di predicazione, liberazione, preghiera.
In Cafarnao sono significativi i luoghi dove Gesù agisce: la Sinagoga (luogo della riunione della comunità per la preghiera e l’insegnamento religioso), la casa (luogo della famiglia e della vita privata), la porta della città (luogo dell’amministrazione della giustizia, delle pratiche civili, dei pedaggi e delle tasse). Poi c’è pure il monte del silenzio e della preghiera. L’attività di Gesù tocca dunque tutte le sfere della vita umana.
Malattia e cura.
Nella Sinagoga si erano sorpresi del suo insegnamento dato con autorevolezza ed era esplosa una domanda “Che è mai questo?”. Ma l’interrogativo è subito messo a lato dalle “smanie di guarigione” da parte degli abitanti di Cafarnao. L’interesse per Gesù ripiega sull’interesse per i propri guai. E’ un’umanità lacerata che soffre con Giobbe e che ci rappresenta nella nostra legittima ribellione contro la malattia o nella ricerca di senso della malattia. La tenerezza di Dio così ben rappresentata dal Salmo 146, pare essere messa in crisi dalla disintegrazione della vita da parte della malattia, della morte, della scarsa qualità della vita.
La malattia era un flagello che toccava ogni casa e per la quale non c’erano che pochi rimedi e, talvolta, solo per classi agiate. La gente povera era davvero disarmata. La malattia era una forza da scongiurare e durante la quale pregare, prima ancora che esaminare e curare. E Gesù si fa prossimo a questa debolezza strutturale nostra e pone gesti simbolici di guarigione.
Nel Vangelo di Marco i miracoli raccontati sono 20 e occupano un terzo circa della narrazione (209 versetti su 666). Ciò significa che l’autore dà ad essi un ruolo particolare nella sua catechesi. Anche la liturgia di questo anno B sarà connotata da questa caratteristica: dalla 4a alla 9a domenica il lezionario riporta l’attività di cura da parte di Gesù.
Innanzitutto i miracoli o le guarigioni non sono separabili dal suo messaggio. Quando la gente chiede un “segno” Gesù si lamenta: «Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione”»(Mc. 8,11-12).
I segni sono completamento del suo messaggio, sono Parole visibili. L’imposizione del segreto messianico (“ma non permetteva di parlare”) significa che Gesù vuole che i miracoli siano interpretati solo all’interno della catechesi ecclesiale e dopo l’evento pasquale; vuole che restino un segno complesso, nascosto al mondo. Occorre affidarsi al Vangelo, alla persona di Gesù e non alla magia.
I miracoli sono segno del conflitto tra Regno di Dio e ciò che gli si oppone. Sono segni del trasferimento della condizione umana nell’universo di Dio.
Una giornata completa.
SubitoPer 27 volte Marco usa questo avverbio; pare che sia una sua ossessione per indicare sollecitudine, fretta, urgenza. Come se incombesse qualcosa: il Regno di Dio è vicino, è qui, imminente, sta transitando.
nella casa la febbre….Nessun luogo è esente dal male sia la sinagoga che la casa quotidiana; là lo spirito impuro, qui la febbre sintomo fisico e simbolo di malattie più interiori. In Levitico 26,16 e Deuteronomio 28,22 la febbre appartiene all’elenco dei castighi per l’alleanza tradita. Qui siamo ancora di sabato e la donna il giorno prima forse era impedita a svolgere le sue funzioni previste per preparare nella casa la liturgia domestica del sabato. E’ quella febbre che indebolisce le nostre domeniche, paralizza il sacerdozio liturgico domenicale inchiodando gran parte dei battezzati al letto dei sonni e delle pigrizie. Liberare dalla febbre significa rendere una persona abile al servizio liturgico e conviviale.
gli parlano di leiMolte volte nel Vangelo, anche nel finale di quello odierno, i malati vengono “portati…presentati…convocati” dalla chiesa, dai discepoli. C’è una corresponsabilità ecclesiale, una mediazione preventiva che mi inquieta e, insieme, mi onora. Io sono responsabile dei fratelli e delle sorelle della comunità, ne posso essere diaframma divisorio o ponte di contatto con Gesù. Ed anch’io sono una povera creatura presentata al Signore dalla preghiera invocante e cura della mia comunità.
si avvicina, prende per mano, alzaSono i tre verbi battesimali di Gesù, la successione operativa e salvifica tutt’ora in atto nei miei confronti. Ma è anche un progetto per una chiesa che dalla liturgia sinagogale entra nella casa quotidiana degli uomini: si avvicina, prende per mano e solleva.
La mano forte che ha liberato il popolo dalle mani del faraone diventa oggetto di preghiera del salmo 17:
Ti amo, Signore, mia forza, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore.
Già mi avvolgevano i lacci degli inferi, già mi stringevano agguati mortali.
Nel mio affanno invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio:
stese la mano dall’alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque,
mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene.

Tra poco Gesù ripeterà il gesto di “prendere per mano” e lo farà con Pietro che affonda nelle acque: «e subito Gesù stese la mano e lo afferrò». E Pietro impara quel gesto come un gesto consueto e quasi liturgico per la chiesa; alla porta del Tempio, insieme a Giovanni, si trova davanti uno storpio che chiede l’elemosina; non ha né oro né argento da offrirgli, ma solo la forza liberante del Nome di Gesù e «presolo per la mano destra lo sollevò» (Atti 3,6-7).
si mise a servirli La cura della donna (e di ogni battezzato) ha una conclusione interessante: appare il verbo “diakoneo” (servire), quasi a dire che la liberazione non è solo “liberazione da” ma anche “liberazione per”. Servirlo significa “seguirlo fino in fondo”.
uscì e se ne andò in un luogo deserto e là pregava Gesù “esce” nel deserto. La sua preghiera è parte integrante della giornata, appartiene all’agenda degli impegni. Ed è il luogo anche della “tentazione” rappresentata  dalla pressione interessata e zelante della chiesa che lo cerca e lo trova, ma non per restare con lui in preghiera ma per dirgli «Tutti ti cercano. Pianta lì e datti una mossa». Anche nella notte del Getsemani i discepoli non partecipano alla sua drammatica preghiera:«Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?”» (Marco 14,37). Anch’io sono così: o divento ipercinetico per lo zelo attivistico o mi assopisco. La preghiera raramente appartiene alla mia agenda di discepolo.

Andiamocene altrove… e andò per tutta la GalileaLa preghiera non immobilizza Gesù; lo rende deludente per certe attese banali e, insieme, sorprendente e imprevedibili per i nuovi sentieri che imbocca.

«Quindi una giornata a Cafarnao che si apre con la preghiera pubblica in sinagoga e si chiude con la preghiera solitaria e si snoda attraverso l’insegnamento e le opere. Una giornata in cui stanno insieme lotta e contemplazione, stare tra amici e tra gente comune, attenzione a Dio e all’uomo, entrare e uscire, darsi e sottrarsi per darsi ancora. Una giornata completa» ( Pronzato, Un cristiano comincia a leggere il Vangelo di Marco, Gribaudi)




28 gennaio 2024. Domenica 4a ord
DI’ SOLTANTO UNA PAROLA…

Quarta domenica ord ciclo B

Preghiamo. O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza e il liberatore dalle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine di coloro che a te si affidano. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro del Deuteronomio 18,15-20
Mosè parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”».
Salmo 94.  Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore, acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere».
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 7,32-35.
Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.
Dal Vangelo secondo Marco1,21-28
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga [a Cafàrnao], insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Cosa abbiamo in comune con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea. 

DI’ SOLTANTO UNA PAROLA…Don Augusto Fontana

Parola profetica che inquieta
Abituati ai molti programmi televisivi parolai, alle chiacchiere dei politici e ai sermoni dei preti, alle parole date e non mantenute, siamo da un lato perplessi e dall’altro affascinati quando incontriamo qualcuno che dice e fa, che ci colpisce con una parola chirurgica che taglia e cuce, libera e guarisce, dice “ti amo” e tu cambi vita: « La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace. È più tagliente di qualunque spada a doppio taglio. Penetra a fondo, fino al punto dove si incontrano l’anima e lo spirito, fin là dove si toccano le giunture e le midolla. Conosce e giudica anche i sentimenti e i pensieri del cuore» (Ebrei  4,12).
Quando Gesù viene presentato al Tempio sentiamo il vecchio Simeone che rivela alla madre chi è e che farà quel bambino: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima». ( Luca 2, 34-35). Compie una promessa: «Io susciterò un profeta in mezzo a voi e gli porrò in bocca le mie parole ed egli vi dirà quanto io gli comanderò. A lui darete ascolto» (Deut. 18,18). Una parola, dunque, strettamente legata e identificata con la persona di Dio e la vita di chi la pronuncia. Non chiacchiere.
San Paolo ha un’espressione incredibile: «La parola della croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio» (1 Corinti 1,18). Dice proprio così: “La Parola della croce” (in greco: o logos tou stauru). La croce è una Parola “veramente capace di farci conoscere Dio” (Lutero). Scriveva il Padre della chiesa S. Gregorio di Nissa: “La croce è teologa[1].
Dickinson (poetessa americana del 1800) scriveva: «C’è chi dice che una parola, una volta pronunciata, muore. Ebbene io vi dico che è proprio in quell’istante che comincia a vivere».
Dentro di noi e attorno a noi, spesso, abbiamo costruito un “sistema religioso” che a lungo andare diventa talmente mastodontico, organizzato, alto e largo come un grattacielo che ci oscura l’essenziale: il sole. È da un po’ che settori di noi-chiesa tentano di ridimensionare le strutture artificiali per tornare a godere il sole della Parola, quella che divenne Carne.
Si narra che un giorno un pellegrino stava percorrendo il suo sentiero quando passò davanti ad un uomo che sembrava un monaco e che stava seduto in un campo. Lì vicino altri uomini lavoravano su un edificio di pietra. «Mi sembri un monaco!», gli disse il pellegrino. «E difatti lo sono» rispose il monaco. «E chi sono quelli che stanno lavorando sul monastero?» domandò incuriosito il pellegrino. «Sono i miei monaci – rispose l’altro – e io sono il loro abate». «Magnifico! – commentò il pellegrino – E’ stupendo vedere costruire un monastero!». «A dir la verità lo stiamo demolendo» disse l’abate. «Lo state demolendo? – esclamò stupito il pellegrino – E perché?». «Per poter vedere tutte le mattine il sorgere del sole», rispose l’abate.
A che vale il cattolicissimo grattacielo religioso con tutte le devozioni, le tombolate, le sfilate matrimoniali e battesimali, le adunate, se diventano un elefantiaco diaframma che impedisce di accedere al sole della Parola-Pane?
Per tutti noi è destinata questa Parola che talvolta è carezza e talaltra è fendente. E per tutti noi, e non solo per pochi catechisti o rari evangelizzatori, è destinata perché ne diventiamo cassa di risonanza: “Io manderò il mio spirito – dice il Signore – su tutti gli uomini: i vostri figli e le vostre figlie saranno profeti, gli anziani avranno sogni e i giovani avranno visioni” (Gioele 3,1-2).
La giornata di Cafarnao
Marco 1,21 «Giunsero intanto alla città di Cafàrnao e quando fu sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare». Entra nella Sinagoga “la casa dell’ascolto e della preghiera in assemblea”. Non viene riferito il contenuto dell’insegnamento ma possiamo ricordarci quanto annunciato domenica scorsa: «Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è veniente qui; è urgente che smettiate di essere conformisti e abitudinari, e che aderiate a me e vi affidiate alla mia buona notizia».  A Cafarnao Gesù passa di sabato, il giorno della creazione e della pasqua. E frequenta parecchi luoghi: la sinagoga, la casa, la strada. Inaugura così la sua missione pubblica a tutto campo occupando tutti gli spazi disponibili sacri e profani. In città e nel deserto. E’ una giornata in cui Gesù “lotta” e contempla, sta con gli amici e con la gente comune, è colpito dalle miserie umane ed è attento a Dio, entra ed esce, si dona e si sottrae. Una giornata in cui non manca nulla. E noi incuriositi lo osserviamo con alcune domande dentro: «Chi è costui? Che dice? Che fa? Dove va?». Ma soprattutto: «Dove ci porta?».
Oggi abbiamo sentito nel Vangelo di Marco: «La gente che ascoltava era meravigliata del suo insegnamento: Gesù era diverso dai maestri della legge, perché insegnava come uno che ha piena autorità… Tutti i presenti rimasero sbalorditi e si chiedevano l’un l’altro: «Che succede? Questo è un insegnamento nuovo, dato con autorità. Costui comanda perfino agli spiriti maligni ed essi gli ubbidiscono!».
Nella Sinagoga c’è brava gente, ma anche un “indemoniato” che recita un Credo ortodosso “Gesù nazareno, sei il Santo di Dio”. Si fa presto a “dire il Credo” e Gesù lo sa, anche per me:  «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» (Mc 7,6).
Scrive Padre Ermes Ronchi: «L’uomo indemoniato di Cafarnao frequenta il luogo sacro, recita le benedizioni, eppure in lui abita un demone. I demoni accettano la fede del sabato, quella limitata al sacro e alle proprie devozioni. Il Dio vero invece è da sorprendere nella vita più che nel tempio, nella polvere della strada che scende da Gerusalemme a Gerico più che nel fumo degli incensi, nelle piaghe del povero Lazzaro più che nei bagliori dell’oro del Santo dei Santi. Sta in tutto ciò che sa di amore. Ciò che Cristo rovina è la nostra giustificata, scusata, legittimata convivenza con il male, la nostra mediocrità, il nostro mondo di maschere e di bugie».
Parola autorevole. Un insegnamento nuovo, dato con autorità.
Qualcuno ritrova la radice del termine “auto-rità” dal greco “autos-rein”: è lo ‘scorrere’ (‘rein’) di ‘me stesso‘ (‘autòs’) nell’altro. E’ quindi come una trasfusione, un fare partecipe l’altro di quello che sono vitalmente: questa è la vera autorevolezza, e questa è la forza (nel testo geco: exousia che si può tradurre anche con “abilità”) della parola. Questa forza, ci dice il vangelo, crea stupore e permette allo spirito vitale che passa in questa ‘trasfusione’ di essere superiore ad ogni male e ad ogni spirito ‘immondo’.
La parola autorevole trasforma prima me e poi, eventualmente, chi mi ascolta.
Altri[2] dicono che il termine latino “auctoritas” deriva dal verbo “augere” che significa  “far crescere”. Il vocabolo greco exousìa traduce l’ebraico shaltan ed è riservato solo a Dio. Di qui viene lo sconcerto (thambeomai significa uno “stupore unito a spavento”) davanti alla parola creativa e trasformante del Profeta di Nazaret, a cui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani chiederanno conto: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?» (Mc 11,28).
Oggi siamo invitati a comprendere che il parlare di Dio è evento creatore, capace di cambiare le cose: la sua Parola è comunicazione della sua stessa vita, non rivelazione di dottrine o misteri. Per Dio il parlare vuol dire rischiare, affidarsi alla possibilità di una accoglienza libera da parte di coloro a cui si rivolge.
Questo gioco tra potenza e rischio inizia ogni volta che la Parola di Dio viene conosciuta, letta, meditata, o anche proclamata nelle nostre assemblee domenicali. E questo Soffio divino aleggia sulle acque della nostra povera capacità di ascolto, a volte così magmatica, attendendo una casa accogliente.
La Parola non ha paura degli ostacoli e delle opposizioni: teme soltanto la noia. L’opposto dell’accoglienza non è il rifiuto, ma il “lasciar dire”.
La liberazione non è mai un fatto tranquillo. Giovanni (cap. 6,60-61) ricorda che a Cafarnao ci fu una crisi dei discepoli: « Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?”.  Gesù, disse loro:  “Questo vi scandalizza? …Forse anche voi volete andarvene?”». Pietro dirà a Gesù anche a nome nostro: «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciamo che Tu sei il Santo di Dio» (Giov. 6, 69)
Ancora Simone un giorno veniva richiamato ad abbandonarsi alla Parola (Luca 5,5):  «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». E il centurione romano e pagano chiedendo la guarigione per il suo servo, proclamava un Credo, per me ancora così difficile: «Comanda con una parola e il mio servo sarà guarito» ( Luca 7,7). E perfino i samaritani, dopo aver ascoltato la samaritana del Pozzo di Sichar le avevano detto:  «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».  (Giovanni  4,42).


[1] Primo discorso sulla resurrezione di Cristo
[2] Mons. F. Lambiasi vescovo, in “Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi“. Ave, Roma 2008




21 gennaio 2024. Domenica 3a Tempo ord.
SI FA PRESTO A DIRE “CONVERSIONE”.

3° domenica ordinario B

 Preghiamo. O Padre, che nel tuo Figlio ci hai dato la pienezza della tua parola e del tuo dono, fa’ che sentiamo l’urgenza di convertirci a te e di aderire con tutta l’anima al Vangelo, perché la nostra vita annunci anche ai dubbiosi e ai lontani l’unico Salvatore, Gesù Cristo.
Dal libro del profeta Giona 3,1-5.10
Fu rivolta a Giona questa parola del Signore: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico». Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore. Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli.  Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si convertì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
Salmo 24. Fammi conoscere, Signore, le tue vie.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia, insegna ai poveri la sua via.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 7,29-31
Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!
 Dal Vangelo secondo Marco 1,14-20
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

SI FA PRESTO A DIRE “CONVERSIONE”. Don Augusto Fontana

Si fa presto a dire “conversione!”.  Nella liturgia odierna persino Dio muta parere e decisioni: «si convertì[1] riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Giona 3,10). Anche Gesù cambia idea di fronte alla preghiera della donna siro-fenicia (Mc 7,24-30).
Non so più quale povero prete abbia detto: «A 20 anni volevo convertire il mondo, a 40 anni ho incominciato a pensare a convertire la mia parrocchia, ora che di anni ne ho 80 sarà meglio che mi affretti a convertire me stesso». Io sono così; spiazzato da pagine bibliche dalle quali fatico ad estrarre, per la 57a volta, gli imperativi del Signore, nascosti – come in una miniera – nelle sue buone notizie. Sono esausto e senza evidenti conversioni da narrare: nessuna caduta da cavallo, nessun tavolo delle imposte abbandonato lì, nessun albero di sicomoro su cui abbia lasciato brandelli di braghe per la curiosità di vedere Gesù, nessun pozzo di Sichar che mi abbia fatto centro nel cuore, nessuna barca o rete abbandonata, nessun tesoro trovato per cui sia valsa la pena vendere tutto per comprare quel campo. Nel mappamondo della mia vita non esiste la pietra miliare che ho visto in Ecuador e su cui è tracciata la linea ideale che divide il pianeta in due emisferi, o di qua o di là. Anzi: forse da tempo mi diverte tenere un piede di qua e uno di là, per non dover decidermi a riprendere el camino, a ricominciare. I cosiddetti recommençants “ricomincianti” esistono[2]. Né indifferenti, né catecumeni, dunque, ma battezzati che cercano di ripartire. Padre Henri Burgeois, fondatore del movimento, scriveva: «Bisogna rispondere ad un’attesa nuova. Perché se ne sono andati dalla Chiesa? Per una crisi profonda, magari dovuta a una esperienza traumatica causata da un lutto, da un divorzio, esperienza su cui non hanno ottenuto adeguata comprensione. È vero, c’è chi ha lasciato per problemi di tempo schiacciato dagli impegni di lavoro. Ma c’è pure chi è stato “bruciato” dal confronto con un sacerdote scorbutico o poco sensibile. E decidono di ricominciare per un motivo occasionale, magari l’incontro con un sacerdote a casa di amici; c’è chi vive un’esperienza spirituale forte, durante la visita a un monastero per esempio, o una emozione inattesa». Io non sono capace di improvvise inversioni o radicali conversioni; mi accontenterei di una lenta crescita, di un’impercettibile mutazione genetica, di un lento evoluzionismo del mio essere e della mia storia verso la Cristificazione. Mi risuona un ritornello del poeta spagnolo Antonio Machado: «Caminante no hay camino; se hace camino al andar», per chi cammina non c’è già un sentiero, perché il sentiero lo traccia chi cammina. «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri» (Salmo 24).
Il paradosso di Ninive.
Giona era un talebano, di quelli tosti che vogliono che esista l’inferno e digrignano i denti se qualcuno diffonde il sospetto che l’inferno non ci sia o, se c’è, che sia vuoto. Giona temeva che, alla fine, la misericordia di Dio avrebbe prevalso sul castigo promesso all’iniqua città di Ninive.  Dio lo aveva invitato ad andare a Ninive, in Assiria; ma lui aveva pensato bene di partire per Tarsis, in occidente e cioè in direzione opposta (Giona 1,3). Ninive non è scelta a caso: era odiosa per gli ebrei, simbolo di arroganza e crudeltà. Basta leggere il breve libro del profeta Nahum, interamente dedicato a Ninive e alla rovina decretata da Dio. L’Assiria aveva distrutto il Regno del Nord e minacciato seriamente la stessa Gerusalemme. Un ebreo non poteva provare che un senso di profonda avversione nei confronti di questo popolo, anche a distanza di anni quando ormai Ninive era stata distrutta. Il paradosso è che tale città, pagana e arrogante, sia presentata come esemplare nella conversione. Giona non fa a tempo a percorrerla tutta (“tre giornate di cammino”) che già tutti si convertono, dai grandi ai piccoli, e si fa penitenza dal re sino agli animali (3,7-9, versetti omessi dalla liturgia). Se anche gli asini e i cammelli si convertono, la lezione diventa severa. Il Signore aveva detto al profeta Ezechiele “Se invece che a Israele ti inviassi a popoli barbari, accoglierebbero meglio il tuo messaggio” (cf. Ez 3,4-7).
Il risultato della conversione dei niniviti provoca l’irritazione di Giona e il rimprovero di Dio per la sua grettezza. Anche fuori d’Israele si può trovare una reale apertura a Dio, addirittura superiore a quella di Israele.  Come si vede, c’è una forte prossimità spirituale al Nuovo Testamento e a Gesù, che davanti a un pagano esclama: “in nessuno, in Israele, ho trovato tanta fede” (Mt 8,10-12; Lc 7,9). E dirà anche: «Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c’è più di Giona» (Matteo 12,41). Risultato? La pretesa della chiesa di moralizzare il mondo, la mia pretesa di convertire la parrocchia, la tua pretesa di chiedere conversioni altrui, diventano paradossalmente la fossa dove cadiamo, la pietra di inciampo e di scandalo.
Convertitevi e credete al vangelo.
Guardare, chiamare, lasciare, seguire: quattro verbi narrativi e teologici.

  1. Vide. È uno sguardo che punta su di me, mi mette a fuoco dalla folla, mi tira fuori dal mucchio grigio e anonimo della massa. Nel racconto del giovane ricco, lo sguardo esprime una intensa vibrazione di affetto: “fissatolo, lo amò” (Mc 10,21). Questa dello sguardo è una costante strutturale dei racconti biblici di chiamata: «Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli, alzatosi, lo seguì» (Marco 2,14). «Il Signore vide che Mosè si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”» (Esodo 3,4). Pare che dopo questi sguardi, fin dal grembo materno (cfr. Gal 1,15; 4,9), le cose non restino più quelle di prima, e la persona è destinata a diventare altra.
  2. Chiamò. Questa chiamata non accade durante una solenne liturgia al tempio nella città santa, come avvenne per il profeta Isaia, o mentre recitano salmi o fanno un digiuno rituale o un pellegrinaggio; li raccoglie nell’esercizio del loro duro mestiere, nel contesto feriale di una riva del lago di Galilea. A questo punto lo sguardo si fa voce. E’ Lui che chiama personalmente i discepoli, mentre nel giudaismo erano i discepoli che si sceglievano il rabbi. E’ una chiamata seduttiva: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre» (Geremia 20,7). “Vi farò diventare pescatori di uomini”. Marco per dire “pescatori” usa il termine greco “alieis”, Luca, più fine, usa il termine greco zogron (Lc 5,10) dal verbo zôgreô che letteralmente significa “catturare viventi”. Pietro e i suoi compagni saranno dei pescatori speciali: prenderanno i pesci-uomini non per farli morire, ma per farli rivivere. Infatti il “mare” – secondo la mentalità biblica – è simbolo del “male”.
  3. I verbi del discepolo: lasciare, seguire, verbi che dicono un distacco radicale (dal lavoro, dagli affetti) e una sequela immediata, generosa, totale. Ma una risposta così deve avere una spiegazione necessaria e sufficiente. L’unica ragione di tutto è in quel pronome personale: seguite-me. I quattro pescatori seguono Gesù “subito”, insiste Marco. Forse non perché conoscono le sue dottrine o regole di vita, ma perché lo sentono affidabile, gli fanno credito e gli consegnano tutto il loro futuro. Ancora una volta è credere/fidarsi/affidarsi il primo verbo per il discepolo, un verbo che contiene tutti gli altri: lasciare, seguire, testimoniare… È il verbo che proclameremo nella liturgia per declinarlo poi – subito – nella vita.

Mentre gettavano le reti.
 Chiamati non durante un Corso intensivo di esercizi spirituali, ma in ambiente e orario di lavoro. I battezzati laici hanno una propria vocazione in forza del Battesimo. C’è carenza di preti, ma più ancora di laici battezzati che vivano con più coscienza ed entusiasmo il loro servizio evangelico così come, per esempio, lo prospetta il Decreto sull’apostolato dei laici[3]: «Tutti i laici facciano gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia, del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, come la correttezza, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza di animo: virtù senza le quali non ci può essere neanche una vera vita cristiana».
Fratel Carlo Carretto[4] ebbe a dire parole indigeste: « Francesco d’Assisi non volle essere prete perché aveva il carisma di sviluppare nella Chiesa una delle più grandi idee della mistica di tutti i tempi, l’idea del sacerdozio di tutti i battezzati, quella che in gergo teologico chiamiamo “sacerdozio dei fedeli”. Per molto tempo fui convinto che esistesse solo il sacerdozio dei preti e che il compito sacerdotale fosse demandato, come in antico, alla tribù di Levi. Io non sono un prete, ma quando offro me stesso e le creature che mi circondano al mio Altissimo Signore mi sento profondamente sacerdote. Non dimentichiamolo: nel battesimo diveniamo tutti sacerdoti. Ma che pericolo può correre la Chiesa di Gesù nell’affermare con forza che tutti i battezzati, uomini e donne, piccoli e grandi, sapienti e ignoranti, sono a pieno titolo sacerdoti? Tutti! Anche i peccatori! E lo sono non per loro merito, ma perché innestati in Cristo col battesimo diventano in Lui santi, profeti, sacerdoti (1°Lettera di Pietro 2, 9). Perché allora predicare con tanta insistenza questa grandezza solo per coloro che saranno ordinati preti dal Vescovo? E dare l’impressione, e non solo l’impressione, che i laici sono i paria della Chiesa e che non contano proprio nulla? Si direbbe proprio che ciò che conta per la Chiesa è il sacerdozio ministeriale e per esso consacra tutte le sue energie e aspirazioni. Il resto? Un riempitivo, una massa anonima. Una mucca da mungere quando occorrono i mezzi. Un panorama di teste a cui rivolgere rimproveri o consigli assennati».

Come i laici potranno esprimere il “lasciare barca, reti, parentele e seguire Lui”? Sapresti narrare le tue vocazioni?


[1] I “Settanta” traducono in greco dall’ebraico “metenòesen o theos”; dove il verbo metanoeô significa appunto convertirsi . La traduzione pare che sia stata fatta nei secoli II-I a.C.
[2] https://catechese.catholique.fr/outils/conference-contribution/331046-recommencants-foi-echange-rencontres/
[3] Paolo VI (18 novembre 1965) Cap. 1 n. 4
[4] Carlo Carretto, nato ad Alessandria nel 1910 e morto a Spello nel 1988, ricoprì la carica di presidente dell’Azione Cattolica Italiana. Successivamente, entrò a far parte della congregazione laica dei piccoli fratelli di Gesù, fondata nel 1933 da Renè Voillaume.




14 gennaio 2024. Domenica 2a ord
ANDARE VEDERE DIMORARE

Domenica 2ª Tempo ordinario B

 Preghiamo. O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa, nella liturgia e nei fratelli, fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola, per riconoscere il tuo progetto di salvezza e divenire apostoli e profeti del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen
Dal primo libro di Samuèle 3,3b-10.19
In quei giorni, Samuèle dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuèle!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuèle!»; Samuèle si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuèle fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: «Samuèle!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuèle: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuèle andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuèle, Samuèle!». Samuèle rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta».Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.
 Salmo 39 (40) R. Ecco, Signore, io vengo, per fare la tua volontà.
Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo».
Ho annunciato la tua giustizia  nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 6,13-15.17-20
 Fratelli, il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.  Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall’impurità! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impurità, pecca contro il proprio corpo.   Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!
Dal vangelo secondo Giovanni 1,35-42
In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

ANDARE VEDERE DIMORARE. Don Augusto Fontana

La chiamata dei discepoli e quella di Samuele potrebbero affondare le loro radici in un evento narrato nel Libro dell’Esodo (3, 2-6): l’incontro di Mosè con il Roveto ardente sul monte Horeb.
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?».  Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!».  Rispose: «Eccomi!».  Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!».  E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».  Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Dunque «Voglio avvicinarmi a vedere…Non avvicinarti, togliti i sandali» che fa da contrappunto alla pagina evangelica: «“Maestro, dove dimori?”». Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui».
Fonte di questa attrazione è un misterioso fascino, come ci confida Geremia in una pagina autobiografica (20, 7-9): «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me. Così la parola del Signore è diventata per me motivo di scherno ogni giorno. Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!”.  Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo».
E’ Dio ad avere l’iniziativa, come indica il vecchio sacerdote Eli al giovane apprendista profeta nel racconto che, forse, viene tramandato per spiegare il passaggio dalla centralità del sacerdozio rituale alla centralità del profetismo. La parola di Dio passa dal sacerdozio al profetismo, come una parola nuova e libera di Dio, più legata alla giustizia o ingiustizia nei confronti dei poveri che agli intrallazzi tra tempio e reggia. Samuele sarà voce del popolo di fronte agli errori e agli abusi della monarchia nascente, e non mera giustificazione del potere da parte della religione. Come ci ricorda il Salmo Responsoriale, l’essenziale è compiere la volontà di Dio, la sua prevalente attenzione per la giustizia nei confronti dei deboli piuttosto che ai sacrifici ritualiAnche nel racconto evangelico la vocazione è un’attrazione, una seduzione. Qui la chiamata di Dio viene mediata da Gesù che si aggancia al desiderio e alla domanda curiosa dell’essere umano che cerca: «”Rabbì, dove dimori?”…”Venite e vedrete”». La risposta al fascino inizia con un seguire e un vedere e finisce con un restare a vivere con Lui: «Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno dimorarono con lui».
E’ il tema della chiamata, della vocazione. Ma attenzione ai riflessi condizionati: quasi istintivamente si pensa alla vocazione sacerdotale o religiosa. La Bibbia ci parla di chiamata come qualcosa che riguarda tutti. Dio per ciascuno di noi ha la strategia adatta, le ore sempre aperte. La chiamata non è condizionata da fasce orarie, come certi sportelli di ufficio, dalle…alle…
Se siamo solo attenti e ci sforziamo di riconoscere la sua voce, le sue chiamate sono tante e quotidiane. “Sto alla porta e busso. Se qualcuno mi aprirà, noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui“. (Apocalisse 3).  Gesù non si autoconsegna a scatola chiusa. Gesù vedrà (e vede) tentennare i suoi. «Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”» (Gv 6,66-67).
Sordità, fracasso, agitazione, superficialità, attivismo religioso, mode: sono virus pericolosissimi per i quali non esiste vaccinazione preventiva e garantista. Mentre i due credono di cercarlo, è Gesù che li nota, li sceglie, si volta e chiede “Che cercate?” ed essi rispondono secondo le loro possibilità: “Maestro, dove dimori?“. Per loro Gesù è un maestro come tutti gli altri, un uomo come tutti gli altri, che ha una casa e che si può visitare, per fare la richiesta di entrare nel club dei suoi discepoli. Ma Gesù non risponde indicando un luogo preciso. Nel tipico stile giovanneo, la sua risposta è allusiva e simbolica: “venite e vedrete“, ma la casa di Gesù non è indicata, e la frase successiva la potremmo rendere così: ” Dunque andarono e videro dove DIMORAVA e quel giorno DIMORARONO presso di lui“. Da notare che le famose parole della parabola della vite usano lo stesso verbo: “Io sono la vite e voi i tralci: DIMORATE in me, e io in voi“, e ancora “DIMORATE nel mio amore”. L’evangelista fa passare in secondo piano il luogo fisico dell’abitazione di Gesù, e mette in rilievo lo stare con lui. Ciò che i discepoli devono “vedere” non è un luogo, ma la persona di Gesù.
Dove e quando potrò fare esperienza di Gesù? Proviamo a pensare ad alcune frasi di Gesù:  – “Io sono con voi tutti i giorni ” (Mt 28,20).  – “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro“. (Mt 18,20) – “Questo è il mio corpo“.  “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25).
Il filosofo Kierkegaard scriveva nell’Esercizio del cristianesimo: «Signore Gesù Cristo Tu non sei venuto al mondo per essere servito e quindi neppure per farti ammirare o adorare nell’ammirazione. Tu eri la via e la vita, Tu hai chiesto solo “imitatori”. Salvaci dall’errore di volerti ammirare o adorare nell’ammirazione invece di seguirti e assomigliare a Te».  Da Gesù si va non per riceverne rivelazioni metafisiche o donare sguardi adoranti quanto per condividerne, come possiamo, il suo servizio. E la sua preghiera.




Sabato 6 gennaio 2024. Epifania del Signore
DALLA LEGGENDA ALL’INCANTO

Epifania

Preghiamo. O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria. Per Gesù nostro Signore. Amen
Dal libro del profeta Isaìa 60,1-6
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.
Salmo 71.  Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 3,2-3a.5-6
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Dal Vangelo secondo Matteo 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

ANNUNCIO DEL GIORNO DELLA PASQUA
Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 31 marzo. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 14 febbraio. L’Ascensione del Signore, il 12 maggio. La Pentecoste, il 19 maggio. La prima domenica di Avvento, il 1° dicembre. Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore.
A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Amen.

DALLA LEGGENDA ALL’INCANTO. don Augusto Fontana

È difficile liberarci da accessori leggendari di questa festa per entrare nell’omelia dell’evangelista. La leggenda coccola gli appetiti fantastici, la profezia li turba. Matteo ricopriva, nella sua comunità, quel ruolo che nella sinagoga veniva chiamato “Meturgheman”, colui che traduceva e dava spiegazioni sul Targum, Bibbia tradotta in dialetto aramaico. Matteo, mentre narra Gesù, sfoglia questa Bibbia. E’ alla ricerca di pagine che lo aiutino a meditare sull’evento di Gesù “re dei giudei” rifiutato dai teologi della propria religione, dai poteri costituiti e misteriosamente accolto da pagani impuri. Ne esce un racconto «molto leggendario, però ricchissimo di contenuti simbolici e prefigurativi»[1] (Matteo 2,1-12). E ne nasce anche una festa liturgica che nelle mani del cattolicesimo occidentale si è un po’ sottosviluppata. Il monaco Enzo Bianchi, ci ricorda: «Per il cristianesimo orientale, il Natale è una festa piccola; la grande festa – che corrisponde al nostro Natale – è l’Epifania. Nel primo millennio l’Epifania celebrava, nell’unico giorno, la venuta dei magi, il Battesimo nel Giordano, le nozze di Cana, come dice ancora oggi l’antifona dei Vespri : «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo…». Anche per la Chiesa del primo millennio l’importante della vita di Gesù è dal Battesimo in poi, perché il Battesimo è la manifestazione ad Israele, le Nozze di Cana la manifestazione ai discepoli, l’Epifania la manifestazione ai lontani. Queste tre grandi manifestazioni vengono incluse nell’ Epifania chiamata addirittura Teofania, cioè manifestazione di Dio»[2].
Attorno a Gesù, Matteo mette in scena alcuni personaggi, chiamati màgoi, astrologi o osservatori del cielo stellato provenienti da non si sa dove. Certamente non sono giudei. Gli offrono la loro presenza. Ed anche i prodotti della loro tradizione, dei loro rituali e della loro economia che hanno evocazioni e profumi misteriosamente cultuali, messianici, pasquali. Una stella, poi, fa impazzire teologi, biblisti e astrologi, fa sognare uomini e donne dell’Oroscopo, emoziona coreografi di presepi. Tutti gli antichi credevano che quando nasceva un uomo si accendesse una stella. Anche gli israeliti avevano accolto la misteriosa profezia di un veggente pagano, Balaam: «Una stella spunta su Giacobbe,un uomo sorge da Israele»[3]. Occhi puntati, dunque, verso le tenebre della storia in attesa che il Messia ebreo vi tracciasse dentro la sua scia di speranze. La stella/simbolo appare, scompare, riappare, si sposta, si ferma; «perfino un antico commento latino osserva che qui Matteo sta esagerando. Evidentemente non sta parlando di una cometa o di un altro qualsiasi fenomeno astrologico. E’ come se parlasse di un angelo»[4]. È come se parlasse dei segni dei tempi, delle nostre tormentate coscienze, delle pagine scritte e non scritte dei nostri giornali. Ottant’anni anni dopo la morte/resurrezione di Gesù, la comunità ricorda che già nella casa (“casa” e non “grotta”) di quell’infanzia ecclesiale avevano incominciato a circolare stranieri inattesi (senza Bibbie o Encicliche in tasca) e doni provenienti da lontane tradizioni e rituali, simbolo di un’adorazione liturgica ad alta densità di significato messianico: «Che il Messia viva e gli sia dato oro di Saba» (Salmo 72, 15). Gesù detto Cristo non è più il Dio tribale, la proprietà privata di un club di devoti. In quella casa giungono uomini con percorsi zigzaganti, inconsueti, extra-mappe, raccapricciante per occhi e orecchi troppo cattolici e devoti. Inizia la Cristofania, la trasparenza, a dispetto di ogni requisizione e aggiotaggio degli “eredi aventi diritto” (Efesini 3, 2-6). Il palcoscenico creato da Matteo, infatti, così riscaldato e illuminato da annunci e luci sconfinanti, possiede anche una parete ammuffita: si vedono profilarsi ombre di sapienti rabbini, barbogi teologi dalla facile citazione testuale. E, fornicante con loro, un agitatissimo capetto volgare e machiavellico, Erode. Tutti lì a sfogliare pagine di Santa Scrittura, pietrificate dalla loro abitudinarietà e dai loro privati e minacciati interessi. Eppure anche in quelle mani si è conservata la secolare Rivelazione.
«Vi sono dunque due coordinate che consentono di individuare il luogo in cui si trova il Messia: la stella e la Bibbia. La stella che rappresenta i segni dei tempi, le occasioni della storia e anche, più banalmente, i casi della vita. È il Verbo iscritto nella creazione, il linguaggio silenzioso delle cose.  La stella conduce vicino all’evento messianico, ma da sola non raggiunge il bersaglio: occorre anche la verifica della Santa Scrittura. I magi non vanno direttamente a Betlemme, si fermano a Gerusalemme. E’ da Gerusalemme che esce la Torà, la Parola del Signore. Solo nella congiunzione fra la stella apparsa ai pagani e la parola custodita da Israele è possibile individuare l’evento del messia. La stella conduce alla Scrittura e la Scrittura riattiva la stella: insieme conducono al luogo dove si trova l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E’ a quel momento che la stella si ferma, la parola si fa evento e noi siamo ricolmi di una grandissima gioia»[5]. Il Libro Santo e la vita celebrano un bel matrimonio. Ma mi picchia nel cuore un martellante interrogativo; cosa vuol dirmi la Rivelazione con quello strano finale: «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»? Aggirano Gerusalemme e tornano ai confini. Padre Balducci forse una risposta l’ha trovata: «Non c’è più nessuna città santa, perché è la terra che è santa. Non c’è più una casta sacra che domina e dirige le speranze, perché le speranze camminano secondo il movimento dello Spirito. Gesù dirà – in contrapposizione perfetta alle parole di Isaia (Isaia 60, 1-6) –  non che i popoli verranno verso Gerusalemme, ma che i suoi discepoli andranno fino ai confini della terra. La salvezza viaggerà verso i confini. Ecco la novità del vangelo»[6].
Tu, O Dio, danzi con tutti. E io non sono geloso.
Occorre tornare a rivisitare le nostre speranze e le nostre certezze relative alla volontà di salvezza universale da parte di Dio. Recentemente il dibattito ecumenico si è imbarbarito, dopo fasi alterne di positivi avvicinamenti e di letargo. Occorre anche rendere stima e onore a tutti coloro che hanno continuato a navigare con prudenza e con apertura critica verso un ecumenismo che ha le sue radici teologiche anche nel genio di Paolo, frutto dell’incrocio creativo (non esente da tensioni) del suo cuore ebraico, della sua mente greca e della sua vita romana: «per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di Cristo: che i pagani e i non circoncisi cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo. A me è stata concessa questa grazia di annunziare a loro le imperscrutabili ricchezze di Cristo»[7].  Dobbiamo continuare a restare aperti, a diffondere la cultura dell’integrazione reciproca, a cercare e creare occasioni di incontro contro ogni gelosia religiosa e teologica, a frenare ogni strisciante predicazione che porti il Padre di Gesù a ridiventare un Dio tribale, confessionale ed esclusivista. Il Card. Montini, nella sua prima Lettera Pastorale (Quaresima 1955 “Tutto è Cristo per noi”) si faceva profeta della speranza con queste parole che sembrano scritte per noi: «Dall’inquietudine degli spiriti laici e ribelli e dall’aberrazione delle dolorose esperienze umane, prorompe fatale una confessione al Cristo assente: di Te abbiamo bisogno. Di te abbiamo bisogno, dicono anche altre voci isolate e disparate: ma sono molte oggi e fanno coro. E’ una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto: di pensosi che intravedono qualche evanescenza di Cristo; di generosi che da Lui imparano il vero eroismo; di sofferenti che sentono la simpatia per l’Uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura; di onesti che riconoscono la saggezza del vero Maestro; di volenterosi che sperano di incontrarlo nelle vie diritte del bene; di convertiti che confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averlo trovato».


[1] Alberto Mello, Evangelo secondo Matteo, Ed Qiqajon, 1995.
[2] Appunti dal Corso tenuto a Bose da Enzo Bianchi: Dal Gesù della storia al Cristo della fede.
[3] Libro dei Numeri 24,17
[4] A. Mello op. cit. pag. 67.
[5] A. Mello op. cit. pag. 68-69.
[6] E.Balducci, Il mandorlo e il fuoco, Borla, Vol. 3 pag. 72.
[7] passim Lettera agi Efesini cap. 3




1 Gennaio 2024
BENEDETTA

1 Gennaio 2024

Preghiamo. Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio…
Dal libro dei Numeri 6, 22-27
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
Sal 66  Dio abbia pietà di noi e ci benedica.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine, governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 4,4-7
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

BENEDETTO[1].
La liturgia della Parola di questo primo giorno del nuovo anno ci parla, tra le altre cose, della benedizione. Nella prima lettura è Dio che benedice l’uomo. Nella seconda lettura è l’uomo che benedice Dio, gridando a Lui: “Abbà!”. Nel Vangelo sono i pastori che, tornando da Betlemme benedicono Dio per tutto ciò che hanno visto e udito. A capodanno chiediamo a Dio la sua benedizione, in modo speciale.
Ma cos’é una benedizione?
In ebraico il verbo bārak  significa dotare di forza vitale e il sostantivo berākā  significa forza salutare, vitale. I due termini hanno anche il significato di inginocchiarsi e ginocchio che in oriente sono un eufemismo, cioè un modo attenuato e indiretto, per indicare gli organi sessuali maschili. In sintesi: benedire significa trasmettere la propria capacità generativa ad un altro rendendolo fecondo. L’azione del benedire è unica, si può dare cioè una sola volta nella vita e non può più essere revocata. In Genesi 27, Giacobbe, complice la madre, inganna il padre Isacco e ruba la sua benedizione che era destinata invece al primogenito Esaù suo fratello maggiore. Esaù, appena se ne rende conto, corre dal padre e implora per sé la benedizione, ma il padre Isacco non può fare nulla perché benedicendo il figlio minore, che per questo resterà benedetto per sempre (v. 33), si è svuotato definitivamente di tutta la sua capacità generativa. Con buona pace dei cattolici che continuano a chiedere benedizioni dei muri delle case, di indumenti o auto, quando Dio “benedice” lo fa una sola volta per sempre e la sua benedizione non ha scadenza come le mozzarelle! Il problema allora non è “essere benedetti” ma “vivere da benedetti”. Quando nella Liturgia il presbitero “benedice” il popolo, non duplica, non moltiplica, ma invita a fare memoria dell’unica, originaria e irrevocabile benedizione della Creazione e del Battesimo. Semmai è come se dicesse «Dio ci ha benedetti una volta per tutte in Cristo. Ora andiamo e viviamo da benedetti e non da maledetti». Dio mantiene le sue benedizioni promesse.  Si narra che Rabbi ‘Aqiba si recò, con altri rabbini e discepoli, sulle rovine del Tempio distrutto. E videro uscire una volpe dalle macerie di quello che fu il Tabernacolo, il luogo più Santo del Tempio. Si misero a piangere tutti, ricordandosi le promesse dell’Eterno: «Distruggerò il vostro Tempio e lo farò abitare da volpi e sciacalli!». Con i loro occhi stavano vedendo la prova che l’Eterno non manca mai di realizzare le sue promesse. E piangevano, piangevano. Ma Rabbi ‘Aqiba si mise a ridere fra lo stupore di tutti. Di fronte alle scandalizzate rimostranze dei presenti, disse: «Rido perché se l’Eterno mantiene le promesse di distruzione, non mancherà di mantenere presto anche le promesse di redenzione»[2].

  • Benedetti noi.

Chiediamo la benedizione di Dio sull’anno nuovo, sui nostri progetti, le attività quotidiane, gli incontri, il lavoro. “Benedire” (che deriva dal greco “eu-loghia”) significa “dire bene”. Se Dio ci bene-dice, vuol dire che dice-bene-di-noi: è contento, approva ciò che stiamo facendo.
Porranno il mio nome sugli israeliti” è un’espressione semitica che indica il favore divino. Questo è il sogno di ognuno di noi: avere il favore di Dio.  In fondo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom 8,31). Dio talvolta “dice-bene-di-noi” (benedice).
C’è una pagina della Bibbia che ci spiega il senso della benedizione di Dio.
All’inizio del libro di Giobbe, viene raccontata una strana scena, che si svolge in cielo: si tratta di un dialogo tra Dio e satana. Dio dice a satana: “Hai visto il mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio e sta lontano dal male”. La pagina ci ricorda anche l’elogio che Gesù fa di Giovanni Battista (Matteo 11,11): «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Dio dice-bene-di Giobbe e di Giovanni Battista e di ogni “piccolo”. Come quando dei genitori si vantano di un figlio e ne dicono bene. E in questo momento, Dio cosa sta dicendo di me? Non sarebbe bello che, proprio ora, Lui stesse dicendo a satana: “Hai visto la mia serva Anna, Maria, il mio servo Giovanni…”….Ciascuno provi a mettere ora, sulle labbra di Dio, il proprio nome. E si immagini questa scena: Dio che si compiace di te, davanti al suo e tuo avversario. Che Dio dica-bene-di noi dipende anche da  noi. Questo è uno dei motivi per cui la prima lettura, parlando della benedizione agli israeliti, ha tutti i verbi al congiuntivo, non all’indicativo: ti benedica, ti protegga, faccia brillare, ti sia propizio, rivolga, ti conceda…Perché questi verbi passino all’indicativo è necessario il “sì” dell’uomo a Dio. Perché questi desideri di Dio su di me divengano realtà c’è bisogno di me. Solo io posso rendere possibile questa benedizione. Anche nella liturgia si dice sempre “Vi benedica Dio onnipotente…”, oppure “il Signore sia con voi”, oppure “Dio onnipotente abbia misericordia, perdoni, vi conduca”…Benedire non è qualcosa di automatico, e neppure un gesto magico. É il sigillo e l’approvazione che Dio pone sulle nostre scelte, sulla nostra vita, vissuta rettamente, secondo la sua Parola. É Dio che ti dice: “Così va bene”. Anche se gli altri ti mettono i bastoni tra le ruote, o ti maledicono, o ti allontanano. Oggi ci dovremmo porre la domanda più importante di quest’anno: “Signore, cosa dici di me?”.  Noi spesso ci teniamo tanto che gli altri parlino bene di noi! Siamo più preoccupati della benedizione degli uomini, che di quella di Dio. Oggi la Parola di Dio ci mette una pulce nell’orecchio: l’unica cosa che conta è il punto di vista di Dio. “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6,26). 

  • Benedetto Dio!

Ma c’è, brevemente, un altro aspetto che emerge dalla liturgia odierna. La Parola di Dio ci mostra come anche l’uomo debba benedire Dio. Quando l’ebreo benedice Dio usa sempre il participio passato passivo bārûk-benedetto perché in Dio la benedizione è uno «stato» permanente della sua persona, mai un augurio. Non dice «Sia benedetto!» (che indica un compiersi nel tempo) ma «Dio è Benedetto». Sempre. Lui è  la benedizione. Ma tale benedizione, che esce dalle nostre labbra, è possibile solo se Dio ci dona il suo Spirito, ci dice la seconda lettura. É lo Spirito che grida nel nostro cuore la benedizione più grande: “Abbà, papà!”. Senza lo Spirito Santo è difficile benedire Dio. I nostri occhi si fermano alla superficie, non riescono a vedere a un palmo dal naso. La carne fa resistenza. Molte persone non riescono più a dire- bene di Dio, da molti anni. Sono rimaste ferite da sofferenze e prove: hanno attribuito a Dio il male ricevuto. Perché dovrei dire-bene di Dio? Solo lo Spirito Santo può aprire i loro occhi e far vedere loro oltre. Il primo frutto della presenza dello Spirito è questo desiderio di benedire. Finalmente lo Spirito Santo ci fa vedere Dio com’è, ci fa riconoscere il suo volto. Nel Vangelo abbiamo sentito come, i pastori assistono all’apparizione dell’angelo “e la gloria del Signore li avvolse di luce”. É questa luce che permette loro di riconoscere Dio in un bambino, come anche di diventare testimoni delle meraviglie di Dio e di benedirlo, lodarlo e glorificarlo per ogni cosa.
La Pace.
Papa Francesco ha scritto un messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1 gennaio 2024: “Intelligenza artificiale e pace” da cui estraggo un frammento:
«6. Trasformeremo le spade in vomeri? In questi giorni, guardando il mondo che ci circonda, non si può sfuggire alle gravi questioni etiche legate al settore degli armamenti. La possibilità di condurre operazioni militari attraverso sistemi di controllo remoto ha portato a una minore percezione della devastazione da essi causata e della responsabilità del loro utilizzo, contribuendo a un approccio ancora più freddo e distaccato all’immensa tragedia della guerra. La ricerca sulle tecnologie emergenti nel settore dei cosiddetti “sistemi d’arma autonomi letali”, incluso l’utilizzo bellico dell’intelligenza artificiale, è un grave motivo di preoccupazione etica. I sistemi d’arma autonomi non potranno mai essere soggetti moralmente responsabili: l’esclusiva capacità umana di giudizio morale e di decisione etica è più di un complesso insieme di algoritmi, e tale capacità non può essere ridotta alla programmazione di una macchina che, per quanto “intelligente”, rimane pur sempre una macchina. Per questo motivo, è imperativo garantire una supervisione umana adeguata, significativa e coerente dei sistemi d’arma. Non possiamo nemmeno ignorare la possibilità che armi sofisticate finiscano nelle mani sbagliate, facilitando, ad esempio, attacchi terroristici o interventi volti a destabilizzare istituzioni di governo legittime. Il mondo, insomma, non ha proprio bisogno che le nuove tecnologie contribuiscano all’iniquo sviluppo del mercato e del commercio delle armi, promuovendo la follia della guerra. Così facendo, non solo l’intelligenza, ma il cuore stesso dell’uomo, correrà il rischio di diventare sempre più “artificiale”. Le più avanzate applicazioni tecniche non vanno impiegate per agevolare la risoluzione violenta dei conflitti, ma per pavimentare le vie della pace. In un’ottica più positiva, se l’intelligenza artificiale fosse utilizzata per promuovere lo sviluppo umano integrale, potrebbe introdurre importanti innovazioni nell’agricoltura, nell’istruzione e nella cultura, un miglioramento del livello di vita di intere nazioni e popoli, la crescita della fraternità umana e dell’amicizia sociale. In definitiva, il modo in cui la utilizziamo per includere gli ultimi, cioè i fratelli e le sorelle più deboli e bisognosi, è la misura rivelatrice della nostra umanità. Uno sguardo umano e il desiderio di un futuro migliore per il nostro mondo portano alla necessità di un dialogo interdisciplinare finalizzato a uno sviluppo etico degli algoritmi – l’algor-etica –, in cui siano i valori a orientare i percorsi delle nuove tecnologie . Le questioni etiche dovrebbero essere tenute in considerazione fin dall’inizio della ricerca, così come nelle fasi di sperimentazione, progettazione, produzione, distribuzione e commercializzazione. Questo è l’approccio dell’etica della progettazione, in cui le istituzioni educative e i responsabili del processo decisionale hanno un ruolo essenziale da svolgere».

Padre fedele, che nel grembo e nel tempo di Maria, discepola dell’ascolto da Te benedetta, hai stabilito la dimora tra noi della Tua Parola fatta uomo e storia, donaci il tuo Spirito, perché il tempo della nostra vita nel segno della tua benedizione, del tuo volto e del tuo Nome, si renda disponibile ad accogliere e annunciare i tuoi doni e a costruire la tua pace. La nostra storia forse non ha un senso, ma crediamo e celebriamo che in Gesù Cristo questo senso tu lo darai.


[1] Mi avvalgo di riflessioni di don A.Bellinato e di Don P. Farinella.
[2] De Benedetti in “Ciò che tarda avverrà”. Ed Qiqajon, Bose