6 gennaio 2025. Una delle Epifanie
FINE DI UN DIO TRIBALE

Una delle Epifanie

Preghiamo.
O Dio-per-noi, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci anche noi, che già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria. Per Gesù nostro Signore. Amen
Dal libro del profeta Isaìa 60,1-6
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.
 Salmo 71  Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 3,2-3a.5-6
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i non circoncisi sono chiamati, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità degli israeliti, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Dal Vangelo secondo Matteo 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
ANNUNCIO DEL GIORNO DELLA PASQUA.
 Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno.  Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.  Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 20 aprile.  In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.  Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 5 marzo.  L’Ascensione del Signore, il 1° giugno. La Pentecoste, l’8 giugno.  La prima domenica di Avvento, il 30 novembre.  Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore. A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli.  Amen. 

 

Fine del Dio tribale. don Augusto Fontana

E’ difficile liberarci da accessori leggendari di questa festa per entrare nell’omelia dell’evangelista. La leggenda coccola gli appetiti fantastici mentre la profezia li turba. Matteo ricopriva, nella sua comunità, quel ruolo che nella sinagoga veniva chiamato “Meturgheman”, colui che traduceva e dava spiegazioni sul Targum, Bibbia tradotta in dialetto aramaico. Matteo, mentre narra Gesù, sfoglia questa Bibbia. E’ alla ricerca di pagine che lo aiutino a meditare sull’evento di Gesù “re dei giudei” rifiutato dai teologi della propria religione, dai poteri costituiti e misteriosamente accolto da pagani impuri. Ne esce un racconto «molto leggendario, però ricchissimo di contenuti simbolici e prefigurativi»[1] (Matteo 2,1-12). E ne nasce anche una festa liturgica che nelle mani del cattolicesimo occidentale si è un po’ sottosviluppata. Il monaco Enzo Bianchi, ci ricorda: «Per il cristianesimo orientale, il Natale è una festa piccola; la grande festa – che corrisponde al nostro Natale – è l’Epifania. Nel primo millennio l’Epifania celebrava, nell’unico giorno, la venuta dei magi, il Battesimo nel Giordano, le nozze di Cana, come dice ancora oggi l’antifona dei Vespri : «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo…». Anche per la Chiesa del primo millennio l’importante della vita di Gesù è dal Battesimo in poi, perché il Battesimo è la manifestazione ad Israele, le Nozze di Cana la manifestazione ai discepoli, l’Epifania la manifestazione alle genti, ai popoli lontani. Queste tre grandi manifestazioni vengono incluse nell’ Epifania chiamata addirittura Teofania, cioè manifestazione di Dio»[2].
Attorno a Gesù, Matteo mette in scena alcuni personaggi, chiamati màgoi, astrologi o osservatori del cielo stellato provenienti da non si sa dove. Certamente non sono giudei. Gli offrono la loro presenza. Ed anche i prodotti della loro tradizione, dei loro rituali e della loro economia che hanno evocazioni e profumi misteriosamente cultuali, messianici, pasquali. Una stella, poi, fa impazzire teologi, biblisti e astrologi, fa sognare uomini e donne dell’oroscopo, emoziona coreografi di presepi. Tutti gli antichi credevano che quando nasceva un uomo si accendesse una stella. Anche gli israeliti avevano accolto la misteriosa profezia di un veggente pagano, Balaam: «Una stella spunta su Giacobbe,un uomo sorge da Israele»[3]. Occhi puntati, dunque, verso le tenebre della storia in attesa che il Messia ebreo vi tracciasse dentro la sua scia di vivaci speranze. La stella/simbolo appare, scompare, riappare, si sposta, si ferma; «perfino un antico commento latino osserva che qui Matteo sta esagerando. Evidentemente non sta parlando di una cometa o di un altro qualsiasi fenomeno astrologico. E’ come se parlasse di un angelo»[4]. È come se parlasse dei segni dei tempi, delle nostre tormentate coscienze, delle pagine scritte e non scritte dei nostri giornali. Ottant’anni anni dopo la morte/resurrezione di Gesù, la comunità ricorda che già nella casa (“casa” e non “grotta”) di quell’infanzia ecclesiale avevano incominciato a circolare stranieri inattesi (senza Bibbie o Encicliche in tasca) e doni provenienti da lontane tradizioni e rituali, simbolo di un’adorazione liturgica ad alta densità di significato messianico: «Che il Messia viva e gli sia dato oro di Saba» (Salmo 72, 15). Gesù detto Cristo non è più il Dio tribale, la proprietà privata di un club di devoti. In quella casa giungono uomini con percorsi zigzaganti, inconsueti, extra-mappe, orripilanti per occhi e orecchi troppo cattolici-devoti. Inizia la Cristofania, la trasparenza, a dispetto di ogni requisizione e aggiotaggio degli “eredi aventi diritto” (Efesini 3, 2-6). Il palcoscenico creato da Matteo, infatti, così riscaldato e illuminato da annunci e luci sconfinanti, possiede anche una parete ammuffita. Si vedono profilarsi ombre di sapienti rabbini, barbogi teologi dalla facile citazione testuale. E, fornicante con loro, un agitatissimo capetto volgare e machiavellico, Erode. Tutti lì a sfogliare pagine di Santa Scrittura, pietrificate dalla loro abitudinarietà e dai loro privati e minacciati interessi. Eppure anche in quelle mani si è conservata la secolare Rivelazione.
«Vi sono dunque due coordinate che consentono di individuare il luogo in cui si trova il Messia: la stella e la Bibbia. La stella che rappresenta i segni dei tempi, le occasioni della storia e anche, più banalmente, i casi della vita. E’ il Verbo iscritto nella creazione, il linguaggio silenzioso delle cose.  La stella conduce vicino all’evento messianico, ma da sola non raggiunge il bersaglio: occorre anche la verifica della Santa Scrittura. I magi non vanno direttamente a Betlemme, si fermano a Gerusalemme. E’ da Gerusalemme che esce la Torà, la Parola del Signore. Solo nella congiunzione fra la stella apparsa ai pagani e la parola custodita da Israele è possibile individuare l’evento del messia. La stella conduce alla Scrittura e la Scrittura riattiva la stella: insieme conducono al luogo dove si trova l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E’ a quel momento che la stella si ferma, la parola si fa evento e noi siamo ricolmi di una grandissima gioia»[5]. Il Libro Santo e la vita celebrano un bel matrimonio. Ma mi picchia nel cuore un martellante interrogativo; cosa vuol dirmi la Rivelazione con quello strano finale: «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese»? Aggirano Gerusalemme e tornano ai confini. Padre Balducci forse una risposta l’ha trovata: «Non c’è più nessuna città santa, perché è la terra che è santa. Non c’è più una casta sacra che domina e dirige le speranze, perché le speranze camminano secondo il movimento dello Spirito. Gesù dirà – in contrapposizione perfetta alle parole di Isaia (Isaia 60, 1-6) –  non che i popoli verranno verso Gerusalemme, ma che i suoi discepoli andranno fino ai confini della terra. La salvezza viaggerà verso i confini. Ecco la novità del vangelo»[6].
Tu, O Dio, danzi con tutti. E io non sono geloso.
Occorre tornare a rivisitare le nostre speranze e le nostre certezze relative alla volontà di salvezza universale da parte di Dio. Recentemente il dibattito ecumenico si è imbarbarito, dopo fasi alterne di positivi avvicinamenti e di letargo. Occorre anche rendere stima e onore a tutti coloro che hanno continuato a navigare con prudenza e con apertura critica verso un ecumenismo che ha le sue radici teologiche anche nel genio di Paolo, frutto dell’incrocio creativo (non esente da tensioni) del suo cuore ebraico, della sua mente greca e della sua vita romana: «per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di Cristo: che i pagani, e cioè i non circoncisi, sono chiamati in Cristo Gesù a partecipare alla stessa eredità dei circoncisi, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo»[7].  Dobbiamo continuare a restare aperti, a diffondere la cultura dell’integrazione reciproca, a cercare e creare occasioni di incontro contro ogni gelosia religiosa e teologica, a frenare ogni strisciante predicazione che porti il Padre di Gesù a ridiventare un Dio tribale, confessionale ed esclusivista. Il Card. Montini, nella sua prima Lettera Pastorale si faceva profeta della speranza con queste parole che sembrano scritte per noi: «Dall’inquietudine degli spiriti laici e ribelli e dall’aberrazione delle dolorose esperienze umane, prorompe fatale una confessione al Cristo assente: di Te abbiamo bisogno. Di te abbiamo bisogno, dicono anche altre voci isolate e disparate: ma sono molte oggi e fanno coro. E’ una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto: di pensosi che intravedono qualche evanescenza di Cristo; di generosi che da Lui imparano il vero eroismo; di sofferenti che sentono la simpatia per l’Uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura; di onesti che riconoscono la saggezza del vero Maestro; di volenterosi che sperano di incontrarlo nelle vie diritte del bene; di convertiti che dicono la loro felicità per averlo trovato».


[1] Alberto Mello Evangelo secondo Matteo,Ed Qiqajon, 1995.
[2] Appunti dal Corso tenuto a Bose da Enzo Bianchi: Dal Gesù della storia al Cristo della fede.
[3] Libro dei Numeri 24,17
[4] A. Mello op. cit. pag. 67.
[5] A. Mello op. cit. pag. 68-69.
[6] E.Balducci Il mandorlo e il fuoco,Borla, Vol. 3 pag. 72.
[7] passim Lettera agi Efesini cap. 3




1 gennaio 2025
BENEDETTO

1 Gennaio 2025

Preghiamo. Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio…
Dal libro dei Numeri 6, 22-27
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
Salmo 66.  Dio abbia pietà di noi e ci benedica.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino, perché tu giudichi i popoli con rettitudine, governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 4,4-7.
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21.
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 BENEDETTO. Don Augusto Fontana

La liturgia della Parola di questo primo giorno del nuovo anno ci parla, tra le altre cose, della benedizione. Nella prima lettura è Dio che benedice l’uomo. Nella seconda lettura è l’uomo che benedice Dio, gridando a Lui: “Abbà!”. Nel Vangelo sono i pastori che, tornando da Betlemme benedicono Dio per tutto ciò che hanno visto e udito. A capodanno chiediamo a Dio la sua benedizione, in modo speciale.
Ma cos’é una benedizione?
In ebraico il verbo bārak  significa dotare di forza vitale e il sostantivo berākā  significa forza salutare, vitale. I due termini hanno anche il significato di inginocchiarsi e ginocchio che in oriente sono un eufemismo, cioè un modo attenuato e indiretto, per indicare gli organi sessuali maschili. In sintesi: benedire significa trasmettere la propria capacità generativa ad un altro rendendolo fecondo. L’azione del benedire è unica, si può dare cioè una sola volta nella vita e non può più essere revocata. In Genesi 27, Giacobbe, complice la madre, inganna il padre Isacco e ruba la sua benedizione che era destinata invece al primogenito Esaù suo fratello maggiore. Esaù, appena se ne rende conto, corre dal padre e implora per sé la benedizione, ma il padre Isacco non può fare nulla perché benedicendo il figlio minore, che per questo resterà benedetto per sempre (v. 33), si è svuotato definitivamente di tutta la sua capacità generativa. Con buona pace dei cattolici che continuano a chiedere benedizioni dei muri delle case, di indumenti o auto, quando Dio “benedice” lo fa una sola volta per sempre e la sua benedizione non ha scadenza come le mozzarelle! Il problema allora non è “essere benedetti” ma “vivere da benedetti”. Quando nella Liturgia il presbitero “benedice” il popolo, non duplica, non moltiplica, ma invita a fare memoria dell’unica, originaria e irrevocabile benedizione della Creazione e del Battesimo. Semmai è come se dicesse «Dio ci ha benedetti una volta per tutte in Cristo. Ora andiamo e viviamo da benedetti e non da maledetti».  Dio mantiene le sue benedizioni promesse.  Si narra che Rabbi ‘Aqiba si recò, con altri rabbini e discepoli, sulle rovine del Tempio distrutto. E videro uscire una volpe dalle macerie di quello che fu il Tabernacolo, il luogo più Santo del Tempio. Si misero a piangere tutti, ricordandosi le promesse dell’Eterno: «Distruggerò il vostro Tempio e lo farò abitare da volpi e sciacalli!». Con i loro occhi stavano vedendo la prova che l’Eterno non manca mai di realizzare le sue promesse. E piangevano, piangevano. Ma Rabbi ‘Aqiba si mise a ridere fra lo stupore di tutti. Di fronte alle scandalizzate rimostranze dei presenti, disse: «Rido perché se l’Eterno mantiene le promesse di distruzione, non mancherà di mantenere presto anche le promesse di redenzione» (De Benedetti in “Ciò che tarda avverrà”).
Benedetti noi.
Chiediamo la benedizione di Dio sull’anno nuovo, sui nostri progetti, le attività quotidiane, gli incontri, il lavoro. “Benedire” (che deriva dal greco “eu-loghia”) significa “dire bene”. Se Dio ci bene-dice, vuol dire che dice-bene-di-noi: è contento, approva ciò che stiamo facendo.
Porranno il mio nome sugli israeliti” è un’espressione semitica che indica il favore divino. Questo è il sogno di ognuno di noi: avere il favore di Dio.  In fondo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rom 8,31). Dio talvolta “dice-bene-di-noi” (benedice).
C’è una pagina della Bibbia che ci spiega il senso della benedizione di Dio.  All’inizio del libro di Giobbe, viene raccontata una strana scena, che si svolge in cielo: si tratta di un dialogo tra Dio e satana. Dio dice a satana: “Hai visto il mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio e sta lontano dal male”. La pagina ci ricorda anche l’elogio che Gesù fa di Giovanni Battista (Matteo 11,11): «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Dio dice-bene-di Giobbe e di Giovanni Battista e di ogni “piccolo”. Come quando dei genitori si vantano di un figlio e ne dicono bene. E in questo momento, Dio cosa sta dicendo di me? Che Dio dica-bene-di noi dipende anche da  noi. Questo è uno dei motivi per cui la prima lettura, parlando della benedizione agli israeliti, ha tutti i verbi al congiuntivo, non all’indicativo: ti benedica, ti protegga, faccia brillare, ti sia propizio, rivolga, ti conceda…Perché questi verbi passino all’indicativo è necessario il “sì” dell’uomo a Dio. Perché questi desideri di Dio su di me divengano realtà c’è bisogno di me. Solo io posso rendere possibile questa benedizione. Anche nella liturgia si dice sempre “Vi benedica Dio onnipotente…”, oppure “il Signore sia con voi”, oppure “Dio onnipotente abbia misericordia, perdonivi conduca”…Benedire non è qualcosa di automatico, e neppure un gesto magico. É il sigillo e l’approvazione che Dio pone sulle nostre scelte, sulla nostra vita, vissuta rettamente, secondo la sua Parola. É Dio che ti dice: “Così va bene”. Anche se gli altri ti mettono i bastoni tra le ruote, o ti maledicono, o ti allontanano. Oggi ci dovremmo porre la domanda più importante di quest’anno: “Signore, cosa dici di me?”.  Noi spesso ci teniamo tanto che gli altri parlino bene di noi! Oggi la Parola di Dio ci mette una pulce nell’orecchio: l’unica cosa che conta è il punto di vista di Dio. “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6,26).
Benedetto Dio!
Ma c’è, brevemente, un altro aspetto che emerge dalla liturgia odierna. La Parola di Dio ci mostra come anche l’uomo debba benedire Dio. Ma tale benedizione è possibile solo se Dio ci dona il suo Spirito, ci dice la seconda lettura. É lo Spirito che grida nel nostro cuore la benedizione più grande: “Abbà, papà!”. Senza lo Spirito Santo è difficile benedire Dio. Molte persone non riescono più a dire- bene di Dio, da molti anni. Sono rimaste ferite da sofferenze e prove: hanno attribuito a Dio il male ricevuto. Perché dovrei dire-bene di Dio? Solo lo Spirito Santo può aprire i loro occhi e far vedere loro oltre. Il primo frutto della presenza dello Spirito è questo desiderio di benedire. Finalmente lo Spirito Santo ci fa vedere Dio com’è, ci fa riconoscere il suo volto. Nel Vangelo abbiamo sentito come, i pastori assistono all’apparizione dell’angelo “e la gloria del Signore li avvolse di luce”. É questa luce che permette loro di riconoscere Dio in un bambino, come anche di diventare testimoni delle meraviglie di Dio e di benedirlo, lodarlo e glorificarlo per ogni cosa.
Un anno per desiderare, vegliare, volere.
 Un racconto ebraico narra di un rabbino che chiese al Messia quando sarebbe arrivato. Il Messia rispose: «Domani». Il rabbino tornò a casa e si mise ad aspettarlo. Il Messia però non venne e il rabbino si infuriò con lui perché gli aveva mentito; andò ad esprimere la sua collera al profeta Elia, ma questi gli disse: « Ti sbagli, il Messia non ha mentito. Ha detto “Domani”, ed è vero; però significa “Quando lo desidererai, quando sarai pronto, quando lo vorrai”».
Scrive Bonhoeffer sei mesi prima di venire impiccato dai nazisti: «La cosa principale è che si tenga il passo di Dio, che non si continui a precederlo di qualche passo, ma nemmeno che si resti indietro di qualche passo» (Resistenza e Resa, 1969, pag. 163).  Nel Vangelo di oggi si dice che, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, i pastori “andarono in fretta” a Betlemme. Come aveva fatto prima Maria, dirigendosi “in fretta” verso la casa di Elisabetta. Tanto Maria come i pastori colgono l’urgenza dell’ “oggi” e di fronte al quale non è ammissibile nessun ritardo o disattenzione. E’ l’atteggiamento del credente che cerca di stare al ritmo dei passi di Dio. Destinatari della buona notizia si trasformano in annunciatori della medesima e iniziano “ad annunciare ciò che l’angelo aveva detto di questo bambino”.
Si sottolinea, anche, l’atteggiamento di Maria: “Maria da parte sua custodiva questi eventi e li meditava nel suo cuore“. Il verbo greco tradotto come “conservare/custodire” è syntereo, che significa letteralmente “custodire con accuratezza qualcosa di prezioso e di valore“. L’altro verbo tradotto come “meditare” è il verbo greco symballo, che significa letteralmente: “mettere insieme due realtà che sono separate”, “confrontare“. Suppone un atteggiamento dello spirito che crea sintesi, che riesce a trovare una logica in mezzo a cose o situazioni apparentemente senza senso. Luca, quindi, descrive Maria come una discepola che legge continuamente gli avvenimenti per scoprire il loro significato più profondo, modello per ogni credente, chiamato a scoprire il mistero e la presenza del Dio della vita nella quotidianità e nell’ordinario di ciascun giorno.




29 dicembre 2024. Famiglia di Nazaret
Una famiglia circoncisa dalla Parola

Famiglia di Nazaret 2024

Preghiamo. O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio crescesse in sapienza, età e grazia nella famiglia di Nazaret; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché diventiamo partecipi della fecondità del tuo amore. Per Gesù Cristo il nostro Signore
Dal primo libro di Samuèle (1,20-22.24-28)
Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre». Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.
Salmo 83. Beato chi abita nella tua casa, Signore.
Quanto sono amabili le tue dimore, Signore dell’universo!
L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente.
Beato chi abita nella tua casa: senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore.
Signore, Dio dell’universo, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo, guarda il volto del tuo consacrato.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (3,1-2.21-24)
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Dal Vangelo secondo Luca 2,41-52
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

UNA FAMIGLIA CIRCONCISA DALLA PAROLA. Don Augusto Fontana

Sulla famiglia, sacra ma non santa, oggi c’è rissa: famiglia naturale, famiglia laica, sacramentale, omo o etero, unione di fatto. Scendono in campo grossi calibri ecclesiastici (celibi!) per difendere i valori famigliari “non negoziabili”, da trasformare in leggi dello Stato usando la lobby teodem  (quelli di “Dio-patria-famiglia” bigami o quasi). E noi preti, senza moglie e figli, pontifichiamo dai nostri scranni come gli scribi e i farisei a cui Gesù diceva: «Guai a voi, esperti della Legge di Mosè, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito» (Lc 11, 46).  Io ho sperimentato il lavoro e per esperienza so che lì si sono infranti tutti i modelli ideali profilati dalle Encicliche sul lavoro, obbligandomi ad una quotidiana mediazione (a volte al ribasso, a volte al rialzo) tra dogmi allo stato puro e contingenze problematiche. Se mi fossi sposato potrei parlare di famiglia, avendo custodito e confrontato nel cuore la Parola di Dio con la mia carne e storia. Rinuncio a cercare una corrispondenza diretta tra Bibbia e famiglia, come se la Santa Scrittura di oggi offrisse un prontuario di ricette o modelli di famiglia. Eppure mi intriga questo Dio-per-noi che si è fatto carne, prendendone su di sé tutte le conseguenze: appartenere ad un nucleo familiare, ad una etnia, ad una tradizione religiosa, ad un contesto politico nazionale e internazionale, reso «in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele» (Eb 2,17).
Mai come oggi la pastorale si è mobilitata per Corsi di catechesi pre e post rito del matrimonio. Il matrimonio Concordatario non lo si nega a nessuno: anche se sono fortunatamente in diminuzione quelli che lo pretendono come diritto civile individuale. Quasi tutti i matrimoni nascono in chiesa e finiscono in tribunale. Ne sento l’aspra responsabilità. Resta immutato il dramma di una profonda separazione tra quanto si celebra e il suo esito post rituale. Se voglio affondare lo sguardo dentro la ferita aperta, posso intonare il Dies irae: tutte le ricerche in atto ci assicurano che stanno aumentando le violenze e gli omicidi intra-familiari, che aumentano le separazioni e le conflittualità. E tutti sappiamo che con l’andar del tempo lo smalto dell’innamoramento si opacizza, la coppia vivacchia, i modelli educativi sono liquidi e scivolosi. Ma tu hai capito che sarebbe ingeneroso generalizzare e amalgamare tutte le famiglie nella poltiglia delle statistiche, dei morbosi talk show televisivi e dei patologici rapporti giornalistici. Grazie a Dio conosco, come te, stupende famiglie santificate e santificanti, dolci, solidali, aperte, celebranti, carismatiche; immagini sacramentali di un Dio sposo fedele e famiglia trinitaria. E conosco le lacrime inconsolabili quando la morte, e non la fine di un amore, infrange un’alba o un giorno talmente luminoso da non mettere in conto mai che possa venire sera.
In questo contesto medito le letture di oggi con un occhio alla famiglia e uno alla comunità cristiana. Perché non so bene se oggi si celebra la Santa Famiglia o la Santa Comunità.
E’ vero che il Concilio Vaticano II ha scritto: “La famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e a comporre convenientemente i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società” (Gaudium et Spes 52). Ma è pure vero che Giovanni Paolo II nella sua Familiaris Consortium (n.21) ha scritto: «la famiglia cristiana offre una rivelazione e una realizzazione specifica della comunione ecclesiale». Il Catechismo della Chiesa cattolica offre interessanti indicazioni (nn. 1655-1657): «Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla santa Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la « famiglia di Dio ». Fin dalle sue origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti. Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. È per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un’antica espressione, chiama la famiglia  “Chiesa domestica” in cui «i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede». È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, « con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità ». È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita». L’esortazione apostolica “Amoris laetitia” di Papa Francesco dopo il Sinodo sulla famiglia scrive tra l’altro: «Sappiamo che nel Nuovo Testamento si parla della “Chiesa che si riunisce nella casa” (cfr 1 Cor 16,19; Rm 16,5; Col 4,15). Lo spazio vitale di una famiglia si poteva trasformare in chiesa domestica, in sede dell’Eucaristia, della presenza di Cristo seduto alla stessa mensa. Così si delinea una casa che porta al proprio interno la presenza di Dio, la preghiera comune e perciò la benedizione del Signore»(n.15).
Dalla Santa Scrittura ci vengono alcuni dati di fondo. Occorre non dimenticare oggi che Gesù  ha relativizzato la famiglia: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,35-37). A chi gli faceva notare che sua madre e i suoi familiari lo stavano aspettando, Gesù reclama: «E chi è mia madre o i miei fratelli? Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,50).
E anche oggi i rapporti tra quei tre pellegrini (nell’Evangelo di oggi) contengono squarci di mistero: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro». Giuseppe e Maria sono una coppia pressata dalla vita e da problemi. Giuseppe ha una bella grana da sbrogliare, tra una dubbia moralità della moglie e una precisa disposizione della Legge mosaica in materia. Maria pure ha la sua rogna con una maternità inusuale e un’altrettanta inusuale discussione con Dio. Tutti e due devono affrontare un lungo viaggio per sottoporsi a un censimento partorito dalle paranoie del potere. E poi quel parto avventuroso. E poi quella fuga all’estero con neonato al seguito. E poi quel rientro alla chetichella, come due perseguitati politici. E poi quella vita senza storia a Nazaret interrotta da qualche pellegrinaggio a Gerusalemme dove l’adolescente Gesù, da loro educato alla Sinagoga e alla Torà, non risparmia un indimenticabile divino grattacapo. Tutto ciò che è detto e ciò che non è detto ma immaginato, ci parla di una comunità non esentata dalla storia, non ritirata in mistici conventi o monasteri, ma travolta e ferita da eventi. Come me e te.




25 dicembre 2024. FESTA DELL’INCARNAZIONE
NON TEMETE!

FESTA DELL’INCARNAZIONE 2024

 Dal libro del profeta Isaìa  9,1-6.
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse, Hai moltipli­cato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Per­ché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian. Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbom­bando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giusti­zia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Si­gnore dell’universo.
Salmo  95,1-3.11-13. Oggi è nato per noi il Salvatore.
Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvez­za.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria, a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Gioiscano i cieli, esulti la terra, risuoni il ma­re e quanto racchiude;
sia in festa la campa­gna e quanto contiene, acclamino tutti gli al­beri della foresta.
Davanti al Signore che viene: sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli.
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito 2,11-14
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vi­vere in questo mondo con sobrietà, con giusti­zia e con pietà, nell’attesa della beata speran­za e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha da­to se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniqui­tà e formare per sé un popolo puro che gli appar­tenga, pieno di zelo per le opere buone.
Dal Vangelo secondo Luca 2,1-14
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la ter­ra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. An­che Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si tro­vavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte fa­cendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Si­gnore si presentò a loro e la gloria del Signore li av­volse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi an­nuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popo­lo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, ada­giato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

NON TEMETE! Don Augusto Fontana

Angeli o non angeli, comunque loquaci presenze movimentano la nascita e la resurrezione del Signore. Dalla loro bocca sfugge un invito: «Non temete».
Non temere. Un invito dolce e perentorio per oltre 100 volte nella Bibbia di cui 20 volte nell’evangelo. Nei vangeli l’invito nasce accanto alla tomba vuota e da lì straripa nei racconti della vita di Gesù fino alla sua nascita.
Il timore è fobia, panico, insicurezza. Non sono, devo confessarlo, tra quelli che esorcizzano la paura invocando l’intervento di un angelo. Quale angelo ad Auschwitz avrebbe avuto il coraggio di far sibilare il suo: «Non temete!»? Perdura la mattanza in Europa, Medio Oriente, Africa e la miseria dei favelados sudamericani. Anche lì, angeli dal pulpito grideranno «Non temete! Oggi vi è nato un salvatore». Angeli credibili solo se celebrano la Cena pasquale con serena resistenza nei loro aspri cammini di liberazione: «Io vi ho condotti per quarant’anni nel deserto; i vostri mantelli non vi si sono logorati addosso e i vostri sandali non vi si sono logorati ai piedi» (Deuteronomio 29, 4). Nell’ubriacatura molliccia di questo Natale non possiamo farci complici del contrabbando di false rassicurazioni religiose.
Il Dio che l’evangelista Luca presenta sulla scena non è più il Signore degli eserciti che vince sugli egiziani, ma un Dio debole e lacero: «Oggi vi è nato un salvatore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Luca 2, 11-12). Un bambino che non fa paura, nè suscita timori reverenziali. Icona di un Dio debole e sconfitto, che non è onnipotenza, ma fragilità, sofferenza e compassione; nato nell’insignificante borgata della “piccolissima” Betlemme. Un Dio da villaggio, lontano da Gerusalemme. Un Dio dimesso, abbassato, germoglio, che visita pastori estromessi dal tempio perché resi impuri dal contatto animale, assenteisti dalla sinagoga per perenne lavoro e in altrettanto perenne esodo. Un Dio che prende la sua Shekinà (la sua Gloriosa Presenza nel creato) e la porta in esilio con gli ebrei, con ogni vagabondo, cercatore, pellegrino. Scrive Pareyson «Forse il silenzio di Dio, che è così terribile per l’uomo gettato nel baratro della sua angoscia, non è il silenzio di chi tace perché non c’è o di chi tace perché abbandona, ma di chi tace perché piange e tace appunto per piangere». Dio-con-noi. Vorrei sentire invisibili mani passare sulla mia fronte e liberarmi dolcemente da tristi pensieri: allora non sarei solo a sopportare la lunga notte.
Il timor di Dio non è paura di Dio, ma stupore ammirato davanti ai suoi segni e fibrillante sospetto di trovarci alla sua presenza. Anche questo timore/stupore avvolge Incarnazione e Risurrezione: «Questo per voi il segno: troverete un bambino…Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto…Le donne, abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, corsero a dare l’annunzio».
 «Il timore di Dio»: è un modo per dire che un uomo ha la percezione netta – quasi fisica – di essere immerso in Dio o di fronte a Lui. «Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo. Ebbe timore e disse: Quanto è adorabile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» (Gen.28). Nel momento in cui Giosuè celebra la Pasqua sul territorio di Gerico, gli appare il Signore che apre il passaggio e pronuncia le stesse parole che aveva pronunciato davanti a Mosè sul Sinai: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo» (Esodo 3,5; Giosuè 5,13-15). È un linguaggio in codice per indicare che ciò che sta accadendo sfugge alla capacità e volontà dell’uomo di mettere le mani su tutto, di girare e rigirare un oggetto fino a smontarlo nelle sue parti. Di Dio, della Pasqua, del bambino Gesù, della terra, dell’uomo, non ha stupore e rispetto chi li ha banalizzati, ridotti a oggettini di consumo e di manipolazione, a strumenti di utilità quotidiana, alla portata delle nostre devozioni prensili e catturanti.
Invece gli uomini delle profondità, quelli con il «terzo occhio» sapienziale in mezzo alla fronte e con le orecchie nella sede del cuore, quelli che hanno riformulato, cioè, la loro anatomia sensoriale, per questi uomini del mistero, lo stupore dell’essere partecipi e testimoni di un evento superiore alla loro portata li rende affetti da timore e adorazione. Dopo la banalità non c’é gioia, non c’é la movimentazione dell’annuncio. Si mangia e si digerisce. Non si annuncia. Invece: «con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio… I pastori dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro».




22 dicembre 2024. Domenica Avvento 4a
TU

4° domenica di Avvento 2024

Preghiamo.
O Dio, che hai scelto l’umile figlia di Israele per farne la tua dimora, dona alla Chiesa una totale adesione al tuo volere, perché imitando l’obbedienza del Verbo, venuto nel mondo per servire, esulti con Maria per la tua salvezza e si offra a te in perenne cantico di lode. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del profeta Michea 5,1-4
Così dice il Signore: E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità; dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace.
Salmo 79. Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
Tu
, pastore d’Israele, ascolta, seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci.
Dio dell’universo, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
Dalla lettera agli Ebrei 10,5-10
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”».  Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
Dal Vangelo secondo Luca 1,39-48
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.  Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

QUANDO DARSI DEL TU” È IMPEGNATIVO[1]

Le tre letture della Messa odierna, iniziano tutte in modo molto diretto:
Tu Betlemme di Efrata, non sei il più piccolo dei capoluoghi di Giuda!”
“(Tu) Padre, mi hai preparato un corpo!”
“Benedetta Tu tra le donne, Maria!”
Nel linguaggio biblico, l’uso della seconda persona singolare non è tanto un segno di confidenza, come per noi oggi. Al contrario. Dare del tu è spesso una cosa abbastanza seria.
Tu sei sacerdote per sempre”…“Tu sei Pietro”…“Tu sei il mio figlio prediletto”.
Nella Bibbia il “tu” non è accorciamento della distanza. Anzi. È franchezza. È incarico dato e responsabilità da assumere. La Bibbia non ha bisogno di convenevoli. Va dritta. Ci interroga in seconda persona e ci chiede in modo molto diretto e franco una risposta. La Parola di Dio ci dà sempre del “tu”, perché parla personalmente.
 TU BETLEMME –  TU PADRE –  TU MARIA.
 Ora, i tre “tu” della quarta domenica di Avvento mi portano una domanda seria: Dio ha ancora un progetto su questo piccolo formicaio umano sperduto su un piccolo pianeta che vaga dentro 170 miliardi di galassie?
I teologi usano oggi un linguaggio strano, per descrivere il piano di Dio nella storia: dicono che esso è “economia della salvezza”. Non so cosa capiamo, udendo la frase “economia della salvezza”: inconsciamente forse pensiamo alla legge finanziaria, ancora in alto mare, più che alle cose di Dio. Ma nell’economia della salvezza, cioè nel “tempo umano visitato dalla tenerezza di Dio” sono sempre necessari tre “tu”, tre coordinate, affinché le cose vadano per il verso giusto:
Occorre il “Tu, Betlemme”, cioè uno spazio.
Occorre il “Tu, Padre” cioè un progetto di Dio.
Occorre il “Tu Maria” cioè la disponibilità umana.
Se tolgo uno dei tre “tu”, mando in malora l’economia della salvezza.

Lo spazio che Dio sceglie per il compimento dell’economia di salvezza è quello di un borgo con quattro case, che si chiama “Beit-lehem”, cioè “casa del pane”, cittadina detta anche “Efrata” cioè “feconda”. Feconda agli occhi di Dio: “Tu, Betlemme Efrata, la più piccola tra le città di Giuda, da te mi uscirà Colui che regnerà su Israele”. Dio non ama gli spazi grandi, le cornici plateali: preferisce partire dalla periferia dello spazio. Qual è il mio SPAZIO, il mio ambiente vitale, entro cui intendo accogliere il Signore in questa eterna Incarnazione che si materializza nella liturgia di quest’anno?

Il progetto divino  è contro la logica umana: “Tu non hai gradito sacrificio (al tempio) o oblazione (sull’altare): un corpo mi hai preparato”. Finora gli uomini avevano offerto sacrifici cruenti o incruenti a Dio, per accattivarsi il suo favore. Pensavano che Dio amasse i sacrifici e le offerte. Ma il progetto di Dio richiede disponibilità e la disponibilità collaborativa è meglio dei sacrifici. “Sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra”: messo in pratica davvero, vale più di tutte le candele che possiamo accendere in Chiesa o le ritualità senz’anima. Una delle Preghiere Eucaristiche celebra così: «Lo Spirito Santo faccia di noi un’offerta perenne a te gradita». Di qui la domanda: sono cosciente che non solo il prete o la suora rispondono ad una vocazione progettuale di Dio, ma anche i battezzati, la sposata, il lavoratore, sono chiamati a rendere visibile almeno un frammento di Vangelo e di vita di Gesù?

La risposta umana è quella di una ragazza sconosciuta. “Tu sei benedetta tra le donne!”. Benedetta.  Dio si è compiaciuto di guardare alla “piccolezza della sua serva”. Anche questa scelta umana mi sorprende. Ma “L’uomo guarda l’esterno, mentre Dio guarda il cuore” (1 Samuele, 16,7).

Sulla soglia della Festa dell’Incarnazione io e te ascoltiamo un TU!, rivolto proprio a me e te. Non ci sono alibi, sembra dirci la liturgia di domenica.

«Proprio io? Proprio a me?».

E Dio disse: «Tu!».


[1] elaborazione da commento di Alvise Bellinato




15 dicembre 2024. Domenica 3a avvento
GIOIA COME RESISTENZA.

TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Dal libro del profeta Sofonìa (3,14-18)
Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa”.
Salmo (Is 12,2-6) Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.
Ecco, Dio è la mia salvezza;  io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza.
Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési  4,4-7
Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.
Dal vangelo secondo Luca 3,10-18
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”.
Rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”.
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: “Maestro, che dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”.
Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi che dobbiamo fare?”. Rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”.
Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile”. Con molte altre esortazioni evangelizzava il popolo.

GIOIA COME RESISTENZA. D. Augusto Fontana

La logica mondana del pessimismo, della rassegnazione e del malcontento spesso mi fa accodare alle varie cassandre di turno per cui non so di fatto trovare e mostrare vie d’uscita, alternative al tono grigio e tragico della mia rassegna-stampa quotidiana, alle ombre cupe che mi si allungano sul cuore per la vecchiaia e la malattia. I tempi del profeta Sofonia non erano migliori dei miei: si erano diffusi culti stranieri e sincretismo religioso, i monarchi erano collusi con culture idolatre, si diffondeva nel popolo uno stile di vita pagano e il paese era devastato da violenze e ingiustizie. Certo la gioia, come il coraggio, uno non se la può dare, mi direbbe don Abbondio. E allora mi trovo oggi imbarazzato e inappetente davanti al piatto che mi ha preparato la Parola di Dio: «Gioisci, esulta e rallegrati… Non temere, non lasciarti cadere le braccia… Rallegratevi nel Signore, in ogni situazione… Non angustiatevi per nulla». Preso da una poco invidiabile anoressia dell’animo, fisso la portata e non mi decido a ficcarci dentro la bocca. E mi riappaiono, come folletti, i contadini poveri del Brasile o gli indios Shuaras della foresta amazzonica ecuadoregna che ho visto accesi da un’insolita musicale allegria che faceva da controcanto alla loro endemica, dignitosa e resistente povertà. Ma allora di quale gioia si tratta? Dovrò assumere anfetamine spirituali per dopare la mia cristiana performance giornaliera?
Non penso che Paolo, data la sua situazione di prigioniero, pensasse a fare salti di gioia quando scrive alla comunità di Filippi: «Gioite nel Signore in ogni situazione». Forse pensava ad una serena resistenza; l’accento del duplice invito (kàirete, gioite!) è posto sulla continuità della gioia (in ogni situazione), che non può essere l’emo­zione di un momento, ma deve attraversare tutte le situazioni, anche quelle di prova, sempre (avverbio greco pàntote). Paolo esorta ad una gioia capace di permanere anche nell’espe­rienza delle contrarietà. È un invito ai limiti del  mio possibile. Per Paolo la fonte di questa resistente serenità non è nella capacità della psiche, ma «nel Signore». E questa serenità resistente non può restare nascosta nell’interiorità della per­sona, ma deve trasparire anche nelle relazioni: «La vostra amabi­lità sia nota a tutti gli uomini». Il termine «amabilità» usato da Paolo (tà epiei­kés) contiene in sé molte sfumature, quali quella della modera­zione, della benevolenza, della dolcezza, del rispetto e della cor­tesia. In definitiva, è la capacità di cercare il benessere dell’altro. Ci sembra per­tanto che la traduzione ‘amabilità’ riesca a riassumere bene la ric­chezza del termine greco e indichi uno stile moderato, non violento, realmente affabile, che caratterizza la relazione con le altre persone. Non basta amare: bisogna essere amabili. La motivazione di questo atteggiamento è indicata dall’Apo­stolo con un’espressione che ricorre più volte nel suo epistolario: «Il Signore è vicino». Qui Paolo pensa che il ritorno di Cristo sia immi­nente. Il fatto che il Signore debba tornare fa assumere alle cose un valore diverso, le relati­vizza e insieme le apre alla speranza, alla dimensione dell’attesa. La vicinanza del Signore riguarda non solo l’attesa del suo ritorno glorioso, ma la sua presenza misteriosa che so­stiene nelle prove. Perciò anche le relazioni interpersonali, pur in un con­testo di tribolazione e di ostilità, possono essere ‘diverse’, improntate ad un’amabile benevolenza. La vicinanza del Signore motiva anche l’esortazione alla fidu­cia, che si manifesta in particolare nel momento della preghiera e nel non lasciarsi schiacciare dagli affanni. Si tratta di affidarsi totalmente a Dio per superare l’ansietà generata dalle preoccu­pazioni. La fiducia non è semplice rassegnazione, ma è un espor­re a Dio i propri bisogni e la propria via («Manifesta al Signore la tua via, confida in lui: compirà la sua opera» Salmo 37,5). L’in­vito di Paolo riecheggia gli insegnamenti di Gesù nella tradizio­ne evangelica, quando invita i suoi discepoli a non preoccuparsi eccessivamente per i problemi e le necessità del vivere quotidiano (cfr. Mt 6,25.31.34; Lc 10,41; 12,22). Paolo nella lettera ai Romani: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, i pericoli, la spada?» (Romani 8,31-35).
Conosco un testo di Isaia (41, 14.19) dove il Signore mi definisce con termini apparentemente fastidiosi, ma che lentamente sono diventati musica dolce: «Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto, tuo redentore è il Santo di Israele». Io, questo piccolo verme nudo, questo bruco peloso che striscia a cercare sul terreno arido una qualche foglia che si renda appetibile, sono invitato a guardarmi intorno e scoprire sette tipi di alberi che Lui ha fatto crescere attorno a me: «Pianterò cedri nel deserto, acacie, mirti e ulivi; porrò nella steppa cipressi, olmi insieme con abeti». Ma ancora il mio animo non si è lasciato smuovere dalla sua atonica inappetenza. Allora il testo liturgico di Sofonia pare narrare ciò che accade in ogni famiglia quando un bambino imbronciato non ne vuol sapere di mangiare: papà o mamma si mettono a fare i pagliacci, a danzargli intorno e cantare e sorridere, nel tentativo di strappargli uno stupore che gli sblocchi l’umor nero del momento: « Il Signore danzerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa». In Luca 15, 5-7 il pastore si mette la pecora sulle spalle «contento» e invita tutti a «rallegrarsi» perché c’è più «gioia» per un peccatore che si pente che per 99 giusti. Lui gioisce quando trova la moneta perduta (Lc. 15, 9), quando fa festa per il figlio tornato (Lc. 15,23-24).
Dio Padre-Madre, mettiti a danzare attorno a me, porta il mio sguardo, perso nel vuoto, a guardarti saltellare e cantare attorno a me e trascinami in quella gioia di cui abbiamo perso l’indirizzo: «Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza» (Salmo 117, 14). Tu, Dio, vieni a danzare attorno a me e fammi sorridere.
CHE DOBBIAMO FARE?
Due sono gli orizzonti della serena resistenza: uno derivante dalla liberazione sociale e l’altro dalla guarigione interiore. Giovanni Battezzatore dice che non c’è bisogno che tutti vengano nel deserto: basta che ognuno viva nella giustizia e nella solidarietà lì dove si trova; quello che conta è il cambiamento della vita quotidiana.
La gioia messianica non può essere scambiata per superficialità infantile o per irresponsabile fuga dal presente: «Che cosa dobbiamo fare?». Ci viene suggerita una carità audace, accorta, attenta a capire i fenomeni complessi della società attuale e a sperimentare gli strumenti più idonei. Questo si misura in modo particolare nell’etica professionale: dalla prospettiva del guadagno illimitato alla coscienza di una retribu­zione equa, da un clima pesante di lamentele e di rassegnazione, di protesta e di rabbia, all’impegno di compiere bene il proprio mestiere. In una lettera pastorale (Sto alla porta. Anno pastorale 1992­-1993) il card. Martini si domandava: «Perché un imprenditore de­ve ribellarsi alla richiesta di pagare una tangente? Perché un gior­nalista deve affrancarsi dal conformismo? Perché un infermiere deve trattare bene i pazienti scomodi e noiosi? Perché questi e al­tri atteggiamenti devono essere la regola, non ‘eroismo’ di un sin­golo?». Come cristiani e cittadini abbiamo il compito di dare forza ed amabilità ad un’esistenza onesta e giusta, con una vita rispettosa delle leggi e delle regole, estranea al­le prepotenze. E siamo chiamati a fare la nostra parte per il bene del Paese in cui viviamo, disposti a pagare le tasse per contribui­re al funzionamento di servizi essenziali. Una nota pastorale dei vescovi italiani (Educare alla legalità, 1991, n. 2) ci ricorda: «la legalità, ossia il rispetto e la pratica delle leggi costituisce una condizione fon­damentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini».




8 dicembre 2024. Domenica avvento 2.
IMMACOLATA.CHI?

Immacolata. Chi?

Dal libro della Genesi  3,9-15.20.
[Dopo che l’uomo (adam) ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio chiamò Adam e gli disse: «Dove tu (sei)?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna (ishah) che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna (ishah): «Che hai fatto? ». Rispose la donna (ishah): «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna (ishah), fra la tua discendenza e la sua discendenza: essa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». L’uomo (adam) chiamò sua moglie Eva (hawah) , perché ella fu madre di tutti i viventi.
Salmo 98/97,1-2; 2-3ab; 3bc-4Rit. Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie
1Cantate al Signore un  canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. Rit.
2Il Signore ha fatto conoscere  la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
3Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d’Israele. Rit.
Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio.
4Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni! Rit.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini Ef 1,3-6.11-12
Traduzione interconfessionale in lingua corrente.
3Benedetto sia Dio Padre di Gesù Cristo nostro Signore. Egli ci ha uniti a Cristo nel cielo, ci ha dato tutte le benedizioni dello Spirito. 4Prima della creazione del mondo Dio ci ha scelti per mezzo di Cristo, per renderci santi e senza difetti di fronte a lui. Nel suo amore 5Dio aveva deciso di farci diventare suoi figli per mezzo di Cristo Gesù. Così ha voluto nella sua bontà. 6A Dio dunque sia lode, per il dono meraviglioso che egli ci ha fatto per mezzo di Gesù suo amatissimo Figlio.11 Anche noi, perché a Cristo siamo uniti, abbiamo avuto la nostra parte nel suo progetto. Dio ha scelto anche noi fin dal principio. E Dio realizza tutto ciò che ha stabilito. 12Così ha voluto che fossimo una lode della sua grandezza, noi che prima degli altri abbiamo sperato in Cristo.
Dal Vangelo secondo Luca 1,26-38
L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. 

SCELTI IN CRISTO PER ESSERE SANTI E IMMACOLATI NELLA CARITA’ (Efesini 1). D. Augusto Fontana

Oggi è festa di Gesù, santo, immacolato nella carità, figlio di Dio fin da prima della creazione del mondo. Ugo di San Vittore si esprime così: “Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento” (De arca Noe, 2, 8). Noi oggi, come scriveva l’evangelista Giovanni (1,14), contempliamo “la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”.
Noi oggi celebriamo la nostra liturgia con Gesù, uomo come noi “escluso il peccato”(Eb 4,15-16). Sì, il mio occhio si ferma su Gesù, concepito uomo immacolato, figlio santo, fratello giusto.
Oggi, nel pieno dell’Avvento, l’occhio si deve fermare sul Santo dei Santi, San Gesù di Nazareth, stella incandescente della nostra fede, prima ancora che fare l’elogio di luna Maria che vediamo brillare di luce indiretta nelle nostre notti, colpita dalla luce di Gesù mentre viaggia negli spazi siderali della Storia della salvezza.
Un po’ di storia di questa festa[1].
L’8 dicembre 1854, dopo un’ampia consultazione dell’episcopato di tutto il mondo, Pio IX definiva il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria con la Bolla Ineffabilis Deus: « … dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina la quale ritiene che la beatissima Vergine Maria, per singolare grazia e privilegio di Dio Onnipotente a lei concesso in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, sia stata preservata da ogni macchia di colpa originale fin dal primo istante della sua creazione, è stata da Dio rivelata, ed è perciò da credere fermamente».
Nel XII secolo i monasteri benedettini di Inghilterra celebravano questa festa l’8 dicembre. Da questo momento la sua diffusione è rapida: Normandia, Lione, Belgio, Spagna, Francia, Italia e in alcuni monasteri della Germania. San Bernardo (1091-1153), un grande devoto di Maria, contestò la legittimità della festa sostenendo che tutte le creature, nessuna esclusa, hanno bisogno della redenzione di Cristo. Anche Tommaso di Aquino (1228-1274) è sulla stessa linea. Nella sessione VI del Concilio di Trento del 1546 alcuni padri conciliari chiesero la promulgazione di una definizione dogmatica dell’immacolata concezione. Alessandro VII (1655-1667) l’8 dicembre 1661 precisava: l’anima della Vergine era stata preservata dalla colpa originale «a causa dei meriti di Gesù Cristo suo figlio, Redentore del genere umano». Dunque questo dogma nasce dalla Rivelazione biblica implicita; e dalla devozione popolare.
Il peccato originale[2].
Molto di questa festa lo si deve alla teologia del “peccato originale” secondo Agostino (+430) un po’ manicheo,…. ma solo un po’. Il teologo Pelagio (+420) affermava che ogni uomo nasceva innocente, ma con la capacità di compiere il male, grazie al dono del libero arbitrio. Agostino gli si opponeva sostenendo che il peccato dei progenitori era ereditario per tutti i secoli dei secoli come un DNA. Nel 418 il concilio di Cartagine si schierò con la posizione di Agostino e condannò come eretici i pelagiani. E noi restammo inchiodati lì fino ai giorni nostri.
Il dogma dovrebbe crescere e lievitare dall’interno, come afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II (Dei Verbum, n. 8): «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse».
Dopo il Concilio Vaticano II° molti teologi, Vescovi e Papi hanno fatto barriera attorno alla dottrina del “peccato originale” con tenue aperture sul complesso dei dogmi. Dovremmo dare per scontato che una dottrina fondata su racconti così remoti come quelli della Genesi e sulle riflessioni dell’Apostolo Paolo (Rom. 5,12-21) contengano ‘rivestimenti’ culturali oggi improponibili e che la Chiesa si trovi nella necessità «di presentare, difendere ed illustrare le verità della fede divina con concetti e parole più comprensibili alle menti formate alla odierna cultura filosofica e scientifica» (Paolo VI, discorso del 11 luglio 1966 ai partecipanti al Simposio sul peccato originale tenutosi a Nepi).
Il Papa Benedetto XVI nella Catechesi del 10 dicembre 2008 aveva detto, tra l’altro: «Se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale, è perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della libertà in Cristo. La conseguenza di ciò è che non dovremmo mai trattare del peccato di Adamo e dell’umanità in modo distaccato dal contesto salvifico, senza comprenderli cioè nell’ orizzonte della giustificazione in Cristo».
Ogni creatura nasce con i limi­ti, le debolezze e le insufficienze causate dalle violenze, dalle idolatrie e dagli errori delle generazioni precedenti. La responsabilità degli umani è che molti diventino testimoni efficaci della potenza del Bene e della fecondità dell’Amore in modo che la Vita prevalga sulla morte. Anche Gesù fatto in tutto simile a noi “eccetto che nel peccato” è stato tentato e ha dovuto fare delle scelte continue; come si può supporre che anche Maria, battezzata nella benevolenza originaria di Dio, abbia vissuto nella fatica della fede, come quando Gesù a 12 anni viene smarrito dai genitori:«Ma essi non compresero le sue parole… Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,43-50). I tre giorni di smarrimento anticipano la fatica di Maria nello smarrimento della croce e della tomba vuota.
Per trovare la Chiesa in Maria.
Per trovare la donna Maria di Nazareth occorre scavare perché è stata seppellita sotto una montagna di dogmi, leggende, visioni e devozioni.
A Nazaret. Dio si manifesta a una giovane donna, in una casa a Nazareth lontano da Gerusalemme, cuore religioso del paese. È forte il contrasto con l’annuncio al sacerdote Zaccaria nel tempio. “Dio sceglie quello che è stolto per il mondo… quello che è debole per il mondo… quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla…” (1Cor 1,27-29). Nazareth, “un paesino senza storia della meticcia Galilea. Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa” (E.Ronchi).
A una donna. Gesù la chiamerà sempre Donna. È il nome che Adamo ha dato ad Eva: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,23). La chiesa è “donna” ricavata dal lato di Adamo, nata dal lato del crocifisso.
Rallegrati. In greco è Kaire! che vuol dire rallegrati! Non è un educato “buongiorno”, ma un saluto profetico. Il profeta Zaccaria, annunciando la venuta del re Messia, aveva esclamato: Rallegrati, figlia di Sion, esulta, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re (Zc 9,9). Maria ascoltava le Sante Scritture e i racconti del suo popolo; intuisce dunque che il saluto la risucchia come protagonista dell’Ora del Messia.
Piena di grazia. (ebr. Hesed. Greco Karis=amore gratuito e performante). Papa Giovanni Paolo II aveva osservato che per rendere con più esattezza la sfumatura del termine greco (kekaritomene), non si dovrebbe dire semplicemente “piena di grazia”, bensì “colmata di grazia“, il che indicherebbe chiaramente che non si tratta di bellezza o fascino personale ma di un amore gratuito e performante di Dio che è “ricco di grazia e di fedeltà” (Esodo 34,6). Nella Lettera agli Efesini oggi abbiamo ascoltato: « In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”. Maria è il concentrato di una destinazione universale per battezzati e non. “Non è piena di grazia perché ha detto “sì” a Dio, ma perché Dio ha detto “sì” a lei prima ancora della sua risposta. E lo dice a ciascuno di noi: ognuno pieno di grazia, tutti amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre, piccoli o grandi ognuno riempito di cielo” (E. Ronchi).
Il Signore è con te. Maria, forse, sa a chi erano state rivolte prima di lei: “Non temere io sarò con te” dice il Signore a Mosè, l’uomo dell’Esodo (Esodo 3, 12), a Giosuè, l’uomo che fa entrare Israele nella terra promessa (Giosuè 1, 15), a Gedeone quando sconfigge i Madianiti (Giudici 6,12). Maria, forse, capisce che non sta ascoltando un complimento ma una vocazione e una missione a diventare una colonna della lunga storia di salvezza.
Eccomi. “Maria con la sua ultima parola rivela il nostro vero nome. Il nome dell’uomo è: «Eccomi!»”. (E.Ronchi).

Il Concilio Vaticano II° afferma: «In Maria la Chiesa ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione e in lei contempla ciò che essa desidera e spera di essere» (Sacrosantum Concilium 103).


[1] Mi riferisco ad appunti di don Paolo Farinella
[2] Mi riferisco a studi del teologo Carlo Molari (articoli vari in ROCCA, Pro civitate Christiana, Assisi, anni 2012, 2013, 2014, 2016)




1 dicembre 2024. Domenica AVVENTO1
LIBERIAMO I SENTIERI DA PIETRE DI INCIAMPO

Prima domenica avvento 2024

Preghiamo. Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse, rialza il capo dell’umanità oppressa da tanti mali e apri i nostri cuori alla speranza, perché sappiamo attendere senza turbamento il ritorno glorioso del Cristo, giudice e salvatore. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del profeta Geremia 33,14-16
Ecco verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: “Signore-nostra-giustizia”.
Salmo 24.  A te, Signore, innalzo l’anima mia. In te confido
Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua verità e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza
Buono e retto è il Signore, la via giusta addita ai peccatori;
guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie.
Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.
Il Signore si rivela a chi lo teme, gli fa conoscere la sua alleanza.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 3,12- 4,2
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come abbonda il nostro amore verso di voi, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
Dal Vangelo secondo Luca 21,25-28.34-36
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”.

 Liberiamo i sentieri dalle pietre di inciampo. D. Augusto Fontana

 Colui che mi viene incontro o contro.
Viviamo il futuro come tempo carico di destino irriformabile e di fortuna cieca, ma anche come possibilità per l’uomo di costruirsi il futuro nel progresso e nella previdenza. Per il cristiano il tempo futuro é anche tempo di avvento (dal latino AD-VENTUS=venuta da…verso…).
Io, mentre cammino verso il mio ormai corto futuro, incrocio Dio che mi viene addosso, mi viene incontro, mi viene contro. Vivere il futuro anche come avvento é, per me, tentare di credere che Dio, in Gesù, é protagonista primario di ciò che costruiamo e desideriamo. Allora: dove finisce la commedia e dove incomincia la verità della mia attesa? Si narra che i rabbini ogni mattina, aprendo la finestra, amassero dire: «No. Il Messia non é ancora venuto: il mondo é ancora lo stesso». Scriveva l’ebreo Paolo de Benedetti: «Il mondo è stato inventato da Dio perché non rimanesse identico a quello dei giorni della creazione. Sulle trasformazioni apportate dall’uomo si possono e si devono dare giudizi diversi. Ma il cattivo uso della trasformazione non deve far dimenticare quella spinta al mutamento, insita nella benedizione della Genesi[1]». Per noi cristiani é difficile attendere il Messia con ansia vigilante e gioiosa, perché l’Incarnazione già realizzata può averci spento ogni tensione. Per noi la trama é senza suspence perchè ne conosciamo la conclusione. Inoltre, al termine del periodo di avvento c’é una festa detta “Natale” che é tra le feste più ambigue, imbastarditasi dall’incesto tra regime di cristianità e ragioni commerciali. Il sussurro dell’Avvento, soffocato dall’ubriacatura pre-natalizia, non riesce a movimentare attese vere nè esaudire attese profonde, a meno che non introduciamo significative obiezioni di coscienza ed inversioni di rotta personali. Il rischio che corriamo é di fare un po’ finta di attendere. Quando si attende? Normalmente attendiamo quando si é presa sul serio la promessa di una persona affidabile, quando é fissato un appuntamento con persona cara o evento decisivo, quando si coltivano utopie e speranze, quando si nutre indignazione per l’intollerabile.
Che attendiamo? E soprattutto: chi?
Due “princìpi” si intrecciano nel nostro Avvento: il principio-catastrofe e il principio- Alleanza.
Il “principio-catastrofe”. Abbiamo capito che se il mondo finirà, ciò avverrà più per causa umana che per colpa dell’esplosione cosmica. La fine collettiva é iniziata con il collasso ecologico, con la morìa di massa per guerre e per fame, con le infezioni del benessere, con le droghe del malessere, con le stragi dei nazionalismi e degli integrismi. Ma le generazioni sono coinvolte da una catastrofe peggiore: la caduta di certezze interiori. Il principio-catastrofe crea paura: i potenti diventano cinici e gaudenti mentre i deboli diventano apatici, malinconici o disertori. La crisi del futuro porta ad enfatizzare il presente come orizzonte dominante: questo lo si ritrova soprattutto analizzando i valori e i comportamenti dei giovani che sono stati definiti come “la generazione della vita quotidiana”. Alcuni accettano la paura per ciò che essa ha di giusto e razionale, altri la esorcizzano con false sicurezze e rimozioni o si lasciano consolare da “dissipazioni” che mettono tra parentesi la catastrofe che ci riguarda.
Il “principio-alleanza”. «Alzate il capo perchè la vostra liberazione é vicina» : é un modo per vivere dentro la catastrofe e nella sua lucida e impaurita coscienza. Vivere nella speranza e nella attesa é vivere da uomini a testa alta. Lutero diceva:«Se sapessi che domani il mondo andrà in rovina, continuerei anche oggi a piantare un melo». Ecco, allora, il cristiano che si impegna a discernere le cose nuove che veicolano le promesse di Dio e, più ancora, il Dio delle promesse, alleandosi con i nuovi segni di vita mediante una speranza purificata (Geremia 33,14-16), una speranza orientata da una strategia (Luca 21, 25-28. 31.34-36) ed una speranza produttrice di amore (1 Tessalonicesi 3,12-13).
Geremia: una speranza purificata.
Dentro ogni speranza delusa può nascere una delusione che spera. San Paolo interpreta bene questo stile di attesa messianica:” Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; colpiti, ma non uccisi; moribondi, ma sempre vivi; puniti, ma non messi a morte” (2 Cor.4, 8; 6, 9). Nella vita di ogni cristiano la delusione ha un suo posto: delusione nel matrimonio, nel lavoro, nella società, nella Chiesa, in me stesso. Sta a me decidere se abbandonare con rassegnazione questo tronco tagliato oppure investire sulle promesse di Dio e innaffiare ancora il tronco tagliato coltivando il germoglio che spunta forse nella parte dove meno ce lo aspetteremmo e nel momento meno programmato.
Luca: speranza orientata da una strategia.
            Per questo discernimento occorre una strategia: alzatevi-levate il capo, state attenti-vegliate, non appesantite (non indurite) i cuori , non distraetevi in cose futili,  non lasciatevi stordire da angosce esistenziali, pregate per non lasciarvi intrappolare. Una strategia suggestiva, per questa situazione del cristiano, viene offerta da Paolo nella sua prima lettera ai Corinti (7,29-31): «D’ora in poi , quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; quelli che piangono come se non piangessero; quelli che sono contenti come se non lo fossero; quelli che comprano come se non possedessero e quelli che usano di questo mondo come se non ne godessero». «Come se non…»: il cristiano é occupato nelle realtà della vita, ma ne é distaccato. Vi mette dentro le mani ma non vi ci incolla il cuore. La finalità di questa strategia è duplice: “per avere la forza di sfuggire…di comparire”. Sfuggire non significa essere esentati, tirarsi fuori dalle prove, ma perseverare in esse pregando per poter restare a testa alta nel momento dell’incontro definitivo.
Paolo: una speranza operativa.
La prima lettera ai Tessalonicesi é il testo più antico del Nuovo Testamento (50-51 d.C.) e precede addirittura i Vangeli. Vi si risente una problematica allora viva: si credeva davvero che da un momento all’altro avvenisse il ritorno definitivo di Cristo sulla terra. Paolo sollecita una operatività dell’attesa: l’amore é la grande virtù escatologica ed é il carisma che anticipa la rivelazione finale quando Dio si rivelerà a tutti come Amore:«Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti».


[1] Paolo de Benedetti Ciò che tarda avverrà,Qiqajon, Bose, pag. 95.




24 novembre 2024. FESTA PASQUALE di CRISTO SIGNORE.

FESTA PASQUALE di CRISTO SIGNORE.

Preghiamo. O Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Signore e salvatore, e ci hai resi partecipi del sacerdozio regale, fa’ che ascoltiamo la sua voce, per essere nel mondo fermento del tuo regno di giustizia e di pace. Per Gesù Cristo il nostro Signore.
Dal libro del profeta Daniele 7,13-14
Guardando nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo  uno simile a un figlio d’uomo;  giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.  Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai,  e il suo regno non sarà mai distrutto.
Salmo 92. Il Signore regna, si riveste di splendore.
Il Signore regna, si riveste di maestà:  si riveste il Signore, si cinge di forza.
È stabile il mondo, non potrà vacillare.  Stabile è il tuo trono da sempre,  dall’eternità tu sei.
Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa  per la durata dei giorni, Signore.
Dal Libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo 1,5-8
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.  A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.  Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen!  Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Dal Vangelo secondo Giovanni 18,33-37
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».  Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

QUESTO CROCIFISSO E’ IL SIGNORE. Don Augusto Fontana

Senza re, regine, cavalli e fanti.
L’ultima Domenica dell’Anno liturgico ha tutte le connotazioni della festa di Pasqua. La festa, di fatto, celebra in sintesi tutto il mistero di Cristo nel tempo: «Cristo ieri, oggi e sempre; a lui gloria e potenza nei secoli in eterno[1] ». La festa fu istituita da Pio XI nel 1925 per reagire al laicismo: se Cristo è Re, vuol dire che la chiesa è Regina! Ciò è avvenuto sia in epoche di clericalismo e sia in epoca laicista quando la Chiesa rivendicò leadership per il traino di legislazioni a favore delle proprie strutture e per la salvaguardia di valori ritenuti irrinunciabili. E’ anche vero che con il franare del regime di cristianità, la società rischia di mettere in causa una giusta concezione della regalità di Cristo relegandola al puro ambito dello spirito e delle sacrestie, ma ciò non giustifica nostalgie bigotte ed integraliste; semmai spinge i cristiani ad inventare nuove forme dolci e convincenti di presenza nella convivenza sociale evitando forme di massoneria o di lobbys cattoliche. I delegati alla Prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia[2] in San Paolo fuori le Mura: «Chiesa esci dalla comfort zone! Negli anni Settanta del secolo scorso uno slogan in voga era “Cristo sì, la Chiesa no”. Oggi il no si è esteso anche a Cristo. Di qui la necessità di puntare tutto nuovamente sulla centralità di Gesù, dando valore ai germogli che già ci sono».
Scrive Olivier Clément in “IL POTERE CROCIFISSO”[3]:  «A poco a poco capiremo che il cristianesimo non è un’ideologia che aspira ad essere imposta con la forza dello Stato. I mezzi del potere sono estranei al cristianesimo che sarà sempre più un fermento, una luce, una profezia, un esempio che non impone nulla e si presenta nell’umiltà».
Il monaco Enzo Bianchi nel suo “LA DIFFERENZA CRISTIANA”[4]  scrive: «La fede è così mondanizzata e la chiesa politicizzata, a tal punto da essere ferita nella sua qualità comunionale. Emerge ormai un cristianesimo senza fede intesa come quella adesione a Gesù Cristo che si traduce in una sequela, in una vita totalmente coinvolta nella sua vita fino, diciamolo chiaramente, alla croce. Ciò che invece conta ed è determinante non è più la sequela – questa faticosa, esigente, perseverante condotta di vita secondo il vangelo. Non importa più la coerenza tra quel che si vive, personalmente e comunitariamente, e le esigenze poste da Cristo ai suoi discepoli in materia di sessualità, di matrimonio, di capacità di condivisione, di giustizia, di riconciliazione e di pace. In una parola: non si guarda più se in una persona sono presenti quelle «obbedienze» al vangelo che «fanno» il cristiano, nonostante e al di là delle fragilità umane che sempre lo accompagneranno; si guarda invece alla capacità di assumere il cristianesimo come identità culturale, come istanza religiosa nel pluralismo delle fedi, come possibilità di coesione in un mondo frammentario e diviso».
Gesù: la sua prassi messianica nel contesto del suo tempo[5].
Gesù non si attribuì mai il ruolo di Re e quando qualcuno volle farlo Re si rese irreperibile. Imponeva anche il “silenzio messianico” a coloro che avevano fretta di annunciare, prima della croce, la sua prassi messianica. Aveva detto di essere il Pastore, la Via, la Verità, la Vita, lo Sposo, il Maestro, il Figlio del Padre, la Vite. Per quale reato allora arrivano a processarlo? Ricostruiamo alcuni tratti della prassi messianica di Gesù all’interno del sistema di organizzazione sociale e religiosa del suo tempo.  Tutta la Legge giudaica può essere suddivisa in sistemi di proibizioni. Erano considerati impuri alcuni cibi, il sangue animale e umano, il sangue mestruato e lo sperma, alcune malattie infettive come la lebbra. Gli animali destinati ai sacrifici non dovevano avere difetti ed i sacerdoti ciechi o rachitici non potevano salire sull’altare del sacrificio. La circoncisione definiva l’area di appartenenza al popolo di Jahwè, Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Con il rispetto del Sabato, del Tempio e del culto si doveva, in un certo senso, saldare i debiti con Dio che donava vita, cibo, Legge e perdono. Il Tempio era anche una specie di banca per il finanziamento delle opere pubbliche e religiose. Poichè queste prescrizioni erano spesso disattese, si era formata una “setta” detta dei farisei, osservanti di interminabile serie di casistiche e precetti, in contrapposizione ai sadducei più materialisti e lassisti. Chi trasgrediva palesemente le interdizioni legali era considerato pubblicano (peccatore pubblico) o, se malato di mente, veniva considerato indemoniato. Alla base della piramide di tutto il sistema stavano i pagani incirconcisi che non potevano entrare nelle case degli Israeliti nè sposare le loro figlie. In ogni villaggio o città la sovrastruttura politica era composta dal consiglio degli anziani costituito da membri puri di razza e ricchi; dovevano risolvere i litigi ed emettere le sentenze. Questo apparato veniva controllato da lontano dal Procuratore romano che risiedeva al Nord (Galilea). Sommi sacerdoti, grandi proprietari e commercianti collaboravano con il potere invasore. Il proletariato e la piccola borghesia, angariati dall’apparato giudaico, negli anni 66-70 si unirono ai guerriglieri zeloti nella ribellione contro Roma. Gli zeloti erano composti da lavoratori agricoli e schiavi fuggiaschi che si organizzavano in bande armate, rifugiandosi sulle montagne della Galilea, compiendo incursioni e, in caso di cattura, venivano crocifissi. Gesù diventa una minaccia a tutto questo sistema: “Il Sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato. Il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato” (Mc.2,27). La lacerazione inizia puntualmente: “Appena usciti, i farisei si riunirono immediatamente con i seguaci di Erode per tramare contro di lui e decidere di eliminarlo” (Mc. 3,6). Gesù si sottrae ad ogni populismo ambiguo ed adotta una strategia di semi-clandestinità: si ritira spesso da solo a pregare o si sottrae alle folle in luoghi deserti. Il vero rischio che Gesù teme non è quello della vita, ma quello dell’interpretazione del suo messianismo in termini trionfalistici. Il pericolo di questa ambigua interpretazione non veniva solo dalle folle, ma anche dall’interno del suo gruppo di discepoli tra i quali c’era Simone il cananeo e Giuda il sicario (chiamato abitualmente Iscariot): forse due zeloti. Quando, come scrive il Cap.11 di Marco, Gesù arriva a Gerusalemme il grido popolare è uno slogan abitualmente usato nelle manifestazioni zelote: «Hosanna! (Salvaci!). Benedetto sia, nel nome del Signore, colui che arriva! Benedetto sia il regno che viene, il regno del nostro padre Davide». Ma Gesù aveva già adottato una strategia che non lasciava dubbi: era entrato seduto su un asinello che serviva per il trasporto quotidiano, mentre le incursioni zelote venivano fatte con i cavalli. Tuttavia, affermare che Gesù non volle essere considerato un Messia secondo le aspettative del tempo, non significa ridurlo ad un Messia delle anime o fuori della storia. Di fatto Gesù adotta una prassi messianica: con la prassi delle mani si dedica alla creazione di rapporti economici nuovi, per la condivisione e il servizio, per la riammissione, nel circuito sociale e religioso, degli esclusi; con la prassi dei piedi e del camminare va incontro e cerca. Gesù fu un rabbi itinerante anche in territori impuri. Egli si fa vicino e prossimo invitando a fare altrettanto; con la prassi del cuore Gesù dissequestra Dio dal culto formalista e dalla preghiera esteriore per farlo diventare un Padre con cui entrare in rapporto filiale da parte di chiunque ed in qualsiasi momento o luogo.
Celebrare e vivere Cristo-Signore.
Riconoscere che Cristo è mio-Signore «significa – come dice il Card. Martini[6]  – che Dio è imprevedibile, che la sua azione nei nostri riguardi è libera e sovrana, che non possiamo mai calcolare niente in anticipo».
Riconoscere e celebrare Cristo-Signore significa ridare anche consistenza al ruolo Sacerdotale e liturgico di ogni battezzato. Benchè piccola e balorda che sia, ogni assemblea liturgica anticipa nel tempo la liturgia finale del regno.
Riconoscere e celebrare Cristo-Signore significa che ogni battezzato dovrà scoprire il valore cristiano della sua prassi messianica nel lavoro, in famiglia, nel volontariato, nel rispetto della creazione e della vita, nell’accoglienza dei piccoli, nella riammissione degli esclusi.
Riconoscere e celebrare Cristo-Signore significa mantenere vivo il sospetto contro le multiformi idolatrie. L’indimenticabile monaco Carlo Carretto dedicò a questo tema un capitolo del suo CIO’ CHE CONTA E’ AMARE[7]: «Mi sono chiesto sovente dove risiede il pericolo dell’idolatria. Io penso che il pericolo è in noi e che il peccato di idolatria sia un peccato di tutti i tempi. L’uomo dell’Antico Testamento aveva la tentazione di farsi un idoletto di legno o di avorio o di argento per metterlo penzoloni alla sella del suo cammello e l’uomo d’oggi ci prende gusto a mettere un santino in tasca al posto di Dio. E’ la stessa cosa, più o meno. L’uomo vuol fuggire allo sforzo di pensare Dio nella sua pura Trascendenza, nel suo Mistero e trova più comodo dargli un volto a buon mercato che rimpiazzi la sua intoccabilità con qualcosa che si possa toccare e che stia vicino e che soprattutto abbia tanti poteri taumaturgici da guarire quando si è malati e da arricchirci quando si è poveri. Qui non sto parlando male del culto dei santi. Tale culto è una cosa seria quando fa parte ed è tutt’uno con l’altro culto che gli è centrale: il culto e l’adorazione di Dio. In origine erano oggetti cristiani degni di culto, ora in mano agli idolatri sono diventati idoli. Quanti idoli fatti di medaglie, immagini, crocette. Non temo di dire che quanto più scade la fede autentica, illuminata, forte in un popolo, più aumentano le botteghe dei santini. Io ne ho trovato ovunque di questi altari dell’idolatria moderna, perfino in chiesa. Immaginiamo fuori! E’ certo che l’idolatria e la superstizione sono ancora forme religiose anche se deteriori e accompagnano sovente l’uomo non più illuminato dalla fede».
Scrisse Bonhoeffer, pastore luterano impiccato dai nazisti: «Dio non deve essere riconosciuto solo ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita».


[1] Lettera agli Ebrei 13,8; Apocalisse 1,6.
[2] AVVENIRE sabato 16 novembre 2024
[3] Ed,Qiqajon, Bose, 1999, pag. 64
[4] Ed. Einaudi
[5] Mi avvalgo di F.Belo “Una lettura politica del vangelo” Ed. Claudiana.
[6] C.M.Martini, Il Dio vivente, PIEMME, 1991, pagg. 59-61.
[7] Ed. Fondazione Apostolicam actuositatem, 2004




17 novembre 2024. Domenica 33a
CONTEMPORANEI DEL FUTURO

Domenica 33°

Preghiamo. Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per Gesù Cristo nostro Signore.
Dal libro del profeta Daniele 12,1-3
In quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
Salmo 15. Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
 Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra non posso vacillare.
Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.
Dalla lettera agli Ebrei 10,11-14.18
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici, perché essi non possono mai eliminare i peccati. Cristo al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre, si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai soltanto che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono dei peccati, non c’è più bisogno di offerta per essi.
Dal Vangelo secondo Marco 13, 24-32
In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
Consiglio di leggere, prima del seguente commento, l’intero capitolo 13 di Marco.

Contemporanei del futuro. Don Augusto Fontana

Il suolo della storia è vulcanico.
I testi biblici di oggi abbondano di visioni apocalittiche che solleticano paure e sollecitano sapienze. Il linguaggio biblico apocalittico non ci appartiene più; forse serve solo a scenografi di kolossal catastrofici. Le geremiadi sulla fine del mondo ci lasciano inebetiti più per incredulità che per paura. E’ facile scadere in interpretazioni riduttivamente letterali sulla fine del mondo o in esortazioni vagamente spiritualistiche. La cultura e la spiritualità della “soluzione finale” e del millenarismo – peculiari di Mormoni, Testimoni di Geova o Avventisti del Settimo giorno – stanno espandendosi dal Nord-America in Europa. Anche tra i cattolici si sta sviluppando un certo interesse per il futuro del mondo a partire dai disastri ecologici frequenti, dai permanenti conflitti armati, dalla diffusione di minacciose epidemie, dall’infettante nichilismo nella vita e nel lavoro. Nei paesi ricchi questi problemi vengono annegati nell’affarismo e nel consumismo; nei paesi poveri prevalgono problemi contingenti di sopravvivenza. Tutti, in ogni caso, ci difendiamo bevendo il calice dolce o amaro di ciò che il convento passa giorno per giorno, senza eccessive preoccupazioni di giudizi finali o di capovolgimenti improbabili. Oggi si tratta di capire se l’annuncio cristiano è un annuncio tenebroso e malaugurante della fine delle cose o un invito a buttarsi in una trasfigurazione in atto. Scrive Olivier Clément [1]: « La vera storia si gioca alla frontiera del visibile e dell’invisibile. “Il suolo della storia è vulcanico” diceva Berdjaev. Lo studio dei movimenti del sottosuolo c’insegna che uno spostamento di alcuni millimetri negli strati profondi della scorza terrestre provoca un terremoto in superficie. Il contemplativo immerso nel silenzio e ogni atteggiamento di preghiera, di apertura al mistero, provocano nella storia un’irruzione dell’eternità e permettono quelle creazioni di vita e di bellezza che, a loro volta, terranno desti i cuori». Si tratta di capire se ciò che io spero, determina la qualità e il senso di ciò che io vivo: «Nel profondo dell’inverno ho imparato che dentro di me riposa un’estate invincibile [2]».
Messaggi in codice per opportuni risvegli.
La Parola di Gesù è stata codificata, dalle prime generazioni cristiane, come Buona-notizia, Ev-angelo. Non si può dire, a cuor leggero, che gli annunci apocalittici siano belle notizie, tuttavia contengono una verità da cui è bene non prendere eccessive distanze; è proprio passando attraverso la cruna d’ago della verità inaccettabile della fine delle cose che si può capire la novità del Vangelo che ha dell’incredibile: «Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venireIl cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Marco 13, 26.31).
Chi se la passa bene non invoca certo la fine della goduria: «Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo» (Matteo 24, 37-39). Chi è pressato da persecuzioni, fallimenti e dolori, come le comunità tribolate del profeta Daniele e dell’evangelista Marco, tende l’orecchio e punta gli sguardi verso promesse che tardano e consolazioni che giungono da lontano: «Coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa gridarono a gran voce: “Fino a quando, Signore santo che mantieni le promesse, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue?”»  (Apocalisse 6, 9-10).
Agli uni e agli altri, ai buontemponi e agli afflitti, il profeta evangelizzatore rivolge la parola di risveglio, di vigilanza, di coraggio e consolazione. Usa tecniche comunicative diversificate secondo i destinatari e il contesto. Tra questi linguaggi esortativi se ne distinguono due dal sapore un po’ esotico: il linguaggio escatologico e quello apocalittico. Con l’uno si sussurra, con l’altro si grida. Il linguaggio escatologico ha una visione solenne dell’éscaton, della “soluzione finale”, ma è improntato alla sobrietà narrativa e accompagnato da un giudizio positivo verso il tempo presente. Non c’è nessun cedimento alla curiosità del come e del quando. L’uomo resta corresponsabile della storia. Il linguaggio apocalittico, invece, esaspera i toni drammatici e gli elementi catastrofici; è più venato di pessimismo sul tempo presente e quasi ossessionato dal futuro, dal come e dal quando. L’uomo viene quasi ridotto a comparsa di una storia dove l’azione esclusiva sarebbe di Dio.
Così l’autore del Libro di Daniele scrive al tempo della persecuzione degli anni 165-164 a.C. nel periodo nero del Regno di Antioco IV Epifane. Per sapere come andrà a finire, l’autore si colloca in modo fittizio in un altro tempo difficile del passato e cioè all’esilio di Babilonia (587-538). Ripercorre rapidamente quel periodo, cerca di scoprire le grandi leggi dell’agire di Dio e della sua fedeltà e, poggiandosi su questa pedana, fa un salto in avanti nel tempo e descrive come si concluderà la persecuzione attuale. Egli, di fatto, ignora la conclusione della vicenda, ma conosce solo una cosa: che Dio è fedele. Nel Capitolo 13 di Marco (capitolo che invito a leggere per intero) sono presenti alcuni tratti “apocalittici” (guerre, terremoti, carestie, catastrofi cosmiche, persecuzioni), ma formano solo la cornice. Si capisce subito che il messaggio centrale non si può confondere con questi elementi: basti pensare all’insistente esortazione alla vigilanza, che è poi un richiamo all’impegno nella storia secondo la meta indicata da Dio.[3]
AAA. Cercasi bussola.
All’interno di questi messaggi apocalittici siamo alla ricerca di buone notizie. Quattro annunci emergono dall’amalgama apocalittico della Liturgia odierna:

  • Di fronte alle nostre sicurezze culturali ed anche di fronte al nostro personale affannarci per rincorrere gli accessori della vita, oggi prendiamo contatto con una parola semplice e sapienziale dell’Evangelo: cielo e terra passeranno. Il nostro ambiente vitale è provvisorio: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso»( Luca 21,34).
  • Ci perviene anche un telegramma: Il regno di Dio (Gesù) è fra di noi. Questa realtà, questa presenza, che sfida tutti i catastrofismi personali e cosmici non dobbiamo cercarla oltre, ma attorno a noi, dentro di noi. In mezzo alle tante incertezze Gesù offre un terreno solido su cui la comunità potrà poggiare i piedi: le mie Parole non passeranno.
  • Un’altra parola risuona importante: è inutile interrogarci sul come e sul quando. Una madre incinta sente il bimbo muoversi e ha fatto i suoi conti sul periodo probabile di nascita, ma la data e l’ora precisa non può determinarla. Il problema non è il “quando”, ma il farci trovare pronti. Il credente sa che ogni istante è il tempo favorevole per prendere una decisione e dare una risposta. In ogni momento presente si gioca il futuro.
  • Poi c’è l’invito finale per l’atteggiamento da tenere: vigilate! Lo strumento di rotta del cristiano non è il calendario o l’oroscopo, ma la bussola: il Regno di Dio lancia segnali magnetizzati dai punti cardinali delle sue presenze. Per vigilare occorre anche non lasciarsi ingannare, non lasciarsi scoraggiare, non lasciarsi prendere alla sprovvista, non appesantirsi di accessori inutili. La vigilanza responsabile esclude il fanatismo apocalittico, la narcosi spiritualistica o l’iperattivismo. La vigilanza comporta – come dice la parabola del portinaio – vivere svegli, nella fatica e nel servizio. La vigilanza è l’arte di essere puntuali agli avvenimenti decisivi dell’esistenza. La vigilanza cristiana dipende da qualcosa che c’è dentro: i passi leggeri di una Persona che ci tengono svegli.

Il sole mentre diluvia.
E’ troppo facile essere certi, mentre diluvia, che prima o poi finirà e verrà il sole o che dopo certi infami periodi da dimenticare venga un po’ di bonaccia. Oggi si richiede qualcosa di più impegnativo, come guardare il negativo di una foto leggendovi, anticipatamente ricostruito, il suo sviluppo positivo. Non si tratta di essere certi che dopo la morte di Cristo verrà la sua risurrezione, ma che su quella croce avviene la risurrezione. Ciò va molto al di là della paziente attesa che qualcosa di brutto passi.
Una bussola e una manciata di semi.
Ogni tanto abbiamo notizia che paesi interi vengono sommersi dall’alluvione. In condizioni di urgenza bisogna salvare una bussola, un paio di scarponi robusti e una manciata di semi. Spesso ci danniamo l’anima a fare tante cose, ad acquistare, a difendere; forse non abbiamo colto che la fine del mondo, di un certo mondo, è già iniziata. Nelle scelte del presente si gioca il nostro futuro. Occorre salvare l’essenziale.
Nell’attesa della tua venuta…
Durante l’eucaristia domenicale si proclama: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta». Nell’Eucaristia noi proclamiamo di credere che Cristo è l’A e la Z di tutta la creazione. Teilhard de Chardin, scienziato e teologo, ha riletto in chiave cristiana tutta l’evoluzione della materia e della vita: Cristo consegnerà tutto, anche la materia, al Padre «affinchè Dio sia tutto in tutti» (1 Corinti 15,23-28). Sta avvenendo una “cristificazione” della materia e della storia umana. Per questo, scrisse una PREGHIERA ALLA MATERIA di cui riporto alcuni brani: «Benedetta tu, nuda materia, terra arida, dura roccia; tu che non cedi se non alla violenza e ci sforzi a lavorare se vogliamo procurarci il pane. Benedetta tu, pericolosa materia, madre terribile; tu che ci divori se ti incateniamo. Benedetta tu sia, universale materia, tu che dissolvendo le nostre strette misure ci riveli le dimensioni stesse di Dio. Benedetta tu sia, immortale materia, tu che ci introdurrai per forza nel cuore stesso di ciò che E’. Senza di te, senza i tuoi attacchi, senza i tuoi strappi noi vivremmo inerti, puerili, ignoranti di noi stessi e di Dio. Tu che ferisci e guarisci, tu che ristori e pieghi, tu che sconvolgi e ricostruisci, tu che incateni e che liberi, linfa della nostra anima, Mani di Dio, Carne di Cristo, materia ti benedico. Io ti saluto, inesausta capacità di essere e di trasformazione. Ti saluto, universale potenza di accoppiamento e di unione. Ti saluto, sorgente armoniosa delle anime, limpido cristallo dalla quale sarà tratta la nuova Gerusalemme. Ti saluto, “ambiente divino”, carico di potenza creativa, oceano agitato dallo Spirito, argilla impastata e animata dal Verbo Incarnato. Credendo di obbedire al tuo irresistibile appello, gli uomini si precipitano sovente per amor tuo nell’abisso esteriore del piacere egoista. Bisogna, se vogliamo possederti. che noi ti sublimiamo nel dolore, dopo averti gioiosamente stretta tra le nostre braccia. Portami là in alto, materia, per lo sforzo, la separazione e la morte, portami là dove sarà possibile infine abbracciare castamente l’Universo».


[1] Olivier Clément, Il potere crocifisso, Qiqajon, Bose, 1999, passim.
[2] Albert Camus
[3] A. Pronzato, Un cristiano comincia a leggere il Vangelo di Marco, Gribaudi, pag.344-347.