Casa sfitta? Che peccato!


OTTIMA ESEMPLARE INIZIATIVA A PARMA.

E’ peccato lasciare la casa sfitta.

Il CIAC offre garanzie per i proprietari e nelle stesso tempo garanzie per lavoratori che potrebbero pagare affitto ma non trovano disponibilità dai proprietari per persone straniere.

Crazie CIAC!




I vescovi per il 1 maggio
Il lavoro generi speranza

Messaggio dei Vescovi per la Festa dei Lavoratori 1° maggio 2025
AVVENIRE 20 marzo 2025

Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza.

La Festa dei Lavoratori, in questo Anno giubilare, vuole offrire orizzonti di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, consapevoli «che il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 3).
La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli, come Papa Francesco ci ha indicato nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare (cf. Francesco, Spes non confundit, 12).
L’esperienza della pandemia ci ha consegnato un modo di lavorare nel quale è possibile coniugare in molte circostanze lavoro in presenza e a distanza, aumentando la nostra capacità di conciliare vita di lavoro e vita di relazioni soprattutto nel cosiddetto smartworking, ma rischiando anche di impoverire i rapporti umani tra i lavoratori e le stesse relazioni familiari.
Un effetto strutturale e fondamentale lo sta esercitando la grave crisi demografica, per la quale vedremo nei prossimi anni uscire dal mercato del lavoro la generazione più consistente, sostituita progressivamente da un numero sempre più ridotto di giovani.
Allo stesso tempo, accade qualcosa di paradossale, ossia lo sfruttamento di fratelli immigrati, dimenticando che la loro presenza può costituire un motivo di speranza per la nostra economia, ma solo se verranno integrati secondo parametri di giustizia.
Inoltre, oggi, con quello che viene chiamato mismatch, ossia il disallineamento tra domanda e offerta, assistiamo contemporaneamente al fenomeno di posti di lavoro vacanti, che non trovano personale con le necessarie competenze, e giovani disoccupati che non hanno i requisiti adatti.
Resta sullo sfondo, infine, la dura «legge di gravità» della competizione globale per la quale le imprese cercano di localizzarsi laddove i costi (quello del lavoro incluso) sono più bassi. E questo alimenta una spirale al ribasso su costo e dignità del lavoro.
Se il dato statistico sulla disoccupazione, in forte calo, potrebbe spingere all’ottimismo, sappiamo invece che dietro persone formalmente occupate c’è un lavoro povero.
Occorre, infine, considerare la situazione delle donne, che in alcuni ambiti vengono penalizzate non solo con una minore retribuzione, ma anche con l’assenza di garanzie nei tempi della gravidanza e della maternità.
Non ci sarà piena giustizia, infine, senza sicurezza sul lavoro, la cui mancanza fa ancora tante vittime. Per dare speranza occorre invertire queste tendenze: sarà uno dei segni più rilevanti del Giubileo.
Esistono tuttavia segni di speranza da alimentare per essere generativi e per far nascere e promuovere lavoro degno ma, come sempre, essi richiedono la nostra partecipazione attiva per proseguire l’opera della Creazione.
Un segno di speranza è il riconoscimento nei contratti di lavoro nazionali dell’importanza della formazione permanente e della riqualificazione durante gli anni di lavoro.
È necessario valorizzare, inoltre, lo strumento degli stessi contratti per impiegare le risorse a disposizione anche in forme di welfare e di assicurazione attenti alle emergenze sanitarie e familiari. È segno di speranza la creazione di relazioni virtuose tra datori di lavoro e lavoratori, dove il dialogo, la riconoscenza, i meccanismi di partecipazione, alimentano fiducia e cooperazione mettendo in moto le motivazioni più profonde della persona e facendo crescere la forza dell’impresa e la qualità del lavoro.
Come Chiesa abbiamo sentito, in questi anni, la responsabilità di impegnarci su questo fronte, non solo assicurando vicinanza e conforto a chi è in difficoltà, ma contribuendo a creare «un’alleanza sociale per la speranza che sia inclusiva e non ideologica» (Spes non confundit, 9).
Lo abbiamo fatto anche con visioni che donano prospettive di speranza, come quelle dell’economia civile, e investendo in interventi generativi, volti alla creazione di una cultura del lavoro e di opportunità, come il Progetto Policoro, con il quale da trent’anni la Chiesa in Italia investe su giovani animatori di comunità formati per impegnarsi nelle loro diocesi. Negli ultimi anni essi hanno operato nel solco dell’ecologia integrale, che guarda alla sostenibilità e all’interdipendenza tra dimensione sociale ed ecosistema. Dal Progetto Policoro sono nati frutti significativi e imprese capaci di stare sul mercato e di promuovere lavoro degno anche nelle aree del Paese più disagiate.
Non ultimo, appare opportuno un appello alla responsabilità di tutti noi. L’economia e le leggi di mercato non devono passare sopra le nostre teste lasciandoci impotenti. Il mercato siamo noi: sia quando siamo imprenditori e lavoratori, sia quando promuoviamo e viviamo un consumo critico. La responsabilità sociale d’impresa è oggi un filone sempre più consolidato grazie anche agli interventi regolamentari che impongono alle aziende un bilancio sociale e prendono le distanze da comportamenti furbeschi volti solo alla speculazione. I credenti e tutti i cittadini di buona volontà sono chiamati in questo contesto propizio a stimolare le aziende a gareggiare tra loro anche sulla dignità del lavoro e a usare l’informazione sui loro comportamenti come criterio per le scelte di consumo e di risparmio. La «mano invisibile» del mercato non è sufficiente a risolvere i gravi problemi oggi sul tappeto. È la nostra mano visibile che deve completare l’opera di con-creazione di una società equa e solidale e continuare a seminare speranza. Infatti, «i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza» (Spes non confundit, 7).
Roma, 19 marzo 2025 Solennità di san Giuseppe
LA COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE




Capitalismo e democrazia
Luigino Bruni (Avvenire)

IL CAPITALISMO SI STA ALLEANDO  CON LA CULTURA BELLICA E ILLIBERALE
Luigino Bruni (Avvenire 25 febbraio 2025)
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/capitalismo-e-cultura-bellica

Chi ama pace, democrazia e mercato civile deve aspettarsi anni difficili e di resistenza.

Nella sua breve storia, il capitalismo ha avuto un rapporto ambivalente con la democrazia, con la pace e con il libero mercato. La storia, infatti, qualche volta, pensiamo alla nascita della Comunità Europea, ha confermato la tesi di Montesquieu – « L’effetto naturale del commercio è il portare la pace» (L’Esprit des Lois, 1745). Altre volte, e forse sono quelle più numerose incluso il nostro presente, i fatti hanno dato invece ragione al napoletano Antonio Genovesi «Gran fonte di guerre è il commercio», perché «lo spirito del commercio non è che quello delle conquiste» (Lezioni di economia civile, 1769). Quale, allora, il rapporto tra lo spirito del capitalismo e lo spirito della pace, della democrazia e della libertà? Dopo l’implosione della grande alternativa collettivista, il nuovo capitalismo del XXI secolo si caratterizza per una notevole biodiversità di forme e culture d’impresa. Questa varietà di istituzioni economiche – dalla piccola impresa alla multinazionale, dalle società benefit ai private equity – crea un effetto cortina che fa dimenticare che il centro del sistema capitalista vive e cresce guidato da un solo unico obiettivo: la massimizzazione razionale della ricchezza sotto forma di profitti e sempre più di rendite. È questo il nucleo che spinge tutto il variegato movimento del nostro capitalismo. Per i grandi attori globali, tutto ciò che non sia accrescimento di profitti e rendite è solo un vincolo da aggirare o allentare, incluse le varie legislazioni ambientali, sociali, fiscali. Questo capitalismo conosce la sola etica dell’accrescimento dei flussi e degli asset economici e finanziari, tutto il resto è solo mezzo in vista di questo unico fine.
Tra i mezzi ci possono essere anche la democrazia, il libero mercato e la pace, ma non sono necessari. Lo spirito del capitalismo e dei capitalisti è adattivo e pragmatico: se in una regione del pianeta c’è democrazia, libertà di scambi e pace, si inseriscono in queste dinamiche democratiche, liberali e pacifiche e fanno i loro affari; ma non appena il clima politico cambia, con un cinismo perfetto cambiano linguaggio, alleati, mezzi, e usano guerre, dittature, dazi, populisti e populismi per continuare a perseguire il loro unico scopo. E se in circostanze ancora diverse, del passato e del presente, qualche grande potentato economico intravvedere in possibili scenari bellici, non liberali e non democratici opportunità di maggiori guadagni, non ha nessun scrupolo a favorire quel cambiamento, perché, giova ripeterlo, il telos, la natura di questo capitalismo non è né la pace, né la democrazia né il libero mercato, ma soltanto profitti e rendite. Ieri, e oggi.
Basti pensare, per un grande e scomodo esempio, all’avvento del fascismo in Italia. Non avremmo avuto nessun ventennio fascista senza la scelta delle élites industriali e finanziarie italiane di usare quel gruppo di squadristi picchiatori per proteggersi dal “pericolo rosso” concreto e possibile, convinti che lo Stato liberale non lo avrebbe fatto. Davanti alla paura di perdere ricchezze e privilegi, quel capitalismo italiano (la gran parte di esso) non ebbe nessun scrupolo ad abbandonare democrazia, libertà, libero mercato e favorire l’emergere del regime fascista. L’economia corporativa fascista, che conquistò e contagiò gran parte degli economisti liberali italiani e cattolici, si presentava come superamento sia «del sistema individualistico-liberale che aveva dominato le nazioni civili durante il XIX secolo fino alla guerra sia del comunismo: si vuole un sistema atto a mediare gli estremi, superandoli. Si rivela, anche qui, l’armonia dello spirito latino» (Arrigo Serpieri, Principi di Economia Politica Corporativa, 1938, pp. 2931). E Francesco Vito, un importante economista cattolico, nella sua Economia Politica Corporativa, scriveva: «Il compito dell’economia nuova consiste essenzialmente nell’assunzione consapevole dei fini sociali al posto della concezione individualistica della società finora prevalsa» (1943, p. 85). Infatti, la teoria individualista liberale non conveniva più al capitale, ed ecco pronta la nuova economia corporativa e statalista, presentata come espressione massima dello “spirito latino”.
Nel primo numero della sua rivista Gerarchia, Mussolini si poneva la domanda: «Da che parte va il mondo?», e rispondeva affermando «l’innegabile constatazione dell’orientamento a destra degli spiriti» (febbraio 1922), e qualche anno dopo dirà: «Oggi noi seppelliamo il liberalismo economico» (novembre 1933).
Quindi, quando necessario, lo spirito del capitalismo diventa l’opposto dello spirito del mercato, perché finisce per coincidere con lo spirito bellico di conquista. Perché anche il mercato è uno dei mezzi che il capitalismo qualche volta usa, se e quando meglio serve gli interessi dei capitalisti e dei loro rappresentanti agenti politici. Oggi stiamo attraversando una nuova fase di alleanza tra lo spirito capitalistico e quello bellico e illiberale, che sta lasciando le democrazie per le leadercrazie populiste nazionaliste e protezioniste. Ieri le paure erano quelle “rosse” (che comunque restano sempre all’orizzonte dell’Occidente), oggi sono quelle dell’immigrazione, di una globalizzazione troppo rapida, del cambiamento climatico (cui si risponde negandolo), dell’impoverimento della classe media. Chi ama pace, democrazia e mercato civile deve aspettarsi anni difficili e di resistenza.




Monti frumentari, l’origine dell’economia solidale
L.Bruni (AVVENIRE)

Riscopriamo insieme i Monti frumentari, l’origine dell’economia solidale
Luigino Bruni (AVVENIRE 11 gennaio 2025)

Il 2025 è un anno importante per l’economia solidale e civile italiana. Sono seicento anni dalla nascita del beato Marco da Montegallo, francescano instancabile fondatore di Monti di Pietà, e trecentocinquanta da quella del veronese Scipione Maffei, che nel suo Dell’impiego del denaro (1744) dimostrò la legittimità etica e cristiana del prestito ad interesse (modesto). In piena preparazione per questi anniversari “finanziari”, sono arrivato a Natale nel mio paese natio – oggi Roccafluvione (AP), Marsia prima dell’unità d’Italia. E ho fatto alcune ricerche nell’archivio parrocchiale, mosso dalla speranza di trovare un’antica presenza di un Monte frumentario, sebbene nessun vecchio del paese ne ricordi in zona. Nessuna traccia sul web né sui libri. Quindi non mi aspettavo nulla. E invece ho trovato una vera miniera. Non solo la mia parrocchia aveva un Monte frumentario di cui si sono conservati ben due registri, ma con l’aiuto di un giovane collega, Antonio Ferretti, e di alcuni parroci, ho rintracciato altri registri di Monti frumentari in due parrocchie vicinissime: Capodipiano (Monte di S. Orso) e Roccacasaregnano. E poi, grazie allo storico Giuseppe Gagliardi, sono venuto a conoscenza di un verbale di una visita pastorale del vescovo Zelli del 1833-1837, dove sono elencati almeno 70 Monti frumentari nella sola diocesi di Ascoli Piceno, dei quali ben otto nelle parrocchie montane del mio comune. Una presenza, quindi, molto più capillare ed estesa di quanto pensassimo finora, una vera rete di microcredito, durata secoli.
Dei Monti frumentari abbiamo già parlato su Avvenire. Con il vicedirettore Marco Ferrando e Federcasse (Bcc) abbiamo realizzato anche una serie di podcast “La terra del noi”. Questi Monti furono fondati dai francescani sulla fine del Quattrocento, diffusi poi dai Cappuccini e rilanciati nel Settecento dall’azione pastorale di Papa Orsini (Benedetto XIII). I francescani avevano fondato dapprima i “Monti di Pietà” nelle città del Centro e Nord Italia, varianti cristiane dei Monti dei pegni ebrei e prima ancora romani. Ma nelle campagne e nel Sud, dove la moneta era scarsa e quindi spesso usuraia, quegli stessi francescani ebbero la geniale idea di far nascere dei “monti del grano”, piccole banche dove si prestava grano in autunno per le sementi e lo si restituiva dopo il raccolto – si prendeva “a raso” e si rimborsava “a colmo”: la differenza era l’interesse. L’idea era tanto semplice quanto stupenda: se la moneta non c’è o è troppo cara, si può provare a trasformare il grano in moneta (“grana”). Saltarono un passaggio finanziario e crearono un grande passaggio civile e cristiano su cui molti salirono e si salvarono.
I Monti frumentari sono importanti perché icona perfetta della vocazione della nostra economia, ormai dimenticata. Mentre, infatti, il mondo protestante separava il mercato dal dono – business is business e gift is gift – e così inventava il capitalismo filantropico, il mondo cattolico mescolava mercato e dono, gratuità e contratti, solidarietà e interessi. Il Monte, infatti, non donava il grano: lo prestava (a interesse); ma quel prestito aveva la stessa sostanza e fragranza dell’agape, perché consentiva di seminare a chi non aveva semi e poi avere pane. E così hanno spiegato cosa significhi credito: credere, fiducia, fides, vita, e che le comunità non vivono senza credito, senza credere gli uni negli altri.
Tutto questo emerge anche dai due vecchi registri del Monte che abbiamo ritrovato, impolverati, dimenticati e bellissimi nel piccolo e freddo archivio parrocchiale di Marsia, dove giacevano dagli anni ’30 quando furono ritrovati e salvati dall’allora parroco Giuseppe Ciabattoni. Il primo, più antico, porta scritto in copertina “anno 1768”; l’altro è relativo agli anni 1826 e seguenti. In un foglio, datato 17 nov. 1764, così si legge: «Fu dispensato il grano del Monte Frumentario delle S.S. Reliquie di questa chiesa Prevostale di Santo Stefano, a tutti li segnati nel presente libro nell’ordine che siegue dai Sindici Domenico Martini e Giovanni Ruzzi da Casacagnano da riscuotere nel mese di Agosto dell’anno futuro 1765 dai nuovi sindici Pietro Martini e Antonio Cesarini» . Il Monte era chiamato “frumentario” già nel ’700, era gestito da una Confraternita (delle S.S. Reliquie), e amministrato, secondo una antica tradizione della Chiesa, da due sindaci (“sindici”), che duravano in carica un solo anno. Dal libro si nota, infatti, che i sindaci che distribuivano in novembre il grano non erano quelli che gestivano le restituzioni nell’estate successiva – antica saggezza istituzionale! Nel foglio dell’anno 1765 così, infatti, leggiamo: « Il grano notato nel presente libro non fu esatto [participio passato di esigere] per la raccolta scarsissima accaduta nell’anno 1765 in cui dovea esigersi da i Sindici Pietro Martini da Marscia [nome dialettale di Marsia] e da Antonio Cesarini da Casacagnano. Firmato F. Fratini, Prevosto. Lì, 3 ottobre del 1765 ». Non si lucrava sulle disgrazie, non si facevano disperare i poveri – anche questa è radice.
Seguono poi le scritture contabili, numerate in ordine crescente per data (1,2,3…). Le monete erano i paoli, i baiocchi e gli scudi. L’unità di volume era la quarta, ma anche il rubbio e la prebenda – a metà ottocento in diversi paesi dell’ascolano il rubbio si divideva in 8 quarte, la quarta in 4 prebende. Interessante, poi, notare che il saldo del debito poteva avvenire in grano, ma anche in moneta o in giornate di lavoro. Si legge infatti nel secondo libro, datato 10 aprile del 1826: « Giovanni, figlio di Vincenza da Gualdo, da quando ha avuto quarta una di grano aureo al prezzo di paoli dieci e mezzo, a conto ha lavorato una giornata, poi una seconda giornata, e più sconta giornate sei, e più giornate due, e più giornate quattro, e più residuo di una prebenda di grano turco paoli due, e più ha avuto quarta una di grano al prezzo di paoli quindici» . Quindi quello di Marsia era un Monte ibrido: un po’ frumentario (grano con grano), un po’ pecuniario (pagamenti del grano in moneta) e anche lavoro – anche questo è Articolo 1 della Costituzione. La scrittura era stata poi barrata dai sindaci per l’avvenuto pagamento. Le scritture del Monte di Marsia, e quelle delle parrocchie vicine, si arrestano tutte alle fine degli anni cinquanta dell’Ottocento, alla vigilia dell’arrivo dei Piemontesi quando queste istituzioni ecclesiali furono soppresse – un capitolo tutto da approfondire.
Da questa mia bellissima esperienza è nata una proposta, rivolta in primis a voi lettori di Avvenire: Dare vita a una ricerca diffusa sui Monti frumentari, in un esercizio di intelligenza collettiva. Cerchiamo negli archivi parrocchiali, diocesani, di confraternite, di ordini religiosi, per una mappatura dal basso di queste istituzioni dimenticate. Creiamo una “comunità patrimoniale”, che si riappropri di un brano del proprio capitale culturale. Non serve essere specialisti né storici, chiunque viva in paesi di montagna e di campagna, soprattutto nel Centro, Sud e Isole (ma quasi tutte le regioni avevano dei Monti) può fare la sua parte. Cerchiamo le tracce dei Monti frumentari, ma anche dei “Monti delle doti” (o delle vergini), delle castagne, della lana, e chissà quanti altri. Don Giuseppe de Luca, negli anni cinquanta ebbe la grande intuizione di un “Archivio italiano per la storia della pietà”. Esiste anche una storia della pietà economica e finanziaria che attende di essere scoperta, conosciuta, valorizzata. Le radici non sono passato: sono presente e futuro. E quale è il “grano” di oggi, il seme da custodire e condividere per vivere?
Il 2025 è anno giubilare: i giubilei biblici erano anche e soprattutto faccenda di poveri, di debiti e di crediti. Potete scrivere le vostre scoperte, piccole e grandi, al mio indirizzo: l.bruni@lumsa.it. Presenteremo i primi risultati in alcuni convegni, a partire dal 19 marzo, ad Ascoli, per l’anniversario del beato Marco da Montegallo, e di tanto in tanto diremo su queste pagine. Buon Giubileo e buona ricerca a tutte e tutti.




Condonare il debito
Sogno, ma anche proposte.

Riparte la campagna per tagliare il debito.
Luca Liverano (Avvenire 10 gennaio 2025)

La campagna è promossa da: Acli, Agesci, Aimc, Azione Cattolica, Caritas, Comunità Papa Giovanni XXIII, CVX Comunità di Vita Cristiana, Earth Day Italia, Focsiv ETS, Fondazione Banca Etica, MCL, Meic, Missio, Movimento dei Focolari, Pax Christi, Salesiani per il sociale, Sermig. Media partner della campagna sono: Agenzia SIR, Avvenire, Radio Vaticana, Vatican News, Famiglia Cristiana.

     Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. L’associazionismo cattolico – e non solo – si mobilita sulle parole del Papa che ha intitolato il messaggio per la 58ª Giornata Mondiale della Pace del 1º gennaio “Rimetti a noi i nostri debiti: concedici la tua pace”. E all’inizio del Giubileo della speranza lancia la campagna “Cambiare la rotta. Trasformare il debito in speranza”, collegata alla campagna globale Turn debt into hope, promossa da Caritas Internationalis. Occasione per rilanciare il messaggio del Papa e mobilitarsi è l’incontro, organizzato all’Università Lateranense, dall’Istituto di Diritto Internazionale della Pace Giuseppe Toniolo con Azione Cattolica, Pontificia Università Lateranense, Forum Internazionale di Azione Cattolica e Caritas Italiana. Ad aprire l’incontro il professor Giulio Alfano, delegato del Ciclo di studi in Scienze della pace e Cooperazione internazionale dell’Università Lateranense.
Il Messaggio di Papa Francesco spiegano i promotori – invita a riflettere sull’urgenza di condonare i debiti e di promuovere modelli economici basati sulla giustizia e la solidarietà. E la remissione del debito si inserisce alla perfezione nell’anno Santo appena aperto, perché ispirata alla tradizione giubilare del popolo ebreo. È il passo essenziale per liberare i popoli oppressi da legami economici iniqui – dicono i promotori – che soffocano il presente e ipotecano il futuro.
Strettissimo poi il legame tra debito economico e debito ecologico, cioè quello che paesi ricchi del Nord – dopo aver sfruttato le risorse del sud provocando degrado climatico e sociale – hanno nei confronti del paesi in via di sviluppo, molto più esposti agli eventi climatici estremi, nonostante abbiano meno responsabilità nel riscaldamento globale e poche risorse per affrontarlo.
La campagna globale di Caritas Internationalis sensibilizza sull’urgenza di ristrutturare – meglio ancora, condonare – i debiti dei Paesi poveri. E trasformare un’architettura finanziaria internazionale intrinsecamente iniqua, che alimenta modelli di produzione e consumo alla base del riscaldamento climatico.
Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione cattolica, sottolinea come «la speranza non è semplice ottimismo, ma si concretizza nei gesti e segni che siamo capaci di compiere. È la capacità di cambiamento che siamo in grado di attivare. Per fare di questo tempo giubilare un’occasione per ripensare il nostro modo di abitare la casa comune. Guerre, cambiamento climatico, disuguaglianze: davvero occorre cambiare rotta. Questo è il momento perfetto, il kairòs, per costruire percorsi di cambiamento».
In collegamento video da Bangkok, Thailandia, Sandro Calvani, presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto G. Toniolo, afferma che «Dio ci affidato la custodia della sua creazione. E il primo passo per far ripartire relazioni di pace è il perdono, spinta iniziale e volano per far ripartire il motore».
Don Paolo Asolan, teologo e docente alla Pontificia Università Lateranense, colloca la remissione dei peccati e la cancellazione dei debiti in una prospettiva giubilare.
Interviene anche l’economista Riccardo Moro. Presidente del Civil 7 e docente di politiche dello sviluppo alla Statale di Milano, è l’esperto che coordinò per la Cei nel 2000 l’azione di cancellazione del debito di diversi paesi africani: «Avevano concluso 25 anni fa dicendo che avevamo vinto, siamo di nuovo qui. Cosa abbiamo sbagliato? Va detto che nel 2000, per la prima volta, la comunità internazionale accettò l’idea della cancellazione del debito, che è condanna alla povertà. Ma le regole di allora non sono state rispettate da tutti. Alcuni operatori hanno operato in modo spregiudicato. La Cina, che si affacciava allora sulla scena, per approvvigionarsi di materie prime erogò prestiti facili al Sud. Poi la crisi economica del 2008 e la pandemia hanno spinto all’indebitamento tanti stati per far fronte alle emergenze. Alcuni paesi oggi hanno un debito che supera il valore del loro pil». Cosa fare? «Creare alle Nazioni Unite un forum per definire i criteri di sostenibilità del debito e sistemi per gestire le crisi. Rispetto al 2000 abbiamo una visione complessiva più ampia, che comprende anche la questione climatica. Il Papa non a caso mette insieme debito finanziario e debito climatico».
Chiara Mariotti, dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani, ricorda che «il debito è un ostacolo che rende impossibile qualsiasi progresso verso la giustizia sociale e i diritti. Il livello del debito estero dei paesi in via di sviluppo nel 2023 ha raggiunto gli 8 mila miliardi di dollari. Più di 3 miliardi di persone vivono in paesi che spendono più per gli interessi sul debito che in spesa pubblica. Se non affrontiamo il debito non raggiungeremo gli obiettivi di sviluppo e non contrasteremo il riscaldamento globale ». In Paesi africani che perdono il 5% del pil a causa del cambiamento climatico e fino al 10% per la gestione delle catastrofi.
Il tema del debito dei paesi in via di sviluppo era stata già affrontata nel Giubileo del 2000 da Giovanni Paolo II. La mobilitazione della società civile portò alla campagna “Jubilee2000”, che chiese a paesi ricchi, Fondo monetario, Banca mondiale di cancellare i debiti ingiusti. Fino al 2005, col G7 di Gleenagles, che cancellò 40 miliardi di dollari. Negli anni a seguire si arrivò a 130. Ma sistemi finanziari e di mercato eticamente ingiusti, autentiche «strutture di peccato», hanno riprodotto situazioni l’indebitamento, aggravato da pandemia e riscaldamento globale.
La campagna lancia ora un appello in quattro punti, presentato da Massimo Pallottino di Caritas italiana:

  1. Uno: cancellazione e ristrutturazione dei debiti ingiusti e insostenibili, affrontando anche il debito da creditori privati.
  2. Due: creazione di un “meccanismo di gestione delle crisi di sovraindebitamento”, con la costruzione di un sistema presso le Nazioni Unite.
  3. Tre: riforma finanziaria globale che metta al centro persone e pianeta, creando un sistema equo, sostenibile e libero da pratiche predatorie.
  4. Quarta e ultima richiesta, il rilancio della finanza climatica per sostenere la mitigazione e l’adattamento climatico nel Sud globale. Disinvestendo dal fossile, dall’economia speculativa, dalle industrie belliche.

 

 




Giubileo. Riti e pellegrinaggi
MA NON SOLO

Gli eventi giubilari
Una certezza è invece il calendario degli eventi giubilari. A partire da gennaio sono già oltre trenta quelli in programma e per i quali è già possibile prenotarsi sul portale web dedicato. Ad aprire la sequenza sarà il Giubileo della comunicazione dal 24 al 26 gennaio, durante il quale sono previsti diversi momenti di confronto e di spiritualità, e la partecipazione alla Messa celebrata da Papa Francesco. Momenti e celebrazioni che caratterizzeranno tutti gli appuntamenti in programma nel corso dell’Anno Santo.
A febbraio si terrà il Giubileo delle Forze armate (8 e 9), quello degli artisti (dal 15 al 18), e, a fine mese, quello dei diaconi (dal 21 al 23). Nel mese di marzo in calendario un appuntamento per il mondo del volontariato (8 e 9) e il Giubileo dei missionari della misericordia (dal 28 al 30). Proprio il 28 marzo ci sarà anche il tradizionale appuntamento con le 24 ore per il Signore. A seguire, ad aprile, l’Anno Santo per i malati e il mondo della sanità (5 e 6), il Giubileo degli adolescenti (dal 25 al 27), e il Giubileo delle persone con disabilità (28 e 29).
Dal 1°al 4 maggio è in programma il Giubileo dei lavoratori, mentre il 5 e 6 quello degli imprenditori.
Il 10 e l’11 maggio l’incontro con le bande musicali. Dal 12 al 14 maggio il Giubileo delle Chiese orientali; dal 16 al 18 maggio il Giubileo delle confraternite. L’appuntamento conclusivo di maggio è quello con le famiglie, i bambini e i nonni (30 maggio-1 giugno).
A giugno è in programma il Giubileo dei movimenti, delle associazioni e delle nuove comunità (7 e 8). In calendario anche il Giubileo della Santa Sede (9 giugno) e quello dello sport (14-15 giugno). Dal 20 al 22 giugno si terrà il Giubileo dei governanti; il 23 e 24 giugno il Giubileo dei seminaristi; il 25 giugno ci sarà il Giubileo dei vescovi; e a seguire quello dei sacerdoti (dal 25 al 27).
Nel corso dell’Anno Santo non mancherà un appuntamento, a luglio, per i missionari digitali e influencer cattolici (il 28 e 29); mentre dal 28 luglio al 3 agosto si ritroveranno a Roma i giovani per quello che potrebbe diventare, come Tor Vergata nel 2000 il più grande evento giubilare, almeno a livello di partecipazione numerica.
Dopo la pausa agostana, gli appuntamenti riprenderanno a settembre.
Il 15 in calendario il Giubileo della consolazione, per tutti coloro che stanno vivendo un tempo di dolore e afflizione, per malattie, lutti, violenze e abusi subiti.; il 20 settembre il Giubileo degli operatori di giustizia; dal 26 al 28 l’incontro con i catechisti. Nel mese di ottobre è previsto il Giubileo del mondo missionario e dei migranti (4 e 5); a seguire l’incontro per il Giubileo della vita consacrata (8 e 9) e quello della spiritualità mariana (11 e 12). Poi, dal 31 ottobre al 2 novembre è in programma il Giubileo del mondo educativo.
A novembre, inoltre, è in calendario il Giubileo dei poveri (il 16 novembre) e il Giubileo dei cori e delle corali (22 e 23 novembre). L’ultimo appuntamento in calendario è, al momento, quello con i detenuti che saranno a San Pietro il 14 dicembre.

La Chiesa in Italia
Anche le diocesi italiane, ovviamente, vivranno i grandi eventi del Giubileo, oltre che i pellegrinaggi in loco verso le chiese e i santuari designati dai singoli vescovi. A livello nazionale, comunque, il cammino giubilare sarà affiancato da quello del Sinodo. La seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia si terrà a Roma dal 31 marzo al 3 aprile. E c’è attesa per un evento che si preannuncia sia riassuntivo delle precedenti fasi, sia proiettato verso il futuro. Sarà un momento particolare di impegno di partecipazione, per la Chiesa in Italia anche il Giubileo dei giovani, di cui già si è detto. La pastorale giovanile nelle diocesi della Penisola è sempre molto attiva e ha assicurato partecipazioni numericamente consistenti a tutte le Giornate mondiali della gioventù finora celebrate. Raggiungere Roma, dunque, non sarà un problema per i giovani italiani.
Sempre in clima giubilare va poi ricordato il percorso di valorizzazione, recentemente inaugurato tramite una webapp, delle antiche strade di pellegrinaggio che conducono a Roma, per riscoprire anche il pellegrinaggio a piedi.
Infine è da sottolineare che nell’anno giubilare si svolgerà a Roma, in ottobre, anche l’Incontro internazionale per la pace del 2025, il 39° organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio nello “spirito di Assisi”, sulla linea della preghiera interreligiosa voluta da Giovanni Paolo II nel 1986 nella città del Poverello.

 




1 gennaio 2025
Manifestazione per la pace a Parma




Papa Francesco
58a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

58a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2025
Papa Francesco

 

In ascolto del grido dell’umanità minacciata.

All’alba di questo nuovo anno donatoci dal Padre celeste, tempo Giubilare dedicato alla speranza, rivolgo il mio più sincero augurio di pace ad ogni donna e uomo, in particolare a chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita. A tutti voi speranza e pace, perché questo è un Anno di Grazia, che proviene dal Cuore del Redentore!
Nel 2025 la Chiesa Cattolica celebra il Giubileo, evento che riempie i cuori di speranza. Il “giubileo” risale a un’antica tradizione giudaica, quando il suono di un corno di ariete (in ebraico yobel) ogni quarantanove anni ne annunciava uno di clemenza e liberazione per tutto il popolo (cfr Lv 25,10). Questo solenne appello doveva idealmente riecheggiare per tutto il mondo (cfr Lv 25,9), per ristabilire la giustizia di Dio in diversi ambiti della vita: nell’uso della terra, nel possesso dei beni, nella relazione con il prossimo, soprattutto nei confronti dei più poveri e di chi era caduto in disgrazia. Il suono del corno ricordava a tutto il popolo, a chi era ricco e a chi si era impoverito, che nessuna persona viene al mondo per essere oppressa: siamo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, nati per essere liberi secondo la volontà del Signore (cfr Lv 25,17.25.43.46.55).
Anche oggi, il Giubileo è un evento che ci spinge a ricercare la giustizia liberante di Dio su tutta la terra. Al posto del corno, all’inizio di quest’Anno di Grazia, noi vorremmo metterci in ascolto del «grido disperato di aiuto» che, come la voce del sangue di Abele il giusto, si leva da più parti della terra (cfr Gen 4,10) e che Dio non smette mai di ascoltare. A nostra volta ci sentiamo chiamati a farci voce di tante situazioni di sfruttamento della terra e di oppressione del prossimo. Tali ingiustizie assumono a volte l’aspetto di quelle che S. Giovanni Paolo II definì «strutture di peccato», poiché non sono dovute soltanto all’iniquità di alcuni, ma si sono per così dire consolidate e si reggono su una complicità estesa.
Ciascuno di noi deve sentirsi in qualche modo responsabile della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità. Si fomentano e si intrecciano, così, sfide sistemiche, distinte ma interconnesse, che affliggono il nostro pianeta. Mi riferisco, in particolare, alle disparità di ogni sorta, al trattamento disumano riservato alle persone migranti, al degrado ambientale, alla confusione colpevolmente generata dalla disinformazione, al rigetto di ogni tipo di dialogo, ai cospicui finanziamenti dell’industria militare. Sono tutti fattori di una concreta minaccia per l’esistenza dell’intera umanità. All’inizio di quest’anno, pertanto, vogliamo metterci in ascolto di questo grido dell’umanità per sentirci chiamati, tutti, insieme e personalmente, a rompere le catene dell’ingiustizia per proclamare la giustizia di Dio. Non potrà bastare qualche episodico atto di filantropia. Occorrono, invece, cambiamenti culturali e strutturali, perché avvenga anche un cambiamento duraturo.

Un cambiamento culturale: siamo tutti debitori
L’evento giubilare ci invita a intraprendere diversi cambiamenti, per affrontare l’attuale condizione di ingiustizia e diseguaglianza, ricordandoci che i beni della terra sono destinati non solo ad alcuni privilegiati, ma a tutti. Può essere utile ricordare quanto scriveva S. Basilio di Cesarea: «Ma quali cose, dimmi, sono tue? Da dove le hai prese per inserirle nella tua vita? […] Non sei uscito totalmente nudo dal ventre di tua madre? Non ritornerai, di nuovo, nudo nella terra? Da dove ti proviene quello che hai adesso? Se tu dicessi che ti deriva dal caso, negheresti Dio, non riconoscendo il Creatore e non saresti riconoscente al Donatore». Quando la gratitudine viene meno, l’uomo non riconosce più i doni di Dio. Nella sua misericordia infinita, però, il Signore non abbandona gli uomini che peccano contro di Lui: conferma piuttosto il dono della vita con il perdono della salvezza, offerto a tutti mediante Gesù Cristo. Perciò, insegnandoci il “Padre nostro”, Gesù ci invita a chiedere: «Rimetti a noi i nostri debiti» ( Mt 6,12).
Quando una persona ignora il proprio legame con il Padre, incomincia a covare il pensiero che le relazioni con gli altri possano essere governate da una logica di sfruttamento, dove il più forte pretende di avere il diritto di prevaricare sul più debole. Come le élites ai tempi di Gesù, che approfittavano delle sofferenze dei più poveri, così oggi nel villaggio globale interconnesso, il sistema internazionale, se non è alimentato da logiche di solidarietà e di interdipendenza, genera ingiustizie, esacerbate dalla corruzione, che intrappolano i Paesi poveri. La logica dello sfruttamento del debitore descrive sinteticamente anche l’attuale “crisi del debito”, che affligge diversi Paesi, soprattutto del Sud del mondo.
Non mi stanco di ripetere che il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati. A ciò si aggiunga che diverse popolazioni, già gravate dal debito internazionale, si trovano costrette a portare anche il peso del debito ecologico dei Paesi più sviluppati. Il debito ecologico e il debito estero sono due facce di una stessa medaglia, di questa logica di sfruttamento, che culmina nella crisi del debito. Prendendo spunto da quest’anno giubilare, invito la comunità internazionale a intraprendere azioni di condono del debito estero, riconoscendo l’esistenza di un debito ecologico tra il Nord e il Sud del mondo. È un appello alla solidarietà, ma soprattutto alla giustizia.
Il cambiamento culturale e strutturale per superare questa crisi avverrà quando ci riconosceremo finalmente tutti figli del Padre e, davanti a Lui, ci confesseremo tutti debitori, ma anche tutti necessari l’uno all’altro, secondo una logica di responsabilità condivisa e diversificata. Potremo scoprire «una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri».

III. Un cammino di speranza: tre azioni possibili
Se ci lasciamo toccare il cuore da questi cambiamenti necessari, l’Anno di Grazia del Giubileo potrà riaprire la via della speranza per ciascuno di noi. La speranza nasce dall’esperienza della misericordia di Dio, che è sempre illimitata.
Dio, che non deve nulla a nessuno, continua a elargire senza sosta grazia e misericordia a tutti gli uomini. Isacco di Ninive, un Padre della Chiesa orientale del VII secolo, scriveva: «Il tuo amore è più grande dei miei debiti. Poca cosa sono le onde del mare rispetto al numero dei miei peccati, ma se pesiamo i miei peccati, in confronto al tuo amore, svaniscono come un nulla». Dio non calcola il male commesso dall’uomo, ma è immensamente «ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato» ( Ef 2,4). Al tempo stesso, ascolta il grido dei poveri e della terra. Basterebbe fermarsi un attimo, all’inizio di quest’anno, e pensare alla grazia con cui ogni volta perdona i nostri peccati e condona ogni nostro debito, perché il nostro cuore sia inondato dalla speranza e dalla pace.
Gesù, per questo, nella preghiera del “Padre nostro”, pone l’affermazione molto esigente «come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» dopo che abbiamo chiesto al Padre la remissione dei nostri debiti (cfr Mt 6,12). Per rimettere un debito agli altri e dare loro speranza occorre, infatti, che la propria vita sia piena di quella stessa speranza che giunge dalla misericordia di Dio. La speranza è sovrabbondante nella generosità, priva di calcoli, non fa i conti in tasca ai debitori, non si preoccupa del proprio guadagno, ma ha di mira solo uno scopo: rialzare chi è caduto, fasciare i cuori spezzati, liberare da ogni forma di schiavitù.
Vorrei, pertanto, all’inizio di quest’Anno di Grazia, suggerire tre azioni che possano ridare dignità alla vita di intere popolazioni e rimetterle in cammino sulla via della speranza, affinché si superi la crisi del debito e tutti possano ritornare a riconoscersi debitori perdonati.
Anzitutto, riprendo l’appello lanciato da S. Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dell’anno 2000, di pensare a una «consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni». Riconoscendo il debito ecologico, i Paesi più benestanti si sentano chiamati a far di tutto per condonare i debiti di quei Paesi che non sono nella condizione di ripagare quanto devono. Certamente, perché non si tratti di un atto isolato di beneficenza, che rischia poi di innescare nuovamente un circolo vizioso di finanziamento-debito, occorre, nello stesso tempo, lo sviluppo di una nuova architettura finanziaria, che porti alla creazione di una Carta finanziaria globale, fondata sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli.
Inoltre, chiedo un impegno fermo a promuovere il rispetto della dignità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale, perché ogni persona possa amare la propria vita e guardare con speranza al futuro, desiderando lo sviluppo e la felicità per sé e per i propri figli. Senza speranza nella vita, infatti, è difficile che sorga nel cuore dei più giovani il desiderio di generare altre vite. Qui, in particolare, vorrei ancora una volta invitare a un gesto concreto che possa favorire la cultura della vita. Mi riferisco all’eliminazione della pena di morte in tutte le Nazioni. Questo provvedimento, infatti, oltre a compromettere l’inviolabilità della vita, annienta ogni speranza umana di perdono e di rinnovamento.
Oso anche rilanciare un altro appello, richiamandomi a S. Paolo VI e a Benedetto XVI, per le giovani generazioni, in questo tempo segnato dalle guerre: utilizziamo almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico. Dovremmo cercare di eliminare ogni pretesto che possa spingere i giovani a immaginare il proprio futuro senza speranza, oppure come attesa di vendicare il sangue dei propri cari. Il futuro è un dono per andare oltre gli errori del passato, per costruire nuovi cammini di pace.
La meta della pace
Coloro che intraprenderanno, attraverso i gesti suggeriti, il cammino della speranza potranno vedere sempre più vicina la tanto agognata meta della pace. Il Salmista ci conferma in questa promessa: quando «amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno» ( Sal 85,11). Quando mi spoglio dell’arma del credito e ridono la via della speranza a una sorella o a un fratello, contribuisco al ristabilimento della giustizia di Dio su questa terra e mi incammino con quella persona verso la meta della pace. Come diceva S. Giovanni XXIII, la vera pace potrà nascere solo da un cuore disarmato dall’ansia e dalla paura della guerra.
Che il 2025 sia un anno in cui cresca la pace! Quella pace vera e duratura, che non si ferma ai cavilli dei contratti o ai tavoli dei compromessi umani. Cerchiamo la pace vera, che viene donata da Dio a un cuore disarmato: un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo.
Il disarmo del cuore è un gesto che coinvolge tutti, dai primi agli ultimi, dai piccoli ai grandi, dai ricchi ai poveri. A volte, basta qualcosa di semplice come «un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito». Con questi piccoli- grandi gesti, ci avviciniamo alla meta della pace e vi arriveremo più in fretta, quanto più, lungo il cammino accanto ai fratelli e sorelle ritrovati, ci scopriremo già cambiati rispetto a come eravamo partiti. Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato.
Concedici, la tua pace, Signore! È questa la preghiera che elevo a Dio, mentre rivolgo gli auguri per il nuovo anno ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leader delle diverse religioni, ad ogni persona di buona volontà.
Rimetti a noi i nostri debiti, Signore, come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e in questo circolo di perdono concedici la tua pace,
quella pace che solo Tu puoi donare a chi si lascia disarmare il cuore,
a chi con speranza vuole rimettere i debiti ai propri fratelli,
a chi senza timore confessa di essere tuo debitore,
a chi non resta sordo al grido dei più poveri.




Festival ECONOMIA E SPIRITUALITA’

AL VIA A PRATO IL «FESTIVAL DI ECONOMIA E SPIRITUALITÀ»
Il capitalismo è una nuova religione popolare. Come svincolarsi?
Avvenire 23/11/24

PROGRAMMA IN: Festival economia e spiritualita

Il “Black friday” come festoso rito di consumo prenatalizio, la spesa al supermercato la domenica mattina, i pellegrinaggi verso gli outlet o quei templi votati allo shopping infinito che sono i centri commerciali… Nelle singole azioni quotidiane possiamo non rendercene conto, ma con uno sguardo più ampio è difficile non vedere nel capitalismo, come nella sua trasposizione giornaliera che è il consumismo, una nuova religione popolare. Un culto che ci accompagna nel passaggio da una dimensione all’altra della vita, si tratti della casa che abitiamo, del luogo di lavoro con le sue dinamiche aziendali, delle attività nel tempo libero. Come svincolarsi? Come attraversare il mondo contemporaneo con un passo adeguato alla natura più autentica dell’essere umano? Parlandone, innanzitutto. Riflettendo e discutendo insieme. È l’obiettivo del Festival di Economia e Spiritualità che si tiene da sabato 23 novembre a domenica 1° dicembre in alcune città toscane e il cui tema per questa nona edizione è, appunto, “Capitalismo come religione”. «L’argomento scelto è frutto dell’intuizione dell’economista Luigino Bruni – spiega padre Guidalberto Bormolini, antropologo e ideatore del Festival insieme a un altro economista, Francesco Poggi -. Le ricerche dicono che più del settanta per cento delle persone ha un bisogno inespresso di spiritualità. Questo vuoto è però occupato da capitalismo e consumismo, capaci di offrire solo cliché religiosi e surrogati dei riti autentici». Gli esempi non mancano, come ricorda padre Bormolini, dalle promesse di paradisi delle agenzie di viaggio all’illusione che il desiderio di infinito possa essere appagato da consumi infiniti, abbandonando tuttavia gli esseri umani a un’insoddisfazione permanente. Lo spiega bene Bruni: «Il capitalismo, sul crepuscolo degli dèi tradizionali, è di fatto diventato la sola vera religione popolare del XXI secolo. La forza culturale del capitalismo sta proprio nel suo essere un’esperienza globale, un culto, una cultura onnicomprensiva e avvolgente. Per superare la religione/ idolatria capitalistica occorrono nuove prassi, nuove esperienze. Non basta scrivere libri o articoli, non è sufficiente costruire teorie, perché anche la nuova cultura economica, che in tanti vogliamo più umana, più inclusiva, circolare, nascerà dalla prassi e dal pane quotidiano». È con questa ambizione, di incidere nel concreto, che l’edizione 2024 del Festival di Economia e spiritualità porterà testimonianze ed esperienze nelle città ospitanti – Prato, Capannori, Lucca, Scandicci, Vaglia, Pistoia e Pisa. Tra i molti ospiti il sociologo Mauro Magatti, gli economisti Stefano Zamagni e Leonardo Becchetti, madre Noemi Scarpa, il poeta Davide Rondoni, il teologo Massimo Faggioli, il cantautore David Riondino, vari esponenti religiosi (il programma è sul sito festivaleconomiaespiritualita. it). «Abbiamo voluto mettere insieme l’economia, che è al centro delle grandi scelte politico culturali contemporanee, alla spiritualità, per un modello in cui l’homo oeconomicus lasci spazio all’homo integralis, cioè a una visione dell’essere umano in equilibrio nelle componenti di corpo, psiche e spirito – spiega padre Bormolini -. Oggi il mercato pretende di soddisfare anche la sete di spiritualità, nel momento in cui l’invito è principalmente a “stare bene con sé stessi”, mentre il diritto alla felicità si declina insieme, nella dimensione della comunità, ovvero della relazione, della cura, dell’amore». (M.Ca.)




Dalla cella alla recidiva zero: così il lavoro salva
F.Fulvi (Avvenire 22/11/24)

Dalla cella alla recidiva zero: così il lavoro salva.

Fulvio Fulvi (Avvenire 22/11/24)

 Il caso delle 30 persone rinate dall’esperienza detentiva. Il cappellano don David Maria Riboldi: uno solo ha commesso nuovi reati. Decisivo l’incontro con imprenditori avveduti. La It’s Right: paghiamo i detenuti quanto gli altri dipendenti

Anche dal carcere si può ripartire per una nuova vita a “recidiva zero”. Con il lavoro è possibile. Lo dimostrano le 30 persone rinate dalla dura esperienza detentiva in istituti di pena lombardi, grazie a progetti di inclusione promossi, in quattro anni di attività, dalla Cooperativa La Valle di Ezechiele di Fagnano Olona, nel Varesotto. «Uno solo di questi ha commesso nuovi reati una volta uscito, ma gli altri conducono una vita da onesti cittadini », racconta il cappellano della Casa circondariale di Busto Arsizio, don David Maria Riboldi, tra i fondatori della società non profit che dal 23 novembre del 2020, stabilendosi in un capannone dell’ex cotonificio Candiani, è impegnata sul fronte del recupero umano e sociale dei detenuti. Un esempio tra tutti è quello di E. L., 46 anni, recluso di origini albanesi che, da lunedì scorso, è stato autorizzato a uscire dall’istituto penale di Bollate perché ammesso all’articolo 21, che consente di lavorare all’esterno: tutte le mattine parte, va in ufficio e la sera ritorna in cella. L’uomo, ricordano i volontari della cooperativa, è stato sempre un gran lavoratore, anche quando stava dentro 24 ore al giorno: ha fatto il falegname nel laboratorio del carcere, poi lo “spesino”, cioè il detenuto che raccoglie le richieste dei compagni per la spesa nello spaccio del penitenziario e, ultimamente, il manutentore della macchinetta per i caffè. Si è dato sempre da fare per gli altri. Adesso è stato assunto con regolare contratto dalla “It’s Right” di Milano che si occupa dei diritti musicali per musicisti e cantanti: a lui spetta il compito di inserire nel computer, e organizzare in un apposito sistema, i dati sugli artisti che deve trattare l’azienda. A fianco a lui, per svolgere lo stesso lavoro, c’è un suo compagno di detenzione, P. D., un coreano, con il quale, negli otto anni trascorsi insieme dietro le sbarre, è diventato molto amico. Finalmente, con uno stipendio dignitoso, il detenuto albanese può aiutare la moglie e i figli a mantenersi. «Ringrazio soprattutto don David che sin dall’inizio ha creduto in me», commenta. La fiducia, infatti, è il primo ingrediente necessario se si vuole intraprendere un serio cammino di riscatto. Ma non è mai scontata. Bisogna meritarsela. «Servono impegno, volontà da parte di tutti e tanto sostegno della Provvidenza», precisa don David. I progetti di recupero sociale della cooperativa Valle di Ezechiele sono sempre individuali, ritagliati su misura per chi è nelle condizioni, umane e giudiziarie, di poterli sostenere. Ma è necessario trovare la disponibilità di imprenditori del territorio che hanno la mente aperta e comprendono l’utilità di questa “forza lavoro”. Sono vite che possono essere salvate. C’è la “legge Smuraglia” che favorisce l’assunzione di detenuti all’interno delle carceri, con sgravi di tipo contributivo e previdenziale ma, nel caso della Valle di Ezechiele, che opera in provincia di Varese, essenziale è stato l’apporto del prefetto Pasquale Salvatoriello, che ha reso possibile la stipula di protocolli specifici con la locale Camera di Commercio e le associazioni di categoria. Le 30 persone prese in carico finora dalla coop presieduta da Anna Bonanomi (che dopo 26 anni di lavoro in banca con ruoli di responsabilità, si è licenziata per poter svolgere questo impegno sociale a tempo pieno), hanno avuto opportunità in ristoranti, pizzerie, in un birrificio e una ditta importante che produce sacchetti per alimenti, panetterie e pasticcerie. Insomma, la ruota gira nel verso giusto. Il progetto che fa capo alla It’s Right, che ha sede in piazza Fontana a Milano, è partito da sei mesi e potrà essere sviluppato per altri cinque anni, anche per altri detenuti. « La nostra è una società benefit che gestisce, in Italia e all’estero, i compensi per i diritti connessi, dovuti per la pubblica diffusione di musica registrata ad artisti e produttori – spiega il titolare, Gianluigi Chiodaroli –; ad oggi rappresentiamo più di 280.000 artisti e oltre 6.600 produttori discografici italiani e internazionali. Abbiamo costituito un’unità di lavoro nella sede della Valle di Ezechiele, per offrire loro una formazione base legata all’attività lavorativa d’ufficio per l’acquisizione di competenze nella gestione di grandi banche dati. Il nostro obiettivo – conclude Chiodaroli – è arrivare a creare una organizzazione integrata tra i nostri dipendenti e i detenuti che sono retribuiti con uno stipendio parificato a quello applicato ai nostri dipendenti ». Inoltre, per questi progetti, l’impresa di servizi non ha usufruito di alcuna agevolazione statale. «Lo facciamo perché crediamo nella funzione sociale che un’azienda come la nostra può svolgere».