Università Lateranense
CORSO DI TEOLOGIA INTERCONFESSIONALE

All’Università Lateranense un percorso di «teologia interconfessionale»

La teologia può essere interconfessionale? Nella Facoltà teologica della Pontificia Università Lateranense ne sono talmente convinti da lanciare – a partire dall’anno accademico 2020-21– un percorso biennale di licenza (equivalente alla laurea magistrale) in ‘Teologia interconfessionale’, la cui programmazione è stata messa a punto da un comitato scientifico, coordinato da monsignor Giuseppe Lorizio (che alla Lateranense è ordinario di teologia fondamentale) e formato da rappresentanti delle diverse confessioni cristiane. Un’iniziativa che nello scorso ottobre ha ricevuto la piena approvazione anche da Francesco: «Cercare ed esplorare ogni opportunità per dialogare non è solo un modo per vivere o coesistere, ma piuttosto un criterio educativo».
Il lavoro di preparazione ha richiesto un anno di incontri seminariali, nei quali i promotori hanno individuato sei moduli, entro i quali situare i diversi corsi: storico-patristico, biblico-fondamentale, dottrinale-dogmatico, etico-morale, liturgico, cultuale e missionario.
L’itinerario sarà interconfessionale e interdisciplinare nell’orizzonte della Veritatis Gaudium di papa Francesco. Inoltre il cammino scientifico verrà accompagnato da momenti di preghiera comune, per esempio in occasione della Settimana dell’unità dei cristiani, del Natale, della Pasqua e di altre occasioni, con il coinvolgimento della cappellania universitaria.
Secondo i promotori del percorso di teologia interconfessionale, «non si tratta tanto di fornire competenze, ma soprattutto di educare a una forma mentis teologica, che faccia leva sulla necessità di abituarsi ad una teologia cristiana, che fonda e costituisce l’orizzonte delle diverse Chiese». In sostanza il biennio intende preparare persone che, tornando nelle loro comunità di origine, sappiano animarle e servirle nello spirito della ‘cultura dell’incontro’, cara a papa Francesco.
Per questo ciascun corso sarà tenuto da tre docenti, uno cattolico, uno evangelico e uno ortodosso. Fulvio Ferrario, decano della Facoltà teologica valdese, è tra questi e si occuperà di escatologia. «È un’iniziativa nuova che continua la tradizione di collaborazione con la Lateranense, rafforzatasi anche in occasione del cinquecentenario della Riforma. I tradizionali dialoghi rimangono, ma parlare di teologia in prospettiva ecumenica significherà cercare insieme in un campo in cui, finora, non c’era un dialogo strutturato come questo, anche se le nostre convinzioni non sono conflittuali…Abbiamo bisogno di allargare gli orizzonti, non ponendo steccati…Ciò significa uscire da schemi precostituiti e arrivare a un rapporto ‘spregiudicato’ con la teologia cattolica, per gli evangelici. Mentre per la Chiesa cattolica significa prendere atto che esiste una riflessione teologica esterna alla sua tradizione». E di tensione verso l’unità parla anche il reverendo Francisco Alberca, vicario della Chiesa episcopale americana di Roma: «La specializzazione in teologia interconfessionale è una meravigliosa idea ecumenica, che può dare nuovo impulso al cammino verso l’unità».




Il Papa crea il Fondo GESU’ DIVINO LAVORATORE
Per lavoratori in difficoltà

Papa Francesco crea un fondo per lavoratori in difficoltà a causa del Covid-19

 Si chiama Fondo “Gesù Divino Lavoratore” e avrà come primo stanziamento un milione di euro per tutte le categorie più deboli colpite dalle conseguenze della pandemia nella diocesi capitolina.

La risurrezione di Roma parte dai fragili. Dal restituire al popolo del precariato, agli invisibili sotto la soglia di attenzione, la dignità che settimane di quarantena hanno ridotto in polvere con la lentezza di una drammatica clessidra. Non c’è altra strada per Francesco, che già poco tempo fa nell’istituire la Commissione per il post-Covid aveva fatta sua la preoccupazione per le ricadute sociali della pandemia. Il suo sguardo si è fermato questa volta sulla città di cui è Vescovo, la Roma in cui afferma “vediamo che tanta gente sta chiedendo aiuto, e sembra che ‘i cinque pani e i due pesci’ non siano sufficienti”.

Per i più a rischio
Nasce da questa constatazione il nuovo gesto concreto del Papa, comunicato in una lettera inviata al suo cardinale vicario, Angelo De Donatis. Il Fondo “Gesù Divino Lavoratore”, con un primo milione di euro versato alla Caritas diocesana, vuole “richiamare – scrive – la dignità del lavoro” per quella “grande schiera dei lavoratori giornalieri e occasionali”, quelli “con contratti a termine non rinnovati”, “quelli pagati a ore” e con un pensiero – Francesco li elenca esplicitamente “agli stagisti, ai lavoratori domestici, ai piccoli imprenditori, ai lavoratori autonomi, specialmente quelli dei settori più colpiti e del loro indotto”. Fra loro, constata, “molti sono padri e madri di famiglia che faticosamente lottano per poter apparecchiare la tavola per i figli e garantire ad essi il minimo necessario”. “Mi piace pensare che possa diventare l’occasione di una vera e propria alleanza per Roma in cui ognuno, per la sua parte, si senta protagonista della rinascita della nostra comunità dopo la crisi”

Per il bene comune
Il Papa sa di parlare a un tessuto umano sensibile. Lo dimostra, riconosce, “il gran numero di persone che in questi giorni si è rimboccato le maniche per aiutare e sostenere i deboli”. Lo prova, sottolinea, “l’aumento delle donazioni” per chi assiste malati e poveri e in generale tutte quelle “manifestazioni che hanno visto i romani affacciarsi alle finestre e ai balconi per applaudire i medici e gli operatori sanitari, cantare e suonare, creando comunità e rompendo la solitudine che insidia il cuore di molti di noi”. Esempi non di una emozione passeggera, ma di gente che vuole agire “per il bene comune”.

Politiche di tutela
La creazione del Fondo per Francesco è il passo di una Chiesa che conosce e condivide l’ansia di chi oggi ha più incertezze che altro, che “accompagna con la sua carità i deboli, ed e pronta a collaborare con le istituzioni cittadine e con tutte le realtà sociali ed economiche. E qui il Papa si rivolge direttamente ai rappresentanti della società civile e del mondo del lavoro, “chiamati – scrive – a dare ascolto a questa richiesta e a trasformarla in politiche e azioni concrete per il bene della città”. Politiche che “tutelino – asserisce ancora – soprattutto coloro che rischiano di rimanere esclusi dalle tutele istituzionali e che hanno bisogno di un sostegno che li accompagni, finché potranno camminare di nuovo autonomamente”.

Il fiore della solidarietà
L’auspicio del Papa è che la reazione collettiva e solidale alle conseguenze della pandemia crei “una vera e propria alleanza per Roma in cui ognuno, per la sua parte, si senta protagonista della rinascita della nostra comunità dopo la crisi”. Francesco sprona i sacerdoti a “essere i primi a contribuire al fondo, e i sostenitori entusiasti della condivisione nelle loro comunità”. E l’ultima preghiera è “al cuore buono dei romani”: adesso, conclude, “non basta condividere solo il superfluo. Vorrei veder fiorire nella nostra città la solidarietà ‘della porta accanto’, le azioni che richiamano gli atteggiamenti dell’anno sabbatico, in cui si condonano i debiti, si fanno cadere le contese, si chiede il corrispettivo a seconda della capacita del debitore e non del mercato”.




Amazzonia
Il coronavirus aiuta gli speculatori

Amazzonia, il coronavirus fa il gioco sporco per gli speculatori

 L’epidemia, che giunge dall’esterno, come durante l’epoca coloniale, sta colpendo i popoli indigeni, nell’indifferenza del presidente Bolsonaro e della politica internazionale.

Con l’arrivo del coronavirus in Amazzonia la storia, purtroppo, si sta ripetendo. I popoli originari di questa terra stanno avendo a che fare un’altra volta con un’epidemia che giunge dall’esterno come durante l’epoca coloniale, ma anche come con i più recenti contagi che hanno decimato il Tapajuna nel 1969 e gli Yanomami nel 1990. Il Covid-19 penetra inizialmente lungo il bacino centrale del Rio delle Amazzoni, per poi espandersi dalle città ai villaggi indigeni fino alle sorgenti degli affluenti. Suor Laura Valtorta delle Missionarie dell’Immacolata, membro dell’Equipe Itinerante formata da religiosi di diverse congregazioni, ha raccontato a Mondo e Missione un episodio significativo della drammatica situazione.

«Domenica 3 maggio, abbiamo portato l’indigena Benilda Coquinche, del popolo Kichwa, all’ospedale regionale di Iquitos (Perú). Siamo stati testimoni, indignati e impotenti, della sua morte per Covid-19. Aveva 33 anni ed era la madre di cinque bambini; in ospedale non c’era ossigeno e dopo aver ansimato per circa sei ore e aspettato un medico, che è arrivato solo alla fine, è morta soffocata tra le braccia del marito, che inerme cercava disperatamente di calmarla. L’immagine di oggi della Pietà di Michelangelo; il marito seduto su una brandina parcheggiata nel corridoio dell’ospedale e tra le braccia la moglie morta soffocata. Come loro, molte persone giacciono così, nei corridoi, senza mezzi o minime cure, aspettando l’ultimo istante.»

I governi delle regioni amazzoniche sono poco presenti per quanto riguarda le politiche sanitarie e, in questo momento di crisi socio-economica, la loro assenza permette agli approfittatori di speculare senza controllo e fare affari con la pandemia. Come testimonia suor Laura, sono aumentati i prezzi degli alimenti di base, delle medicine, dei materiali per la protezione sanitaria e delle attrezzature mediche. Inoltre, il coronavirus sta facendo il gioco sporco per i sostenitori dell’estrazione delle risorse naturali dall’Amazzonia: gli indigeni stanno morendo senza che loro debbano macchiarsi le mani di sangue, così il modello di pseudo-sviluppo predatorio sarà meno ostacolato.




CAMBIAMO MIRA.INVESTIAMO NELLA PACE, NON NELLE ARMI
Appello

CAMBIAMO MIRA! INVESTIAMO NELLA PACE, NON NELLE ARMI.

Appello congiunto delle riviste Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia alle comunità cristiane, vescovi, parroci, consigli pastorali e a tutte le persone di buona volontà in occasione della Solennità della Pentecoste e della Festa della Repubblica

Bisceglie, Brescia, Verona 27 maggio 2020

Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite”. Con queste parole profetiche, nel suo messaggio di Pasqua, papa Francesco richiama l’urgenza di sostenere la vita e smettere di finanziare la morte.
Sfida che vogliamo raccogliere e rilanciare con voi. Perché dentro questa emergenza in cui si inietta liquidità nel sistema economico e nella Chiesa per sostenerne le attività, sentiamo ancora più forte l’esigenza di prestare attenzione al denaro e ai suoi movimenti. Il denaro certo serve, per fare il bene, ma farsi suoi servi genera solo disgrazie sorde al grido dei poveri e di Sorella Madre Terra. Vogliamo impegnarci con voi per vigilare sull’origine delle donazioni per opere spirituali, caritative, educative, sociali e comunitarie e sul loro ingresso nei circuiti dei sistemi bancari e di investimento.
Come sottolinea papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia: “Non possiamo escludere che membri della Chiesa siano stati parte della rete di corruzione, a volte fino al punto di accettare di mantenere il silenzio in cambio di aiuti economici per le opere ecclesiali. Proprio per questo sono arrivate proposte al Sinodo che invitano a prestare particolare attenzione all’origine delle donazioni o di altri tipi di benefici, così come agli investimenti fatti dalle istituzioni ecclesiastiche o dai cristiani” (n. 25).
È sempre più evidente l’assurdità del fatto che il denaro raccolto con le nostre tasse e sottratto alla sanità (tagli per 37 miliardi negli ultimi dieci anni), alla scuola, all’accoglienza, alle famiglie vada a finanziare sistemi militari costosissimi come i caccia F-35 e i sommergibili U-212.
Anche i vescovi italiani nel recente documento La chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance invitano “a individuare processi di conversione delle capacità produttive di armi in altre produzioni ad usi non militari” (4.2.3).
Vi invitiamo pertanto a prendere parte con noi al percorso di rilancio della Campagna di pressione alle “banche armate” che avverrà il 9 luglio in occasione dei 30 anni della promulgazione della Legge n. 185/1990 che ha introdotto in Italia “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”.
Percorso che prevede di:
Verificare le banche in cui abbiamo depositato i risparmi evitando quei gruppi bancari che finanziano, giustificano e sostengono l’industria, il commercio e la ricerca militare.
Verificare le fonti delle donazioni a parrocchie, comunità cristiane, comunità religiose e associazioni, anche rinunciando a provenienze dubbie.
Sensibilizzarci e sensibilizzare la cittadinanza sul tema della riconversione delle spese, delle aziende militari e delle operazioni bancarie per promuovere le aziende e i fondi destinati a sostenere la vita.
Richiedere al Governo italiano, insieme a Rete italiana per il disarmo, Rete della pace e Sbilanciamoci, di attivare una moratoria sulla spesa militare e sistemi d’arma per almeno un anno, riconvertendo tale spesa nella sanità, nella scuola, nella cultura, nella difesa dell’ambiente, nelle comunità locali.

“Servono ospedali e scuole, non cannoni”, ricordava Aldo Capitini alla prima Marcia italiana per la pace e la fratellanza tra i popoli, subito dopo la seconda guerra mondiale. Rimettiamoci insieme in cammino, oggi, sulle tracce di quelle parole e di quel sogno!

PER ADERIRE ALL’APPELLO: Inviare email a uno dei seguenti indirizzi con la dicitura: ADERISCO ALLA CAMPAGNA CAMBIAMO MIRA. Indicando Cognome, nome e città.

Filippo Ivardi Ganapini (direttore di Nigrizia) – Email: filippo.ivardi@nigrizia.it
Mario Menin (direttore di Missione Oggi) – Email: direttore@missioneoggi.it
Rosa Siciliano (direttrice di Mosaico di Pace) – Email: info@mosaicodipace.it




APPELLO DI SOLIDARIETA’ CON LE PICCOLE COOPERATIVE SOCIALI

 APPELLO DI SOLIDARIETA’ CON LE PICCOLE COOPERATIVE SOCIALI

L’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro e la Caritas diocesana desiderano rendere concreto il messaggio del 1° maggio “Tutelare la dignità del lavoro”. 

CONFERMIAMO
la volontà di iniziare a sostenere il mondo del lavoro partendo da  alcune piccole cooperative sociali del nostro territorio – dove lavorano persone svantaggiate – che sono in grandi difficoltà. E’ nostro desiderio dare rilievo alla necessità di mettere al centro, nei progetti per il lavoro del futuro, anche le persone con svantaggio lavorativo che rischiano di essere dimenticate e abbandonate e che non sono mai state nominate in nessun decreto fino ad oggi. Il nostro contributo va inteso come un “aiuto di speranza nel futuro” e di vicinanza concreta perché esperienze di solidarietà – che fanno parte del nostro territorio e aiutano tante famiglie in difficoltà – non si riducano o si perdano. 

SIAMO SOLIDALI
con tutte le Cooperative sociali ma in particolare, per ora, con quattro piccole cooperative, che operano da decenni nel nostro territorio e che si trovano in grave crisi per mancanza di lavoro e per il mancato riconoscimento, da parte degli enti locali, delle attività ancora in corso. Vogliamo evitare che venga compromessa la continuità dei posti di lavoro
– per la prolungata mancanza di lavoro a causa di servizi che rimarranno chiusi a lungo
– per l’impossibilità di riprendere alcune attività in sicurezza

SOSTENIAMO
le famiglie e l’appello del Consorzio solidarietà sociale e delle Centrali Cooperative perché i Comuni assicurino la continuità dei servizi in essere rivolti alle persone più fragili e sostengano le loro attività, svolte anche in nuove modalità, prevedendo anche co-progettazione o riprogettazione e, comunque, pagando le prestazioni come previsto dall’articolo 48 del decreto “Cura Italia”. 

DONIAMO
aiuto economico incrementando il Fondo di solidarietà della Diocesi che destinerà, per ora, una quota parte della raccolta alle 4 Cooperative sociali. Chi lo desidera può effettuare bonifico a CARITAS DIOCESANA PARMENSE EMERGENZE Iban: IT88G0623012700000037249796
CAUSALE DEL VERSAMENTO: sostegno lavoro persone svantaggiate




RELAZIONE QUINQUENNALE
Commissione CEI problemi sociali e del lavoro

Relazione finale della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace.
Quinquennio 2015 – 2020

  1. Questa Commissione ha cominciato il suo mandato approfondendo la sua natura, le sue funzioni, gli ambiti della sua competenza. A partire da quanto è detto nel regolamento si è riflettuto sul compito primario di questa commissione di essere un servizio a tutta l’Assemblea dei vescovi come supporto all’evangelizzazione in campo sociale. E questo sia come riflessione sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione, formula usata da papa Francesco come titolo del cap. IV della Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), sia come aiuto ad un discernimento dinanzi alle situazioni concrete che si verificano nella nostra società. Questo ausilio ai vescovi non è immediatamente di natura sociologica o politica, ma declina i fondamenti, teologici, culturali, morali dell’azione pastorale nell’ impatto con le circostanze storiche in cui si svolge la vita della società. La Commissione cerca poi di ausiliare i vescovi nel loro compito educativo particolarmente nella formazione di un laicato maturo che da il proprio contributo alla vita sociale. Questa funzione esige un raccordo con altre Commissioni e particolarmente con quella del laicato, dell’educazione, della cultura e comunicazioni sociali, del servizio per la carità e la salute. In questo senso c’è stata una specifica riunione comune insieme alla Commissione del laicato e della carità e salute. Sembra opportuno un raccordo più sistematico. Ci siamo interrogati sul tema di fondo che riguarda un giudizio sulla presenza della Chiesa nella società. Ciò ha portato ad una riflessione sulla natura stessa dell’evangelizzazione e della modalità in cui è vissuta nelle nostre Chiese locali. Si è più volte confermato nel corso di questi cinque anni che l’attenzione alla dimensione sociale dell’evangelizzazione è un aspetto carente della nostra esperienza ecclesiale; liturgia, catechesi, clero e vita consacrata, famiglia, occupano il centro delle attenzioni. Con tutti gli sforzi fatto su questo punto c’è un lungo cammino da fare. Nel corso del quinquennio la stessa problematica educativa ha visto un calo di attenzione, mentre la tematica del lavoro si è sviluppata grazie al lavoro preparatorio della Settimana Sociale dei cattolici italiani di Cagliari. Grazie all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, si è cominciato a porre a tema la questione ambientale.
  1. In questo contesto più volte è tornata l’esigenza di una formazione socio-politica delle nostre comunità ecclesiali già sorte nel passato. Esse si erano sviluppate abbastanza a partire dagli anni 70 e poi hanno avuto un calo progressivo. Attualmente, lavorando in questo come su tutti gli altri aspetti dei problemi sociali con l’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, si è fatto un censimento e risultano attive 42 Scuole di formazione all’impegno socio-politico di cui 39 diocesane. I temi trattati sono la Dottrina Sociale della Chiesa, il lavoro, l’economia, la politica, la democrazia e l’immigrazione. Altri temi ricorrenti: la Laudato si’, l’Europa, il bene comune, la città, i giovani, la povertà, la dignità della persona, la comunicazione, la Costituzione. Come metodologia: si va da lezioni frontali a laboratori. A volte si tratta di una serie di conferenze, altre volte di seminari. Per questo c’è una varietà di diciture: Scuola di formazione socio-politica, Scuola di DSC, Scuola di cittadinanza e partecipazione, Laboratori di etica civile, Corsi di formazione. In genere sono rivolti a tutti. La frequenza è varia: mensile, momenti di full immersion, ma anche periodici a seconda delle differenti iniziative diocesane. Ci sono anche esperienze significative promosse da personalità di rilievo come da associazioni e movimenti. È chiaro che tutti gli ISSR e le Facoltà teologiche hanno corsi di DSC. L’Università Cattolica prevede tra le proposte un Corso post laurea sulla DSC. In sintesi c’è una buona mole di lavoro, anche se la tematica sociale e ambientale non è inserita nel percorso educativo della preparazione ai sacramenti e della catechesi. La Commissione osserva che in questo campo c’è un grande lavoro da fare.
  1. L’Ufficio Nazionale per i problemi sociali in un Seminario ha preparato un documento su: “Identità e missione del presbitero in servizio pastorale nelle aggregazioni di laici impegnati nel sociale” che ha coinvolto i direttori degli Uffici e le Commissioni diocesane e regionali per i problemi sociali in una proficua riflessione. I referenti regionali e diocesani si sono, varie volte all’anno, impegnati in Corsi e Seminari formativi sui problemi sociali e ultimamente su quelli ambientali partecipando con grande impegno ed entusiasmo. Il lavoro fatto è poi riportato nelle regioni e nelle varie diocesi. E qui la sfida si fa dura perché la pastorale sociale normalmente non ha il peso dovuto nelle diocesi e parrocchie. Il documento sull’azione dei presbiteri in campo sociale è stato consegnato alla Presidenza della CEI. Cogliamo l’occasione per ringraziare l’assidua collaborazione di questa Commissione con i Direttori dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro prima mons. Fabiano Longoni e ora don Bruno Bignami.
  1. Più volte la Commissione è tornata ad approfondire riflessioni e giudizi sulla situazione socio-politica italiana e sul come questo coinvolgeva e provocava la nostra azione pastorale. Si è messo in rilievo il fatto che l’esperienza ecclesiale vissuta dal popolo di Dio e dai Pastori è il presupposto e l’anima dell’azione sociale, economica e politica della Chiesa. Abbiamo riaffermato che la passione sociale è un aspetto della passione missionaria che si esprime oltre che nell’annuncio esplicito del Vangelo, nella pratica della carità ed anche nell’azione per render più umane le strutture sociali economiche e politiche della nostra società. Dalla fede nasce una nuova umanità che si sviluppa anche nell’azione socio-politica, anche se non in maniera meccanica, grazie alla presenza dei fedeli laici che vivono nei vari ambienti dalla società. Da questo presupposto la Commissione, in vari incontri, ha affrontato il tema della “Presenza dei Cattolici in Politica” anche grazie ai vari interventi in questo senso del Santo Padre che invitava i cattolici a non stare al balcone, ma a scendere in piazza. Non sono mancati gli excursus storici che mettevano in evidenza il passaggio dalla diaspora alla insignificanza dei cattolici in politica. Tale discussione si è approfondita anche in seguito ad una serie di incontri avvenuti in occasione della celebrazione del centenario dell’“Appello ai liberi e forti” di don Sturzo (1919). Si è convenuto che non è più tempo di un Partito dei cattolici, ma, al tempo stesso si è vista la necessità di un soggetto politico che riunisca un’area di ispirazione cattolica, attualmente frammentata, che dialoga con tutti, riprendendo il metodo che ha dato origine alla Costituzione italiana. Nell’attuale frammentazione dei cattolici presenti in parlamento si nota una debolezza di presenza profetica sia sui temi etici che su quelli sociali e ambientali. Si avverte l’urgenza di un soggetto e quindi di un progetto che partendo dalla Dottrina Sociale della Chiesa sappia dare attuazione al mandato costituzionale del primato della persona sullo stato, della libertà come salvaguardia della socialità, del lavoro legato ad un progetto di sviluppo che non abbia come fine la massimizzazione dei profitti, ma il bene delle persone e il bene comune. Che garantisca un’attenzione specifica ai più poveri, compresi i giovani che sono costretti emigrare. E che promuova uno sviluppo sia compatibile con la sostenibilità ambientale. Punto ineliminabile di tale progetto è il richiamo alla costruzione della pace sia a livello nazionale che internazionale. Abbiamo osservato che è diffusa in campo ecclesiale un’esigenza di approfondimento della Dottrina Sociale della Chiesa per non sottostare alla logica del dominio di un paradigma tecnocratico che si impone non solo a livello economico, ma anche culturale e che invade tutti i campi della vita. Tale paradigma si è trovato profondamente in crisi con la diffusione di questa pandemia e della diffusione di un virus che pone in scacco la pretesa di un dominio della realtà e lascia le persone a mercé della paura, del disagio sociale e della speranza nel futuro. Di fronte alla varietà dei problemi posti dalla condizione culturale e sociale in cui viviamo da più parti si è avanzata la proposta di costituire un gruppo di riferimento che condivida un orizzonte culturale, un preciso impegno etico ed educativo con una attenzione pratica e un respiro sociale dinanzi alle attese della gente cui non è stata ancora data risposta. In vista di tale obiettivo la Commissione ha più volte in questi anni invocato la costituzione nella CEI di un “laboratorio di riflessione e di giudizio sulla situazione sociale e politica della Chiesa”. Si tratterebbe di un osservatorio promosso e costituito dalla Commissione CEI per i problemi sociali, dal Comitato per le Settimane Sociali e aperto ad altri contributi di riflessione e di azione sulle questioni sociali e politiche. L’impatto delle elezioni politiche del 4 marzo 2018 con un profondo cambiamento della rappresentanza politica ha reso più urgente la costituzione di tale gruppo di riferimento. La Commissione ha affrontato la questione in varie circostanze anche chiamando esperti e analizzando le varie proposte di aggregazione del mondo cattolico in politica già esistenti sul territorio. Ne citiamo solo alcune come Politica insieme, Demos, LabOra, Connessioni, Esserci, ecc. Ci troviamo ancora dinanzi ad una grande incertezza con vari cantieri aperti.
  1. La Commissione si è anche varie volte unita al Comitato scientifico e organizzatore delle settimane sociali per preparare la Settimana Sociale di Cagliari che si è realizzata dal 26 al 29 ottobre del 2017 con il tema: Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale” e sta accompagnando il lavoro preparatorio per la prossima Settimana Sociale che si terrà a Taranto nel prossimo anno col tema: Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso. Essendo le tematiche delle Settimane direttamente legate al lavoro della Commissione se ne è, condiviso il programma, la preparazione con riunioni specifiche offrendo puntuali contributi. Poi dopo la realizzazione della Settimana di Cagliari se ne è valutato l’esito e le proposte. Sulla Settimana Sociale di Taranto lo scoppio della pandemia sta chiedendo uno spostamento della data dell’evento che, con buona probabilità, dal febbraio andrà a compiersi nell’autunno sempre del 2021. Sui Lineamenta di questa prossima Settimana Sociale si è fatta una riunione proficua vista l’urgenza della questione ambientale che è uno dei problemi più scottanti dell’attualità. La guida di tutti i lavori è costituita dalla Laudato si’ che con la proposta della “ecologia integrale” riprende il ricco patrimonio della “teologia della creazione” ponendo in evidenza la correlazione che esiste tra antropologia e cura della casa comune, ecologia ed economia, grido della terra e grido dei poveri. La tesi di fondo si muove da uno sguardo contemplativo tipico di San Francesco d’Assisi che permette di sviluppare una visione della vita che aiuti a preservare la sopravvivenza del Pianeta. Questo comporta una conversione culturale che promuova nuovi di stili di vita e svolga un’azione profetica in vista di un modello di sviluppo che non ponga al centro l’accumulazione del profitto, ma la dignità dei vari gruppi sociali e la cura della casa comune. Nella Settimana sociale di Taranto si mostreranno varie buone pratiche di aziende, private e pubbliche che mostrano come una sostenibilità ambientale non solo si può coniugare, ma anche giova anche alla sostenibilità economica. Tutto questo comporta una inversione di rotta in cui la visione cristiana della vita gioca un ruolo essenziale.
  1. Compito della Commissione è stato anche quello di preparare i messaggi annuali dei vescovi per la Festa del 1° maggio, per la Giornata del Creato e per la Giornata del Ringraziamento. Questo è stato fatto con competenza, assiduità e cura mettendo sempre in evidenza la nostra preoccupazione pastorale di Vescovi senza limitarci al puro momento socio-analitico e all’impegno socio-ambientale. Altro compito della Commissione è quello di preparare insieme all’Ufficio Nazionale per i problemi sociali la Marcia per la Pace che si svolge ogni anno il 31 dicembre. Questa è una iniziativa della Conferenza Episcopale Italiana in collaborazione con la Diocesi ospitante, Pax Christi, la Caritas e l’Azione Cattolica. In realtà chi ha partecipato insieme alle Diocesi ospitanti è stata la CEI (il presidente di questa Commissione ha partecipato a tutte le cinque edizioni) e Pax Christi, mentre la partecipazione della AC e della Caritas è andata scemando negli ultimi anni. Se tali assenze si dovessero confermare si impone la domanda se non sia opportuno rivedere l’iniziativa verificando intenzioni e disponibilità. Altra questione è stata suscitata dal desiderio di sintonizzare il messaggio della Marcia con il messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale della pace del 1° gennaio. Il contenuto di tale messaggio però non sempre è reso noto in tempo. Sarebbe necessario che il tema fosse dato per lo meno entro il mese di ottobre, altrimenti non si possono preparare i sussidi alla Marcia. Una soluzione sarebbe quella che, quando il messaggio papale tardasse a venire, si scelga necessariamente un altro tema. La Commissione sente l’esigenza che il gesto abbia più enfasi e che la celebrazione di questo momento, non si polverizzasse in tante iniziative diocesane concomitanti, ma ci si orientasse in un gesto nazionale di grande rilievo. Vista l’importanza fondamentale del tema della pace sarebbe opportuna una adeguata risonanza della Marcia presso l’opinione pubblica, sintonizzandosi, per quanto è possibile, con il messaggio del Santo Padre.
  1. La Commissione accompagna lo sviluppo del Progetto Policoro che ha celebrato i suoi 25 anni di vita e che è diffuso particolarmente nelle regioni del Sud. Promosso dall’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e lavoro della CEI, dal Servizio Nazionale per la pastorale giovanile e dalla Caritas Italiana, il Progetto Policoro continua a svolgere la sua missione “per affrontare il problema della disoccupazione giovanile, attivando iniziative di formazione a una nuova cultura del lavoro, promuovendo e sostenendo l’imprenditorialità giovanile in un’ottica di sussidiarietà, solidarietà e legalità, secondo i principi della Dottrina Sociale della Chiesa”. La nostra Commissione ne segue le attività formative rivolte particolarmente agli “Animatori di Comunità” che svolgono il loro servizio presso le proprie diocesi. In generale nelle regioni del Sud svolge un buon lavoro ben organizzato e riceve il sostegno dei vescovi e delle comunità cristiane che conoscono il Progetto. In alcune diocesi del Nord ci sono delle resistenze in ambito ecclesiastico anche perché le finalità del Progetto Policoro sono portate avanti da altri soggetti ecclesiali che pongono in atto iniziative similari. L’orientamento della Commissione è quello di valorizzare le varie forme che cercano di rispondere al disagio giovanile con un’attenzione particolare a quelle generate direttamente dalla CEI come il Progetto Policoro.
  2.  In conclusione la Commissione ha svolto in questo periodo una funzione di sostegno all’opera evangelizzatrice della Chiesa in campo sociale e politico. Il lavoro della Commissione è rifluito direttamente nel Consiglio Permanente della CEI dove sono state riportati i giudizi e le sollecitazioni operative di quanto si è discusso negli incontri di Commissione. In particolare la tematica del lavoro, partendo dall’attenzione ai volti concreti e dai disagi dei lavoratori e ancor più di tanti giovani che sono costretti ad emigrare per mancanza di lavoro, è costantemente risonata nel Consiglio Permanente. Come anche il valore dell’impresa e della necessità di un nuovo modello di sviluppo, insieme ad una adeguata riflessione sulla sostenibilità socio-ambientale. Non si è trattato solo di riferimenti teorici, ma anche di presentazione di buone pratiche proposte aquinquennalella riflessione e al giudizio dei vescovi che poi in modo sistematico, sono state presentate alla Settimana Sociale di Cagliari. Ricordo che c’è sempre stata un’attenta recezione delle nostre tematiche e della prospettiva globale del nostro lavoro. Ci muove infatti la passione che nasce dalla fede e che tende ad investire la nostra società, ascoltando i suoi drammi e aprendo cammini di speranza evangelica. Il magistero sociale di Papa Francesco ci ha accompagnato in tutto il cammino e ci è stato un riferimento costante aprendo nuovi orizzonti all’ azione pastorale. Ci ha illuminato l’origine evangelica della passione per i poveri e l’acuta sensibilità socio-ambientale del Pontefice. E oggi, giorno del centenario della Nascita di San Giovanni Paolo II, non possiamo non ricordarlo anche come autore di Encicliche sociali di grande rilievo.

Infine le nostre riunioni sono state ben partecipate e si sono svolte in un clima di ascolto delle diverse posizioni anche quando rappresentavano prospettive divergenti. C’è stato un arricchimento reciproco in un clima positivo di servizio ai Vescovi e alla Chiesa italiana.

Grazie a tutti voi per il contributo e l’assidua partecipazione.

Taranto, 18 maggio 2020

+ Filippo Santoro Arcivescovo di Taranto, Presidente della Commissione




Diocesi di Friburgo
UNA DONNA VICARIO EPISCOPALE

Per la prima volta una diocesi ha un vicario episcopale donna.
A Friburgo, clero amministrato da Marianne.

Mons. Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, ha nominato Marianne Pohl-Henzen delegata episcopale per la parte germanofona del Canton Friburgo dal 1° agosto 2020. Pohl-Henzen succederà in questo modo a Padre Pascal Marquard, vicario episcopale dal 2017.

Città del Vaticano – Per la prima volta una diocesi cattolica ha nominato una donna vicario episcopale, generalmente un ruolo è sempre spettato ad un uomo e per giunta consacrato. La novità riguarda la città di Friburgo, in Svizzera, e naturalmente ha fatto subito il giro del mondo. Marianne Pohl-Henzen, ha 60 anni, è sposata con tre figli grandi e diversi nipoti. Ha accettato l’incarico come un segno positivo che porterà alla promozione delle donne nella Chiesa.

Negli ultimi anni Marianne si era fatta le ossa lavorando come braccio destro del vicario episcopale precedente. Naturalmente questo non significa che verrà consacrata sacerdote, tuttavia la responsabilità dello staff e le questioni che riguardano il clero diocesano saranno nelle sue mani. Un fatto davvero senza precedenti.

Marianne ha solidi studi teologici alle spalle e non ha nascosto la speranza, che questo passaggio possa essere foriero di novità positive anche a Roma, dove si sta discutendo se aprire uno spiraglio al diaconato femminile. Una questione annosa che divide  la Chiesa e che continua ad essere al centro di resistenze interne.




50° anniversario dello
STATUTO DEI LAVORATORI

50° Anniversario STATUTO DEI LAVORATORI (20 maggio 1970)

Federico Ghillani, componente Consulta per la Pastorale sociale e del lavoro, Diocesi di Parma.

In occasione di questa ricorrenza, importante per tutto il mondo del lavoro, è bene anzitutto sottolineare la perdurante attualità dello Statuto nel momento in cui proprio grazie ai principi che da esso sono stati per la prima volta declinati nel ’70 circa il riconoscimento del valore delle relazioni sindacali tramite la pratica del confronto e della contrattazione tra le parti sociali e in esso del protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, oggi stiamo riuscendo in piena emergenza Covid a definire modalità di ripresa delle attività concordate all’interno dei posti di lavoro, che siano rispettose della dignità e della salute di tutti.

Non è neppure un fatto scontato osservare che i principi e i valori che ispirano il testo che si deve soprattutto alla capacità di mediazione di Gino Giugni ed altri, e che anche oggi risultano in modo sorprendente di facilissima lettura e comprensione da parte di chiunque, siano tutt’ora validi. Ciò che è cambiato intorno ad essi sono ovviamente le norme attuative che necessariamente, al di là di ogni rigidità e resistenza spesso solo ideologica, necessitano sempre di adattamento al cambiamento del lavoro, o come si preferisce dire oggi dei lavori, cambiamento che tutti stiamo vivendo anche sulla spinta dell’emergenza attuale.

Oggi non si festeggiano infatti i 41 articoli della Legge, ma il fatto che al centro dello Statuto, del quale è bene richiamare sempre il titolo – “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” – stanno appunto i lavoratori, al plurale, intesi cioè come persone. Ad esse la nostra Costituzione riconosceva già la loro libertà e dignità, ma allora quelle libertà e dignità delle lavoratrici e dei lavoratori rischiavano di doversi fermare ai cancelli delle nostre fabbriche; le ingerenze sulle opinioni, l’uso di sistemi di controllo illegali, gli abusi disciplinari e la sistematica mortificazione delle professionalità vi erano infatti molto diffuse, e proprio per questo contro di esse venne prevista una precisa e articolata tutela giuridica.

Il lavoro di redazione del testo fu certo laborioso ma approdò al risultato soprattutto per mano di esponenti lungimiranti sia del sindacato che del mondo della politica, che seppero trasformarne l’impostazione iniziale da mera enunciazione di diritti individuali verso una legislazione di sostegno alla contrattazione propria della migliore azione sindacale, superando la logica di conflittualità sociale che aveva caratterizzato l’epoca burrascosa in cui lo statuto era nato, e riuscendo a fare sintesi tra le diverse posizioni, verso l’affermazione riconosciuta della piena autonomia e specificità dell’agire sindacale.

Anche la delineazione che lo Statuto attuò delle modalità di presenza del sindacato nei luoghi di lavoro derivava dalla necessità di assicurare le necessarie garanzie a vantaggio del protagonismo effettivo dei lavoratori dentro le fabbriche sviluppando, a partire dalle basi costituzionali, i diritti fondamentali delle persone che lavorano. Furono così resi effettivamente esigibili, anche estendendo l’attenzione ai bisogni reali delle nuove generazioni di allora non interessate solo al salario, ma anche agli altri aspetti oggi divenuti altrettanto fondamentali del lavoro come la formazione, l’inquadramento, le mansioni, la salute, gli orari o più ampiamente le condizioni di lavoro. Anche la lunga stagione aperta dalle famose “150 ore” che da allora interessò trasversalmente tante generazioni, si spiega con la necessità – che allora fu da pochi intuita – di dover rendere le persone sempre più consapevoli e artefici dei loro destini, capaci cioè di leggere i cambiamenti per guidarli e non subirli, e per rinnovare quelle competenze che hanno fatto della nostra manifattura una tra le più importanti nel quadro mondiale.

Ma la forza di questo testo non si è esaurita: esso continua ancora oggi a postulare un progressivo lavoro di superamento, che non è mai terminato, della distanza che ancora purtroppo continua a separare chi è costretto a vivere il lavoro come costrizione, pena, sfruttamento ed umiliazione e chi invece ha la fortuna di arrivare a viverlo come creatività, gratificazione e crescita personale; distanza che la Costituzione ci impegna tutti ad accorciare rimuovendone con decisione le cause.




ERANO COME PECORE SENZA PASTORE…
Don Paolo Farinella

ERANO COME PECORE SENZA PASTORE…
di Paolo Farinella, prete
http://www.paolofarinella.eu/

(Nota di don Augusto: Don Paolo è abituato ad accarezzare con mani ruvide. Una carezza che sul momento sembra una sberla; ma la sua franchezza “di parte” stimola pensieri profondi e universali. Don Paolo ha uno straordinario orecchio ascoltante della Parola di Dio e occhio che denuda i fatti e parola che irrita questi e consola quelli. Chi ce la fa ad arrivare in fondo alle sue riflessioni può ricevere in dono il discernimento).

Una mia amica di Certosa di Pavia, Linda, mamma di 3 bambini, da qualche anno ha lasciato il lavoro di professionista per dedicarsi a tempo pieno all’educazione dei figli. La scelta, maturata col marito Riccardo, fu motivata dal bisogno di seguire «direttamente» in figli in tutto, «ubbidendo alla loro crescita» e non affidandosi alla mercé della buona sorte. La scuola pubblica è il colabrodo che è, nonostante le benemerenze di molti insegnanti, la categoria forse più sacrificata sull’altare della miopia politica. Della sanità pubblica stiamo vedendo le condizioni vergognose, frutto scientifico degli ultimi 25 anni di tagli e privatizzazioni, di cui proprio la Lombardia è modello negativo e tragedia nazionale. I capifila di questo sfacelo sono stati in primo luogo i governi Berlusconi (FI) con la complicità della Lega di Bossi prima, di Maroni dopo e di Salvini oggi: «con la cultura non si mangia», la scuola non serve se non è subordinata alla produzione; se c’è da raccattare miliardi da sperperare, tagliamo la scuola a favore delle migliaia di fabbrichette in pianura padana; la sanità bella è quella privata (vedi Lega e Formigoni).
Oggi tutti piangiamo un grave regresso dovuto ad affaristi, incompetenti, maneggioni e corrotti. Berlusconi e Formigoni e la Lega, emblemi dell’iniziativa privata contro l’ingerenza dello Stato, la libertà del libero mercato, sono stati condannati in via definitiva per evasione fiscale il primo (cioè per aver rubato agli Italiani che lo votavano e votano: contenti loro?); per corruzione il secondo, espressione mistica di quel coacervo di Comunione e Liberazione che si è servito della religione per fare affari a tutto spiano; della Lega, il nome è garanzia. In mezzo ci sono stati sprazzi di cosiddetta «sinistra» che ha fatto il resto, imitando i campioni dello sfacelo del «pubblico».  Costoro e i loro epigoni rimasugli, oggi, in tempo di Coronavirus, invocano lo Stato, addirittura Salvini vuole un condono su tutto e mai Covid-19 è stato così provvidenziale se riesce in quello che non è riuscito a fare da incompetente ministro degli interni.
Condono, parola che delinquenti e corruttori amano alla follia. Oggi, tutti coloro che vedevano lo Stato come fumo negli occhi, che inveivano contro i lacci e i laccioli delle regole, che non volevano controlli di alcun genere perché solo il privato aveva diritto di cittadinanza (v. sanità lombarda), tutti pretendono aiuti a pioggia dallo Stato, ma sempre senza controlli, tutto in deroga (come a Genova, che non è un modello, ma un inganno perché tutto è fatto «extra legem»). Questo «statalismo» da riporto di stampo sovietico, come mai ora è invocato da tutti i liberisti senza libertà? Penso che dipenda dal criterio che costoro vivono come prima anima: «i costi sempre allo Stato, gli utili sempre ai privati». Non fa una grinza.  In molti ospedali, nella prima fase del Covid-19, medici e infermieri, disarmati, senza maschere, senza caschi, senza occhiali e senza respiratori, nella corsa forsennata a tentare di salvare vite, hanno aiutato tutti indiscriminatamente, come è giusto per diritto. Trovandosi però con un solo respiratore e due malati gravi, hanno dovuto scegliere tra i due intubandi «chi salvare e chi no», poiché non potevano salvarli tutti e due. Chi intubare e tentare di salvare? Con quali criteri decidevano? In base a quale scelta etica? Morte al vecchio e largo al giovane palestrato? Se uno è imbecille o può essere un danno pubblico, non importa che sia giovane o vecchio, ma se sia imbecille potenzialmente dannoso.  Nessuno si è chiesto se non fosse stato etico tra due intubandi, salvare chi ha pagato sempre le tasse e non chi ha evaso per prassi. Una causa rilevante del disastro sanitario e della scuola, oltre la corruzione endemica, è questa: chi evade contribuisce ad affossare i servizi pubblici come sanità e scuola. Non può farvi ricorso durante la pandemia, come se niente fosse e pretendere il respiratore a fronte di chi ha sempre contribuito al bene pubblico. Se eticamente è giusto salvare anche gli evasori, dalla parte dei Diritti e della Giustizia, NO! Questo è il momento di controlli severi, incrociati – altro che App Immuni – per costringere tutti gli evasori a pagare fino all’ultimo centesimo nel reperire i fondi per creare una sanità degna dei Vecchi che devono essere «sacri» per qualsiasi società di qualunque tempo e per creare l’ambiente di una scuola a misura non del «sedere del bambino», ma dei suoi sogni, della sua fantasia, dei suoi bisogni di espandersi, creare, inventare, giocare, costruire, divertirsi. Infine si tolga agli evasori la cittadinanza perché essi rifiutano di essere parte della comunità. Vecchi e Bambini/e sono i modelli che devono misurare l’altezza, la profondità, la lunghezza e la cubatura della società civile. Se non ha rispetto per i Bambini e amore per Vecchi, la società non merita di vivere e il Coronavirus, ne sono sicuro, è un sintomo, un’avvisaglia, un monito.
Non è un caso che i Paesi più colpiti siano la Cina, l’Europa, gli Usa, Corea e in Italia la Pianura Padana, Piemonte e Liguria? Non sono forse i Paesi a più violento capitalismo sfrenato, con il più sregolato sfruttamento della terra, degli animali, degli esseri viventi, i responsabili della schiavitù del lavoro, dello sfruttamento in nome della crescita del maledetto Pil? Non sono forse i Paesi e le Regioni che più di tutte inquinano o consumano territorio, anche quello che non gli appartiene più? Non sono quelli che hanno sacrificato il servizio sanitario pubblico agli appetiti privati, prodighi di tangenti e corruzione? Non sono quelli che hanno distrutto le scuole pubbliche a vantaggio di quelle private o parificate? Chi si ricorda ancora dei «valori non negoziabili» dei cardinali Ruini, Bagnasco e di Papa Ratzinger? Non erano riducibili tutti questi valori «santi» al finanziamento della scuola privata per l’80% in mano a istituti religiosi?
All’inizio della pandemia mi ero illuso che la stragrande parte della società mondiale potesse rinsavire e riflettere su quello che stava accadendo e, riflettendo sulle cause di un sistema corrotto, iniquo e malato, potesse fermarsi e fare una scelta a misura della persona, di tutte le persone di tutti i continenti di tutto il mondo. Oggi, ho perso questa illusione perché vedo che la vocazione di tutti è la morte e la corsa ad essa non si ferma, anzi, al contrario, si intende correre di più per recuperare il tempo perduto. Si andrà peggio e le persone correranno dietro i pifferai, come prima, peggio di prima, più di prima. Solo un piccolo resto d’Israele sarà consapevole della posta in gioco e agirà di conseguenza. Nessuno lo sa, ma sono costoro che reggono le sorti del mondo intero, perché la più grande rivoluzione è sempre un’azione personale, consapevole, spirituale, non condivisa dalla maggioranza o peggio dalla massa. La tradizione ebraica parla dei 36 Giusti che reggono ogni generazione.
Ritorniamo al principio, alla mia amica Linda preoccupata – con lei lo siamo molti – perché ci chiediamo se la tragedia Covid-19, non diventi la scusa per manovre di manipolazione a tutto spiano. Scienziati e politici (governo, l’opposizione non è degna nemmeno di questa altissima funzione della democrazia di Diritto) d’Italia e del mondo si stanno approfittando del momento per altri fini? Non era questo il momento propizio, provvidenziale di prendere decisioni, in altri tempi impossibili, per smantellare un sistema perverso, eliminando strutture e sovrastrutture, vere zavorre per una sana e corretta gestione locale del territorio, ponendo le condizioni preliminari per renderle irreversibilmente fondate sulla legalità e il Diritto? Scuola on-line: un terzo dei bambini non aveva il tablet o il pc per cui sono stati ancora di più emarginati, inchiodati con le famiglia alla loro povertà e alla vergogna di non essere come gli altri: lo sappiamo cosa vuol dire questo tra bambini e adolescenti? Si parla sempre più di mappatura universale tramite «App-Immuni», nonostante già adesso siamo tutti monitorati attraverso i-phones e geolocalizzazione. Che sia l’occasione per manipolare bisogni, desideri, criteri assicurativi, malattie, condizioni di salute e quindi cure? Ogni volta che cerco un libro o altro in internet, dopo pochi secondi, il mio monitor è pieno di suggerimenti «ostinati» che vanno dai libri affini e non affini, a biancheria intima da donna e qui mi fermo: cosa c’entra Teresa D’Avila con i costumi da bagno?  Dice Linda: «Siamo in una fase molto delicata perché stanno sperimentando su noi la possibilità di sostituire sempre più le relazioni umane con la tecnologia delle distanze con l’obiettivo che non sia la tecnologia al servizio dell’Uomo ma il contrario». Non liquiderei questa ansia con un’alzata di spalla. I bambini che si collegano alle video lezioni, lo fanno prevalentemente per vedere i loro compagni e spesso – lo so per esperienza diretta – si commuovono. «Ancora una volta i bambini sono più avanti di noi. Fanno finta di accettare e di gradire per accontentarci». Battezzando i bambini di Linda e Riccardo, ricordo di aver detto che i bambini hanno la verità, noi no, e se siamo capaci di «ubbidire» la loro crescita, forse riusciremo anche noi a diventare adulti. Linda e Riccardo hanno fatto una scelta drastica: non mandano i bambini a scuola, ma organizzati con altre famiglie, attraverso un sistema misto anche col metodo montessoriano, fanno scuola ai loro figli, senza costringerli in quei pollai da ingrasso in cui la riforma Moratti prima e la Gelmini poi ha dirotto la scuola, di cui oggi assaporiamo lo sfacelo finale. Avendo docenti «primari» troppo anziani, oggi abbiamo bambini precocemente vecchi e non stimolati alla vita. Le esperienze invece di interazione alla pari tra vecchi e bambini hanno dato risultati eccellenti. Tutti i nonni ne sono testimoni, avendo un rapporto privilegiato e complice con i loro nipoti. Se Gorgia diceva che «misura di tutte le cose è l’uomo», oggi dovremmo parafrasare «cioè i bambini e i vecchi».  Tutto questo non dovrebbe solo valere per i figli di Linda e Riccardo, ma per tutti i bambini del mondo, tutti, nessuno escluso, perché mentre scrivo o mentre leggi, 700 bambini muoiono nel mondo per mancanza di acqua potabile. Ogni santo giorno. O l’economia si distribuisce in modo equo o facciamo discorsi al vento perché il prossimo virus, sempre più veloce di qualsiasi vaccino, ci falcidierà senza pietà. Abbiamo visto i camion militari pieni di morti senza nome, deformati, di cui non si sa nulla, effetto di una in-civiltà che non ha saputo custodire, non dico la vita, la morte stessa, eliminando con un colpo solo milioni di anni di «pìetas», sì perché il rispetto della morte è stata la prima forma di religione sorta sulla terra e l’archeologia oggi ne dà ampia testimonianza. Dove stiamo andando? Siamo sicuri che l’industria 4.0 sia la soluzione per l’avvenire o non piuttosto l’inizio della barbarie che elimina etica, diritti, doveri perché lascia spazio solo alla schiavitù imposta scientificamente?  In questo tempo e in queste condizioni, la gerarchia ecclesiastica si è preoccupata delle «messe sì, messe no», senza dire una parola sulle condizioni abissali su cui siamo seduti, causa di una economia di morte, di una società necrofora, di un sistema scolastico che crea «schiavi volontari», di un servizio sanitario eliminatorio dei superflui (vecchi, improduttivi, poveri, ecc.). Ben altra è la profezia! In che senso e misura, oggi, in queste condizioni, «libertà e cura» sono ancora diritti? Se non lo sono per tutti, sono «diritti»? Può reggere la Democrazia, se pur apparente, in queste condizioni? Chi la deve difendere, se l’informazione è piegata, prona, succube, venduta a chi la paga meglio? Internet, così come è, è il grande inganno del III Millennio perché fa finta di mettere tutto a disposizione, mentre si prende tutto e ne dispone a piacimento di chi detiene i «big data», facendoli arricchire con l’adesione del derubato. Lo aveva previsto la sapienza napoletana: «Cornuti e mazziati». Il ruolo di Cassandra non è mai stato comodo, ma è necesario. Pur derisa e vilipesa, ebbe ragione lei, ma ormai era troppo tardi: il cavallo varcò la porta di Troia e fu… un troiaio di morte. Ieri come oggi? Che Dio non voglia, perché siamo accecati. «Con-vertiamoci – meta-nooûmen» (verbo denominativo da «noûspensiero»), cioè cambiamo pensiero, mente, criteri di valutazione. In altre parole, riflettiamo il cammino fatto fin qui, verificandone consistenza e conseguenze. Poi decidiamo cosa vogliamo fare oggi e domani, purché ne siamo consapevoli. Una cosa sola non ci è consentita: essere ignari per indolenza o far finta di non sapere [Shoàh docet!!!].




LETTERA APERTA AI VESCOVI ITALIANI
Commissione Giustizia e pace dei Missionari Comboniani

La Commissione Giustizia & Pace dei Missionari Comboniani si rivolge ai vescovi chiedendo la stessa tempestività e vigore espresse per ribadire la libertà di culto, anche nella difesa dei più sofferenti del pianeta e contro il mercato delle armi.
30 Aprile 2020. Rivista NIGRIZIA, Missionari Comboniani
https://www.nigrizia.it/notizia/lettera-aperta-ai-vescovi-italiani-per-iniziare-una-nuova-storia

Cari padri Vescovi, pace e vita.
In questo tempo dolorosissimo per l’umanità intera afflitta dalla pandemia, come missionari, portiamo nel cuore il grido dei tantissimi impoveriti che sale a Dio da ogni angolo del mondo. Dall’Amazzonia alle baraccopoli africane, dai fratelli e sorelle migranti nei lager libici e nei campi profughi delle isole greche che cercano di scappare in mare rifiutati dall’Italia e dall’Europa, a quelli che tentano la rotta balcanica.
In questi giorni sono in corso vere e proprie lotte per il cibo a Nairobi, Ougadougou, Johannesburg. Ma anche qui in Italia, molte più persone sentono i crampi della fame e bussano alle nostre Caritas. Come non riconoscere in questi crocifissi il volto di Gesù di Nazaret? (Mt 25,31-46)

Abbiamo notato la tempestività del comunicato con cui avete rivendicato la libertà di culto nei confronti del governo e vi chiediamo la stessa determinazione e prontezza di intervento laddove la carne di Cristo è trafitta nei più poveri e abbandonati.
Ribadiamo convintamente che l’Eucarestia rappresenta la fonte e il culmine della vita cristiana e sentiamo l’urgenza di ritrovarci insieme come comunità attorno all’altare della parola e del pane spezzato. Proprio per questo siamo convinti che la celebrazione eucaristica continua nell’accoglienza dei migranti, nella pratica della giustizia sociale, nella promozione della pace e dei diritti umani, nell’impegno con gli ultimi.
Ci uniamo alle parole profetiche di Papa Francesco il quale ci ricorda che il virus peggiore da combattere è quello dell’indifferenza e durante l’omelia della seconda domenica di Pasqua afferma: «Mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua il vero pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente… quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità!».
Questa pandemia ci insegna che è tempo propizio per iniziare una nuova storia e avere lo stesso coraggio e la stessa parresia degli apostoli che hanno abbandonato il cenacolo, dove erano rinchiusi per paura, per uscire ad annunciare il Vangelo della vita.

Cari Vescovi, non rimanete in silenzio e gridate insieme a tanti uomini e donne:

  • lo scandalo della strage di Pasquetta quando morivano nel Mediterraneo 12 migranti dimenticati dall’Italia e dall’Europa;
  • lo scandalo dell’aumento della produzione di armi nel mondo (i dati di questa settimana del SIPRI, l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma, parlano di spese di 1.900 miliardi di dollari, il valore assoluto più alto dalla fine della Guerra Fredda) che continuano ad alimentare guerre in Libia, Yemen, Camerun, Siria e affamano intere popolazioni togliendo risorse da investire nel settore sanitario per lottare contro il coronavirus;
  • lo scandalo della crisi alimentare mondiale(gli ultimi dati del rapporto FAO della scorsa settimana parlano di 135 milioni di persone nel mondo alla fine del 2019 in situazione di insicurezza alimentare acuta) che si aggrava oggi a causa del Covid-19 ma che non sente salire con determinazione l’appello alle autorità politiche ed economiche per un intervento eccezionale in soccorso agli ultimi.

Le periferie esistenziali che abbiamo vissuto in altri continenti e che ora viviamo qui nel nostro paese, ci spingono a rivolgervi questo appello, perché in tutti i discepoli di Gesù aumenti la compassione per gli ultimi, la fame e sete di giustizia e il coraggio di proclamare il Vangelo della vita piena per tutti.
La Commissione Giustizia & Pace dei Missionari Comboniani