domenica 2 febbraio 2020
GESU’ SULLE BRACCIA DEL TEMPIO E DI NAZARET. Don A. Fontana

Quest’anno, la Liturgia della Presentazione di Gesù al Tempio coincide con la domenica e prevale sui testi biblici di Matteo per la 4° domenica del tempo ordinario. Andrà perduta la stupenda pagina delle Beatitudini secondo la versione dell’evangelista Matteo. Si sovrappone la testimonianza di Luca, particolarmente attento all’infanzia di Gesù. Luca mette in campo una solenne scenografia liturgica dopo essersi ispirato al profeta Malachia. Tutta la scena centrale e la festività liturgica del primo ingresso di Gesù nel Tempio rischia di far passare in secondo piano due righe finali della catechesi di Luca: «fecero ritorno alla loro città di Nàzaret»

Preghiamo. Dio onnipotente ed eterno, guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio del tuo unico Figlio fatto uomo, e concedi anche a noi di essere presentati a te pienamente rinnovati nello spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Dal libro del profeta Malachìa (3, 1-4)

Così dice il Signore Dio: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore dell’universo. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
SALMO 24 (23) Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.

Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e valoroso, il Signore valoroso in battaglia.
Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è mai questo re della gloria? Il Signore dell’universo è il re della gloria.
Dalla lettera agli Ebrei (2, 14-18)
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
Dal Vangelo secondo Luca (2, 22-40)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

GESU’ SULLE BRACCIA DEL TEMPIO E DI NAZARETDon Augusto Fontana
Quest’anno, la Liturgia della Presentazione di Gesù al Tempio coincide con la domenica e prevale sui testi biblici di Matteo per la 4° domenica del tempo ordinario. Andrà perduta la stupenda pagina delle Beatitudini secondo la versione dell’evangelista Matteo. Si sovrappone la testimonianza di Luca, particolarmente attento all’infanzia di Gesù.
Luca mette in campo una solenne scenografia liturgica dopo essersi ispirato al profeta Malachia: «Ecco, io manderò un mio messaggero … e subito il Signore che voi cercate entrerà nel suo tempio …. perché possiate offrire al Signore un’offerta secondo giustizia».
Nel Tempio a Gerusalemme la scena è affollata da molti personaggi:il Bambino, che nei versetti precedenti alla lettura odierna, viene circonciso e gli viene dato il Nome Gesù (“Jeshuah=Dio salva”), e ora è proclamato “Cristo del Signore”.

  • la Legge (Toràh): nominata 5 volte: «secondo la Legge…come è scritto nella Legge…come prescrive la Legge….per fare come la Legge prescriveva…secondo la Legge del Signore». Presenza ingombrante.
  • Maria e Giuseppe (Miriam e Ioseph); tutto si svolge attorno a loro e al “bambino”.
  • lo Spirito Santo – nominato 3 volte – c’è ma non si vede; se ne vedono solo gli effetti.
  • Simeone (Scimehon=”Dio ha ascoltato”) il vecchio, che rappresenta le braccia secche e bimillenarie di Israele che ricevono finalmente il fiore della vita.
  • Anna (Hanna=”Favore di Dio”), profetessa vedova; ha l’età di tutta l’umanità che ancora non ha visto il volto di Dio ed è vedova, come Israele che ha perso Dio-Sposo e vive una vita di attesa, con dolore (digiuni) e desiderio (preghiere).

Il Tempio accoglie. La Legge, ascoltata, genera l’evento. Simeone e Anna parlano e cantano. Maria e Giuseppe compiono riti in silenzio e «si stupivano delle cose che si dicevano di lui». Una vera Liturgia.
E io dove sono? Seduto in platea a guardare stancamente una commedia vista e rivista o a cantare in coro e a stupirmi delle cose che vengono dette di Lui?
Quando la vita viene “celebrata.[1]
Secondo la prescrizione del Libro del Levitico (12,6-8; 5,6), quaranta giorni dopo la nascita di un bambino era previsto il rito della purificazione della madre: «Quando i giorni della sua purificazione saranno compiuti, porterà al sacerdote un agnello di un anno … Se non ha mezzi prenderà due tortore o due colombi». Mosè aveva prescritto che ogni padre consacrasse a Dio «ogni primogenito che apre il seno materno» (Esodo 13,1-2). Era stata fissata una somma di cinque sicli per il riscatto, un mese dopo la nascita (Numeri 3,47; 18,16). Il rito doveva essere un memoriale della salvezza dei primogeniti ebrei durante la tragica notte della fuga dall’Egitto (Esodo 12,29-33).
Nella redazione di Luca i due riti vengono mescolati in un unico rito di presentazione al Tempio; e sembra pure che abbia inserito anche il padre Giuseppe e non solo la puerpera nel rito di purificazione («Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale»).
Tutta la cerimonia è incentrata, secondo Luca, sulla “presentazione” del primogenito al Signore.
Il verbo “presentare” (in greco: paristanai) nella Bibbia è usato nel senso di “offrire un culto”, “essere al servizio di…”, ma anche “introdurre(“i filistei introdussero [misero in presenza] l’arca di Dio nel tempio di Dagon” 1 Samuele 5,2). Si tratta allora, per Luca, del primo ingresso di Gesù nel Tempio. Luca sembra collegarci anche con l’episodio della consacrazione del giovane Samuele da parte di sua madre Anna al tempio di Silo (1 Samuele 1,22-28: « Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo dò in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore»); in questo caso Samuele rimarrà sempre nel tempio come la profetessa vedova Anna; Luca ci narra che Gesù non è meno irrevocabilmente votato al Padre suo pur vivendo trent’anni a Nazaret e non nel tempio (fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret).
Qui ci sono quattro “poveri di Jahweh” che attendono, nell’intimità della fede, la rivelazione di Dio. Rivelazione che Luca aveva narrato essere avvenuta alla nascita del “Bambino” in aperta campagna per i pastori; ora accade nel Tempio: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta; un corpo mi hai preparato…Eccomi» (cf. Ebrei 10,5-7).
Segno di contraddizione.
Simeone dichiara che Cristo sarà un «segno di contraddizione» perché siano svelati i pensieri di molti cuori (Luca 2,34). “Un segno -come interpreta il biblista card Ravasi –impossibile da evitare, con cui fare i conti, da abbracciare o respingere”.
San Paolo è illuminante quando definisce la croce di Gesù come «scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma anche potenza di Dio e sua sapienza per coloro che sono chiamati» (1Corinzi 1,23-24).
Ma nella lettura e nell’interpretazione del testo non possiamo dimenticare quello che dice la lettera agli Ebrei: “La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace. È più tagliente di qualunque spada a doppio taglio. Penetra a fondo, fino al punto dove si incontrano l’anima e lo spirito e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (4,12). E’ quello che aveva detto Gesù: «non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Matteo 10,35-38).
Mi sembra, allora, che davvero la prima e fondamentale interpretazione del testo sia: Maria/Chiesa è chiamata a mettersi in ascolto sempre più profondo e sempre più coinvolgente della Parola-spada che quel Figlio annuncerà durante la sua vita.
Gesù, diventato grande, vedendo il vuoto che si stava facendo attorno a lui, disse ai discepoli «Volete andarvene anche voi?» (Giovanni 6, 67). Come un giorno aveva chiesto ai suoi: «Ma io chi sono per voi?» (Matteo 16, 15). Nei secoli questo interrogativo ha continuato a serpeggiare[2].
A non molti decenni di distanza dalla fine di Gesù di Nazaret, in Egitto l’anonimo autore del Vangelo gnostico detto ‘di Filippo’, non esitava a scrivere: «Se dici: Sono ebreo, nessuno si scompone. Se dici: Sono romano, nessuno trema. Se dici sono greco, barbaro, schiavo, nessuno si impressiona. Ma se dico: Sono cristiano, il mondo trema». Alfredo Oriani, scrittore laico dell’Ottocento: «Credenti o increduli, nessuno sa sottrarsi all’incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa». Dostoevskij non esitava a scrivere nel 1854: «Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità». Un credente come F. Mauriac confessava nella sua Vita di Gesù (1936): «Non avessi conosciuto Cristo, ‘Dio’ sarebbe stato per me un vocabolo vuoto di senso… Il Dio dei filosofi e degli eruditi non avrebbe occupato nessun posto nella mia vita morale. Era necessario che Dio s’immergesse nell’umanità e che a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi gettassi in ginocchio».
Ora tocca a me: mi hanno consegnato questo Gesù, come un carbone ardente, nel Tempio delle mie braccia. Dove lo metto? Che me ne faccio?
L’incubazione a Nazaret.
Tutta la scena centrale e la festività liturgica del primo ingresso di Gesù nel Tempio rischia di far passare in secondo piano due righe finali della catechesi di Luca: « fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui». E per 30 anni non si saprà quasi più nulla se non a 12 anni quando tornerà a Gerusalemme per i riti del “Bar mitzvah” (figlio del comandamento), il momento in cui un bambino ebreo raggiunge l’età della maturità e diventa responsabile per se stesso nei confronti della la legge ebraica (Luca 2, 42-50).
Siamo stati salvati anche da questi 30 anni a Nazaret.
Scrive il teologo F.Giulio Brambilla[3]: «Gesù, la Parola che è nel seno del Padre, diventa uno di noi, riceve la propria umanità come uno di noi. Ecco allora il segreto di Nazaret. Gesù, la Parola di Dio in persona, si è sottoposto a una lunga incubazione nelle fibre della nostra umanità (trent’anni), perché fosse possibile che il ministero della parola/azione di Gesù (in soli tre anni) facesse quasi esplodere dal di dentro il linguaggio umano, abilitandolo a diventare il tramite della Parola di Dio. Per questo Nazaret è il luogo dell’umiltà e del nascondimento: lì la parola si nasconde, lì il seme scende nel grembo della terra e muore per portare poi (in tre soli anni) molto frutto, tutto il dono Dio! Questo è il mistero di Nazaret!  Gesù viene presentato [al tempio] nell’ambito della sua famiglia, dentro la spiritualità giudaica di piena fedeltà alla legge. La famiglia e la Legge sono i due contesti dove Gesù cresce in sapienza e dove la grazia di Dio dimora sopra di lui. Bisognerebbe conoscere bene la famiglia ebraica e la religiosità giudaica, una religione domestica e una famiglia patriarcale, per comprendere tutto il lavorìo di incubazione della parola di Dio. Anzi, il lettore attento che è giunto a questo punto del vangelo si meraviglia che Gesù cresca in sapienza, maturità e grazia davanti a Dio e agli uomini, stando sottomesso ai suoi genitori e, con loro, alla Legge. Anche a noi verrebbe da dire: “Che sarà mai questo bambino?”. Ed ecco invece il mistero di Nazaret: il figlio dell’Altissimo, il discendente di David, il Salvatore atteso, la luce delle genti, la gloria di Israele s’immerge nelle strade di Nazaret per imparare il linguaggio umano, per assumere la religiosità del suo popolo, per sillabare le preghiere di Abramo e di Mosè, per cantilenare il Salterio di David, per assorbire la sapienza di Salomone. Per trent’anni! Questo è il mistero di Nazaret. Gesù ha imparato, gustato, assorbito a Nazaret, mediante un’interminabile incubazione, la grammatica della nostra umanità, la lingua-madre di Maria, la religiosità familiare, l’attesa di Israele, la speranza delle genti. La Parola di Dio ha imparato la grammatica e la sintassi dell’esperienza umana, dentro una serie interminabile di legami. Vorrei che si sentisse quasi fisicamente che Gesù si inabissa nella storia del suo popolo, ne attraversa tutti i legami.
E ora il lettore avverte che il mistero di Nazaret riguarda anche lui: egli non può mettersi per strada “alla ricerca del Volto”, se non si colloca dentro una storia, un popolo, una spiritualità, un’attesa, una lingua madre che lo ha generato. Questo è per ciascuno di noi il mistero di Nazaret… C’è un aspetto che riguarda solo Gesù e c’è un aspetto che però tocca ciascuno di noi, perché anche noi non siamo stati generati solo una volta, ma continuiamo ad essere generati. Anche noi diventiamo ciò che abbiamo ricevuto. Il mistero di Nazaret è anche per noi la famiglia e la religiosità, le nostre radici e la nostra gente. Non c’è nessuna avventura della vita che non parta da ciò che abbiamo ricevuto: la vita, la casa, l’affetto, la lingua, la fede e le forme religiose con cui s’esprime. Questa è la nostra umanità e la sapienza che ci è donata. Tutto il cammino che potremo fare nell’esistenza fino alla vette del mistero di Dio, o alla dedizione sconfinata verso il fratello, viene da questo linguaggio originario. La nostra umanità è forgiata da questa grammatica di base, con le sue ricchezze e le sue povertà, a cui bisogna essere grati e che Gesù non ha avuto paura di attraversare. Questa grazia contiene una promessa che ci fa prendere il largo…».


[1] Elaborazione da: J. Radermakers /P. Bossuyt, Lettura pastorale del vangelo di Luca, EDB
[2] Elaborazione da: Gianfranco Ravasi. Jesus, febbraio 2007
[3] Franco Giulio Brambilla, Chi è Gesù. Alla ricerca del volto, Edizioni Qiqajon, Bose, 2004