FINANZA SOSTENIBILE
Giannino Piana (ROCCA)
FINANZA SOSTENIBILE. UN SISTEMA COMPLICATO
Giannino Piana[1]
(Rocca 15 gennaio 2022)
Il peso che l’economia finanziaria ha assunto negli ultimi decenni è non solo assai rilevante, ma assolutamente sproporzionato rispetto all’economia reale o produttiva. A tale sproporzione viene giustamente fatta risalire la crisi economica del 2007-2008 i cui strascichi sono ancor oggi largamente presenti, accentuati peraltro dalla pandemia da Covid-19, che ha contribuito, in larga misura, a dilatarne gli effetti negativi. Ciò che è avvenuto e che ha provocato (e non poteva che provocare) la crisi è stato il capovolgimento dei rapporti tra le due economie, con il netto prevalere di quella finanziaria su quella produttiva e la riduzione di fatto di quest’ultima a variabile dipendente della prima. Si è così prodotta la cosiddetta «bolla finanziaria», con un impressionante divario tra rendita derivante da operazioni in cui il danaro riproduce se stesso e la produzione di beni e di servizi, che è l’obiettivo fondamentale dell’economia. Si impone pertanto una radicale inversione di rotta, che restituisca alla finanza il suo ruolo originario di strumento al servizio dell’economia reale. Ma questo non basta. Esiste (e riveste oggi un’importanza sempre maggiore) la necessità di una riqualificazione dell’attività finanziaria con la destinazione a sostegno di attività produttive che tengano in considerazione il rispetto dell’ambiente e l’equità sociale.
L’emergere di segnali positivi
Si allude, in quest’ultimo caso, alla «finanza sostenibile», che ha nella cosiddetta finanza green il suo perno fondamentale – si tratta di dare spazio ad investimenti sempre più verdi e sempre più a bassa intensità di emissioni Co2, – ma va anche oltre, includendo – come ci ha ricordato papa Francesco con il concetto di «ecologia integrale» – l’attenzione alla giustizia sociale, cioè al superamento delle attuali crescenti diseguaglianze tra i popoli e le classi sociali, perseguendo in tal modo sensibilità ambientale e sostenibilità sociale. La situazione è ancor oggi, a tale riguardo, assai grave, ma non mancano segnali positivi che meritano di essere evidenziati, perché rappresentano uno spiraglio di speranza. La sensibilità attorno a questi temi è senz’altro cresciuta, se si considera che, secondo una recente indagine condotta dalla Anasf (Associazione dei consulenti finanziari) la maggior parte degli attuali investitori -1’80% degli intervistati chiede di investire i propri risparmi con criteri di sostenibilità.
Alla crescita di tale sensibilità corrisponde poi anche un’effettiva crescita dei capitali coinvolti che si muovono in tale direzione, se si considera che – come attestano le stime fornite dalla Climate Bonds Initiative – le «obbligazioni verdi» si avviano a segnare un nuovo record di emissioni, al punto di aver raggiunto nel 2020 i 350 milioni di dollari contro i 265 del 2019. O ancora, se si considera che negli Stati uniti gli asset professionalmente gestiti che integrano strategie di sostenibilità sono passati in due anni da 12mila a 17mila miliardi di dollari con una crescita del 42%: il che significa che oggi negli States circa un dollaro su tre è investito facendo riferimento anche a principi e criteri di sostenibilità. In prima fila nella campagna per il perseguimento di questi obiettivi vi sono le istituzioni religiose che vedono, nel disinvestimento delle fonti fossili di energia e nel successivo reinvestimento in attività che contribuiscono a tagliare le emissioni Co2, la strategia da adottare per mettere concretamente la finanza al servizio del contrasto alla crisi climatica. È recente l’annuncio congiunto di disinvestimento da parte di istituzioni cattoliche, protestanti ed ebraiche (47 da 21 differenti Paesi) coordinate dal Movimento cattolico mondiale per il clima, delle attività che non tengono conto dell’esigenza di attenzione all’ambiente e all’equità distributiva della ricchezza. Il che, inoltre, si associa all’avanzare in Europa di un vasto movimento, che ha avuto come esito l’elaborazione di un piano d’azione sulla finanza sostenibile, che è all’avanguardia a livello mondiale.
Una questione morale
La dimensione etica della questione è immediatamente evidente. Gli investimenti finanziari sono tutt’altro che neutri e non sono riconducibili al semplice livello tecnico; chiamano direttamente in causa il quadro valoriale al quale si fa riferimento ed esigono, di conseguenza, una costante valutazione delle istanze alle quali prioritariamente ci si riferisce. Lo ha messo chiaramente in evidenza la Cei (Conferenza episcopale italiana) in un importante documento del febbraio 2020[2], che traccia le linee guida sulla gestione delle risorse finanziarie, sollecitando ogni investitore ad agire secondo finalità «eticamente sostenibili». L’impegno che viene qui sottolineato è di creare una base valoriale comune, che consenta di valutare correttamente gli investimenti finanziari, avendo anzitutto di mira la ricerca del bene comune. Purtroppo il sistema neoliberista tuttora egemone ha fatto della attività finanziaria uno strumento finalizzato al perseguimento del massimo profitto nel più breve tempo possibile – è questa la ragione della grande rilevanza che è venuta acquisendo negli ultimi decenni -, facendo proprio come criterio esclusivo quello dell’efficienza e puntando su una logica meramente quantitativa, con l’assenza di ogni preoccupazione per il degrado ambientale e per la crescita delle diseguaglianze e con una grave disattenzione verso i beni relazionali e la qualità della vita. La svolta che si esige (e che diviene sempre più urgente) è dunque quella di anteporre le ragioni del rispetto dell’ambiente e del perseguimento dell’equità e della solidarietà a quelle dell’efficienza, individuando nuove prospettive tanto a livello di produzione che di distribuzione. Prestando soprattutto attenzione al tema dell’ineguaglianza, Stefano Zamagni, autore di un recente e interessante volume dal titolo Diseguaglianze (Edizioni Aboca 2021), scrive: «Il problema non è che le diseguaglianze esistano ma che a partire dagli anni Settanta sono diventate strutturali: le diseguaglianze come le conosciamo adesso sono cioè in conseguenza diretta di strutture economiche e finanziarie che si sono sviluppate negli ultimi quarant’anni» (Avvenire, mercoledì 3 marzo 2021).
Per un’alternativa efficace
La critica severa che Stefano Zamagni muove nei confronti dell’attuale situazione di diseguaglianza sociale e – aggiungiamo – di disastro ecologico chiama direttamente in causa il regime attuale. Si tratta dunque di un problema le cui radici sono inscritte direttamente nelle regole odierne del gioco finanziario, monetario e del mercato del lavoro. In causa vi è il modello di sviluppo che il capitalismo ha da sempre privilegiato e che si basa su una logica quantitativa per la quale a contare è soltanto la massimizzazione della produttività e del profitto con la conseguente incapacità a fare i conti con la sostenibilità ambientale e sociale. La ricerca di un’alternativa deve partire dalla considerazione di questi dati, che rendono trasparente la necessità di un vero e proprio cambio di mentalità, che non può accontentarsi di denunciare la inadeguatezza del sistema in corso, ma deve dare vita a un nuovo sistema in grado di assolvere agli obiettivi cui si è fatto ripetutamente cenno. Molti sono a tale riguardo le proposte che lo stesso Zamagni suggerisce nel libro citato: dalla chiusura dei paradisi fiscali all’introduzione del salario minimo; dallo spostamento del carico fiscale dal lavoro alle rendite (eredità compresa) all’obbligo di inserire i risultati relativi alla sostenibilità nei bilanci di impresa; dalla protezione dei beni comuni dalle dinamiche del mercato alla istituzione di una authority che convalidi i modelli di valutazione dei green bonds fino alla costituzione di un’organizzazione mondiale dell’ambiente con poteri sanzionatori nei confronti di chi non rispetta le regole. Il coinvolgimento dell’intero sistema economico non può allora che partire – come si è ricordato fin dall’inizio – da una profonda riforma dell’attività finanziaria, delle sue finalità e delle modalità concrete del suo esercizio. La finanza sostenibile e responsabile ha senz’altro fatto in questi ultimi anni un consistente progresso. La considerazione che sia cresciuta la coscienza, non solo tra gli operatori più sensibili ma anche a livello di opinione pubblica, e che questo abbia condotto in molti casi gli operatori ad integrare nel processo di investimento considerazioni anche sociali, ambientali e di governance va considerato come un segno indubbio di speranza. La pandemia ha reso evidente l’esigenza di muoversi in questa direzione. Molte sono le proposte avanzate nella formulazione delle agende della ripresa post-Covid. La priorità che viene ad esse sempre più spesso assegnata è suffragata dall’esistenza di buone pratiche inconfutabili perché certificate dal tempo e dalla considerazione che i fondi sostenibili hanno, nei mesi più duri della pandemia, tenuto più degli altri e hanno poi rimbalzato meglio, con risultati persino eclatanti. La dilatazione di questo promettente processo ha tuttavia oggi più che mai bisogno di una vera rivoluzione culturale e di una presenza sempre più consistente della politica purtroppo oggi asservita alle logiche dei poteri forti, quello economico in primis – che torni ad essere la regolatrice della vita sociale, in tutte le sue articolazioni, avendo come obiettivo la costruzione del bene comune.
[1] Nato nel 1939. Teologo e docente emerito di Teologia morale.
[2] https://lavoro.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/27/2020/03/20/Documento-Gestione-Risorse-Finanziarie-Comm-Episcopale.pdf