IL SERVO CHE FU FATTO RE. 24 novembre 2019
Don Augusto Fontana
Il trono di Gesù, di volta in volta, fu una mangiatoia per animali, un palo sospeso, un catino, una mensa, un asinello. E per ambasciatori si scelse affamati, assetati, nudi di casa e di vestiti, ammalati, carcerati, stranieri impuri. Un re da burla: «intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, si burlavano di lui dicendo: “Salve, re dei Giudei” e gli sputavano addosso» (Matteo 27,29-30). Macabra liturgia di investitura regale.
Preghiamo. O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre; fa’ che camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua gloria in paradiso. Egli è Dio, e vive e regna con te…
Dal secondo libro di Samuèle 5,1-3
In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero (dall’ebraico mašīaḥ=messia) Davide re d’Israele.
Sal 121 Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!
È là che salgono le tribù, le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele, per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési 1,12-20
Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.
Dal Vangelo secondo Luca 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male (niente fuori luogo; dal greco: udèn àtopon)». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «Amen io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
UN RE COL GREMBIULE. D. Augusto Fontana
L’ultima Domenica dell’Anno liturgico accentua le connotazioni della festa di Pasqua-Ascensione. La festa di oggi, di fatto, celebra in sintesi tutto il mistero di Gesù di Nazareth: «Cristo è morto ed è ritornato alla vita per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,9). Paolo, nelle sue Lettere, per 243 volte chiama Gesù con l’attributo di Signore e 358 volte lo chiama Cristo; ma è cosciente che questi titoli, di origine pasquale, portano scompiglio: «noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor 1, 23). Crocifisso…scandalo…stupidità (in greco: morìan). Parole blasfeme per orecchie pie e devote.
Oggi il 2° Libro di Samuele e l’Inno liturgico riportato dalla Lettera ai Colossesi privilegiano titoli solenni: Re, Capo, Pastore, Messia, Signore, Christòs, Primogenito. Parole strane, d’altri tempi. Parole che hanno tuttavia travolto e trasfigurato mistici, martiri, discepoli. Ma che a me oggi -forse per mia colpa – non mi svelano granché, non mi scardinano, non mi buttano in ginocchio, non mi fanno trattenere il fiato, non mi accelerano i battiti. Eppure sono ancora curioso. Cosa avrà voluto dire l’apostolo Tommaso con quel suo «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28)? E Marta e Maria: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11, 21.32)? E Maria di Màgdala quando annuncia ai discepoli: «Ho visto il Signore» (Gv 20,18)?
E poi: che senso avrà oggi il “Cristo Re” per i sette presbiteri nigeriani sequestrati (tra cui due uccisi durante la prigionia) in meno di otto mesi?
“Cristo Re”, è l’opposto di ciò che Gesù di Nazareth è stato: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Lc. 22,27). “Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire”(Mt. 20,28).
I suoi discepoli, di ieri e di oggi, spesso sono tentati di sognare poltrone, visibilità, invidiabili share, ola da stadio: «E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate”» (Mc 10,35-38). Lui, il maestro laverà i loro piedi dicendo: «Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri».(Gv 13,13-14). E sul Golgota, alla sua destra e sinistra ci saranno due banditi con-crocifissi. Nel Vangelo di Giovanni, dopo la narrazione del segno della condivisione dei pani e dei pesci, viene detto che “Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo” (6,15). E quando Giuda sta per consegnare Gesù si sente chiamare così:« Amico…». (Matteo 26,50).
Dunque Gesù servo e amico più che re. Allora decidiamoci una buona volta di fare una petizione al Papa per cambiare la festa di CRISTO RE in festa di CRISTO SERVO. Toglierebbe molti equivoci, a partire dalle motivazioni originarie della festa istituita da Pio XI nel 1925 per reagire al laicismo e per rivendicare il ruolo di una chiesa regina[1].
Già il Concilio Vaticano II° aveva dato una sterzata: “Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana. Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori. Ha rivelato l’amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d’ogni giorno. Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale. Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua regione. Nella sua predicazione ha chiaramente affermato che i figli di Dio hanno l’obbligo di trattarsi vicendevolmente come fratelli. Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di tutti. «Nessuno ha maggior amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici» (Gv15,13)”[2].
Un re da burla.
Il trono di Gesù, di volta in volta, fu una mangiatoia per animali, un palo sospeso, un catino, una mensa, un asinello. E per ambasciatori si scelse affamati, assetati, nudi di casa e di vestiti, ammalati, carcerati, stranieri impuri. Un re da burla: «intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra e, inginocchiandosi davanti a lui, si burlavano di lui dicendo: “Salve, re dei Giudei” e gli sputavano addosso» (Matteo 27,29-30). Macabra liturgia di investitura regale.
Luca ha sviluppato il racconto della crocifissione con sapiente abilità compositiva indirizzandolo al suo particolare interesse di annuncio. Gesù appare come il prototipo del martire che affidandosi a Dio sopporta ogni derisione. Nella richiesta di perdono per i carnefici e nella parola a uno dei delinquenti egli si mostra come il salvatore dei peccatori. La scena della crocifissione è un dramma sacro, una liturgia[3]: «Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui… Il popolo stava a guardare… Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando queste cose» (Luca 23,27.35.48-49). Ai piedi della croce si va formando la sua e nostra comunità. I conoscenti di Gesù e le donne rappresentano il nucleo della Chiesa.
Visto che tutti “assistevano da lontano”, chi avrà raccontato a Luca questo dialogo di tre morenti che avevano ancora la forza di emettere fiato in agonia? Luca è l’unico tra gli evangelisti che riporta questo dialogo. Forse si ricordava di aver scritto il capitolo 15 con le tre parabole della misericordia verso i perduti. Durante la passione Gesù incrocia 4 criminali: Barabba liberato durante il processo, il centurione che glorifica Dio dicendo “veramente quest’uomo era giusto” e i due crocifissi con lui di cui uno “santificato”. Per ora è un raccolto che sta nel palmo di una mano per questo Rabbi-agricoltore che ha seminato e sprecato a piene mani. Gesù non è un re politico arruffapopolo che agglutina le masse; si rivolge spesso, e anche qui, all’uno, a me o a te come se non esistesse nessun’altro.
La catechesi di Luca si concentra sulla triangolazione di un dialogo:
-«Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!».
-«Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di straordinariamente fuori luogo
-«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
-«Amen io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Qual è il senso e la portata di questa festa per la mia e tua esistenza?
Dio aveva posto l’uomo in un giardino di delizie (in ebraico: gan ‘eden); giardino che verrà poi chiamato in greco paràdeisos che designa un giardino recintato, un parco. Vale la pena citare il libro del Cantico dei cantici (4,13): «Giardino chiuso tu sei, sorella mia, mia sposa, i tuoi germogli sono un paradiso di melograni, con i frutti più squisiti». Il giardino chiuso o paradiso non è un luogo ma è una persona amata: “sarai con me” come ora “sei con me”.
- Riconoscere che Cristo è mio-re significa adattarmi gradualmente a pensare che Lui è Dio vivo, e quindi – come diceva il Card. Martini[4] – «significa che Dio è imprevedibile, che la sua azione nei nostri riguardi è libera e sovrana, che non possiamo mai calcolare niente in anticipo. Un Dio che non è fatto come lo penso io, che non dipende da quanto io attendo da lui, che può dunque sconvolgere le mie attese, proprio perché è vivo».
- Riconoscere che, per Cristo, regnare significa servire ci porterà a capire «che il cristianesimo non è un’ideologia che aspira ad essere imposta con la forza dello Stato. I mezzi del potere sono estranei al cristianesimo che sarà sempre più un fermento, una luce, una profezia, un esempio che non impone nulla e si presenta nell’umiltà»[5].
- Riconoscere e celebrare Cristo-Re significa ridare anche consistenza al ruolo Sacerdotale e liturgico di ogni battezzato. Benché piccola e balorda che sia, ogni assemblea liturgica anticipa nel tempo la liturgia finale del regno.
- Riconoscere e celebrare Cristo-Re significa che ogni battezzato potrà scoprire il valore sacramentale e salvifico della sua pratica messianica nel lavoro, in famiglia, nel volontariato, nel rispetto della creazione e della vita, nell’accoglienza dei piccoli, nella riammissione degli esclusi. Domenica scorsa anche tu, forse, hai vissuto la 3a Giornata mondiale dei poveri. Papa Francesco, tra l’altro, ha scritto: «La speranza si comunica anche attraverso la consolazione, che si attua accompagnando i poveri non per qualche momento carico di entusiasmo, ma con un impegno che continua nel tempo. I poveri acquistano speranza vera non quando ci vedono gratificati per aver concesso loro un po’ del nostro tempo, ma quando riconoscono nel nostro sacrificio un atto di amore gratuito che non cerca ricompensa…Agli occhi del mondo appare irragionevole pensare che la povertà e l’indigenza possano avere una forza salvifica; eppure, è quanto insegna l’Apostolo quando dice: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1 Cor 1,26-29). Con gli occhi umani non si riesce a vedere questa forza salvifica; con gli occhi della fede, invece, la si vede all’opera e la si sperimenta in prima persona».
[1] Dall’Enciclica Quas primas di Pio XI: «La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi… Tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l’impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. Col tributare questi onori alla dignità regia di nostro Signore, si richiamerà necessariamente al pensiero di tutti che la Chiesa, essendo stata stabilita da Cristo come società perfetta, richiede per proprio diritto, a cui non può rinunziare, piena libertà e indipendenza dal potere civile, e che essa, nell’esercizio del suo divino ministero di insegnare, reggere e condurre alla felicità eterna tutti coloro che appartengono al Regno di Cristo, non può dipendere dall’altrui arbitrio… La celebrazione di questa festa sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo, scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato, vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo la sua regale dignità che la società intera si uniformi ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello stabilire le leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla santità dei costumi ».
[2] Gaudium et spes n. 32
[3] Josef Ernst, Il vangelo secondo Luca. Vol. 2°, Morcelliana, 1990, pag. 891
[4] C.M.Martini, Il giardino interiore. Una via per credenti e non credenti, PIEMME.
[5] O. Clèment in “Il potere crocifisso”, Qiqajon