Riflessione sui quesiti del referendum
Diocesi di Bergamo

RIFLESSIONE QUESITI REFERENDUM ABROGATIVI SU LAVORO E CITTADINANZA

In vista del referendum previsto per l’8 e 9 giugno 2025, che coinvolge quattro quesiti sul tema del lavoro un quesito sulla cittadinanza, volentieri offriamo un semplice e speriamo utile documento che permetta di comprendere quanto siamo chiamati a scegliere esercitando il dovere ed il diritto del voto, elementi irrinunciabili all’esercizio ed alla tutela della nostra democrazia. Come cittadini cristiani, appartenenti alle Comunità Ecclesiali Territoriali, e uomini e donne di buona volontà, non vogliamo dettare linee ma comprendere insieme e non lasciare che le cose accadano senza averci pensato con serietà. Come ci ricorda il magistero della Chiesa, ritraducendo il messaggio del Vangelo, i credenti hanno il compito del pensiero e la responsabilità della parola. Ci sembra prezioso dunque abitare e dare una declinazione delle dimensioni che l’appuntamento referendario ci propone con l’intento di essere protagonisti della costruzione della vita buona governata dalle istituzioni restando sempre compagni di strada di tutti nella costruzione di convivialità civili giuste e fraterne. Ci riproponiamo dunque di esaminare, avvalendoci della competenza di tante amiche ed amici, le proposte referendarie rispettando la pluralità di opinioni e orientamenti, ma anche permettendo alla Dottrina Sociale della Chiesa, da sempre attenta alla dignità della persona e alla giustizia sociale, di offrire spunti significativi per una lettura di quanto proposto.

Quesiti sul lavoro 

I seguenti quesiti di questo Referendum abrogativo mettono in risalto alcune questioni cardine del lavoro in sé e per sé: il lavoro come luogo di restituzione di dignità e di speranza, il lavoro come sostentamento economico personale e per la propria famiglia, il lavoro come un diritto e il lavoro come posto sicuro. La dinamica del lavoro non può prescindere da questi elementi che devono essere garantiti a tutte le persone che svolgono un’attività lavorativa. Il lavoro è una delle prime azioni sociali a cui siamo chiamati a partecipare. Lo dice la nostra Costituzione all’art. 1. Attraverso l’azione quotidiana e partecipativa del lavoro contribuisco al miglioramento di un piccolo pezzo di mondo che, insieme a quello degli altri va a immaginare nuovi modelli e nuove prospettive, con la speranza di poter costruire un mondo migliore per tutti. Ogni quesito referendario, che si presenta forse nella sua definizione più tecnica, merita una riflessione approfondita, tenendo conto di questi principi e valutando gli impatti sulle persone e sulla società nel suo complesso.

·         Jobs Act – Disciplina dei licenziamenti illegittimi 

Abrogazione delle norme del decreto legislativo n. 23/2015, che regolano i licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti. Attualmente, queste norme prevedono l’indennizzo economico senza obbligo di reintegro.

 Il quesito propone l’abrogazione del contratto a tutele crescenti, ripristinando la possibilità di reintegro in caso di licenziamento illegittimo. Attualmente, nelle aziende con oltre 15 dipendenti, i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 non hanno diritto al reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, anche qualora un giudice riconosca l’assenza di giusta causa o giustificato motivo. Il quesito intende abrogare questa disposizione. La Dottrina Sociale della Chiesa sottolinea l’importanza della dignità del lavoratore, evidenziando che il lavoro è espressione della persona e non deve essere ridotto a mera merce. Pertanto, una riflessione su questo quesito dovrebbe considerare l’equilibrio tra la protezione dei diritti dei lavoratori e la necessità di un mercato del lavoro dinamico.

·         Indennità di licenziamento nelle piccole imprese 

Eliminazione del tetto massimo di sei mensilità all’indennizzo per i lavoratori licenziati ingiustamente in aziende con meno di 15 dipendenti.

 L’obiettivo di questa proposta referendaria è cancellare il tetto all’indennità di licenziamento nelle piccole imprese (in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento). Il quesito punta ad abrogare il limite massimo dell’indennizzo economico previsto per i lavoratori licenziati senza giusta causa nelle imprese con meno di quindici dipendenti. In questo caso, si vorrebbe restituire al giudice la piena discrezionalità nel determinare l’ammontare del risarcimento in base alla gravità della violazione.

·         Contratti a termine – Durata e proroghe 

Abrogazione parziale delle norme che regolano la durata massima e le condizioni per proroghe e rinnovi dei contratti di lavoro subordinato a termine.

 Il quesito propone di limitare l’uso dei contratti a termine, richiedendo specifiche causali. Il quesito del referendum si concentra sui contratti a tempo determinato, istituto di lavoro flessibile che coinvolge oltre 2,3 milioni di persone in Italia. La normativa attuale consente di avviare un rapporto di lavoro a termine per un periodo fino a 12 mesi senza dover fornire alcuna motivazione. L’intento della proposta è quello di reintrodurre l’obbligo di specificare la causale per questo tipo di contratti, così da incentivare la stabilizzazione del lavoro e arginare la crescente precarietà. Il lavoro deve essere orientato al bene della persona, evitando forme di precarietà che possano compromettere la dignità del lavoratore. Una riflessione su questo quesito dovrebbe considerare la necessità di proteggere i lavoratori da forme di lavoro instabile, pur rispettando le esigenze del mercato.

·         Responsabilità solidale negli appalti 

Abrogazione delle norme che escludono la responsabilità solidale del committente, appaltatore e subappaltatore per infortuni subiti dai lavoratori dipendenti di imprese appaltatrici o subappaltatrici, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese coinvolte.

 Il quesito riguarda l’ampliamento della responsabilità dell’impresa committente in caso di infortuni o malattie professionali nei lavori in appalto. L’intervento proposto mira ad estendere la responsabilità in caso di incidenti anche all’azienda appaltante, e non solo agli appaltatori. Attualmente, in caso di incidenti sul lavoro dovuti a carenze di sicurezza negli appalti, la responsabilità del committente è limitata solo ai rischi “generici” e non a quelli “specifici” dell’appaltatore. Il quesito mira a rendere sempre responsabile il committente, permettendo ai lavoratori e alle loro famiglie di ottenere un risarcimento diretto. La Dottrina Sociale della Chiesa sottolinea la dimensione sociale del lavoro, indicando che il lavoro deve essere svolto in condizioni di sicurezza e rispetto per la persona. Una valutazione di questo quesito dovrebbe tenere conto dell’importanza di garantire ambienti di lavoro sicuri e della responsabilità delle imprese nel tutelare la salute dei lavoratori.

Quesito sulla cittadinanza 

·         Cittadinanza Italiana – Riduzione del periodo di residenza legale.

Proposta di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto agli stranieri extracomunitari maggiorenni per presentare domanda di cittadinanza italiana. Il diritto verrebbe esteso automaticamente anche ai figli minorenni dei richiedenti.

 Il referendum sulla cittadinanza ha come obiettivo quello di abrogare due norme della vigente legge sulla cittadinanza in modo da ridurre da dieci a cinque anni di residenza legale in Italia il periodo necessario per chiedere la cittadinanza italiana per lunga residenza da parte di un cittadino straniero (non appartenente all’Unione Europea). Tutti gli altri requisiti previsti dalla legge rimangono invariati; lo straniero maggiorenne per ottenere la cittadinanza dovrà dimostrare un forte radicamento sociale, una stabilità economica e di essere incensurato dal punto di vista penale. La proposta referendaria non rappresenta un’apertura generalizzata né prevede che la cittadinanza sia acquisita automaticamente in ragione della sola nascita in Italia (ius soli). La riforma ha il limitato scopo di dimezzare i tempi per la concessione della cittadinanza. Il dimezzamento dei tempi non è un fatto burocratico ma sostanziale perché incide fortemente sulla vita delle persone e sul cambiamento della società. Oggi per ottenere la cittadinanza per avvenuta integrazione sociale nel nostro Paese occorrono almeno quattordici anni (dieci anni, come si è detto, di residenza ininterrotta e tre, più spesso quattro, per la conclusione del procedimento presso il Ministero dell’Interno). Questa lunghissima prospettiva temporale è il caso più favorevole! Non sempre uno straniero ha un lavoro con un buon reddito e la residenza dal primo momento che arriva in Italia; più spesso le persone straniere, anche quando sono state regolari nel loro soggiorno fin dall’inizio, hanno impiegato diversi anni per superare la precarietà lavorativa e disporre di un buon alloggio e non hanno sempre avuto la residenza fin dall’inizio del loro soggiorno. La cittadinanza quindi arriva anche dopo vent’anni di vita nel nostro Paese durante i quali sono rimasti ai margini di tanti aspetti della vita sociale e fuori dall’esercizio dei diritti politici. Il dimezzamento dei tempi per la concessione della cittadinanza, riducendo questi tempi abnormi, cambierebbe la vita di molte persone e renderebbe più equo e ragionevole il procedimento di acquisizione della cittadinanza.  Il numero dei beneficiari potenziali dell’effetto del referendum è molto significativo, perché secondo le statistiche ISTAT sugli oltre 5 milioni di stranieri legalmente residenti in Italia al 1° gennaio 2023, sono oltre 2.300.000 i cittadini extra UE già titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; un permesso che viene rilasciato a chi ha requisiti simili a quelli richiesti per l’acquisto della cittadinanza. Molti degli stranieri perciò potrebbero decidere, con tempi dimezzati rispetto a quanto accade oggi, di presentare la domanda di concessione della cittadinanza, e ottenendola diventerebbero automaticamente cittadini italiani anche i loro figli minorenni e con loro conviventi. Molti minori con cittadinanza di altri Paesi che frequentano stabilmente le nostre scuole e vivono come i nostri figli, ma non sono cittadini, lo diventerebbero. Il tempo delle attuali procedure impedisce a tanti genitori extra-UE che da tempo vivono e lavorano legalmente in Italia di trasmettere la cittadinanza italiana ai loro figli prima del compimento della maggiore età; ciò contribuisce ad aumentare artificiosamente nelle scuole italiane il numero di alunni che formalmente sono stranieri anche se in realtà sono nati in Italia o vi sono arrivati molto giovani (secondo le statistiche del Ministero dell’Istruzione nell’anno scolastico 2022/2023 gli alunni non italiani erano quasi 900.000, il 65% dei quali erano nati in Italia). Per effetto della velocizzazione dell’acquisizione della cittadinanza ottenuta dai loro genitori in tempi più brevi, se il quesito referendario vincerà, tanti minori, oggi forzatamente stranieri, diventerebbero italiani. Saremmo gli unici in Europa a richiedere il requisito dei cinque anni di residenza? No, al contrario, l’Italia si allineerebbe a quanto avviene nei paesi europei più dinamici dal punto di vista sociale, culturale ed economico. Il termine di 5 anni di soggiorno legale ininterrotto per la concessione della cittadinanza ai cittadini di Stati non appartenenti alla UE è oggi già previsto in Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo, Svezia. La Slovenia esige invece qualcosa di più, ma meno dell’Italia, ovvero 8 anni. Salvo l’eccezione della Spagna che mantiene ancora il requisito di 10 anni di residenza (con molte eccezioni tuttavia in quanto il termine è drasticamente ridotto a solo 2 anni per i cittadini d’origine dei paesi ispano-americani che sono la maggioranza degli stranieri) solo paesi come Ungheria, Slovacchia, Polonia, Croazia e Austria, tradizionalmente chiusi verso le migrazioni, sono sulla stessa posizione attuale di chiusura dell’Italia. L’Italia di oggi dall’inizio degli anni settanta (ovvero da cinquant’anni), da Paese di emigrazione (con oltre 6 milioni di italiani all’estero e oltre 60 milioni di oriundi d’Italia) è diventata Paese di immigrazione, con oltre 5 milioni di stranieri legalmente residenti, molti dei quali nati in Italia, a cui la vigente legge sulla cittadinanza italiana impedisce il diritto a partecipare pienamente alla vita pubblica. Nello stesso tempo, come ci ricordano tutti gli studi sulla materia, l’Italia vive forte diminuzione del tasso di natalità avviandosi verso un crollo demografico che si accompagna a un forte invecchiamento della popolazione; due fattori che agiscono a tenaglia mettendo in pericolo il suo futuro sia sotto il profilo economico ma anche sotto il profilo della tenuta sociale. Per affrontare questo drammatico scenario non servono più stranieri posti ai margini della società come fossero solo braccia od ospiti permanenti, ma servono nuovi cittadini che hanno deciso di scegliere l’Italia come paese nel quale vivere e radicare il loro futuro e quello dei loro figli. Tutte le democrazie più solide sono quelle che sono capaci di includere nuove persone, sono aperte alla mobilità e guardano al futuro e non al passato. Non dimentichiamo anche sui nostri territori, i numerosi appelli di imprese associazioni di categoria, in merito alla necessità di nuovi lavoratori e lavoratrici, per permettere anche al nostro tessuto produttivo di crescere, come non dimentichiamo le esperienze già in atto di inclusione di giovani stranieri accolti e formati da paesi extra UE. La nuova legge sulla cittadinanza che si vuole ottenere tramite il referendum, correggerebbe una disciplina che risulta ormai anacronistica, non giusta, oltre che autolesionista, contrastando il declino del nostro Paese. Non si tratta di benevolenza verso gli stranieri ma di una scelta di futuro per tutti gli italiani.