VACCINI PER TUTTI

O ci si salva insieme o non si salva nessuno
Maurizio Salvi (ROCCA 1 gennaio 2022)

H a molto esitato il segretario ge­nerale dell’Onu, Antonio Guter­res, quando giorni fa gli hanno comunicato che era pronta per lui nel Palazzo di Vetro la terza dose, il ‘booster’ (rinforzo), del­la sua vaccinazione contro il Covid-19. Un improvviso sussulto? Un ripensamento sul­la necessità, o l’opportunità del gesto? «Nien­te affatto – si è affrettato a spiegare ai gior­nalisti il suo portavoce, Stéphane Dujarric – solo una manifestazione di ‘grande soffe­renza’ nel compiere la ‘difficile’ scelta di fronte a quella che ha definito l”orrenda’ si­tuazione globale dei vaccini, e anche come gesto simbolico di solidarietà con l’Africa».
L’esitazione di Guterres
Pochi giorni prima, infatti, Guterres aveva partecipato insieme al presidente della Com­missione dell’Unione africana (Ua), Mussa Faki Mahamat, ad una conferenza stampa in cui aveva avuto l’opportunità di constatare ancora una volta il forte ritardo del processo di vaccinazione nei Paesi in via di sviluppo, ed in particolare in Africa. In questo conti­nente, diciamolo subito, solo meno del 6% delle persone ha potuto finora vaccinarsi con due dosi, quando tale percentuale è dieci volte maggiore nelle Nazioni più sviluppate, fra cui quelle che fanno parte del G20.
Se piove sul bagnato
Ci sono diversi elementi che possono aiuta­re ad analizzare questa emergenza. Primo fra tutti il contesto generale in cui essa si è manifestata: una grande depressione eco­nomica mondiale, ulteriormente acuitasi negli ultimi due anni, con gravi riflessi sulle risorse che gli Stati dedicano alla salute e al sostegno delle fasce più deboli della popola­zione. Poi un altro più specifico, che riguar­da le decisioni adottate dai governi dei Pae­si sviluppati. Essi hanno scelto, senza trop­po riflettere sull’opportunità di misure di ampio respiro internazionali, di stringere un patto di ferro con un gruppo di potenti com­pagnie farmaceutiche occidentali, specializ­zate nella produzione dei farmaci immu­nizzanti: le statunitensi Pfizer/BioNTech, Mo­derna e Johnson & Johnson, e l’europea Astra­Zeneca. Risultato di tale accordo è stato un accaparramento di grandi quantità di vacci­ni pagati in valuta pregiata e a prezzi di mer­cato, impedendo di fatto alle Nazioni di red­dito medio e basso di accedere alla riparti­zione dei farmaci necessari ad assistere effi­cacemente i propri cittadini. Certo, per tute­lare queste ultime Nazioni, nell’aprile 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità(Oms), la Commissione europea e la Francia, hanno dato vita al sistema Covax con il proclamato obiettivo di «coordinare le risorse internazio­nali per consentire l’accesso equo a diagnosi, trattamenti e vaccini anti Covid-19». Sono do­vuti passare dieci mesi prima che qualcosa accadesse, perché il primo Paese che ha be­neficiato di questo programma è stato il Ghana che solo il 25 febbraio 2021 ha rice­vuto un contingente di 600 000 vaccini. Sulla carta Covax è una Alleanza di 190 Paesi, im­prese farmaceutiche, fondazioni e organiz­zazioni del sistema delle Nazioni Unite, im­pegnati a garantire una distribuzione equa­nime di due miliardi di dosi di vaccino entro la fine del 2022. Ma le statistiche ci dicono purtroppo che quest’anno la sua azione si è chiusa con una consegna a 144 Paesi di appe­na 560 milioni di quelle dosi.
Cosa ci ricorda la variante Omicron
Ovviamente negli ultimi mesi del 2021 il tema Africa è divenuto, con la comparsa della variante Omicron della Sars-CoV-2, la chia­ve di volta delle analisi politiche, economi­che e scientifiche sulla pandemia. In sintesi la localizzazione di questa nuova mutazio­ne del virus ha mostrato più di ogni altro argomento la grande distanza esistente fra i propositi di contrastare in modo corretto il coronavirus a livello planetario, e quello che realmente si è fatto nell’ultimo biennio. Le molte parole pronunciate nei consessi inter­nazionali-e non tradotte in azioni concre­te- sulla necessità di assistere i Paesi in via di sviluppo hanno finito per ritardare quel­la che è ancora oggi una inevitabile presa di coscienza: dai gravi danni che sta causando il Covid-19, o si salva tutta insieme la popo­lazione del pianeta, o non si salva nessu­no». In questo senso si è espresso lo stesso direttore generale dell’Oms, Tedros Ghe­breysus, per il quale l’insufficienza della copertura vaccinale e del livello di control­lo sanitario, in particolare in Africa, «è una ricetta perfetta per la creazione e lo svilup­po di varianti». E così per il momento la comunità internazionale appare molto lon­tana dal reperimento di una intesa per af­frontare globalmente un efficace pro­gramma di contrasto del virus e delle sue mutazioni. Allontanando per un momento lo sguardo dal Continente Nero, possiamo constatare che la percentuale delle vacci­nazioni è progredita velocemente nelle Americhe, in Europa, e anche in Asia. In quest’ultimo continente lo scenario si pre­senta però più articolato. Per esempio Cina, Giappone e Corea del Sud hanno vaccinato la maggioranza della loro popolazione, fino a livelli del 60%. Ma questo non è avvenuto in Nazioni asiatiche fortemente popolate, come Myanmar (Birmania), Pakistan e Ban­gladesh, che non hanno neppure raggiunto il 40% dei loro abitanti con la prima dose di vaccino. Estendendo questa valutazione a tutto il Terzo Mondo, l’anno si chiude con appena un 25% della popolazione che ha ri­cevuto solo la prima parte di una necessa­ria immunizzazione.
Perché non si liberalizzano i brevetti
Neppure il consolidamento nel mondo della variante Omicron in Africa è servita, a quan­to pare, a prendere coscienza dell’urgenza di rafforzare l’intervento sanitario nei Paesi più poveri, e a spingere quindi i governi del Primo Mondo a cambiare rotta, adottando decisioni drastiche di invio non solo di vacci­ni, ma anche di materiale utile a rafforzare infrastrutture grazie a cui le equipe medi­che possono raggiungere i luoghi più remoti della terra. L’assenza di una volontà positiva è stata denunciata da numerose organizza­zioni umanitarie di tutto il mondo e anche dall’associazione People’s Vaccine Alliance, creata allo scoppio della pandemia. La man­canza di progressi è dovuta, secondo questa alleanza, a due fondamentali ragioni. La pri­ma riguarda la necessità dei governi dei Paesi sviluppati di mostrare alle loro opinioni pubbliche sforzi efficaci, rapidi e concreti di tute­la della salute collettiva, a fini di reddito elet­torale. La secon­da è invece lega­ta alla «voraci­tà» delle case farmaceutiche, soprattutto sta­tunitensi, che nell’ultimo anno hanno moltipli­cato a ritmi esponenziali i loro profitti trattando con interlocutori che non esitano a sborsare qualsiasi cifra pur di ottenere la massima quantità possibile di dosi di vaccino. Società, inoltre, che appaiono sor­de alle sollecitazioni provenienti da molte parti, in primo luogo da Sudafrica e India, di facilitare la fabbricazione dei farmaci immu­nizzanti in Paesi del Terzo Mondo, rimuoven­done i brevetti. Una ipotesi a cui, non tanto a sorpresa, purtroppo, si oppone anche l’Ue. La partita è finanziariamente di tale impor­tanza che le compagnie farmaceutiche l’han­no volentieri trasformata anche in un capito­lo del confronto/scontro politico esistente oggi fra Occidente e potenze asiatiche, visto i for­ti ritardi accumulati nell’autorizzazione in Europa e negli Stati Uniti di efficaci vaccini di produzione russa (Sputnik V) o cinese (Si­nopharm), per non parlare di quelli cubani (Soberana 2 e Abdala). Così negli ultimi mesi questa corsa all’accumulazione di immuniz­zanti ha messo a nudo paradossali situazio­ni: l’esistenza di forti eccedenze di dosi che non vengono utilizzate e rischiano di finire al macero per scadenza, e l’invio in fretta e furia di esse, come ‘doni’, a Paesi in via di sviluppo che non riescono però ad utilizzar­le al meglio nei tempi brevi disponibili per l’inoculazione. E allora, ci ha ricordato la Peo­ple’s Vaccine Alliance, che «mentre Paesi come il Regno Unito e il Canada hanno rice­vuto dosi sufficienti per raggiungere la loro intera popolazione, l’Africa subsahariana è stata in grado di vaccinare solo una persona residente su otto». E perfino che il numero di coloro che «sul territorio britannico han­no ricevuto la terza dose di richiamo, è quasi uguale al totale delle persone completamen­te vaccinate in tutti i Paesi più poveri del mon­do».


Vedi anche : https://www.intersos.org/o-i-brevetti-o-la-vita-vaccini-per-tutte-e-tutti/