13 dicembre 2020. Domenica Avvento 3
IL MERAVIGLIATO

Un’antica tradizione francese provenzale pone in ogni presepe, tra le statuine, quel personaggio che si chiama IL MERAVIGLIATO: egli non fa altro che allargare le braccia e spalancare gli occhioni su quel bambino. Arriva davanti a Gesù con le mani vuote; si dice che gli altri lo rimproverino, ma Maria gli dice: «Non ascoltarli. Tu sei stato messo sulla terra per meravigliarti. Il mondo sarà meraviglioso, finché ci saranno persone come te, capaci di meravigliarsi».

Preghiamo. O Dio, Padre degli umili e dei poveri, che chiami tutti gli uomini a condividere la pace e la gioia del tuo regno, mostraci la tua benevolenza e donaci un cuore puro e generoso, per preparare la via al Salvatore che viene. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Dal libro del profeta Isaìa 61,1-2.10-11
Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore. Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti.
Lc 1. La mia anima esulta nel mio Dio.
L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono.
Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési 5,16-24
Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male. Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,6-8.19-28
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».  Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».  Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

IL MERAVIGLIATODon Augusto Fontana
Io gioisco pienamente nel Signore, il mio spirito esulta in Dio…
Un’antica tradizione francese provenzale pone in ogni presepe, tra le statuine, quel personaggio che si chiama il meravigliato: egli non fa altro che allargare le braccia e spalancare gli occhioni su quel bambino. Arriva davanti a Gesù con le mani vuote; si dice che gli altri lo rimproverino, ma Maria gli dice: «Non ascoltarli. Tu sei stato messo sulla terra per meravigliarti. Il mondo sarà meraviglioso, finché ci saranno persone come te, capaci di meravigliarsi».
Il meravigliato, mi provoca a chiedermi se sono disposto a lasciarmi contagiare dalla gioia che sembrerebbe essere la nota caratteristica di questa terza tappa dell’Avvento. Non è una domanda retorica e la risposta non è per niente scontata, soprattutto in questa drammatica pandemia che ci obbliga alla mascherina ma anche a togliere la maschera al Natale per vederne, se possibile, il suo vero volto. Senza piagnistei. Innanzitutto perché, come diceva Nietzche, a vedere le facce dei cristiani quando escono dalla Messa, non sembrerebbe che ci sia stata alcuna buona notizia e che Qualcuno abbia cambiato le loro vite. Poi perché in Sudan sono migliaia i poveri massacrati e 80 milioni sono i profughi che stanno vagando, come uno sciame d’api impazzite, alla ricerca di rifugio e cibo[1]; inoltre la crisi pandemica ha messo sul lastrico anche molte famiglie dei paesi industrializzati e si calcola che i disoccupati mondiali siano 195 milioni e dietro ciascuno c’è una famiglia. Vista, da questo versante, la storia contemporanea non ci offre esuberanti motivi di gioia.  Ma nelle pieghe di queste piaghe intravedo laici volontari, 1400 onlus italiane, medici e infermieri, missionari e suore correre, soccorrere, rischiare, restare. E tutto nell’apatia o nella paralisi per non sapere che fare, nella chiacchiera solenne di proclamazione dei Diritti dell’uomo a cui non fa seguito alcuna politica efficace e alcuna personale pratica messianica.
Di chi e di cosa meravigliarsi in questa liturgia?  Dove il Signore “ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”? Chi fra noi sente la coscienza personale di essere “consacrato” per essere voce di una Parola, sandalo di un Messia, dito di una direzione?
Il Canto del liberatore e dei suoi liberati.
In questi tempi barbari, a qualcuno di noi verrebbe voglia, alla lettura dei versetti biblici di Isaia 61, di accantonarli come poesia evasiva o ingenua illusione. Qualche altro potrebbe, invece pensare che essi siano stati composti in un momento in cui c’era il vento in poppa e tutto lasciava intravedere un futuro felice. Le cose in realtà non stavano così. Come abbiamo detto domenica scorsa, l’anonimo profeta (appartenente alla “scuola” di Isaia) scrive queste righe mentre si trova coinvolto in un contesto si estrema depressione fra gli esiliati a Babilonia o fra i rientrati a Gerusalemme. Scopre di essere, anche dentro questo “paesaggio” desolato, pieno di gioia. Da dove viene a lui questa speranza e fiducia? Non certo dalla sua faciloneria, incoscienza o carattere ottimista né, tanto meno, dall’estraneità al dolore del suo popolo. Nulla forse può spiegarcelo meglio delle stesse parole del profeta:  «lo spirito del Signore mi ha investito (unto) e mi spinge». E così anziché incrociare le braccia, piangersi addosso, pensare solo a sè o recitare la parte del gufo tra le macerie, il nostro profeta si mette in azione. Egli cerca di riaprire dei solchi là dove la terra sembra essersi chiusa nell’aridità.
Dio in ritardo.
Le premesse e le promesse ci sono. Ma ritardano.  Dio tarda! E’ Parola di Dio che “Dio tarda”: «Dio, tu ci hai respinti, ci hai dispersi; ti sei sdegnato: ritorna a noi» (Salmo 59,3).  Non è una calunnia a Dio, una bestemmia. Dio è ben lontano dalla logica del “tutto e subito”. Ma in realtà come si fa a benedire Dio che sembra non ascoltare mai le preghiere o benedire gli sconfitti, coloro che lottano per un pezzo di patria o per un letto o per un pezzo di pane? La Chiesa non sa più benedire così lo scandalo della Croce su cui Dio resta inchiodato alla sorte di coloro che vediamo perdenti. Dio tarda, Dio è sempre in ritardo ed è Lui stesso a dircelo: «Il regno dei cieli è simile a dieci vergini… Poiché lo sposo tardava si assopirono tutte..» (Mt 25, lss)….Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli… Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “il padrone tarda a venire ” e cominciasse a percuotere i servi e le serve… il padrone arriverà nel giorno che meno se lo aspetta e in un’ora che non sa» (Lc 12,22ss).
“Signore che tardi”, non tardare, vieni presto in nostro aiuto. Signore, senti come gridano i secoli? Non solo il grido di Sodoma e Gomorra sale come il grido della colpa dell’uomo ma sale anche il grido dei “feriti”, trafitti dal Tuo costante ritardo. Tu che dici “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto, domandate e riceverete”, tu tardi nel dare, nell’aprire, nel donare, Tu che dici di fare giustizia prontamente[2], guarda quanti supplicano e restano travolti dal dolore e Tu, Signore, sei in ritardo e in silenzio.  “Dio che tardi”, dove sei tra milioni di grida che si spengono mentre Tu tardi? Siamo percossi e percuotenti, giudici iniqui e vedove importune, siamo vergini stolte e vergini sagge, siamo grida di fronte al tuo silenzio. Vieni non tardare perché muore la fedeltà a Te e alla tua Parola.  Allarghiamo le narici per riempirle al profumo dell’incenso, ma serriamo il naso all’odore dell’uomo “ferito”, non riempiamo la nostra anima di lui perché non è incenso ma piaga.  E tu ritardi e in noi cresce la confusione. Consacriamo frammenti del Tuo Pane ma abbiamo anche banche per tenere in disparte briciole di pane rubate ai poveri.  Dove sei “Signore che tardi”?
Dio tarda e tarda mentre percorriamo vie che a volte sembrano allontanarci da Lui e tarda e tace ma affonda nella terra le nostre radici e, per percorsi a noi sconosciuti, conduce alla salvezza: «Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia».
Tu chi sei?[3]
Giovanni è il testimone, il “meravigliato”. Uno che ha visto, ricorda e racconta come testimone di un fatto. Subisce una domanda incalzante che l’evangelista mette in bocca all’accusa, in questo solenne processo verso Giovanni e tra poco verso Gesù stesso. Di fatto il «Chi sei?» non è una domanda per dialogare, ma un interrogatorio per accusare. L’interrogatorio scivola lentamente da Giovanni a Gesù, alla chiesa, a me, a te: «Chi sei?…Che cosa dici di te stesso?».
La testimonianza di Giovanni inizia con 3 «no» o negazioni: «Io non sono». Per l’evangelista solo Gesù potrà usare il Nome di Dio: «IO-SONO». L’evangelista è così attento a questo particolare che quando Giovanni si autodefinisce «VOCE», l’evangelista gli cancella dalla bocca il verbo “sono”; il testo greco suona infatti così: «Io, voce (egô fônê) ». Il testimone, la chiesa, io e te ci possiamo definire solo come “eccentrici”, cioè fuori dal centro o, se vuoi, centrati su un altro. Geograficamente la zona d’azione di Giovanni è «al di là del Giordano», cioè ancora al di là del confine della Terra Promessa. La chiesa, io e te, operiamo sulla soglia, nella vigilia, nei pressi; ma chi conduce la gente alla Terra Promessa sarà poi Gesù, quando si deciderà a passare il Giordano e a traghettarci con lui. L’identità di Giovanni è fatta di voce che veicola la Parola: «Bisogna che egli cresca e che io diminuisca» (Gv 3,13).  Ma Giovanni si identifica anche con la voce del Libro della Consolazione di Isaia, che si rivolgeva ai deportati per incoraggiarli a un nuovo esodo, questa volta per ritornare. Viene definito «un uomo», un uomo-fratello. Gli costerà caro. I profeti soffrono di una “malattia professionale”: la decapitazione. Era  – ed è sotto altra forma – l’unico interruttore capace di spegnere voci scomode. Il rapporto tra profezia e Istituzioni è – e sarà – sempre critico.

Mi fermo qui. In questa terza domenica di avvento incalzano due domande. Una a Dio: «Dove sei, Signore, che ritardi di fronte alle promesse che hai fatto ai poveri della terra»?. E una domanda inquisitoria giunge a me dal grido della terra e dal sussurro del cielo: «E tu chi sei, di fronte al popolo devastato che ha sete di un Messia vero che lo liberi dalle profonde piaghe del suo esilio?». Chi fra noi sente la coscienza personale di essere “consacrato” per essere voce di una Parola, dito di una direzione, sandalo di un Messia?


[1] Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. 
[2] Luca 18:7-8 «E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». 
[3] Elaborazione da S. Fausti, UNA COMUNITA’ LEGGE IL VANGELO DI GIOVANNI Vol. 1, Ed. EDB.

image_pdfScarica PDFimage_printStampa