Il brano di Matteo appartiene al cap. 18, che raccoglie una serie di istruzioni pastorali sull’amore interno alla chiesa: non scandalizzare i piccoli, andare a cercare la pecora perduta, saper correggere il fratello…La parabola di oggi è rivolta alla chiesa e non intende dettare regole per la società la quale ha i propri Codici per amministrare la giustizia. I versetti dal 21 al 35 concludono questo messaggio con una particolare accentuazione sul “perdonare”: parola molto usata ma spesso di difficile applicazione.
Preghiamo. O Dio di giustizia e di amore, che perdoni a noi se perdoniamo ai nostri fratelli, crea in noi un cuore nuovo a immagine del tuo Figlio, un cuore sempre più grande di ogni offesa, per ricordare al mondo come tu ci ami. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del Siràcide 27,33-28,9
Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio? Chi espierà per i suoi peccati? Ricòrdati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.
Salmo 102 Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia.
Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 14,7-9
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
Dal Vangelo secondo Matteo 18,21-35
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
DIO PERDONA. IO NO. Atto secondo. Don Augusto Fontana
Il brano di Matteo appartiene al cap. 18, che raccoglie una serie di istruzioni pastorali sull’amore interno alla chiesa: non scandalizzare i piccoli, andare a cercare la pecora perduta, saper correggere il fratello…La parabola di oggi è rivolta alla chiesa e non intende dettare regole per la società la quale ha i propri Codici per amministrare la giustizia. I versetti dal 21 al 35 concludono questo messaggio con una particolare accentuazione sul “perdonare”: parola molto usata ma spesso di difficile applicazione.
La struttura del brano.
Il brano può essere diviso in due parti: il dialogo con Pietro e la parabola del servo disonesto. La parabola, poi, a sua volta, è divisa in 3 scene: nel palazzo il padrone con il servo; in strada il servo col suo collega; nel palazzo di nuovo il padrone con il servo.
E poi la parabola si chiude con una “promessa” che nel Padre nostro diventa preghiera: «Padre, rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori».
La narrazione si regge sul contrasto tra l’agire di Dio verso l’uomo e quello dell’uomo verso gli altri uomini. Le parabole ricorrono frequentemente al contrasto paradossale perché il Vangelo è una novità che spezza il corso regolare e prevedibile delle cose e contrasta con la consuetudine. Fra il mondo di Dio e il nostro si verifica spesso una contrapposizione.
«Quante volte dovrò perdonare?».
Pietro, dopo aver ascoltato il messaggio precedente di Gesù ha un problema molto concreto: ma quante volte occorre perdonare?
Nell’Antico Testamento si racconta un evento (in Genesi 4) da cui Gesù (e Matteo) trae spunto: Caino, dopo aver ucciso Abele, riconosce la colpa davanti al Signore il quale gli promette: «Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte». Gesù dice di perdonare non sette volte, non settanta volte, ma 70×7=490 volte. Alla vendetta sproporzionata, un perdono illimitato. Luca 17,4 ha una propria versione del perdono: «E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice «Mi pento», tu gli perdonerai».
...il regno dei cieli è simile a… Il comportamento di Dio.
Nella prima scena tutto sembra inverosimile.
- Il debito contratto dal servo è di proporzioni irreali (10.000 talenti pari a 164 tonnellate d’oro).
- Il servo ha supplicato un rinvio del pagamento («Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò tutto») e si è visto cancellare l’intero debito («lo lasciò andare e gli condonò il debito»). La risposta di Dio è sempre oltre la misura delle aspettative, oltre il ‘giusto’.
- Nulla viene detto sulle qualità del servo, se buono e fedele, se abile nel lavoro, se ha reso grandi servizi al suo padrone. Si dice soltanto che ha «supplicato» appellandosi alla magnanimità (makrothumia= animo largo) del padrone, lo ha pregato come si prega una divinità inginocchiandosi (proskunein).
Il comportamento di Dio appare sempre esagerato. Mancasse questa esagerazione, immagineremmo l’agire di Dio come una copia del nostro. Il paradosso è un tratto che spesso l’evangelista utilizza per attirare l’attenzione sulla diversità di Dio. Per qual motivo il padrone perdona il debito? Il Vangelo scrive: “Impietositosi…” (v. 27. Nel testo greco, è una parola tipica dell’amore materno: una commozione viscerale. È il verbo del buon Samaritano e del padre del figlio prodigo. Un verbo che esprime non solo un’emozione, ma comportamenti concreti.
...il regno dei cieli è simile a…Il comportamento dell’uomo.
La seconda scena della parabola ci riporta nel mondo degli uomini. La relazione è fra uomo e uomo. Se leggessimo questa parte della parabola senza aver letto la precedente, saremmo certamente tentati di concludere: è giusto che il denaro prestato venga restituito; il servo che vuol farsi restituire il proprio denaro forse ha sbagliato i modi, ma ha sostanzialmente ragione. Tutto si capovolge, se osserviamo il comportamento di questo servo alla luce dell’antefatto: a lui, per primo, è stato condonato un debito immenso; ora non è capace di una piccola dilazione di tempo né, meno ancora, di un condono (100 denari, pari a 30 grammi d’oro). E così ciò che prima pareva normale diventa incomprensibile, del tutto ingiusto. La parabola mira esplicitamente a porre in risalto un antefatto che cambia tutto: cioè guardare le cose a partire dalla «lieta notizia» del perdono immenso di Dio.Il perdono non ha rigenerato il servo, né l’incontro con la gratuità gli ha allargato lo spirito. Non ha capito che accettare di essere perdonati significa entrare in un circolo nuovo di rapporti, nel quale i criteri della cosiddetta “giustizia” diventano subito inadeguati. Se dimentichiamo che noi siamo stati – per primi – perdonati, gratuitamente amati, non comprendiamo più nulla né del perdono di Dio né del nostro perdono verso i fratelli. E diventiamo inevitabilmente difensori della rigida giustizia, al punto da volerla imporre anche a Dio. Anziché essere annunciatori del volto nuovo e sorprendente del Dio di Gesù, si diventa annunciatori ripetitivi di una figura ovvia di Dio, rigida, triste, troppo simile a come gli uomini se la immaginano per avere la forza di stupirli e affascinarli.
un finale che …corregge la parabola. Perche’?
Nel terzo quadro della parabola l’atteggiamento del padrone si capovolge: alla misericordia subentra la severità. Il motivo è che il servo non si è comportato come lui: «Non dovevi anche tu aver compassione del tuo compagno come io ho avuto compassione di te?». La generosità del padrone non ha introdotto alcuna novità nel comportamento del servo. Si direbbe una generosità sprecata. E la storia finisce così: «Il padrone, adirato, lo consegnò agli aguzzini, finché non avesse pagato tutto il debito». Se la parabola terminasse qui, potremmo intitolarla: «Storia del fallimento della generosità di Dio». L’uomo non si lascia rinnovare da Dio.
«Così anche il Padre mio celeste farà a voi, se non perdonerete di cuore ciascuno al proprio fratello». L’affermazione che conclude la parabola – probabilmente dovuta all’evangelista Matteo – appare come un ritorno ad un rapporto non gratuito ma calcolato e tradizionale (se ti penti ti perdono…). Il perdono fraterno sembra diventato la condizione per ottenere il perdono di Dio. Non è più la incondizionata misericordia di Dio a guidare il discorso, ma il perdono dell’uomo: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. La parabola si è capovolta (con soddisfazione dei moralisti!). Letta in questo modo, la parabola non ha più nulla che trascende il nostro modo di pensare. La ragione del nostro perdono non è più un perdono già ricevuto, ma il timore di non essere perdonati. C’è nell’uomo – anche nell’uomo credente – una sorta di inerzia che è difficile smuovere. La novità non si fa mai subito strada in mezzo ai vecchi schemi. Matteo aggiunge dunque un ‘correttivo’ che ritiene necessario a seguito delle perplessità e dei problemi della sua comunità (e della nostra?).
Un messaggio praticabile?
La parabola del servo e del padrone offre un messaggio praticabile? Diciamo subito che la parabola non intende indicare una norma. Rivela anzitutto come Dio si pone davanti all’uomo. È strano che non si dica come ci si debba porre, a nostra volta, davanti a Lui, bensì come collocarci davanti al fratello. L’amore di Dio non è circolare, ma espansivo. È nella linea della gratuità, non della reciprocità. Questo è il nucleo. La parabola non afferma che il perdono illimitato debba essere un articolo della Costituzione degli Stati. Tuttavia, dice che ‘questo‘ farebbe Dio. E’ un invito forte al discepolo perché allarghi lo spazio del perdono, e non della ferrea giustizia, anzitutto nella comunità ecclesiale (Mt 5,23-24: Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono); ma anche nel mondo.
PER APPROFONDIRE.
1° dubbio: «ma io mi sento così perdonato dal Padre?».
2° dubbio: «Come, dove, quando posso, da cristiano, conciliare perdono e giustizia?». «Il perdono non elimina né diminuisce l’esigenza della riparazione, che è propria della giustizia».[1]
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[1] Messaggio di Giovanni Paolo II per la 30° Giornata mondiale della Pace 1 gennaio 1997: “Offri il perdono, ricevi la pace”.