E’ inutile gonfiare i pettorali per far paura al nostro pianeta. Siamo un’inezia nel cosmo, a rischio di apocalisse: «Signore, che cos’è un uomo perché te ne curi? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa» (Salmo 143, 3-4). I testi biblici di oggi (Daniele 12 1-3; Marco 13, 24-32) abbondano di visioni apocalittiche che solleticano paure e sollecitano sapienze.
Domenica 33°
Preghiamo. Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura. Per Gesù Cristo nostro Signore.
Dal libro del profeta Daniele 12,1-3
In quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
Sal 15 Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra non posso vacillare.
Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.
Dalla lettera agli Ebrei 10,11-14.18
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici, perché essi non possono mai eliminare i peccati. Cristo al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre, si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai soltanto che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un’unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Ora, dove c’è il perdono dei peccati, non c’è più bisogno di offerta per essi.
Dal Vangelo secondo Marco 13, 24-32
Disse Gesù ai suoi discepoli: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l’estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
[Testo finale del capitolo, non proclamato nella liturgia odierna: State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».]
(Consiglio di leggere, prima del seguente commento, l’intero il capitolo 13 di Marco).
CONTEMPORANEI DEL FUTURO. Don Augusto Fontana
Il suolo della storia è vulcanico.
E’ inutile gonfiare i pettorali per far paura al nostro pianeta. Siamo un’inezia nel cosmo, a rischio di apocalisse: «Signore, che cos’è un uomo perché te ne curi? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa» (Salmo 143, 3-4). I testi biblici di oggi (Daniele 12 1-3; Marco 13, 24-32) abbondano di visioni apocalittiche che solleticano paure e sollecitano sapienze. Il linguaggio biblico apocalittico non ci appartiene più; forse serve solo a scenografi di kolossal catastrofici. Le geremiadi sulla fine del mondo fanno sorridere i terrapiattisti (Flat Earthers), lasciano inebetiti i giovani di Greta Thunberg, non fanno certo lacrimare i potenti di Cina, Russia, India, Brasile. E’ facile scadere in interpretazioni riduttive sulla fine del nostro pianeta o cadere in esortazioni vagamente spiritualistiche. La cultura e la spiritualità della “soluzione finale” e del millenarismo – peculiari di Mormoni, Testimoni di Geova o Avventisti del Settimo giorno – stanno espandendosi dal Nord-America in Europa. Anche tra i cattolici si sta sviluppando un certo interesse per il futuro del mondo a partire dai disastri ecologici frequenti, dai permanenti conflitti armati, dalla diffusione di minacciose epidemie, dall’infettante nichilismo nella vita e nel lavoro. Nei paesi ricchi questi problemi vengono annegati nell’affarismo e nel consumismo; nei paesi poveri prevalgono problemi contingenti di sopravvivenza. Tutti, in ogni caso, ci difendiamo bevendo il calice dolce o amaro di ciò che il convento passa giorno per giorno, senza eccessive preoccupazioni di giudizi finali o di capovolgimenti improbabili. Oggi si tratta di capire se l’annuncio cristiano è un annuncio tenebroso e malaugurante della fine delle cose o un invito a buttarsi in una trasfigurazione in atto.
Scrive Olivier Clément (Il potere crocifisso, Qiqajon, Bose, 1999, passim): «“Il suolo della storia è vulcanico” diceva Berdjaev. Lo studio dei movimenti del sottosuolo c’insegna che uno spostamento di alcuni millimetri negli strati profondi della scorza terrestre provoca un terremoto in superficie. Il contemplativo immerso nel silenzio e ogni atteggiamento di preghiera, di apertura al mistero, provocano nella storia un’irruzione dell’eternità e permettono quelle creazioni di vita e di bellezza che, a loro volta, terranno desti i cuori. Il cristianesimo del XXI secolo non sarà né un moralismo, né un pietismo, ma l’annuncio della vittoria di Cristo sulla morte e sull’inferno. Il cristianesimo sarà sempre di più un fermento, una luce, un esempio che non impone nulla, che si presenta nell’umiltà; una profezia capace nel contempo di contestare gli idoli e di aprire le vie dell’avvenire».
Si tratta di capire se ciò che io spero, determina la qualità e il senso di ciò che io vivo: «Nel profondo dell’inverno ho imparato che dentro di me riposa un’estate invincibile» (Albert Camus, Invincibile estate).
Linguaggi esotici e messaggi in codice per opportuni risvegli.
La Parola di Gesù è stata codificata, dalle prime generazioni cristiane, come Buona notizia (Euanghelion). Non si può dire, a cuor leggero, che gli annunci apocalittici siano belle notizie, tuttavia contengono una verità da cui è bene non prendere eccessive distanze; è proprio passando attraverso la cruna d’ago della verità inaccettabile della fine delle cose che si può capire la novità del Vangelo che ha dell’incredibile: «Allora vedranno il Figlio dell’Uomo venire…Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Marco 13, 26.31).
Chi se la passa bene non invoca certo la fine della goduria: «Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo» (Matteo 24, 37-39). Chi è pressato da persecuzioni, fallimenti e dolori, come le comunità tribolate del profeta Daniele e dell’evangelista Marco, tende l’orecchio e punta gli sguardi verso promesse che tardano e consolazioni che giungono da lontano: «Coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa gridarono a gran voce: “Fino a quando, Signore santo che mantieni le promesse, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue?”» (Apocalisse 6, 9-10).
Agli uni e agli altri, ai buontemponi e agli afflitti, il profeta evangelizzatore rivolge la parola di risveglio, di vigilanza, di coraggio e consolazione. Usa toni, registri, tecniche comunicative, modulazioni di voce diversificate secondo i destinatari e il contesto. Tra questi linguaggi esortativi se ne distinguono due dal sapore un po’ esotico: il linguaggio escatologico e quello apocalittico. Con l’uno si sussurra, con l’altro si grida.
Il linguaggio escatologico ha una visione solenne dell’éscaton, della “soluzione finale”, ma è improntato alla sobrietà narrativa e accompagnato da un giudizio realistico ma positivo verso il tempo presente. Non c’è nessun cedimento alla curiosità del quando. L’uomo resta corresponsabile della storia.
Il linguaggio apocalittico, invece, è meno discreto, esaspera i toni drammatici e gli elementi catastrofici; è più venato di pessimismo sul tempo presente e quasi ossessionato dal futuro, dal come e dal quando: vorrebbe “togliere il velo” ad ogni costo e il più in fretta possibile. L’uomo viene quasi ridotto a comparsa di una storia dove l’azione esclusiva sarebbe di Dio.
Così l’autore del Libro di Daniele scrive al tempo della persecuzione degli anni 165-164 a.C. nel periodo nero del Regno di Antioco IV Epifàne. Per sapere come andrà a finire, l’autore si colloca in modo fittizio in un altro tempo difficile del passato e cioè all’esilio di Babilonia (587-538). Ripercorre rapidamente quel periodo, cerca di scoprire le grandi leggi dell’agire di Dio e della sua fedeltà e, poggiandosi su questa pedana, fa un salto in avanti nel tempo e descrive come si concluderà la persecuzione attuale. Egli, di fatto, ignora la conclusione della vicenda, ma conosce solo una cosa: che Dio è fedele. Nel Capitolo 13 di Marco (capitolo che invito a leggere per intero) sono presenti alcuni tratti “apocalittici” (guerre, terremoti, carestie, catastrofi cosmiche, persecuzioni), ma formano solo la cornice. Si capisce subito che il messaggio centrale non si può confondere con questi elementi: basti pensare all’insistente esortazione alla vigilanza, che è poi un richiamo all’impegno nella storia, purchè tale impegno venga vissuto secondo le prospettive, la traiettoria e la meta indicate da Dio.
AAA. Cercasi bussola.
All’interno di questi messaggi apocalittici siamo alla ricerca di buone notizie. Quattro annunci emergono dall’amalgama apocalittico della Liturgia odierna:
– Di fronte alle nostre collettive sicumere culturali e progressiste ed anche di fronte al nostro personale affannarci per rincorrere gli accessori della vita, oggi prendiamo contatto con una parola semplice e sapienziale dell’Evangelo: cielo e terra passeranno. Il nostro ambiente vitale è provvisorio: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso» (Luca 21,34).
– Ci perviene anche un telegramma: Il regno di Dio (Gesù) è fra di noi. Questa realtà, questa presenza, che sfida tutti i catastrofismi personali e cosmici non dobbiamo cercarla oltre, ma attorno a noi, dentro di noi. In mezzo alle tante incertezze Gesù offre un terreno solido su cui la comunità potrà poggiare i piedi: le mie Parole non passeranno.
– Un’altra parola risuona importante: è inutile interrogarci sul come e sul quando. Una madre incinta sente il bimbo muoversi e ha fatto i suoi conti sul periodo probabile di nascita, ma la data e l’ora precisa non può determinarla. Il problema non è il “quando”, ma il farci trovare pronti. Il credente sa che ogni istante è il tempo favorevole per prendere una decisione e dare una risposta. In ogni momento presente si gioca il futuro.
– Poi c’è l’invito finale per l’atteggiamento da tenere: vigilate! Lo strumento di rotta del cristiano non è il calendario o l’oroscopo, ma la bussola: il Regno di Dio lancia segnali magnetizzati dai punti cardinali delle sue presenze. Per vigilare occorre anche non lasciarsi ingannare, non lasciarsi scoraggiare, non lasciarsi prendere alla sprovvista, non appesantirsi di accessori inutili. La vigilanza responsabile esclude il fanatismo apocalittico, la narcosi spiritualistica o l’iperattivismo. La vigilanza comporta – come dice la parabola del portinaio – vivere svegli, nella fatica e nel servizio. La vigilanza è l’arte di essere puntuali agli avvenimenti decisivi dell’esistenza.
Una bussola e una manciata di semi.
Ogni tanto abbiamo notizia che paesi interi vengono sommersi dall’alluvione. In condizioni di urgenza bisogna salvare una bussola, un paio di scarponi robusti e una manciata di semi. Spesso ci danniamo l’anima a fare tante cose, ad acquistare, a difendere; forse non abbiamo colto che la fine del mondo, di un certo mondo, è già iniziata. Nelle scelte del presente si gioca il nostro futuro. Occorre salvare l’essenziale.
Nell’attesa della tua venuta…
Durante l’eucaristia domenicale si proclama a più riprese: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta…». Nell’Eucaristia noi proclamiamo di credere che Cristo è l’A e la Z di tutta la creazione. Teilhard de Chardin, scienziato e teologo, ha riletto in chiave cristiana tutta l’evoluzione della materia e della vita: Cristo consegnerà tutto, anche la materia, al Padre «affinchè Dio sia tutto in tutti» (1 Corinti 15.23-28). Sta avvenendo una “cristificazione” della materia e della storia umana. Per questo, scrisse una PREGHIERA ALLA MATERIA di cui riporto alcuni brani: «Benedetta tu, nuda materia, terra arida, dura roccia; tu che non cedi se non alla violenza e ci sforzi a lavorare se vogliamo procurarci il pane. Benedetta tu, pericolosa materia, madre terribile; tu che ci divori se ti incateniamo. Benedetta tu sia, universale materia, tu che dissolvendo le nostre strette misure ci riveli le dimensioni stesse di Dio. Benedetta tu sia, immortale materia, tu che ci introdurrai per forza nel cuore stesso di ciò che E’. Senza di te, senza i tuoi attacchi, senza i tuoi strappi noi vivremmo inerti, puerili, ignoranti di noi stessi e di Dio. Tu che ferisci e guarisci, tu che ristori e pieghi, tu che sconvolgi e ricostruisci, tu che incateni e che liberi, linfa della nostra anima, Mani di Dio, Carne di Cristo, materia ti benedico. Io ti saluto, inesausta capacità di essere e di trasformazione. Ti saluto, universale potenza di accoppiamento e di unione. Ti saluto, sorgente armoniosa delle anime, limpido cristallo dalla quale sarà tratta la nuova Gerusalemme. Ti saluto, “ambiente divino”, carico di potenza creativa, oceano agitato dallo Spirito, argilla impastata e animata dal Verbo Incarnato. Credendo di obbedire al tuo irresistibile appello, gli uomini si precipitano sovente per amor tuo nell’abisso esteriore del piacere egoista. Bisogna, se vogliamo possederti. che noi ti sublimiamo nel dolore, dopo averti gioiosamente stretta tra le nostre braccia. Portami là in alto, materia, per lo sforzo, la separazione e la morte, portami là dove sarà possibile infine abbracciare castamente l’Universo».