15a domenica C – 14 luglio 2019.
Il SAMARITANO: PSEUDONIMO DI GESU’. Don Augusto Fontana

Si chiama “reato di omissione di soccorso” quello del sacerdote e del levita che transitano fischiettando accanto all’uomo colpito dai rapinatori. Reato diffuso oggi sui cigli delle strade da criminali che feriscono o uccidono e tirano dritto; reato che assume proporzioni intollerabili quando non si compie on the road ma nella mia e, forse, tua coscienza. Lì abbiamo steso una pellicola impermeabile ad ogni notizia che riguarda la carne ferita di uomo, donna, vecchio, bambino, carne della nostra carne. Il samaritano della parabola fu fortunato: incontra un ferito una volta ed è santificato da Gesù per i secoli dei secoli…

 15a domenica C – 14 luglio 2019

Preghiamo. Padre misericordioso, che nel comandamento dell’amore hai posto il compendio e l’anima di tutta la legge, donaci un cuore attento e generoso verso le sofferenze e le miserie dei fratelli, per essere simili a Cristo, buon samaritano del mondo. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen

Dal libro del Deuteronomio 30,10-14. Mosè parlò al popolo dicendo: “Obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge; e ti convertirai al Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”.

Sal 18 I tuoi giudizi, Signore, danno gioia.
La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è verace[1], rende saggio il semplice.
Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore;
i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi.
Il timore del Signore è puro, dura sempre; i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti,
più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 1,15-20. Il Dio invisibile si è fatto visibile in Cristo, nato dal Padre prima della creazione del mondo. Tutte le cose create, in cielo e sulla terra, sono state fatte per mezzo di lui, sia le cose visibili sia quelle invisibili: i poteri, le forze, le autorità, le potenze. Tutto fu creato per mezzo di lui e per lui. Cristo è prima di tutte le cose e tiene insieme tutto l’universo. Egli è anche capo di quel corpo che è la Chiesa, è la fonte della nuova vita, è il primo risuscitato dai morti: egli deve sempre avere il primo posto in tutto. Perché Dio ha voluto essere pienamente presente in lui e per mezzo di lui ha voluto rifare amicizia con tutte le cose, con quelle della terra e con quelle del cielo; per mezzo della sua morte in croce Dio ha fatto pace con tutti.

Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37. Un dottore della legge si alzò per mettere alla prova Gesù: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Torà? Che cosa vi leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E Gesù: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò dall’altra parte. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

 Il SAMARITANO: PSEUDONIMO DI GESU’.  Don Augusto Fontana
Si chiama “reato di omissione di soccorso” quello del sacerdote e del levita che transitano fischiettando accanto all’uomo colpito dai rapinatori. Reato diffuso oggi sui cigli delle strade da criminali che feriscono o uccidono e tirano dritto; reato che assume proporzioni intollerabili quando non si compie on the road ma nella mia e, forse, tua coscienza. Lì abbiamo steso una pellicola impermeabile ad ogni notizia che riguarda la carne ferita di uomo, donna, vecchio, bambino, carne della nostra carne. Il samaritano della parabola fu, tutto sommato, fortunato: incontra un ferito una volta nella vita ed è, per questo, santificato da Gesù nel suo vangelo per i secoli dei secoli. Ma noi, ogni giorno vediamo, sappiamo, conosciamo carni maciullate, schiave esposte, bimbi violati di sesso o di armi o di lavoro. Siamo all’assuefazione, alla indifferenza inescusabile ma inevitabile. La “Evangelii gaudium” (n.53) scrive: “Si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri, né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete”.
Don Milani difendeva il “principio della cura” (I care = mi preoccupo) contro quel sottile qualunquismo di ieri che ha infettato anche me. E mi chiedo come fa Dio, il Signore, a non diventare un po’ assuefatto pure lui che da quel giorno sul monte Oreb continua a guardare, ascoltare e scendere per liberare: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto» (Es. 3,7-8).
Padre Antonio Izquierdo scrisse, con una felice intuizione, che «il buon samaritano è lo pseudonimo di Gesù».
I Padri della Chiesa (Ambrogio, Agostino, Gerolamo e altri) tenendo conto di tutto il simbolismo di Gerusalemme, interpretano in modo particolare questa parabola. Nell’uomo che scende da Gerusalemme verso Gerico vedono la figura di Adamo ribelle che rappresenta tutta l’umanità espulsa dall’Eden, dalla Gerusalemme Celeste. Nei briganti che assalgono l’uomo, i Padri della Chiesa vedono il tentatore che ci spoglia dell’amicizia con Dio e ci percuote con le sue insidie. Nella figura del sacerdote e del levita vedono l’insufficienza dell’antica Legge per la nostra salvezza e che invece sarà portata a compimento dal nostro Buon Samaritano, Gesù Cristo, che partendo anche lui dalla Gerusalemme celeste ci cura con l’olio della consolazione e il vino dello Spirito e della speranza. Nella locanda i Padri vedono l’immagine della Chiesa e nella figura dell’albergatore, intravedono i pastori nelle mani dei quali Gesù affida la cura del suo popolo. La partenza del samaritano dall’albergo, i Padri la interpretano come la risurrezione e l’ascensione di Gesù alla destra del Padre, ma che promette di ritornare per completare i suoi doni. Alla chiesa Gesù lascia i suoi due denari: la Sacra Scrittura e i Sacramenti. Questa interpretazione allegorica e mistica del testo ci aiuta a cogliere bene il messaggio di questa parabola. 

PERSONAGGI E INTERPRETI. 

   Un uomo incappò nei rapinatori. Gesù ambienta la parabola in questa strada tra Gerusalemme e Gerico, nota per le sue insidie. Quest’uomo è Adamo, è ognuno di noi camminatori imprudenti su sentieri che conducono lontano dall’Eden. «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri» (Salmo 24,4). Questa strada si presta a interpretare bene anche la nostra situazione di discepoli: “Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (Lc 10, 3).
   Un sacerdote vedendolo passò dall’altra parte. Il sacerdote è un professionista della religione, come qualsiasi devoto che passa il suo tempo in chiesa; si trova per caso sulla via della sofferenza dell’uomo ma, appena la sbircia, gira alla larga. L’essere accanto all’uomo che soffre, non fa parte dei suoi programmi o doveri perchè deve primariamente interessarsi delle “cose di Dio”. Se non sapessimo che questa parabola risale a Gesù la diremmo nata dalla mente dissacratrice di un nemico della religione, un’invenzione sacrilega di un anticlericale che si diverte a denigrare i preti. Ma siccome è Gesù a parlare ci mettiamo in ascolto di una profezia che vuole colpire liturgie e pratiche religiose avulse dalla carità e dalla vita: «Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; non posso sopportare delitto e solennità. Le vostre feste io le detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli» (Isaia 1,13-14).
    Il levita. Il levita è un funzionario che scodinzola nel tempio, un chierichetto, un seminarista, una monachella. Anche lui “passa dall’altra parte”. Il levita è il tipo di tutti coloro che, nella Chiesa, sono notai di Istituzioni e di Leggi, di Immobili e Tradizioni e sanno distinguere bene le eminenze e i monsignori.
   Un samaritano era in viaggio…Ora arriva Gesù, questo “extracomunitario samaritano” che si avvicina: «questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica» (Deut. 30,14) e io non possa accampare scuse dicendo che è irraggiungibile. L’Incarnazione è un Dio che anziché chiudersi in se stesso in maniera narcisistica e oziosa sceglie di aprirsi all’esterno. E’ ciò che i Padri antichi della chiesa hanno sintetizzato con l’idea della “con-discendenza” (syn-katàbasis), cioè il suo essere-per-l’uomo. Il teologo Chenu, in periodo di Concilio Vaticano II°, chiamava questa modalità dell’agire di Dio, “legge dell’estroversione[2]. Il Concilio Vaticano II° nella “Gaudium et spes” scrive: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo … egli si è fatto veramente uno di noi” (GS n. 10). E’ per questo motivo che “chiunque segue Gesù Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS n. 41). Il Gesù-samaritano sembra non gradire certi riti che privilegiano più il salotto che la strada, più le pantofole che gli scarponi da viaggio, più la vestaglia da camera che il bastone del pellegrino.
Forse alla base del racconto di Luca c’è una pagina del 2° Libro delle Cronache (28,15) dove alcuni Samaritani usano pietà verso i Giudei, esattamente come il Samaritano della parabola lucana. Se le cose stanno così, ci troviamo, anche qui, davanti a un midràsh cristiano del racconto del Libro delle Cronache [3].
   “passandogli accanto”. Gli altri due “passano dall’altro lato” con un gesto non solo di indifferenza, ma di esplicito scostamento. Altre volte questo “passare accanto” di Gesù ha scatenato campi magnetici tonificanti: Mt. 20, 30 «Ed ecco che due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava, si misero a gridare: «Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide!»; Mc 1,16 «Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare…»; Mc 2,14 «Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Egli, alzatosi, lo seguì»; Lc 19,4 «Allora Zaccheo corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là».
“lo vide”. Anche il “vedere” è una qualità di Dio e un suo dono. Non per niente Gesù guarisce parecchi ciechi. Ci vogliono occhi per vedere i poveri. “La povertà non è solo quella del denaro, ma anche della mancanza di salute, la solitudine affettiva, l’insuccesso professionale, la disoccupazione … gli handicap fisici e mentali, le sventure familiari e tutte le frustrazioni che provengono dall’incapacità di integrarsi nel gruppo umano più prossimo” (Paolo VI). Sono i droup-out: i “caduti fuori” dal circuito, i caduti in disgrazia. Per loro il Gesù-samaritano ripete il rito del Padre misericordioso: «Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». (Luca 15,20).
“ne ebbe compassione”. Significa sentirsi provati emotivamente nell’indignazione e nella compassione materna: guardare la storia e la geografia dall’angolo dei poveri. Uno dei termini con cui l’A.T. indica la misericordia è rehamim, che propriamente indica le “viscere materne”: “Forse che la donna si dimentica del suo bambino, cessa di avere compassione del figlio delle sue viscere? Anche se esse (viscere) si dimenticassero, io non ti dimenticherò, dice il Signore. (Is 49,15)
“Gli si fece vicino (prossimo)”. Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor. 8,9).
“Gli fasciò le ferite, versò l’olio e il vino”. E’ strano il modo di curare del Gesù-Samaritano: noi prima avremmo versato il disinfettante (vino); poi avremmo spalmato unguento curativo (olio) e da ultimo avremmo fasciato. Ma quest’ordine non interessa al medico evangelista Luca il quale inverte le azioni; probabilmente vuol spiegare cosa fa Gesù ( e la chiesa) su di noi attraverso i tre sacramenti della iniziazione cristiana: battesimo/cresima ed Eucaristia. Fasciò le ferite: quando Gesù nasce è avvolto in fasce; quando Gesù muore viene avvolto in fasce-bende e deposto nel sepolcro. Esiste un’icona orientale che identifica la culla di Gesù come un sepolcro! Le fasce ci ricordano l’Incarnazione e la Risurrezione di Gesù e quindi il nostro Battesimo. A quest’uomo, spogliato delle vesti, della sua identità, il Gesù-samaritano ci fascia con una nuova veste, una “nuova-pelle”. Olio: re, sacerdoti e profeti venivano “consacrati” versando olio sul capo e sul corpo. Ancora oggi la chiesa continua su di noi questo rito di guarigione e di missione. Vino: l’Eucarestia è Il Calice versato per voi e per tutti in remissione…
“Lo caricò sul suo asino”. Origene commenta: “la cavalcatura è il corpo del Signore[4]. Luca parlerà, nel cap. 15, di questo “caricarsi sulle spalle”: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento…». Dopo le prime cure in emergenza, Gesù-samaritano passa ad una strategia ben organizzata: si carica…porta alla locanda…si prende cura fino al giorno dopo…dà un acconto…chiede all’albergatore di non lesinare sulle spese…promette di tornare. Perde tempo, prende tempo.
 “E lo portò ad una locanda”. Luca chiama questo albergo con un nome che potrebbe essere il titolo di ogni comunità cristiana: pandokeion = un “tutto-accogli”. Il samaritano-Gesù ci consegna alla sua comunità. E, forse, ci offre un metodo. Il samaritano si accorge di non farcela con i suoi mezzi privati e ricorre alla chiesa o alle istituzioni sociali. In sinergia. Franco Giulio Brambilla, teologo e oggi Vescovo di Novara, diceva: “Non è possibile pensare ad una società giusta nella quale venga meno il bisogno della carità. Ma ugualmente queste forme di carità non dovranno concepirsi come alternative o concor­renziali con le più faticose forme mediate dell’intervento nell’ambito socio-civile e politico. In ogni caso però, sia le forme della carità, sia quel­le dell’impegno socio-civile hanno da essere intese come parziali, anche se necessarie attuazioni della carità cristiana custodita nella parola e nel sa­cramento della fede, in particolare nell’Eucarestia[5].
“E si prese cura di lui”. Non basta un’elemosina, occorre un lembo della tua vita, del tuo mantello, perché il tetto, da solo, non copre, come la minestra non scalda se non c’è un po’ di alito umano, di tenerezza.
“Il giorno dopo estrasse due denari”. Il Gesù-Samaritano ha dedicato tempo, due giorni. E poi tornerà il terzo Giorno. Nel frattempo lascia due denari: “Ama Dio con tutto il cuore e il prossimo come te stesso”. O, come interpretano i Padri dei primi secoli, la Sacra Scrittura e i Sacramenti.

Gesù è l’apripista che mi precede incoraggiandomi a passare ora da un ascolto estetico o teorico della sua Parola verso una prassi: «Io ti ho fatto questo; ora va’ e fa’ anche tu lo stesso».


[1] Sinonimi: sincero, effettivo, schietto.
[2] Chenu M.D., “Pour une anthropologie sacramentelle”, in La Maison Dieu 119 (1974) 86.
[3] «Alcuni uomini, designati per nome, si presero cura dei prigionieri. Quanti erano nudi li rivestirono e li calzarono con capi di vestiario presi dal bottino, diedero loro da mangiare e da bere, li medicarono con unzioni; quindi, trasportando su asini gli inabili a marciare, li condussero a Gerico, città delle palme, presso i loro fratelli. Poi tornarono a Samarìa» (2Cr 28,15). Il «midràsh» è un metodo esegetico che appartiene alla tradizione giudaica, iniziato durante l’esilio di Babilonia e sviluppatosi nei secoli successi. Al tempo di Gesù era un modo usuale di leggere e commentare la Scrittura: «capire la Scrittura attraverso la stessa Scrittura», mettendo in relazioni, parole, frasi, testi uguali o anche solo assonanti per fare emergere significati nuovi e profondi.
[4] ORIGENE, Omelia su Luca, 34,3
[5] Convegno diocesano delle Caritas diocesane di Milano nel 1997.

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