18 giugno 2023. Domenica 11a tempo ord
IL TREDICESIMO APOSTOLO

Scriveva Padre Ermes Ronchi: «Anche tu sei chiamato ad aggiungere il tuo nome all’elenco dei dodici, ognuno è il tredicesimo apostolo».

11 Domenica 18 giugno 2023

Preghiamo. O Padre, che hai fatto di noi un popolo profetico e sacerdotale, chiamato ad essere segno visibile della nuova realtà del tuo regno, donaci di vivere in piena comunione con te nel sacrificio di lode e nel servizio dei fratelli, per diventare missionari e testimoni del Vangelo. Per Gesù Cristo nostro Signore.
Dal libro dell’Esodo (10, 2-6a)
In quei giorni, gli Israeliti arrivarono al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte.Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: “Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”.
Salmo 99.  Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.
Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza.
Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo.
Buono è il Signore, il suo amore è per sempre, la sua fedeltà di generazione in generazione.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5, 6-11)
Fratelli, noi eravamo ancora incapaci di avvicinarci a Dio, quando Cristo, nel tempo stabilito, morì per i peccatori. È difficile che qualcuno sia disposto a morire per un uomo onesto; al massimo si potrebbe forse trovare qualcuno disposto a dare la propria vita per un uomo buono. Cristo invece è morto per noi, quando eravamo ancora peccatori: questa è la prova che Dio ci ama. Ma non basta: ora Dio per mezzo della morte di Cristo ci ha messi nella giusta relazione con sé; a maggior ragione ci salverà dal castigo, per mezzo di lui. Noi eravamo nemici suoi, eppure Dio ci ha riconciliati a sé mediante la morte del Figlio suo; a maggior ragione ci salverà mediante la vita di Cristo, dopo averci riconciliati. E non basta! Addirittura possiamo vantarci di quel che siamo di fronte a Dio, perché ora Dio ci ha riconciliati con sé, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.
Dal vangelo secondo Matteo (9,36 – 10,8)
In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!”. Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì. Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.

IL TREDICESIMO APOSTOLO. Don Augusto Fontana

Mi affascina l’etimologia delle parole; è come andare a bere alla sorgente evitando gli inquinamenti della corsa del fiume. Non è questione intellettualoide per una soddisfazione cervellotica. Sento che nella genesi del linguaggio c’è scritta tutta l’emozione esistenziale,  il senso delle cose e la storia che i nostri padri hanno raccolto in suoni e lettere. Prendi, per esempio, il termine “Parrocchia” e tutti i derivati (parrocchiano, parrocchiale, parroco…). Prima di procedere nella lettura, fermati e chiediti: «cosa vuol dire per me “parrocchia”?»…..Fatto? Ora ascolta. Il termine potrebbe derivare dal lemma greco para-oikìa, cioè un provvisorio dimorare accanto (e forse anche un pellegrinare). Sorpreso? Forse. Comunque il significato originario non corrisponde all’immaginario collettivo e all’esperienza che normalmente percepiamo pensando alle nostre “parrocchie” e vivendoci dentro: un ufficio o, come si dice oggi, uno “sportello”, con qualche impiegato che fa i turni 24 ore su 24, garantendo, quando serve, il puntuale esaudimento di servizi religiosi richiesti.
Il contesto entro il quale si collocano sia la chiamata dei Dodici, sia le origini storiche del nuovo popolo di Dio è un contesto di mobilità, di “nomadismo”, di esilio. Il contesto spirituale entro cui prende forma la comunità dei discepoli del Signore è la diaspora e l’esilio. Non è un caso che la prima comunità cristiana si sente ‘straniera e pellegrina’ (Ebrei 11,13; 1 Pietro 2,11).
Noi facciamo parte di un popolo che ha, di fronte al mondo, responsabilità messianica: «Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità….. E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».   Non ci distingue, dunque, il momento religioso, ma il momento messianico; non le mani giunte ma le mani aperte.
Il popolo a cui Mosè trasmette la Rivelazione di Dio è un popolo che Dio ha sollevato su ali di aquila cioè lo ha liberato dall’Egitto. È un popolo libero.  È un popolo di sacerdoti, non un popolo con a capo i sacerdoti.  È popolo santo: non un popolo abbarbicato al culto dei santi.
Facciamo attenzione a quanto dice il Vangelo. C’è questa folla stanca e sfinita, come «pecore senza pastore». In realtà, quella folla non era senza pastori; ne aveva anche troppi!  C’era il potere politico di Roma; c’era il severo potere religioso del Tribunale del Sinedrio; c’erano gli scribi, i farisei, gli anziani, i sacerdoti.  Era un popolo ben irregimentato.  Perché Gesù dice che era un gregge senza pastore?  Appunto perché era un gregge stanco e sfinito dal peso della piramide dei poteri che era sopra di loro. L’uomo è stanco e sfinito quando la sua vita passa nell’obbedienza o nell’inerzia. La stanchezza è una garanzia dell’obbedienza; più uno è stanco e più si affida e diventa docile. È difficile vivere ogni giorno in piena responsabilità. Allora invochiamo qualcuno a dispensarci qualcosa. Questo è il sogno più maligno dell’uomo: il non-esercizio della responsabilità.  E gli ebrei avevano tanti pastori pronti a sostituirsi a loro.  Più che persone sbandate erano persone inibite e represse. Si tratta di uno sdoppiamento di personalità che noi conosciamo bene: da una parte le istituzioni ci assicurano uno svolgimento tranquillo della nostra vita, dall’altra ci proibiscono di sperare: perché se uno spera è inquieto e ci deve mettere del suo.  Le istituzioni ci danno tranquillità e ci rubano la speranza: è un patto diabolico.  Gesù viene, trova questo gregge di gente stanca e fonda il nucleo di un popolo messianico. Sceglie dei discepoli che solo la nostra fantasia devota mette su un piedistallo: di fatto erano povera gente.  Il gruppo dei dodici è molto eterogeneo. Tra loro ce ne sono alcuni – Andrea, Filippo, Bartolomeo, Giacomo Alfeo, Taddeo – di cui sappiamo appena il nome. Ciò che sappiamo degli altri lascia molto a desiderare, anche se l’evangelista Matteo ha tolto asperità all’immagine del gruppo che ne da l’evangelista Marco.
Il primo del gruppo è Shimon (che in ebraico significa “colui che ascolta”) che ha il soprannome di Kefas (= pietra). Appaiono poi Giacomo di Zebedeo e suo fratello Giovanni, denominati nel Vangelo di Marco “Boanerges” (figli del tuono) allundendo al loro caratteraccio e al loro estremo zelo fondamentalista; nel Vangelo di Luca, costoro desiderano che cada un fulmine e bruci gli abitanti di un villaggio della Samaria, che non vollero ricevere Gesù perché era diretto a Gerusalemme (Lc 9,51-55). I tre uniti, Pietro, Giacomo e Giovanni, ebbero il privilegio di essere testimoni di tre grandi momenti della vita di Gesù: la rianimazione del cadavere della figlia di Giairo, la trasfigurazione e la preghiera nel Getsemani. In nessuno di questi tre momenti, questi discepoli furono all’altezza della situazione. Alla fine, uno di loro, Pietro, giunge al colmo di negare il suo maestro, per ben tre volte; gli altri lo abbandonano…
Tornando alla nostra lista troviamo Tommaso, detto “Gemello” ; gemello di chi? Di me e di te che con lui vacilliamo nella fede chiedendo al Risorto di voler toccare per poter credere; poi Matteo il pubblicano detto anche Levi,  esattore delle tasse e  quindi collaborazionista con il potere romano; socialmente e religiosamente considerato allo stesso livello dei ladri, dei peccatori e delle prostitute; poi  “Simone il Cananeo” che il Vangelo di Luca chiama zelota, (Lc 6, 15); gli Zeloti erano i contestatori del tempo, forse terroristi che organizzavano la ribellione contro il dominio romano; poi Giuda Iscariota che tradisce Gesù. Una manciata di uomini presi dal basso, anche loro stanchi. C’è posto anche per me e per te. E li manda come popolo messianico: andate e annunciate, liberate, accogliete!  L’intera storia umana è un segno del passaggio continuo, mai compiuto, dal regime di inerzia a quello di responsabilità attiva.  E noi cristiani siamo un popolo messianico non perché ascoltiamo prediche rituali, non perché preghiamo soltanto. Il cristiano ha il distintivo nel liberarsi, costantemente, dagli idoli/faraoni. Questo richiede da noi la capacità di liberarci dentro, di rimettere in questione i vincoli interiori della nostra coscienza che la rendono suddita, etero-diretta, gestita da altri.  Questo rompere le catene attraverso una meditazione critica della Parola di Dio è un momento essenziale della vita cristiana.
Un tempo si misurava il cristiano dalla capacità delle sue devozioni personali e dalla docilità agli ordini ricevuti. Dopo il concilio Vaticano II° la nostra maturazione si misura sulla capacità di responsabilità unita alla capacità di essere popolo e non semplicemente folla.  Ovunque c’é passività ivi c’è l’opposto del Regno di Dio.
Ma perché viene costituito questo popolo santo popolo sacerdotale?  Perché sia a servizio: «Andate, dite che il Regno di Dio è vicino! » E la prova qual è? «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. E siccome tutto vi è stato dato gratuitamente, date tutto gratuitamente». E’ un compito messianico perché riguarda le attese umane fin nelle loro radici carnali.
L’evangelista Marco ha una premessa simile a quella di Matteo ma una conclusione diversa. Marco riferisce: «Sento compassione di questa folla, perché gia da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare» (Mc 8,2) e poi narra che Gesù moltiplica i pani e i pesci. Per Matteo, invece, Gesù ha compassione della folla e chiama i Dodici: «Chiamati a sé…». Il termine greco corrispettivo è Pros-kalesamenos che, tradotto letteralmente, può anche significare «chiamare in rinforzo». Non si tratta, dunque, di un invito alla sequela mistico-religiosa, ma di una chiamata in rinforzo di quanto lui sta facendo e dicendo.
Scriveva Padre Ermes Ronchi (16 giugno 2002): «Anche tu sei chiamato ad aggiungere il tuo nome all’elenco dei dodici, ognuno è il tredicesimo apostolo, ognuno scrive il suo quinto vangelo, riceve la stessa missione dei dodici: annunciate che il regno di Dio è vicino. Dite: Dio è vicino; Dio è con voi, con amore. Come farai a testimoniare che Dio è vicino, se tu per primo non lo senti? Dio non si dimostra; si mostra con i gesti della pietà e della compassione: guarite, risuscitate, sanate, date… L’inviato è povero: un bastone per appoggiarvi la stanchezza, i sandali per andare e ancora andare. Non ha borsa né danaro, ma ha la pace che illumina gli occhi e la forza che regge le mani; ha delle ali d’aquila, dice la prima lettura; un supplemento d’ali e una parola capace di rapire il cuore».
Buon lavoro, tredicesimo apostolo!

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