Siamo veramente aperti alle categorie dell’altro? Siamo critici sulla nostra fede oltre che su quella degli altri? Individuo quella situazione di lavoro, famiglia o gruppo in cui cerco solo la paglia nell’occhio altrui o non instauro un “colloquio dialogante”?
8° domenica tempo ord. C
Preghiamo. La parola che risuona nella tua Chiesa, o Padre, come fonte di saggezza e norma di vita, ci aiuti a comprendere e ad amare i nostri fratelli, perché non diventiamo giudici presuntuosi e cattivi, ma operatori instancabili di bontà e di pace. Per Gesù Cristo il nostro Signore. Amen
Dal libro del Siracide 27,4-7
Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti. I vasi del ceramista li mette a prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo. Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini.
Salmo 91 (92). E’ bello rendere grazie al Signore.
E’ bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore, la tua fedeltà lungo la notte.
Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio.
Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia: in lui non c’è malvagità.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 15,54-58
Fratelli, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?”. Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Dal Vangelo secondo Luca 6,39-45
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
TRA IL DIRE E IL FARE. Don Augusto Fontana
Medico, cura te stesso.
Lettera da una mia collega:
“Caro don, non ho retto alla curiosità di venire a vederti a dir Messa. Mi sono messa dietro le ultime colonne perchè, essendo tua collega di lavoro, ero imbarazzata. Volevo toccare con mano se era vero quello che mi diceva mio padre dei preti: «Fa’ quel che dicono, ma non fare quel che fanno!». Ti confesso che mi hai deluso. Sembravi il mio dottore che consiglia a tutti di non fumare e poi lui fuma due pacchetti di sigarette al giorno. Da anni non ascoltavo più una Messa e credo che per un po’ non ci tornerò più. A parte l’aria ipocrita che si respirava, mi ha colpito la tua predica: parli bene, ma io ti conosco altrettanto bene e mentre parlavi mi venivi in mente quando siamo sul lavoro. Voi preti avete tanti consigli da dare a tutti: l’amore, il perdono, i poveri, la croce. Con tutta franchezza devo dire che di tutto quello che predicavi a noi, non trovo niente nelle sette ore che passiamo insieme a lavorare; mi riferisco all’ultimo scontro che hai avuto con i colleghi R. e B. Ed è anche per questo che non mi confesso più dal giorno del mio matrimonio. Perchè devo venire a dire i miei peccati a un prete che è come me? Almeno io non faccio prediche agli altri! ……
Mia risposta:
Cara C. mi hai fatto una vigliaccata; se avessi saputo che eri presente in chiesa, mi sarei esposto meno. La franchezza che ti distingue ha colpito ancora. Quello che dici non fa una grinza e devo cedere all’evidenza. Di fatto non mi dici nulla di nuovo, perchè anche Gesù aveva detto: «Quanto vi dicono, mettetelo in pratica, ma non fate quello che fanno, perchè dicono, ma non fanno. Legano infatti pesi pesanti e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito»(Matteo 23,3). Quelle parole dette da Gesù non hanno mai avuto la forza dirompente e svergognante delle stesse parole dette da te. Grazie, dunque, di avermi obbligato ad un’autocritica. Ma permettimi anche di rispedire al mittente la tua lettera. Tu militi in un partito e in un sindacato che si dichiarano “solidaristici”: anche voi siete abituati a predicare bene e razzolare male (ti ricordi l’ultima assemblea?). Non parliamo poi della vita privata: tuo figlio, alcuni giorni fa, mi diceva che gli rimproverate di non confidarsi con voi, ma di fatto non trovate mai il tempo per parlare con lui. Vedi, dunque, che l’ipocrisia dei preti è un’influenza virale contagiosa. Il mal comune non è mezzo gaudio e potrebbe metterci nella condizione di aiutarci vicendevolmente a cambiare, come stiamo facendo con questo scambio di lettere. Per quanto riguarda la confessione, ti prometto che se vieni a confessarti da me, anch’io ti racconterò i miei peccati e ti chiederò di perdonarmeli: tanto, ho visto che sei furbetta e che ne conosci già abbastanza. Non sono sicuro, però, che me li perdonerai tutti!…Con sincera amicizia. Il tuo don.
Guide cieche, falsi maestri, ipocriti.
Luca continua a riferire le istruzioni di Gesù per relazioni umane radicalmente nuove fra uomini che hanno la coscienza di essere stati graziati da Dio. Il Comandamento “Diventate misericordiosi perchè è misericordioso il Padre vostro” è il nuovo codice del discepolo. Contro possibili e facili deviazioni, il Vangelo di oggi conferma il Comandamento con una serie di similitudini. Chi insegna cose diverse da quel comandamento è una guida cieca (v.39) e un falso maestro (v.40); chi insegna la giusta strada senza percorrerla o chi critica il male altrui senza vedere il proprio, è un ipocrita (v.41-42). E ciò è detto non solo per singoli discepoli, ma anche per intere comunità ecclesiali che non illuminano più l’ambiente a cui sono inviate (quartiere, città, aggregati sociali), perchè invece di salvarlo, lo giudicano. Chiesa pettegola!
Cieco. Nel testo di Luca si respira aria di polemica che coinvolge non solo i farisei tradizionali, ma anche i discepoli di Gesù che si comportano come loro. Il discepolo (prete, catechista, vescovo, pettegole devote…) ci vedrà bene e potrà essere di aiuto agli altri solo se si lascia guidare dalla Parola di Gesù, come dice il salmo 119,105: “Luce ai miei passi è la tua Legge, Signore”. Come la luce fu il principio della creazione, così ora il Comandamento della misericordia è il principio della ri-creazione. Caratteristica del cieco è di non potersi muovere pur avendo l’apparato locomotorio in ordine. Tutto gli si rivolta contro perchè va a sbatterci contro. La cecità fondamentale è di ritenersi “giusti” e non dei disgraziati graziati: «Se foste ciechi non avreste alcun peccato, ma siccome dite “Ci vediamo!”, il vostro peccato rimane» (Giov.9,41).
Falsi maestri. Invece di seguire la parola e l’esempio di Gesù, per leggerezza o presunzione, siamo tentati di seguire altre vie che riteniamo più efficaci per l’evangelizzazione. Per la comunità di Luca questa presunta maggior efficacia consisteva, forse, in pretese rivelazioni personali o in conoscenze esoteriche che potevano offrirsi come alternative alla “insipienza” dell’esempio e delle parole di Gesù. Anche oggi siamo diventati specialisti nell’inventare vie di salvezza spirituali, psicologiche, economiche, politiche o sociali. Il discepolo illuminato è colui che sa ciò che l’unico Maestro ha detto e fatto, e cerca di fare altrettanto: «Io, il Maestro, ho lavato i piedi a voi, perchè anche voi facciate questo ai vostri fratelli»(Giov.13,17).
Ipocrita. Ipocrisia non significa solo “finzione”, ma anche “protagonismo”. Il termine “ipocrita” deriva dal teatro greco: l’ upocrités era il protagonista mascherato che dialogava con il coro. Luca rappresenta, in altra pagina del suo Vangelo (cap.18,9-14), la figura dell’ipocrita nella Parabola del fariseo che ringrazia Dio di non essere come il peccatore che sta in fondo al tempio. Una presunta giustizia senza grazia.
Le parole e i frutti. La funzione e l’importanza della parola sembrano essere al centro della riflessione liturgica. E’ un esame molto attuale, anche perchè la parola è diventata sempre più slegata dalla testimonianza personale. Anche all’interno della Chiesa, la parola costituisce problema quando la si usa per giudicare o condannare oppure quando non c’è coerenza tra cuore, vita e parola.
Ben Sira, detto il Siracide, era un maestro di sapienza religiosa popolare, molto attivo nelle scuole di Gerusalemme. Formava i giovani alla vita, spaziando dal corretto galateo a tavola fino ai problemi più impegnativi della vita. Scrive la sua opera verso il 185 a.C. . Il suo carisma era quello di saper conciliare la dottrina tradizionale ebraica con la nuova cultura greca che stava invadendo la Palestina e trovava risonanza soprattutto fra i giovani.
Il tema del testo odierno viene espresso dal versetto 5 dove parla di “conversazione” (dialogismù); il giudizio su un uomo può essere dato solo attraverso un “colloquio dialogico” (gr. dialoghismòs). Nel 1° versetto si specifica come deve essere fatto questo colloquio: occorre “scuotere” l’uomo attraverso un dialogo critico ed incalzante che lo obblighi a rivelare la paglia e il grano. Il giudizio su una persona può derivare solo da un colloquio personale che ha bisogno di tempo. Non bisogna precipitare. Per il Siracide, il dialogo è una delle colonne portanti dell’esistenza umana. Il discorso da uomo a uomo serve per consigliare, per esortare, per mettere in guardia, per discernere il bene dal male. “Bisogna che l’uomo si renda conto che le situazioni conflittuali che l’oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua coscienza e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato”[1].
Salmo 92: Il giusto è come palma e cedro: porterà sempre frutti.
L’utilizzo nella liturgia odierna parrebbe poco giustificato, se non per quei pochi versetti che si collegano con le letture odierne attraverso il tema dell’uomo giusto che è simile a piante dai frutti abbondanti. A fronte della ripetizione per 7 volte del nome di Jahwè, il Salmo, nella versione integrale, mette in campo gli empi che vengono definiti con 7 nomi che descrivono l’ottusità della stoltezza:
- animale stupido cioè incapace di decifrare e celebrare il progetto di giustizia di Dio;
- stolto che significa anche “ateo” perchè è sicuro che Dio non rovinerà la sua vita guadente e ingiusta;
- empio cioè colui che fa opposizione ai giusti;
- operatori di iniquità cioè idolatri e ingiusti con gli altri;
- nemici di Dio;
- quelli che spiano per colpire il giusto;
- perversi.
Poi c’è il quadretto che descrive gli uomini giusti paragonandoli a cedri e palme piantati negli atri del tempio. Le radici dei giusti affondano nell’humus di Dio e la linfa di Dio alimenta tutto il tronco. Gesù dirà in Giov. 15: “Io sono la vite e voi i tralci. Come un tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi, se non rimanete in me. Chi rimane in me ed io in lui,fa molto frutto perchè senza di me non potete far nulla”.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il non giudicare. L’atteggiamento ecumenico è quello che ci rende più simili al Signore attraverso un’apertura indulgente, comprensiva, libera da pregiudizi e da fanatismi. Siamo veramente aperti alle categorie dell’altro? Siamo critici sulla nostra fede oltre che su quella degli altri? Individuo quella situazione di lavoro, famiglia o gruppo in cui cerco solo la paglia nell’occhio altrui o non instauro un “colloquio dialogante”?
[1] Martin Buber IL CAMMINO DELL’UOMO, Ed. Qiqajon, Bose Pag.44