20-03-2022. Domenica 3 Quaresima
IL LEGNO E I FRUTTI

E ho provato a pensare se  ci possa mai essere qualche angolo del mondo sottratto, per così dire, all’invadenza del Nome di Dio. Ma non mi è riuscito di trovarlo. La gloria del Signore JHWH straripa da tutte le parti. Non ci sono zolle di terra che non si lascino inumidire dalla sua rugiada. Neppure gli spazi dove si imbastardiscono le trame più inique sono impermeabili all’azione di Dio. Lì, nei santuari dove la gente si raccoglie in cerca di pace; ma anche oltre la siepe del giardino comunale disseminato di siringhe (mons. Tonino Bello)

3° domenica quaresima C

Preghiamo. Padre Santo e misericordioso, che mai abbandoni i tuoi figli e riveli ad essi il tuo Nome, infrangi la durezza della mente e del cuore perchè sappiamo accogliere con semplicità i tuoi insegnamenti e portiamo frutti di vera e continua conversione. Per Gesù Cristo nostro Signore. AMEN
Dal libro dell’Èsodo 3,1-8.13-15
In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».  Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».  Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».
Salmo 102  Il Signore ha pietà del suo popolo.
Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia.
Il Signore compie cose giuste, difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d’Israele.
Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.
 Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 10,1-6.10-12
Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.
Dal Vangelo secondo Luca 13,1-9
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».  Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

IL LEGNO E I FRUTTI. Don Augusto Fontana
Trascrivo, a consolazione e vergogna, alcune parti del Documento Conciliare “GIOIA E SPERANZA”(GAUDIUM ET SPES): «E’ dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi ed interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonchè le sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole spesso drammatica. L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all’intero universo. Possiamo così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha i suoi riflessi anche sulla vita religiosa.E come accade in ogni crisi di crescita, questa trasformazione reca con sè non lievi difficoltà. Così mentre l’uomo estende la sua potenza, non sempre riesce però a porla a suo servizio. Si sforza di penetrare nel più intimo del suo animo, ma spesso appare più incerto di se stesso. Scopre più chiaramente le leggi della vita sociale, ma resta poi esitante sulla direzione da imprimervi. Mai il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenze economiche e tuttavia una gran parte degli uomini è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria e intere moltitudini sono ancora analfabete. Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà e intanto si affermano nuove forme di di schiavitù sociale e psichica. E mentre il mondo avverte così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei singoli in una necessaria solidarietà, viene poi violentemente spinto in direzioni opposte a causa di forze tra loro contrastanti; infatti permangono ancora gravi contrasti politici, sociali, economici, razziali e ideologici, nè è venuto meno il pericolo di una guerra totale capace di annientare ogni cosa. Aumenta lo scambio di idee, ma le stesse parole con cui si esprimono i più importanti concetti umani, assumono, nelle diverse ideologie, significati assai diversi. Con ogni sforzo si vuol costruire un ordine terreno più perfetto, senza che cammini, di pari passo, il progresso spirituale. Immersi in così contrastanti condizioni, molti nostri contemporanei non sono in grado di  identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli con quelli che man mano scoprono. Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo. Il quale sfida l’uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta (n.4). Il popolo di Dio, mosso dalla fede, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni a cui prende parte insieme agli altri, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo e perciò guida verso soluzioni pienamente umane (n.11)».
Al termine potremmo solo aggiungere l’invito che oggi Gesù ci rivolge, dopo aver meditato con i discepoli alcuni fatti tragici accaduti in quei giorni: <Se non vi convertirete,  perirete tutti>.
L’uomo davanti al cespuglio di Dio (Esodo 3,1-15).
Martin Buber nel suo libro I racconti dei chassidim riferisce un aneddoto: «Ad un rabbi si presentò un discepolo e gli chiese: “Prima esistevano uomini che hanno visto Dio faccia a faccia. Perchè oggi non ne esistono più?”. E il rabbi rispose: “Perchè oggi nessuno sa chinarsi così profondamente”».
Dov’è andato Dio? Si può ancora incontrare Dio? Crediamo in <un> Dio oppure in <quel> Dio che la Storia del popolo ebraico e Gesù ci hanno fatto conoscere? Dal momento in cui pronuncio la frase <io credo> faccio una scelta che fa appello a tutta la realtà del mio essere non solo interiore, ma anche economico e sociale. Qualcuno pensa che si possa perdere la fede come si perde un portafoglio, ma può capitare qualcosa di più grave ed è quando la fede non scuote più le mie scelte. Lo scrittore Giorges Bernanos diceva :”La fede non c’è più non solo quando la si perde, ma anche quando essa non dà più forma alla vita, ecco tutto“.
Stava pascolando. Mosè è un latitante fuggiasco a causa di un omicidio compiuto. Non c’è nulla che faccia prevedere il suo ruolo di leader religioso. Vaga nel deserto non per incontrare Dio, ma per trovare pascolo per i suoi animali. Anche gli apostoli stavano aggiustando le reti e pare che il loro mestiere non rendesse facile la frequenza in Sinagoga.
Il Monte Oreb diventa il luogo classico dell’incontro tra Dio e Israele. La storia di Israele è caratterizzata da determinati luoghi in cui Jahwè si è manifestato; non si tratta mai di luoghi in cui Jahwè dimora, ma di località di apparizioni ed incontri. Sembra che Dio preferisca non essere imprigionato in religiose galere, ma voglia essere dove è la gente, incontrandola più sul fango e sulla sabbia che sui lucidi lastricati dei santuari. Poi verrà la istituzionalizzazione delle religioni e Lui si adatterà ai Tabernacoli che sono più un bisogno nostro che Suo.
<Mosè!>….<Eccomi>. Davanti alla situazione di oppressione del popolo, Dio inizialmente sembra dire “Ci penso io!”.  Più avanti sembra ripensarci e dice a Mosè: “Voglio mandarti da Faraone. Avanti! Tocca a te!”.  Dio ha bisogno di noi? La conversione di Mosè ha significato il passare dalla condizione di fuggiasco e di ribelle a quella di servo della liberazione della sua gente. Prima ha vissuto comodamente nel palazzo del faraone, come suo portaborse e lacchè; poi si ritira a farsi i fatti propri lontano dalle sofferenze del popolo. La sua conversione segna il ritorno alla solidarietà col popolo che soffre. E mentre compirà un’opera politica di leader, compirà anche un’evangelizzazione, annunciando per sempre il NOME di JAHWE’. Colui che un giorno è stato toccato dal fuoco di Dio non può far altro che “andare”. Mosè si accosta per curiosità, ma il contatto di Dio lo brucia. Ogni esperienza autentica di Dio non si risolve in godimento estatico. Lo abbiamo visto anche domenica scorsa sul Tabor. Dio si rivela non per soddisfare la nostra curiosità o per fornirci informazioni gratuite, bensì per informarci di ciò che attende da noi. Mosè va per vedere e si ritrova qualcosa da fare; si mette in ginocchio per ritrovarsi in piedi[1].  Si toglie i sandali per adorare, ma poi se li rimetterà per camminare col suo popolo.
Ho osservato, ho udito, conosco, sono sceso per liberare. Sono i verbi di Dio, messi in successione, per sottolineare  l’iniziativa di Dio che parte da un interessamento partecipato e termina con una “incarnazione” (“sono sceso”). Gesù costituirà l’atto terminale di questa successione di verbi di Dio (“si fece carne e pose la sua tenda fra noi”). A questo forte protagonismo di Dio, si intreccia la missione collaboratrice di Mosè che, come tutti i profeti, sente lo scarto tra il compito affidatogli e il limite personale (“Chi sono io?”). A questo dubbio, Dio pone il sigillo del suo nuovo nome (“Io sarò con te”).
Dio davanti al cespuglio dell’uomo (Luca 13,1-9).
Nella prima Lettura ci è stato presentato l’uomo Mosè davanti al “cespuglio” di Dio, stupito e pazientemente in attesa per raccogliere i frutti del fuoco della Rivelazione e della missione. Ora, nel Vangelo, le parti si invertono; é Dio che si pone davanti ai cespugli un po’ secchi degli uomini per cercarne i frutti: « Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò».  I fichi e l’uva avevano, per gli ebrei, un forte significato simbolico evocativo perchè erano i primi frutti che avevano incontrato quando si installarono nella Terra Promessa. Il fico, nell’insegnamento rabbinico, simboleggia, per la sua dolcezza, la Parola di Dio, la Torah. E’ una pianta che si usava piantare nei vigneti e diventava il simbolo della legge di Dio piantata nella vigna-Israele. La vigna, infatti, fu presa dai profeti come il simbolo del popolo piantato dal Signore non come pianta ornamentale da appartamento, ma come albero da frutta. Dio viene incontro all’uomo e cerca il frutto dell’amicizia. Fin dalla prima sera della creazione, Egli ama passeggiare con l’uomo (Genesi 3,8) e lo cerca <Adamo dove sei?> .  Ma Dio pare sfortunato. La sterilità del nostro legno secco sarà vinta dal legno della croce da cui pende il frutto dolce che è Gesù.
Noi restiamo questo fico che succhia e si appropria dei doni della terra, gonfiandosi di foglie senza far frutti; non solo non produciamo frutti, ma impoveriamo e rendiamo improduttiva la terra.  Ora veniamo “lasciati (perdonati)” per <un anno>, che è il periodo della nostra vita, per permetterci di innestarci come tralci sulla vite che è Cristo (Giov.15).
Dio e uomo si cercano nel fogliame quotidiano.
Per rielaborare la meditazione biblica non posso non pescare a piene mani nel cuore e nella parola di Mons. Tonino Bello[2]:
«Qualcuno ha scritto che la meraviglia è la base dell’adorazione.  Anzi, l’empietà più grande non è tanto la bestemmia o il sacrilegio, la profanazione di un tempio o la dissacrazione di un calice, ma la mancanza di stupore. Oggi c’è crisi di estasi. E’ in calo il fattore sorpresa.  Non ci si esalta per nulla.  C’è in giro un insopportabile ristagno di cose già viste, di esperienze già fatte, di sensazioni sottoposte a ripetuti collaudi. Siamo appiattiti dagli standard, omologati dagli schemi, prigionieri della ripetizione modulare.  La fantasia agonizza.  Occorrerebbe riutilizzare il Salmo, nel quale si densifica il rapimento estatico di chi contempla la gloria di Dio: «O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra» (Sal 8, 1). Se avessimo gli occhi dei bambini, dovremmo essere capaci di leggere questa scritta su tutta la curva del cielo, da oriente a occidente.  Incoraggiare l’attitudine allo stupore.  Non disdegnare, come cedimento alla serietà organica del pensiero, il tentativo di indicare nella bellezza la strada privilegiata attraverso cui Dio si rivela. Il mare in tempesta o il firmamento nelle notti d’agosto, il colore dei fiori che spuntano sui crepacci o l’incantesimo delle vette innevate, lo struggimento degli alberi che si torcono nella bufera o lo splendore degli occhi di una donna, non hanno smesso di proclamare su tutta la grandezza della terra il nome di Dio. Senza stupore è difficile l’incontro con Dio.  Senza rapimenti estatici è impossibile parlargli.  Al massimo, con Dio ci potrà essere rapporto mercantile, basato sulle contrattazioni della domanda e dell’offerta: soprattutto nei momenti della paura o dello smacco. Ma non incontro personale, né abbandono di fiducia, e tanto meno, ebbrezza d’amore.
«Non ti dimenticherò mai… Ho scritto il tuo nome sul palmo della mia mano» (Is 49,15-16).  Sapere che, questa frase di Isaia, Dio la ripete a te, a me, a tutti, fin da quando siamo stati concepiti nel grembo materno, non può non alzare la soglia del rapporto personale con lui. Lui che, come dice il profeta Baruc, «chiama le stelle per nome, ed esse gli rispondono “eccomi” brillando di gioia!» (Baruc 3,34-35).  Lui che non deposita negli archivi i nostri volti, ma li sottrae all’usura delle stagioni, illuminandoli con la luce dei suoi occhi.  Lui che non seppellisce i nostri nomi nel parco delle rimembranze, ma li evoca a uno a uno dalla massa indistinta delle nebulose e, pronunciandoli, con la passione struggente dell’innamorato, li incide sulle rocce dei colli eterni.
E ho provato a pensare se  ci possa mai essere qualche angolo del mondo sottratto, per così dire, all’invadenza del Nome di Dio. Ma non mi è riuscito di trovarlo. La gloria del Signore JHWH straripa da tutte le parti. Non ci sono zolle di terra che non si lascino inumidire dalla sua rugiada. Neppure gli spazi dove si imbastardiscono le trame più inique sono impermeabili all’azione di Dio. Lì, nei santuari dove la gente si raccoglie in cerca di pace; ma anche oltre la siepe del giardino comunale disseminato di siringhe. Nelle celle del monastero di clausura impregnate di preghiera, ma anche giù nei sotterranei delle metropoli dove si sfrenano ogni giorno le orge della dissolutezza. La verità è che la terra non è oggetto di spartizione tra l’impero del bene e l’impero del male. A Dio non  appartengono solo le aree del sacro. Egli riempie d’olio tutte le lampade della vita, fa ardere i roghi della storia, accende le fiammelle della cronaca, illumina i crepuscoli delle nostre stagioni spirituali. E Dio non si macera nel timore che l’uomo un giorno o l’altro debba trafugargli i brevetti delle sue invenzioni. Non considera l’uomo come suo rivale, ma come partner che collabora con lui nel cantiere sempre aperto della creazione, Come socio, cioè, di pari dignità, nella sua cooperativa di lavoro».


[1] Da A.Pronzato PAROLA DI DIO anno C, Ed.Gribaudi pag. 76.
[2] T.Bello,  Non c’è fedeltà senza rischio, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2000.

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