24 ottobre 2021. Domenica 30a
UNA FEDE DA MARCIAPIEDE

Alla scuola del capitolo 10 di Marco, in queste domeniche, mi sono chiesto se davvero sono discepolo o manichino da esposizione, se siamo credenti o cattolici anagrafici e domenicali, se abbiamo perso per strada l’illuminazione originaria e quel po’ di radicalismo che Gesù ha offerto e chiesto nei rapporti familiari, nell’uso dei beni e nei rapporti sociali. O forse hai nostalgia, come me, di tornare ad essere catecumeno perchè ti stai chiedendo: ma il mio credere, che è ?

30a domenica B
Preghiamo. O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole verso coloro che gemono nell’oppressione e nel pianto, ascolta il grido della nostra preghiera: fa’ che tutti gli uomini riconoscano in lui la tenerezza del tuo amore di Padre e si mettano in cammino verso di te. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Dal libro del profeta Geremìa 31,7-9
Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Èfraim è il mio primogenito».
Salmo 125 . Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia.
Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.
Dalla lettera agli Ebrei 5,1-6
Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek».
Dal Vangelo secondo Marco 10,46-52
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
UNA FEDE DA MARCIAPIEDE. Don Augusto Fontana
Religione «fai-da-te»?
Il fenomeno religioso italiano ci offre spesso immagini di una folla immensa che si accalca attorno a papi, madonne, veggenti e santi. La religiosità si risveglia dal sonno dell’indifferenza, ma non sempre dal sonno della ragione. Si va alla religione come si va al supermercato: si guarda, si vaglia e si sceglie una merce lasciando l’altra. Nessuno compra l’intero deposito del supermarket. Anch’io ho scelto Gesù, ma non “tutto compreso”; mi sarebbe costato troppo. Più comodo optare: due comandamenti su dieci, una beatitudine su otto, quattro versetti su dodicimila, tre parabole su cinque…Gli americani direbbero «believing, without belonging», credere senza appartenere. Qualcuno ha riscontrato che le migliaia di giovani che passano ad applaudire il Papa nelle Giornate mondiali della gioventù di fatto continuano a fare l’amore col preservativo e sognano i cellulari di ultima generazione, che non è certo la generazione degli affamati e assetati di giustizia. Applaudenti disobbedienti, come molti miei alleluja. Religione usa e getta. Religione prêt-à-porter. Ho un brivido: appartengono a questa religiosità popolare anche gli afflussi ai santuari, il ricorso ai frati guaritori, alle immaginette infilate nel dizionario del figlio o sotto il cuscino di nonna Maria, al “far dire una Messa”?  Cachet religiosi «che – come scrive il sociologo Domenico de Masi – anziché innalzare l’uomo al livello della religione abbassa la religione al livello più basso dell’uomo». Qualcuno sostiene che il popolo si sta ribellando ad un cristianesimo ingessato, ritualistico, senz’anima, dottrinale, eroico, autoritario. La fede è evento povero, ma non semplice né tanto meno naturale. Siamo assetati di sicurezze, tartufai alla ricerca di un Dio troppo annidato, e questo ci fa onore; ma siamo pure ammalati di fede epidermica part-time, di cecità interiore collettiva derivata dalla fretta e dalle ovvietà quotidiane, che ci privano della capacità di contemplare il mistero e l’invisibile, qualsiasi essi siano, umani o trascendenti. Forse siamo anche molto prudenti verso un Dio che, se gli dai un dito, si prende braccia, corpo, anima, soldi, tempo, sonno. Signore, vacci piano!
Ma il mio credere, che è ?
Alla scuola del capitolo 10 di Marco, in queste domeniche, mi sono chiesto se davvero sono discepolo o manichino da esposizione, se siamo credenti o cattolici anagrafici e domenicali, se abbiamo perso per strada l’illuminazione originaria e quel po’ di radicalismo che Gesù ha offerto e chiesto nei rapporti familiari, nell’uso dei beni e nei rapporti sociali. O forse hai nostalgia, come me, di tornare ad essere catecumeno perchè ti stai chiedendo: ma il mio credere, che è ? Gli Evangeli sono ossessivi nel definire il discepolato come sequela e la fede come cammino. Nelle pagine bibliche odierne i termini che descrivono moto e spostamento risuoneranno per almeno quindici volte su assemblee rispettosamente sedute nell’ascolto, ma potenzialmente convocate al cammino. Tutta la fede ebraica poggia su partenze, cammini, ritorni, pellegrinaggi; come l’Incarnazione e la Risurrezione di Cristo. L’evento accaduto al cieco Bartimeo è il prototipo di ogni cammino battesimale e post-battesimale; anche il consolante oracolo del profeta Geremia rimette in moto gambe anchilosate di deportati ormai seduti sui marciapiedi della propria storia, provoca scariche adrenaliniche nel cuore di straccioni e di non-eroi divenuti un imponente corteo che torna a casa cantando a Dio il pianto del loro andare e la gioia del tornare (Salmo 126).
Il cammino di Bartimeo accade a Gerico, un’oasi fertilissima, una città di villeggiatura dove nasce la tentazione di sostare. Gesù invece entra, attraversa e se ne va intercettando questo cieco seduto non a godere gli ozi della sosta ma a mendicare la sostanza della vita. Cieco mendicante seduto: tre poco invidiabili condizioni per un uomo, per ogni uomo, per ogni discepolo. Bartimeo è cieco come il discepolo che non capisce: «Non capite ancora? Avete gli occhi e non vedete[1]». Pietro alla serva che lo aveva identificato, aveva risposto:«Non ho mai visto quest’uomo» (Marco 14,71). L’apocalittico Giovanni in una delle sue misteriose visioni mette in bocca a Gesù una dura parola alle sue chiese:«Voi dite “non abbiamo bisogno di nulla” e non vi accorgete di essere falliti, infelici, poveri, nudi e ciechi. Comprate da me il collirio per curarvi gli occhi e vederci» (Apoc. 3, 14-20). La conversione di Saulo avviene attraverso il simbolismo della cecità guarita a tappe: «Saulo si alzò da terra, aprì gli occhi, ma non ci  vedeva…subito dagli occhi di Saulo caddero come delle scaglie ed egli recuperò la vista, si alzò e fu battezzato, poi mangiò e riprese forza” (Atti 9). A tappe avviene la guarigione del cieco nato[2], quella del cieco di Betsaida[3] e del cieco di Gerico.  Crollano i miti delle conversioni improvvise. Occorre abituarsi al tema della gestazione, della nascita e della crescita della fede dentro conflitti e coccole di una storia viva di incontri, ascolti e perdite.
Bartimeo è mendicante per povertà, ma anche per desiderio. Attende nella ciotola il tintinnare di un’elemosina e gli casca nel piatto un Dio di liberazione. E’ seduto, immobilizzato ai bordi del cammino frequentato da Gesù, come faranno i discepoli fermi ai margini della sua crocifissione.
E Bartimeo grida, grida. Il grido è una forma fondamentale di preghiera: «Dal profondo grido a te, Signore» dice il salmo 130 che d’ora in poi ci giunge accompagnato dal forte grido di Gesù morente che sfida le promesse del Padre, unito a tutti i grandi sofferenti della storia:«Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: “Fino a quando tu che sei santo, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?”. Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco»(Apoc.6, 9-1). E’ il grido laico delle folle dei maledetti dalle nostre civiltà, è la preghiera incessante dei giusti e dei monaci: «Abbi pietà di me! Abbi compassione viscerale e materna!». La preghiera non turba la quiete pubblica; il grido infastidisce: «Lo sgridavano perchè tacesse». La chiesa delle cifre, guardia del corpo di Gesù, gli fa ressa intorno. Molti potrebbero avvicinarsi, ma glielo si impedisce. L’emorroissa sfonda la barriera; il paralitico viene calato dal terrazzo; i bambini faticano a superare il filtro selettivo dei discepoli: c’è sempre qualcuno che è infastidito dalle esagerazioni di questi cortei di straccioni che infrangono il cerimoniale perchè non risultano tra gli invitati e diventano elementi “fuori programma” a cui vorremmo insegnare l’alfabeto delle buone maniere. Con la scusa di difendere Gesù difendiamo la tranquillità della nostra privacy o delle nostre assemblee liturgiche che sembrano fatte apposta per tenere lontano coloro che si portano dentro un’ansimante lunga rincorsa verso la fede o un dramma umano che si può sfogare solo con una voce non regolamentare e non prevista dalle nostre dottrine o dai cerimoniali.
«Gesù si ferma» – narra il Vangelo – come in casa di Zaccheo e nell’osteria di Emmaus; anche Dio rispetta gli stop dei nostri inquieti incroci. Poi scatta il passaparola della chiamata: «E disse “Chiamatelo” ed essi lo chiamarono». Il discepolo non vede, ma può ascoltare l’invito alla sequela; la chiesa viene obbligata ad aprire un varco e a farsi promotrice di convocazione e di vocazione del petulante straccione dagli occhi cisposi che «balza in piedi gettando il mantello»; quel mantello che, come recita il Libro del Deuteronomio (24,12), è la pelle dei poveri, vestito, materasso, casa e coperta. A differenza del giovane ricco, questo cieco compie il gesto del vero discepolo e si libera del necessario: « Voi infatti vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni ed avete rivestito l’uomo nuovo che si rinnova ad immagine del suo creatore» (Coloss. 3,9).
«E lo seguiva per la strada». Il Vangelo di Marco si era aperto con la suocera di Pietro guarita che si mise a servirli, ora si chiude con un altro indebolito e guarito che si mise a seguirlo: sono i due verbi del discepolo che è stato guarito-salvato da Gesù.
Mendicare Dio con mani aperte per lasciare e ricevere.
Oggi, nella Lettera agli Ebrei , Dio si presenta come uno che entra dentro nelle angosce umane e ne compartecipa le vicende. Occorre innanzitutto raccogliere, nella ciotola della nostra banalità e creaturalità, questo Dio che si fa debole della nostra debolezza, contemplando e adorando questo Suo modo di essere Dio-con-noi, anzi Dio-come-noi. E’ vero: noi siamo eterni mendicanti di sicurezza economica, di salute, di amicizia, di religione (perchè anche la religione e i suoi gesti possono appartenere al bisogno naturale dell’uomo) e ci fa piacere se nella nostra ciotola di mendicanti qualcuno vi versa dentro qualche spicciolo utile di ciò che attendiamo; ma ogni tanto dobbiamo permettere che dentro alla ciotola ci caschi Gesù il Cristo, apparentemente inutile per soddisfare le attese immediate, ma fondamentalmente essenziale per la radicale trasformazione della nostra condizione e del senso della  nostra vita, come è successo a Bartimeo.
Bartimeo si apre un passaggio attraverso il servizio d’ordine. Gesù predilige questi individui che si tirano fuori dalla folla, superando le barriere di protezione. Dire “vocazione” significa accettare di non stare seduti ai margini, nè accucciati nelle abitudini, nè anonimi nella fila degli utenti della religione, nè paralizzati nelle carrozzelle delle nostre delusioni, nè inebetiti dalle troppe cose da fare, nè incartapecoriti dalle pigrizie. La chiamata ci estrae dalla tana di una vita raggomitolata buttandoci nella pubblica testimonianza: gli apostoli vengono messi a disposizione del Regno di Dio; Zaccheo viene sfilato da dietro la patetica foglia di fico di quell’albero e la donna mestruata è squadernata in pubblico.  La chiamata ci estrae anche dal rapporto massificato della folla verso un rapporto personale con Gesù pulsante come un’amicizia che è tutto meno che l’ingresso in uno stato di catalessi vegetativa. Gesù mi chiama ad essere protagonista di un movimento e non membro di un’istituzione, ad essere testimone e non utente o notaio. Gesù non vuole vedere la mia maschera, ma il mio volto. Ogni vocazione-chiamata comporta che ci si liberi di un qualche “mantello”: i deportati a Babilonia, gli apostoli, Zaccheo, la donna mestruata, il cieco, Lazzaro…tutti cedono porzioni di sicurezza, bendaggi mortiferi e ammuffiti, vergogne, cianfrusaglie pur di balzare in strada per avvicinarsi a Lui, salire, scendere, tornare, risorgere, guarire. O diventare veggenti. «Io sono la luce del mondo» dice Gesù e «Chi vede me vede il Padre», però è pur vero che Dio resta mistero sconosciuto ed inconoscibile. Ora lo vediamo come in uno specchio nella speranza di vederlo cosi come Egli è. La fede, come la vita, resta un “problema serio” ed occorre diffidare delle scorciatoie visionarie.        


 [1] Marco 8,18.
[2] Giovanni 9
[3] Marco 8,22-26

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