25 giugno 2023. Domenica 12 tempo ord
DALL’ORECCHIO AI TETTI

Papa Francesco nella Evangelii Gaudium al n. 183 scrive: «nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra»

12 domenica A – 25 giugno 2023
Preghiamo. Padre, che affidi alla nostra debolezza l’annuncio profetico della Tua Parola, sostienici con la forza del Tuo Spirito, perché non ci vergogniamo mai della nostra fede, ma confessiamo con tutta franchezza il tuo Nome davanti agli uomini, per essere riconosciuti da Te nel giorno della Tua venuta. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Dal libro del profeta Geremìa 20,10-13 (traduz. Bibbia Interconfessionale in lingua corrente).
Mi accorgevo che molti parlavano male di me e da ogni parte cercavano di spaventarmi. Dicevano: «Se qualcuno lo denuncia, lo denunceremo anche noi». Perfino i miei amici più cari aspettavano un mio passo falso e dicevano: «Prima o poi, qualcuno riuscirà a ingannarlo! Così, l’avremo vinta noi e potremo vendicarci di lui». Ma tu, Signore, stai al mio fianco, tu sei forte e mi difendi: per questo i miei persecutori cadranno e non avranno la meglio su di me. Dovranno vergognarsi perché i loro progetti andranno in fumo. Saranno disonorati per sempre e nessuno lo dimenticherà. Tu, Signore dell’universo, sai distinguere chi ti è fedele perché vedi i sentimenti e i pensieri segreti dell’uomo. Ho affidato a te la mia causa: sono certo che vedrò come tu punirai i miei nemici. Cantate inni al Signore! Lodate il Signore! Egli ha liberato il povero dal potere dei suoi nemici.
Salmo 68   Nella tua grande bontà rispondimi, o Dio.
Per te io sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia;
sono diventato un estraneo ai miei fratelli, uno straniero per i figli di mia madre.
Perché mi divora lo zelo per la tua casa, gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me.
Ma io rivolgo a te la mia preghiera, Signore, nel tempo della benevolenza.
O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi, nella fedeltà della tua salvezza.
Rispondimi, Signore, perché buono è il tuo amore; volgiti a me nella tua grande tenerezza.
Vedano i poveri e si rallegrino; voi che cercate Dio, fatevi coraggio,
perché il Signore ascolta i miseri non disprezza i suoi che sono prigionieri.
A lui cantino lode i cieli e la terra, i mari e quanto brùlica in essi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 5,12-15
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.
Dal Vangelo secondo Matteo 10,26-33
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

DALL’ORECCHIO AI TETTI. Don Augusto Fontana

«Di un peccatore si può fare un santo, ma di coloro che non sono niente, né cristiani né pagani né appassionati né freddi né santi né peccatori, di loro, anime morte, che cosa ne faremo?» (Peguy).  E’ scritto nel Talmud ebraico (Sanhedrin 97b) che per ogni generazione esistono trentasei giusti nascosti e che grazie ai loro meriti il mondo continua a sussistere. Scrive Paolo all’amico Timoteo (2 Timoteo 1,8), a me e a te: «Non vergognarti della testimonianza da rendere al Signore nostro». Per chi vuol uscire dallo stato di “anima morta”, di timore e di fuga, i rischi esistono. Il discorso missionario di Gesù, riferito da Matteo nel suo cap. 10, resta un azimut di riferimento a cui alzare periodicamente gli occhi, come faremo ancora nella liturgia di questa domenica.
Tutte le istruzioni date da Gesù ai discepoli e contenute nel cap. 10 di Matteo sono riferite ad una testimonianza pubblica: «Chiamati a sé i dodici discepoli li inviònon v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato». Gesù chiede un’adesione pubblica; non gli basta un’adesione devota consumata unicamente nel segreto. L’espressione di Matteo10,38 «chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me»[1] non si riferisce ai fastidi della vita quotidiana, ma alle conseguenze della testimonianza pubblica. L’adesione a Gesù diventerà pubblica e pericolosa[2]. Siate sovversivi, pasquali.
L’annuncio che ci viene dai testi liturgici di questa domenica si pone in continuità con le “istruzioni” date da Gesù alla sua comunità in vista della missione: “Andando, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date…Non procuratevi oro, né argento…”.  Papa Francesco nella Evangelii Gaudium al n. 183 scrive: «nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica, la Chiesa non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia».
Non temete-non scappate.
Oggi l’accento pare messo sulla FIDUCIA: l’invito a “non temere” ricorre 3 volte. Originariamente, nella lingua greca il verbo fobéo (=temere) aveva la sua radice in un verbo che significava fuggire. Quando io ho paura, cerco sempre di fuggire via; e il mio fuggire rivela le mie paure.  La formula «non temete!» ricorre 74 volte nell’Antico Testamento.
Nella prima Lettura, l’esperienza del profeta Geremia sembra essere esemplare per chi accetta di fidarsi e affidarsi. I suoi compaesani del villaggio di Anatot non vedono di buon occhio l’impegno di Geremia a sostenere la riforma religiosa del re Giosia che sopprime i piccoli centri di culto sparsi nel paese e tenta di creare un grande culto centralizzato a Gerusalemme. La soppressione dei santuari locali a favore del culto centralizzato tocca gli interessi di molte persone che lo minacciano di morte. Le prese di posizione del profeta contro la corruzione del suo ambiente gli alienano amici e conoscenti, gli attirano scherni e insulti. Nel profeta Geremia si specchia l’icona di Gesù: «Padre, nelle tue mani consegno la mia vita» (Lc 23,46).
C’è un invito a vincere il timore. Questo timore non è il “timore psicologico”, che può benissimo convivere con la fede-fiducia (tutti i martiri antichi e contemporanei hanno dichiarato di “avere paura”); siamo invitati invece a vincere quella pigrizia che lascia la Parola ricoverata nell’orecchio anziché annunciata dai tetti, annidata nel cuore e non esternata nella carne delle mani. Vincere la timidezza, ma con quale garanzia? Che Dio ci preserverà e non ci capiterà niente di male? Per noi piccoli passerotti, la traduzione italiana del testo che ascolteremo rasenta la bestemmia: “nemmeno un passero cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia”, tradotto nel proverbio popolare “non cade foglia che Dio non voglia”.  Nel testo originale greco c’è invece un Padre che cade insieme con i discepoli deboli: «nessuno di loro cadrà senza il Padre vostro (aneu tu Patròs umon)». Per quanto possiamo cadere, nella nostra vita, non c’è caduta che non veda presente il Padre, non perché si cade per sua volontà, ma perché Lui cade con noi. Nessuno cade senza il Padre. Abbiamo un Dio così.
Ogni Domenica, durante la Messa, il celebrante fa una preghiera di liberazione sui fedeli:  “Liberaci, Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri a ogni turbamento,  nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesú Cristo”. Il “saldo” avverrà alla fine dei tempi: la provvidenza non è una assicurazione contro gli infortuni della vita. “Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Signore, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?».  Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro” (Apocalisse 9,9-11).
Potremmo riflettere sui tre “Non temete!” odierni di Gesú:
1) Non temete gli altri. Se accettiamo di vivere coerentemente con il Vangelo, il rapporto con gli altri può procurare tensione, fraintendimento, frustrazione. Gesú é stato il primo a sperimentare relazioni difficili: é stato chiamato addirittura Beelzebul, sporco diavolaccio. Forse la nostra situazione è un’altra, quella cioé di persone che non subiscono alcun tipo di conflitto, per il semplice fatto che non si espongono a testimoniare, che restano invischiate e omologate alle abitudini comportamentali e di pensiero dell’ambiente in cui vivono. L’assenza di persecuzioni per la Chiesa può essere il segno che essa non é piú come il sale che brucia sulle ferite dell’umanità o offre sapore all’insipida esistenza di massa. In questo caso Gesú é chiaro: «Chi dunque riconoscerà me (il testo greco usa il verbo homologhéō che significa dichiararsi solidale o complice) davanti agli uomini anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; «chi mi rinnegherà (il testo greco usa il verbo arnéomai usato per descrivere la negazione di Pietro nel cortile del tribunale) anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”. Ma che cosa vuole dire essere solidali con Gesù, dichiararci appartenenti a Lui? Padre Christophe, uno dei 7 monaci sgozzati nel 1996 a Tibhirine, in Algeria, aveva scritto: “Noi abbiamo dato a Dio il nostro cuore ‘all’ingrosso’, e ci costa molto che ce lo prenda al dettaglio”. Il dono totale di sé  (“all’ingrosso”) deve incominciare a consumarsi nella pazienza del quotidiano (“al dettaglio”). Come scrive Madeleine Delbrêl assistente sociale, mistica, poeta (1904-1964): “La passione, noi l’attendiamo. Noi l’attendiamo, ed essa non viene. Vengono, invece, le pazienze. Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la Tua gloria, di ucciderci senza nostra gloria. Fin dal mattino esse vengono davanti a noi e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi. E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando – per dare la nostra vita – un’occasione che ne valga la pena. Perché abbiamo dimenticato che come ci sono rami che si distruggono col fuoco, così ci sono tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura. Perché abbiamo dimenticato che se ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici, ci sono fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l’indossano. Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso: ce ne sono di quelli sgranati da un capo all’altro della vita. È la passione delle pazienze” .
2) Non temete per voi stessi. Anche la nostra sicurezza é messa alla prova: i nostri sembrano tempi nei quali nessuno può sentirsi completamente al sicuro. Ci stupisce quindi Gesú quando ci esorta a non preoccuparci troppo dei pericoli riguardanti il corpo, ma piuttosto di quelli riguardanti l’anima (in greco: psychê, psiche). Qui non si tratta di un dualismo, della serie “l’unica cosa che conta é l’anima, il corpo non vale nulla”, ma di una diversa scala di valori. Ci ritornano alla mente le parole di Mt 6: “Per la vostra vita non affannatevi […] e neanche per il vostro corpo…cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”. O quelle di Lc 10,41 “Marta, tu ti preoccupi (meglio sarebbe tradurre “ti iper-occupi) e ti agiti per molte cose, ma una sola é la cosa di cui c’é bisogno”.
3)    Non temete Dio.  Gesú utilizza due similitudini, per farci capire quanta sia la cura di Dio verso di noi: quella dei due passeri senza valore commerciale e quella dei nostri capelli. Nel Vangelo ci sono altre immagini che ci descrivono in modo pittoresco la cura che Dio ha per ciascuno di noi, come ad esempio quella degli uccelli del cielo (in Luca é specificato: i corvi) che il Padre nutre, o dei gigli del campo che il Padre veste. Ma anche i tre quadretti della pecora soccorsa con ansia dal pastore, della moneta perduta e cercata dalla donna, del figlio peccatore che viene accolto dal Padre.  Immagini dolci che tentano di affascinarci e ci invitano a non temere.

Dove finiamo tutti noi, nella settimana, dopo aver celebrato la Pasqua settimanale? Siamo un popolo da sagrestia o un popolo che vive nella piazza? Quello che la Parola oggi rivela è un problema da sempre avvertito nella chiesa. Ne fa fede questo testo di Gregorio Magno (540-604): «Non posso tacere e tuttavia, parlando, non posso evitare di colpire me stesso con la spada della Parola di Dio. Parlerò, parlerò. Che la spada della Parola di Dio passi anche attraverso me stesso, per arrivare a trafiggere il cuore del prossimo, a toccarlo in profondità nello Spirito. Parlerò, parlerò. Che la Parola di Dio si faccia sentire attraverso me, sia pure, prima che contro altri, contro di me».  


[1] che troveremo anche in 16,24 «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
[2] Cf. P.Bonnard, L’évangile selon saint Matthieu, Delachaux & Niestlé, pag 156

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