25 luglio 2021. Domenica 17a
DAL SEGNO DEI PANI AL PANE COME SEGNO

La liturgia domenicale oggi interrompe ancora una volta la Lettura continua del Vangelo di Marco e ci squaderna il capitolo 6 di Giovanni che verrà proclamato quasi per intero fino a domenica 22 agosto. E’ la volta buona per leggere fin da oggi tutto il capitolo 6 per intero. Pane per chi ha fame e fame per chi ha pane. Quale fame abita la nostra esistenza? Di quale nutrimento abbiamo davvero bisogno?

XVII domenica B 

Preghiamo. O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal secondo libro dei Re 4, 42-44
In quei giorni, da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”».Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.
Dal Salmo 144 (145).  Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli.

Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza. 
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente. 
Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità. 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni  4, 1-6
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

Dal Vangelo secondo Giovanni  6, 1-15
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

DAL SEGNO DEI PANI AL PANE COME SEGNO[1].. Don Augusto Fontana
La liturgia domenicale oggi interrompe ancora una volta la Lettura continua del Vangelo di Marco e ci squaderna il capitolo 6 di Giovanni che verrà proclamato quasi per intero fino a domenica 22 agosto. E’ la volta buona per leggere fin da oggi tutto il capitolo 6 per intero.
Pane per chi ha fame e fame per chi ha pane. Quale fame abita la nostra esistenza? Di quale nutrimento abbiamo davvero bisogno?
Il segno dei pani, unico segno narrato 6 volte da tutti gli evangelisti (due volte in Mc e Mt e una volta in Lc e Gv) è riletto da Giovanni con originalità. Al di là delle differenti accentuazioni tutti gli evangelisti interpretano il fatto in senso eu­caristico/pasquale.
Il capitolo 6 costituisce un punto nodale del quarto Vangelo. Eppure pare che abbia avuto una genesi un po’ faticosa; pare che sia un testo inserito tardivamente nel quarto Vangelo, l’unico che non conteneva il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia.
L’evento è situato nel tempo di Pasqua e ….al di là del mare di Galilea, di Tiberiade, in quell’ansa del lago che sta tra Cafarnao e Tiberiade, che può essere attraversata in barca o percorsa a piedi sulla riva. Sono chiare allusioni all’esodo.
Tutto il c. 6 è un gioco di equivoci sul pane, come nel cap. 3 con Nicodemo sul «na­scere» e nel cap. 4 con la Samaritana sull’«acqua». L’equivoco nasce da un doppio senso: una parola ha un significato comune, ma anche un altro significato più importante e più profondo da scoprire. La lettura “simbolica” della realtà fa la differenza tra l’uomo e l’ani­male. Ogni cosa non rappresenta solo se stessa, ma anche rimanda ad altro. Chi non lo coglie, è un «uomo animale» (come dice S. Paolo), che non capisce le cose di Dio, ma neppure quel­le dell’uomo. Il fine del lavoro dell’uomo è mangiare per vivere. Ma come si mangia? L’animale consuma il suo pasto da solo alla greppia, o contende la preda con il rivale. L’uomo invece è fatto per mangiare abitualmente in modo conviviale. Il fast food, consumato in solitudine, soddisfa la fame dell’animale, ma non quella dell’uomo. C’è dunque pane e pane. C’è quello che si compra e si vende, per il quale si litiga e si uccide. Non è certo questo che fa vivere; ad esso, anzi, si sacrifica la vita. C’è però anche quello che si riceve e si condivide con i fratelli, in reciproco amore, che fa dei nostri bisogni il luogo di relazione e di comunione. Non sarà mai a sufficienza meditato il senso della domanda del Padre Nostro: «Dacci oggi (Luca 11,8: “ogni giorno”) il nostro pane “epiousion”» (Matteo 6,11) che banalmente viene tradotto con “pane quotidiano”, ma che letteralmente significa “pane sostanziale, essenziale”.
La composizione del testo.
Inizia con due racconti, uno sul monte (vv.1-15) e l’altro nel mare (vv.16-21); segue il discorso/dibattito sul vero pane (vv. 26-59), che porta all’accettazione o al rifiuto di Gesù, alla confessione di Pietro o al tradimento di Giuda (vv. 60-71). Al centro del capitolo c’è «il pane», nominato 21 volte (su 25 in tutto il Vangelo di Giovanni). Come l’acqua e l’aria, anche il pane è sim­bolo primordiale di vita: lo si mangia per vivere. Ma, a differenza dell’acqua e dell’a­ria, non è solo dono della terra e del cielo; è anche frutto di lavoro, condito di gioia e fatica, di speranza e sudore.
Il segno di Gesù non può essere com­preso che alla luce della contrastante reazione che la sua parola suscita negli ascoltatori. Nel con­trasto fra i due tipi di lettura del segno si rivela chi è Gesù[2]. L’apertura e la conclusione del racconto, rivelano dove sta il contrasto tra le due “letture del segno”: all’inizio una grande folla segue Gesù «vedendo i se­gni che faceva sugli infermi» (v. 2); alla fine solo i Dodici rimangono, profes­sando la loro fede nella Parola: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (vv. 68­-69). Dalla fede fondata sui segni, alla fede fondata sulla Parola; dalla fame di pane alla comunione personale con Gesù: questo è il percorso che il segno sollecita a compiere.
Al centro, Gesù.
Giovanni, ritoccando il racconto si­nottico, concentra la sua narrazione su Gesù che assume l’iniziativa di tutto ciò che avviene. Ha cura dei presenti senza attendere la sollecitazione dei discepoli (v.5); è lui che distribuisce personalmente il pane (vv. 10-11); infine ordina che siano «radunati» i pezzi avanzati (v. 12). Questo modo di narrare cela un’intenzione teologica. Giovanni intende così mostrare che Gesù, oltre a farsene dispensatore, è lui stesso quel pane donato. Il percorso da compiere non è semplicemente dal dono al donatore; occorre comprendere che il donatore si rende presente in ciò che dona, perché non offre altro che se stesso. Dal segno dei pani bi­sogna giungere al pane come segno di Gesù.
In comunione con il Padre.
La scena è ambientata sul «monte», ricordato all’inizio e alla fine dell’episodio (vv. 3 e 15). Se il monte può evocare numerose pagi­ne bibliche, indubbiamente appare come il luogo della stabilità di Dio, con­trapposto al mare agitato in balìa del quale si troveranno i discepoli dopo es­sersi separati da Gesù. Sul monte Gesù si ritira per cercare la comunione con il Padre ed è da questo luogo che, «alzati gli occhi, vide una grande folla ve­nire a lui» (v. 5). Nei sinottici Gesù “alza gli occhi al cielo” subito prima di rendere grazie sul pane e distribuirlo; in Giovanni invece “alza gli occhi sulla folla”. Sarebbe utile cercare da Genesi 1 fino ad Apocalisse 21 tutte le volte che nella Bibbia c’è l’espressione alzare gli occhi  o volgere lo sguardo… In tutta la Bibbia e anche nel vangelo di Giovanni tutte le volte che “si alzano gli occhi” succede qualcosa. La domanda è: forse non succedono più alcune cose perché non alziamo gli occhi?
La prova per i discepoli.
Nella sua iniziativa Gesù coinvolge i discepoli, attraverso il dialogo che in­tesse con due di loro. Dapprima si rivolge a Filippo, «per metterlo alla pro­va» (v. 6). La prova di Dio, nella Bibbia, assume di so­lito un duplice significato: discerne ciò che c’è nel cuore dell’uomo e sag­giandolo lo purifica, per condurlo ad assumere il pensiero di Dio.  Gesù «sapeva bene quello che stava per fare» (v. 6).  Filippo, messo alla prova, mostra subito la sua incredulità: pani per duecento denari… Il denaro è la paga per una giornata di lavoro per un operaio, quindi 200 denari sono lo stipendio di sei mesi; forse è il denaro che avevano nella cassa? Arriva in scena Andrea, fratello di Pietro, il quale dice : C’è qui un ragazzino che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che è questo per tante persone? Il ragazzino non c’è nei Sinottici. L’evangelista insiste dicendo che c’erano solo adulti (5.000 adulti). In quella situazione di mancanza di pane, l’unico che ha qualcosa è un ragazzino, un povero, un debole, uno che conta nulla. Ci sono 12 apostoli e 5000 adulti che hanno niente; solo quel ragazzo ha pani e pesci. Probabilmente questo può essere stato suggerito da una analoga vicenda capitata al profeta Eliseo.
Da dove?
«Dove [letteralmente “da dove”] possiamo comperare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». In greco risuona l’avverbio pothen, che nel Vangelo di Giovanni ricorre frequentemente con un accentuato significato cristologi­co[3], per designare Gesù nel suo venire dal mistero di Dio. A Cana si narra che il maestro di tavola non sapeva «da dove venisse il vino» (2,9). La donna di Samaria domanda a sua volta a Gesù: «Signore, tu non hai un mezzo per at­tingere e il pozzo è profondo; da dove dunque hai quest’acqua viva?» (4,11). Come già nel deserto di fronte alla manna il popolo mormorava domandan­dosi: «Che cos’è», così ora chiede «chi è» Gesù, «da dove» viene. Gesù ave­va affermato solennemente la sua origine dal Padre, origine contestata dai giudei che si fermano alla «carne» dicendo di conoscere la famiglia: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo? » (6,42).  Il pane vero che sazia l’uomo, come il vino di Cana e l’acqua di Sa­maria, proviene da quel «dove» che è il Padre. Dice Gesù: «Io so da dove vengo e dove vado» (8,14). Durante il processo ro­mano Pilato indagherà l’identità di Gesù con il medesimo avverbio: «Da do­ve sei?» (19,9).
Niente, poco, tutto.
L’origine di questo dono non sostituisce l’agire del­l’uomo. Anche in questo consiste la prova alla quale i discepoli vengono sottoposti. La domanda di Gesù evidenzia la loro impossibilità: due­cento denari non basterebbero per comperare pane sufficiente per tutti, e cin­que pani di orzo e due pesci, che cosa sono per tanta gente? Per Filippo e Andrea se non si ha abbastanza, nulla è possibile. Il poco equivale a niente; tanto vale quindi non impegnarsi. Gesù con il suo ge­sto capovolge la prospettiva: il poco che si possiede può essere comunque do­nato. Che siano duecento denari o cinque pani, il calcolo da fare non è se sia­no sufficienti, ma se si è capaci di investirli totalmente.
Il gruppo di Gesù […] dà tutto quello che può, il ragazzino offre tutto quello che ha, la folla riceve tutto quello che chiede. […] In definitiva: se io do tutto quello che ho, il mio prossimo riceverà tutto quello che desidera. Il «se avessi di più» viene spazzato via da questa operazione[4].
Quando si dà tutto, è come se si donasse la propria vita. Al pari della vedova di cui parla­no Marco e Luca, la quale, gettando nel tesoro del tempio tutto quello che aveva, donava di fatto la propria vita (Mc 12,41-44; Lc 21,1-4), Gesù fa di questo gesto il segno dell’offerta totale di sé.
Un pane gratuito.
Gesù distribuisce il pane dopo aver fatto sdraiare  (ripetuto tre volte vv. 10-11) i presenti.  Non è facile comprenderne il significato. Molte ipotesi sono state avanzate; tra i vari rimandi possibili forse non va tra­scurato il ricordo della Genesi, quando il Signore rivela le conseguenze del peccato: «Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gn 3,17-19). Ora, nella salvezza operata da Gesù il pane può essere mangiato senza sudo­re, seduti non su suolo arido, ma rigoglioso di erba verde. In quel luogo c’era molta erba. E questo non è verosimile perché sulla riva al di là del lago imperversa il deserto. Gesù chiede che si adagino. A quel punto noi capiamo che Gesù sta per fare un banchetto pasquale: c’è la posizione di essere adagiati, così si doveva mangiare la Pasqua: era la posizione kyriale, signorile, di chi è padrone, signore.
Dodici ceste
Di fronte a tanta gratuità, del tutto stridente appare il tentativo con cui la fol­la (ancora una ricerca sbagliata) tenta di afferrare Gesù per farlo re. La tentazione della folla è piegare Dio al loro bisogno spogliandosi di una responsabilità personale. Le dodici ceste di pane avanzato sono lì per ricordare anche questo: il pane donato da Gesù rimane per sempre, senza creare legami innaturali di dipendenza. Gli uomini non do­vranno tornare ancora da Gesù per ricevere del pane, perché ormai lo hanno con loro, e comunque possono imparare come donarlo e condividerlo. Gesù dice ai discepoli: Radunate i frammenti avanzati : Radunate (il verbo greco è sunagô da cui deriva sinagoga) i frammenti (klàsmata). Nel testo della Didachè, anteriore a Giovanni, al cap. 9,4 si dice che, fatta l’eucarestia, si devono raccogliere i frammenti (sunagèin klàsmata). La comunità è sempre da costruire, anche dopo il rito.
C’è Pane e pane.
Papa Francesco ha citato spesso la teoria economica, dello «sgocciolamento» («trickle-down»), secondo la quale i benefici concessi alle classi più abbienti – ad esempio dal punto di vista fiscale – favoriscono l’intera società e «sgocciolano» anche sui poveri.  In sostanza, secondo questa tesi, quando il liquido (la ricchezza) all’interno del bicchiere cresce, ad un certo punto tracima e sgocciola in basso, provocando ricadute favorevoli sia sulla classe media come sui più poveri. Francesco ne aveva parlato al numero 54 dell’esortazione apostolica «Evangelii gaudium (novembre 2013): «Alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare».  Seppure indiretto, un riferimento a queste teorie lo si ritrova anche nella enciclica «Laudato si’»: «Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui». A queste citazioni si è poi aggiunto un capoverso del discorso ai movimenti popolari, che Francesco ha tenuto a Santa Cruz de la Sierra il 9 luglio 2015, durante il viaggio in Bolivia. Un testo che può essere considerato una «mini-enciclica» sociale. Il Papa ha dapprima osservato: «L’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è semplice filantropia. È un dovere morale. Per i cristiani, l’impegno è ancora più forte: è un comandamento. Si tratta di restituire ai poveri e ai popoli ciò che appartiene a loro. La destinazione universale dei beni non è un ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa. È una realtà antecedente alla proprietà privata. La proprietà, in modo particolare quando tocca le risorse naturali, dev’essere sempre in funzione dei bisogni dei popoli. E questi bisogni non si limitano al consumo». Quindi ha aggiunto, con evidente riferimento alla teoria del «trickle-down»: «Non basta lasciare cadere alcune gocce quando i poveri agitano questo bicchiere che mai si versa da solo. I piani di assistenza che servono a certe emergenze dovrebbero essere pensati solo come risposte transitorie. Non potranno mai sostituire la vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale».


[1] Fonti utilizzate: articoli di L. Fallica, B. Rossi, B. Maggioni in  PAROLE DI VITA  n. 2/2004.
[2] B. MAGGIONI, «La moltiplicazione dei pani», in M. MASINI (ed.), La parola per l’assemblea festiva. Diciassettesima domenica «per annum», Queriniana, Brescia 1972, 82.
[3] Sono 13 ricorrenze: 1,48; 2,9; 3,8; 4,ll; 6,5; 7,27 (2 volte); 7,28; 8,14 (2 volte); 9,29; 9,30; 19,9.
[4] P. BEAUCHAMP, «Le signe des pains», in Lumiere et vie 209 (1992) 57.

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