3 Aprile 2022. Domenica 5 Quaresima
COLPEVOLE GRAZIATA

Il processo contro il crimine è fatto, ieri come oggi, di cronaca quotidiana ed obbliga tutti a riflettere su una responsabilità che va ben oltre l’incriminato. Chi può dirsi veramente innocente? Nessuna condanna risolve veramente il problema del male nella società. Anzi, può essere fonte di pericolose illusioni in quanto ci potrebbe far credere di aver riparato il male, mentre in realtà lo lascia esistere nella radice che esso ha in ciascuno di noi e nella società. Anche un processo è, per Gesù, una occasione di evangelizzazione e di invito alla conversione per mettersi in sintonia con la strategia della misericordia o del “perdono attivo”. Anche il peccato è occasione di grazia.

Quinta domenica Quaresima

Preghiamo. «Dio di bontà, che rinnovi in Cristo tutte le cose, davanti a te sta la nostra miseria: tu che hai mandato il tuo Figlio non per condannare ma per salvare il mondo, perdona ogni nostra colpa e fa che rifiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e la gioia del saper perdonare».
Isaia 43, 16-21.
Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti che fece uscire gli Egiziani con carri e cavalli, esercito ed eroi; essi giacciono morti: mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono estinti. Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.
Salmo 126. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia.
Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb[1].
Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.
Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.
Lettera di Paolo ai Filippesi 3.
Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.  Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.
Dal Vangelo secondo Giovanni 8, 1-11.
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio e, la posero mezzo, e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia poichè insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo e la donna era là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; và e d’ora in poi non peccare più».

COLPEVOLE GRAZIATA. Don Augusto Fontana

 La giustizia e la giustificazione.
Era uno di quei poveri diavoli che anche tu hai incontrato almeno una volta nella vita. Era un povero, per la sua sprovveduta arte di arrangiarsi e per quell’innocente colpevolezza che gli derivava da un’infanzia vissuta tra le muffe dei muri e degli affetti. Era un diavolo dalla mano lesta, un artista a sfilare cellulari, portafogli e borsellini. Effeminato, con un incedere che non dava adito a dubbi anche per quel timbro di voce che pareva che gli venisse dalle tonsille. Ora è qui nell’aula del tribunale. Gli occhi sono un po’ spauriti e imbarazzati, in contrasto con gli occhi curiosi della piccola folla di pensionati guardoni che, come ogni mattina per perdere un po’ di tempo, fanno crocchio dietro le transenne in attesa di qualche interrogatorio pruriginoso. Io sapevo che l’aveva fatta grossa.  Anche lui era certo che non se la sarebbe cavata; mi aveva detto tutto. Per questo, stava lì, remissivo, in attesa del rientro della Corte. Attorno al suo caso l’opinione pubblica si era spaccata: innocentisti e colpevolisti.  Nell’aula i colpevolisti avevano rischiato di essere buttati fuori dal giudice, quando, in attesa dell’inizio del dibattimento, avevano tirato fuori degli striscioni: Difendiamo i nostri bambini da questi porci ! – Colpirne uno per educarne cento! Il giudice, con le giugulari gonfiate, aveva tuonato: «Qui non siamo in piazza. Qui si amministra la giustizia! Rimuovete quegli striscioni o faccio sgomberare!». Le sentenze popolari, scritte su quegli straccetti, furono pigramente arrotolate con un inchino riverente all’unica scritta ammessa in quel santuario: La legge è uguale per tutti.  L’amico che mi sta a fianco disquisisce: «Cosa c’entra la giustizia con la legge?». Ottima occasione per piazzargli tutta la mia cultura biblica: « S.Paolo parla spesso di giustizia e di giustificazione. Mi ha sempre colpito il fatto che la parola giustificazione è composta da due termini latini e cioè “iustum-fàcere” e che tradotta bene significa “rendere giusti”. Ora, l’amministrazione della giustizia umana può raggiungere il massimo quando dichiara che un uomo ha veramente compiuto o non compiuto il delitto di cui è accusato. La Bibbia, invece, dice che Dio giustifica, cioè rende giusti. Ci può essere una giustizia umana che dichiara la conformità o meno dei comportamenti ad una legge di riferimento, ma non potrà mai compiere il miracolo di ristrutturare la persona, il suo passato e il suo futuro. Dio invece crea dal nulla, rende giusti gli imputati e i giudici, i guardoni e i preti, gli innocentisti e i colpevolisti. E qui, in quest’aula, si amministra la giustizia, ma non la giustificazione». L’amico ha lo sguardo appannato. Capisco che non capisce. E questo mi manda in ansia perchè non so come farò a spiegare, domenica prossima, alle vecchiette della mia parrocchia, il fatto di Gesù che “giustifica” l’adultera. Entra la Corte. Tutti in piedi, come quando in chiesa si ascolta il Vangelo. «Visti gli articoli tal dei tali, comma secondo e l’articolo tale, comma primo…in nome del popolo italiano….dichiaro l’imputato non colpevole perchè i fatti non sussistono». «Come “non sussistono”?», penso io. E perchè “non colpevole”?  Il povero diavolo femminiello continua le sue scorribande tra borsellini e cellulari, ma i bambini non li ha più molestati. Non so se per paura, per convinzione, per giustizia o per …giustificazione.
Faccio nuove tutte le cose (Isaia 43).
 Quasi tutti siamo reduci da sogni. Il sogno che le guerre in Ucraina, Yemen, Tigrai siano finite; che in Afghanistan sia cessato il potere dei barbuti; che i poveri contino come o più dei ricchi. Il risveglio ci ha resi superstiti e stanchi realisti. Fu così al tempo del discepolo di Isaia. I suoi concittadini deportati erano caduti in una fede rattrappita e erano sul punto di lasciarsi andare. Molti erano rimasti ancoràti al passato; nel loro esasperato attaccamento alle tradizioni, non erano più in grado di attendersi cose nuove da parte di Dio. A loro dice: «Il Signore nel passato costruì una strada nel mare…in futuro aprirà una strada nel deserto». Mare e deserto sono due circostanze geografiche improbabili per tracciarvi strade e sentieri. La strada nel mare è un ricordo vivo dell’esodo dall’Egitto, centro della fede e della liturgia ebraica. Evento ora smentito e cancellato dalla condizione di deportazione. Resta un evento bello da ricordare e da celebrare, ma ormai troppo lontano e quindi ridotto a reperto archeologico o nostalgico; ridotto ad una fortuna capitata ad altri, non ripetibile.  Passano gli anni e si tende ad ammucchiare delusioni, rese ancora più amare da qualche smagliante ricordo. Il profeta, dissipando ogni illusione nostalgica, ricava, dal dato originario della fede, una risposta adeguata alla storia: il Dio dell’Esodo è capace di rinnovare altri esodi e il Dio della creazione è capace di plasmare un popolo nuovo (v.21). A Babilonia le situazioni sono mutate: non c’è più il mare e c’è invece il deserto, ma le situazioni si equivalgono perchè ambedue sono situazioni improbabili per sognarvi dentro un sentiero tracciato. Ciro, pagano, prende il posto del leader maximo Mosè: un evento davvero improbabile, come fu imprevedibile la novità di vita del fariseo Saulo e dell’adultera del vangelo di oggi.
Neanch’io ti condanno(Giovanni 8,1-11)[2]
Individuare i personaggi della narrazione evangelica è facile, ma deve essere fatto in funzione di una mia (tua) identificazione. A chi sono assimilabile io: ai falsi giusti moralisti che giudicano e condannano chi sbaglia e mettono Dio in tentazione? Oppure sono sovrapponibile a chi ha sbagliato senza alibi e si trova faccia a faccia con la gente e con Gesù? Oppure posso identificarmi con quel Gesù che ricrea un futuro per chi ha sbagliato? Oppure dentro di me convivono tutte e tre i personaggi?
Cosa fanno i moralisti?
– «Gli conducono un’adultera…la pongono nel mezzo»: altre volte i deboli vengono presentati a Gesù dalla comunità (il paralitico sulla barella, il cieco Bartimeo…) ma per finalità ben diverse da questa. Qui si inscena un processo. La …santa Inquisizione sarà sempre una tentazione per la Chiesa, per le Istituzioni politiche, per i gruppi ed anche per i singoli.
– «Se ne andarono…cominciando dai più anziani»: dopo essere entrati in scena come testimoni e giudici di un processo, se ne escono; non si sa se sconfitti o pentiti. Come i vecchi sporcaccioni che hanno insidiato Susanna per poi portarla in tribunale (Libro di Daniele Cap. 13).
Cosa fa Gesù?
– «Si china, per due volte, a scrivere nella polvere»: sono stati versati fiumi di inchiostro per interpretare questo gesto. Si fa l’ipotesi che il gesto trovi la sua ispirazione in una frase di Geremia 17,13: «Quanti si allontanano da Te saranno scritti nella polvere, perchè hanno abbandonato Te, fonte di acqua viva, Signore». Con quel gesto profetico Gesù vuole richiamare che tutti quelli che stanno davanti a lui sono adulteri infedeli e che la conversione riguarda personalmente tutti.
– «E la donna stava nel mezzo»: cioè nella stessa posizione in cui era stata messa dai testimoni-giudici, ma ora è messa al centro di una salvezza anzichè di un giudizio: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perchè il mondo si salvi per mezzo di Lui» (Giovanni 3,17).
Cosa fa la Donna?
Semplicemente «sta in mezzo». Questa frase, questa “posizione”, viene posta dall’evangelista all’inizio e alla fine del testo quasi ad incorniciare l’evento. A differenza della donna prostituta che in casa di Simone piange, profuma e bacia Gesù, questa donna adultera è passiva, statuaria, congelata nei fatti incontestabili, senza quegli slanci che conosciamo in altri personaggi (la donna mestruata, Zaccheo, il cieco, il lebbroso). Qui lei non si confessa, non implora, non chiede. Semplicemente si lascia trasportare dallo scontro tra giudizio e misericordia, tra giustizia e giustificazione.
Cosa dicono i moralisti?
 A Gesù dicono tre cose: gli raccontano un fatto («questa donna è stata colta sul fatto»),gli fanno ripassare il Catechismo («la nostra santa Legge ordina di lapidare»[3]), gli pongono un quesito insidioso e compromettente («tu che ne dici?»). Stanno cercando una copertura legale per potere in seguito condannare anche Gesù: se avesse contestato la Toràh avrebbero avuto una prova in più, se avesse confermato la Toràh si sarebbe screditato presso la gente per la sua incoerenza. Non bisogna sottovalutare questo tono processuale dell’intero episodio. Esso tocca una delle costanti della rivelazione biblica. Tutta la storia sacra non è altro che un immenso processo in cui si tratta di sapere chi ha ragione: Dio o gli uomini?
Cosa dice Gesù?
– «Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra»[4]: i moralisti gli hanno appena fatto ripassare il Catechismo citando strumentalmente un versetto della Santa Scrittura e Gesù li mette nell’impossibilità di eseguire la sentenza rifacendosi ad un altro articolo di quella Toràh che loro avevano usato per intrappolarlo.  Quell’articolo della Legge di Mosè prescrive che il testimone accusante fosse il primo a lapidare il colpevole, per dimostrare di essere immune da colpa. Il “peccato” a cui Gesù fa riferimento, non è, tuttavia, solo il peccato di adulterio, ma “qualsiasi forma di peccato”[5].  Non entra, dunque, nel merito delle procedure giudiziarie e, comunque, vuol far sapere che non ci si può servire del suo nome per condannare qualcuno: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37).
– «Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno. Va’ e non peccare più»: siamo alla sentenza finale di colui che non è venuto per i sani e i giusti, ma per i malati e i peccatori.  S. Agostino commenta: «Vengono lasciati soli in due: la misera e la misericordia». Dopo l’agitarsi degli scribi e farisei e dopo la tensione drammatica, tutto si risolve in una parola di speranza: la vita continua ed un futuro diverso si prospetta in forza di questa parola.
Cosa dice la Donna.
 «Nessuno, Signore»: è l’unica frase della donna che si rivolge a Gesù chiamandolo con il Nome pasquale di «Signore». Questo è il segno che la Donna rappresenta la Chiesa post-pasquale, credente e peccatrice, capace di debolezze e tradimenti, ma anche di stare davanti a Lui in attesa paziente della sentenza di giustificazione. Non è obbligata nè a fare l’elenco delle colpe, nè a circostanziarle, nè a sottostare al tariffario delle pene e delle penitenze. Lei è lì per dichiarare una grazia e non una colpa. Magari fossero così tutte le confessioni! Magari tutti i confessionali si trasformassero in quei pochi metri quadrati di polvere su cui è incisa la sentenza di giustificazione, su cui rimangono inerti le pietre destinate alla nostra o altrui lapidazione, su cui tutti hanno saputo sostenere il dialogo serrato con il Santo riconoscendosi racchiusi, tutti, sotto la disobbedienza (Romani 11,32).

Il processo contro il crimine è fatto, ieri come oggi, di cronaca quotidiana ed obbliga tutti a riflettere su una responsabilità che va ben oltre l’incriminato. Chi può dirsi veramente innocente? Nessuna condanna risolve veramente il problema del male nella società. Anzi, può essere fonte di pericolose illusioni in quanto ci potrebbe far credere di aver riparato il male, mentre in realtà lo lascia esistere nella radice che esso ha in ciascuno di noi e nella società. Anche un processo è, per Gesù, una occasione di evangelizzazione e di invito alla conversione per mettersi in sintonia con la strategia della misericordia o del “perdono attivo”. Anche il peccato è occasione di grazia.


[1] Il Negheb è un deserto a sud di Israele. I suoi torrenti sono secchi d’estate ma a primavera si gonfiano d’acqua; la semina è un’attesa, la mietitura è una festa. Tutto questo rispecchia la storia d’Israele che ai momenti d’aridità, d’attesa e di pianto, Dio fa seguire abbondanza, gioia e libertà.
[2] Il brano dell’adultera pare sia stato inserito impropriamente nel Vangelo di Giovanni. Di fatto la terminologia, il linguaggio e l’impostazione teologica appartengono al Vangelo di Luca.
[3] Deut. 22,22
[4] Deut. 13,9-10; 17,7
[5] «Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi, perchè mentre giudichi gli altri condanni te stesso…Ti prendi gioco della bontà di Dio, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione» (Romani 2,1).

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