31 maggio 2020. Domenica di Pentecoste
UN ALITO

Così mi dice un amico colpito da coronavirus: «Non ho mai avuto la febbre altissima, ma per un paio di sere ho vissuto la cosiddetta fame d’aria. Provi a respirare, ma è come se i polmoni non rispondessero, per circa 20 minuti ho avuto la sensazione che i polmoni fossero una busta bucata. Ho avuto paura. Ora sto meglio, ma quanto ossigeno mi hanno dato!». Sono felice che qualcuno sia stato restituito alla vita e agli affetti dopo quel momento maledetto. Così deve aver pensato l’evangelista Giovanni quando ci rivelava che Gesù, sulla croce, ha deposto, e continua a deporre, le sue labbra di morente e risorgente sulle mie cianotiche labbra, per ridarmi il suo soffio che rianimi paure, debolezze, anemie, scoraggiamenti, delusioni: «E chinato il capo diede lo Spirito».

Preghiamo. O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dagli Atti degli Apostoli 2,1-11
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».  (versetti omessi dalla Liturgia:12 Tutti erano stupiti e perplessi, chiedendosi l’un l’altro: «Che significa questo?».13 Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di mosto».)
Salmo 103 Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Benedici il Signore, anima mia! Sei tanto grande, Signore, mio Dio!

Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature.
Togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra.
Sia per sempre la gloria del Signore; gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto, io gioirò nel Signore.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12,3b-7.12-13
Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

UN ALITO. Don Augusto Fontana
Così mi dice un amico colpito da coronavirus: «Non ho mai avuto la febbre altissima, ma per un paio di sere ho vissuto la cosiddetta fame d’aria. Provi a respirare, ma è come se i polmoni non rispondessero, per circa 20 minuti ho avuto la sensazione che i polmoni fossero una busta bucata. Ho avuto paura. Ora sto meglio, ma quanto ossigeno mi hanno dato!». Sono felice che qualcuno sia stato restituito alla vita e agli affetti dopo quel momento maledetto. Così deve aver pensato l’evangelista Giovanni quando ci rivelava che Gesù, sulla croce, ha deposto, e continua a deporre, le sue labbra di morente e risorgente sulle mie cianotiche labbra, per ridarmi il suo soffio che rianimi paure, debolezze, anemie, scoraggiamenti, delusioni: «E chinato il capo diede lo Spirito» (Gv 19, 30). Questi sono giorni maledetti che rivelano il nostro bisogno di avere un Dio amante che ci stampi sulle labbra diafane il bacio della sua bocca: «Mi baci con i baci della sua bocca» (Cantico, 1,2). Un soffio, un bacio. Pentecoste. Nonostante le mascherine.
Le bravate e le risse, il bullismo che infetta ragazzini di 12 anni, le violenze sulle donne sono all’ordine del giorno su tutto il territorio nazionale. Tutti noi vediamo e sentiamo, ma ci sentiamo paralizzati di fronte al fenomeno di intolleranza trasversale che colpisce qualunque persona che passa in quel momento in quella strada o vicolo della città. Il carcere non è la soluzione ideale e denuncia il fallimento della politica e della aggregazione sociale. Inoltre i sondaggi ci dicono che il regalo maggiormente desiderato dalle ragazze italiane è un intervento dal chirurgo estetico. La priorità quotidiana di apparire, sono un dato allarmante. E se non bastasse: i paesi arabi che si affacciano sul mediterraneo sono scossi da sanguinose ribellioni ai loro governi e torna lo spettro della guerra civile e di religione; arabi e israeliani non ce la fanno a trovare una via d’uscita politica all’eterno conflitto; l’Africa è sempre più sedotta e abbandonata da noi occidentali “cristiani” che la sverginiamo con i nostri appetiti per poi abbandonarla in attesa del prossimo stupro. E la Chiesa, quella che doveva nascere dall’utero del Concilio Vaticano II°?
Ci manca il fiato, il respiro; e trasmettiamo alle nuove generazioni una vita asfittica, dopata, orfana.
Qualsiasi grande città del nostro mondo ricorda oggi l’ambiente della torre di Babele: pluralità di lingue, di culture, d’idee, di stili di vita e problemi immensi d’intolleranza e incomprensione tra coloro che la abitano. Come possono convivere e comprendersi quelli che hanno tante differenze? La situazione sta diventando particolarmente problematica nei paesi sviluppati, ma anche nelle grandi città di tutto il mondo. Immigranti da altre province o da paesi in cui lasciano tutto per cercare un lavoro, un luogo dove cercare vita e qualità di vita. Per molti di loro arrivare all’altra riva è la loro speranza. E quando arrivano, nel caso li lasciamo entrare, inizia un vero calvario per potersi mettere al nostro livello. Il nostro mondo si è trasformato ora nel paradigma della torre di Babele, parola che significava “porta degli dei”. Così era denominata la città di ieri, simbolo della cultura urbana di oggi. Una città intorno ad una torre, una lingua ed un progetto: scalare il cielo, invadere l’area del divino. L’essere umano ha voluto essere come Dio (già lo aveva tentato prima, nel paradiso, a livello di coppia, ora a livello politico) e si unì (si uniformò) per ottenerlo. Ma il progetto fallì: quel Dio, geloso dagli inizi del progresso umano, confuse (in ebraico: “balal“) le lingue e chiuse per sempre la porta degli dei (“Babel“). Forse quel mondo uniformato non ci fu mai sulla terra, forse fu solo un’aspirazione tentatrice del potere umano. Dopo il fallimento, le diverse lingue furono il maggior ostacolo alla convivenza, principio di dispersione e di rottura umana. L’autore della narrazione della torre di Babele non pensò alla ricchezza della pluralità e interpretò il gesto divino come castigo. Ma insinuò che Dio era per il pluralismo, differenziando gli abitanti del luogo in base alla lingua e disperdendoli. Molti secoli dopo che venne scritta questa narrazione del libro della Genesi, ne leggiamo un’altra nel Libro degli Atti degli Apostoli. Ebbe luogo il giorno di Pentecoste, festa della mietitura in cui i giudei ricordavano il patto di Dio con il popolo sul monte Sinai, “50 giorni” (= Pentecoste) dopo l’uscita dall’Egitto. I discepoli erano riuniti, anche 50 giorni dopo la resurrezione (l’esodo di Gesù verso il Padre) e si preparavano a raccogliere il frutto della semina del Maestro: la venuta dello Spirito che è descritta con eventi particolari, espressi come se si trattasse di fenomeni sensibili: rumore come di vento tempestoso, lingue come di fuoco che consuma o purifica; Spirito (= “ruah“: aria, soffio vitale, respiro) Santo (= “hagios“: non-terreno, separato, divino). E’ il modo che sceglie Luca per esprimere l’inenarrabile, l’irruzione di uno Spirito che li libera dalla paura e dal timore e che li farà parlare con libertà per promulgare la Buona Notizia della morte e resurrezione di Gesù. Per questo, ricevuto lo Spirito, iniziano a farsi capire da tutti. Poco importa indagare in cosa consistette quel fenomeno. Ciò che importa è sapere che il movimento di Gesù nasce aperto a tutto il mondo e a tutti, che Dio non vuole l’uniformità, ma la pluralità; che non vuole lo scontro ma il dialogo; che è iniziata una nuova Era in cui bisogna proclamare che tutti possono essere fratelli, non solo “nonostante” ma “grazie” alle differenze; che adesso è possibile capirsi, superando ogni tipo di barriere che impediscono la comunicazione. Perché questo Spirito di Dio non è Spirito di monotonia o di uniformità: è poliglotta, polifonico. Il giorno di Pentecoste, da più lingue non ne venne, come a Babele, più confusione. “Ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua delle meraviglie di Dio“. Dio rese possibile il miracolo d’intendersi. Iniziò così la nuova Babele, quella voluta da Dio, lontana da malsane uniformità, un mondo plurale ma concorde. Speriamo di continuare a reinventarla e non ad innalzare muri né barriere tra ricchi e poveri, tra paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo.
La venuta dello Spirito significò per quel pugno di discepoli la fine della paura e del timore. Le porte della comunità si aprirono. Nacque una comunità libera come il vento, come fuoco ardente[1].
Gesù, dice il Vangelo, alitò su di loro. La parola “alitare” (emphysao) è la stessa parola che usa il Libro della Genesi per rivelare l’atto creativo di Dio. Dio ci dona la forza con la quale egli ha agito ed amato e la sua forza è creatrice. Tutto ciò che abbiamo come un seme, in forma germinale, si risveglia grazie allo Spirito che lo feconda. C’è tutta una ricchezza, un mondo, una creazione che si deve sviluppare in me. Che lo Spirito scenda su di me vuol dire che io sono chiamato a prendermi cura delle mie doti e delle risorse altrui. Tutto è in me come un seme. «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito» scrive Paolo ai Corinti e a noi. Gesù rende consapevoli dell’enorme potere che i discepoli hanno: «Se voi perdonerete (in greco: afìemi=lascerete andare) i peccati saranno perdonati e a chi non li perdonerete (in greco: cratéo=li terrete in pugno) resteranno non perdonati». Giovanni usa due verbi: il primo è afìemi, perdonare, mandare via, scacciare, rimettere. Il secondo è cratéo, che significa trattenere, tenere in pugno, impossessarsi, dominare, spadroneggiare. Cioè: la comunità cristiana ha due possibilità: o lasciar andare o trattenere.

Ancora e sempre Pentecoste.
Quando ti senti perdonato e amato forse ancora di più dopo il tuo errore, è lui, lo Spirito. Quando senti circolare, nelle vene, forza e fiducia mentre affronti la prova, è ancora lui, lo Spirito. La capacità di intravedere in profondità, di guardare con speranza, con occhi capaci di sorprendere le gemme più che i rami improduttivi, è ancora lui, lo Spirito. La capacità di contemplare e fidarti della sconvolgente debolezza delle cose sul nascere; il coraggio di essere spesso soli a vegliare sui primi passi degli incontri, soli a guardare lontano e avanti, è lui, lo Spirito creatore. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito. Se Cristo ha riunificato l’umanità, lo Spirito ha diversificato le persone. All’unità creata dall’amore di Gesù si accompagna la diversità creata dal fuoco dello Spirito: nel giorno di Pentecoste le fiamme dello Spirito si dividono e ognuna illumina una persona diversa, sposa una libertà irriducibile, annuncia una vocazione. Lo Spirito dà ad ogni cristiano una genialità che gli è propria, e ciascuno deve essere fedele al proprio dono. E se tu fallisci, se non realizzi ciò che puoi essere, ne verrà una disarmonia nel mondo intero, un rallentamento di tutto l’immenso pellegrinare del cosmo verso la vita, una ferita alla Chiesa: come corpo di Cristo, essa esige adesione e unità; come Pentecoste vuole l’invenzione, la libertà creatrice, la battaglia della coscienza. In questi tempi il compito della Pentecoste si fa segretamente più intenso: generare al mondo uomini liberi, responsabili e creativi.
Tutto torna in teoria, in poesia, in omelia. In pratica invece sentiamo le contrazioni del dolore del parto. Come in questi giorni nella crisi del Monastero di Bose con l’espulsione da parte del Vaticano (chiamato “Santa Sede”) del fondatore Enzo Bianchi e altri 3 monaci. I covi di vipere sono ben altri e ben più gravi nella chiesa, nelle parrocchie, nelle diocesi. E uno di questi covi di vipere è dentro di me. Spirito Santo, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è storto. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni.
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[1] Don Remigio Menegatti, 2006

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