4 ottobre 2020. Domenica 27a
LA PAURA DI NON PORTARE FRUTTI

L’avvio di un nuovo anno pastorale nasconde qualche preoccupazione, insieme a speranze e progetti. Mi ha sempre impressionato il fatto che delle ferventi comunità dei primi secoli, fondate da apostoli e martiri, resta solo la loro preistoria. Che cosa sarà delle nostre parrocchie fra qualche secolo? Le Chiese europee hanno perso un fervore neofita che ora pare diffuso su Chiese giovani del Sud del mondo. Resteremo reperti archeologici e territori da rievangelizzare? Gravi sono, oggi, anche le paure nel più vasto campo delle società. Il nostro grande albero sta producendo ancora frutta selvatica:

Preghiamo. Padre giusto e misericordioso, che vegli incessantemente sulla tua Chiesa, non abbandonare la vigna che la tua destra ha piantato: continua a coltivarla e ad arricchirla di scelti germogli, perché innestata in Cristo, vera vite, porti frutti abbondanti di vita eterna. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
Dal libro del profeta Isaìa 5,1-7
Voglio cantare per il mio amato il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio amato possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore dell’universo è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.

Salmo 79 La vigna del Signore è la casa d’Israele.
Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata.

Ha esteso i suoi tralci fino al mare, arrivavano al fiume i suoi germogli.
Perché hai aperto brecce nella sua cinta e ne fa vendemmia ogni passante?
La devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna.
Dio dell’universo, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
Signore, Dio dell’universo, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési 4,6-9
Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

Dal Vangelo secondo Matteo 21,33-43
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà affittato a un popolo che ne produca i frutti».

LA PAURA DI NON PORTARE FRUTTI. Don Augusto Fontana
L’avvio di un nuovo anno pastorale nasconde qualche preoccupazione, insieme a speranze e progetti. Mi ha sempre impressionato il fatto che delle ferventi comunità dei primi secoli, fondate da apostoli e martiri, resta solo la loro preistoria. Che cosa sarà delle nostre parrocchie fra qualche secolo? Le Chiese europee hanno perso un fervore neofita che ora pare diffuso su Chiese giovani del Sud del mondo. Resteremo reperti archeologici e territori da rievangelizzare? Gravi sono, oggi, anche le paure nel più vasto campo delle società. Il nostro grande albero sta producendo ancora frutta selvatica: il mercato marcia e il lavoro marcisce; le previdenze sociali vengono risicate dal grande scandalo della finanza padrona che affama il mondo intero; gli accordi di pace sono fragili come anche fragili sono gli accordi affettivi che producono relazioni disastrate; si imbarbariscono i rapporti tra istituzioni e fedi religiose. La vita è un rischio continuo, da qualsiasi parte la si prende. 
Nella Liturgia di oggi l’apostolo Paolo scrive alla comunità di Filippi e la esorta a non lasciarsi prendere dal panico (“non affannatevi, ma in ogni necessità fate presente a Dio le vostre richieste perchè la pace di Dio vi custodirà in Cristo”), ma Matteo e Isaia sembrano non fare sconti (“Renderò la mia vigna un deserto arido…Vi toglierò il Regno di Dio e lo affitterò ad un popolo che lo farà fruttificare”).
I cristiani di Filippi erano alle prese con problemi quotidiani di ostilità esterne e di conflitti e divergenze interne. Allora Paolo raccomanda di non lasciarsi affannare eccessivamente. Viene in mente la raccomandazione di Gesù riportata da Matteo 6, 23: non affannatevi per cibo, bevanda, vestito e futuro, ma occupatevi della vita e dell’oggi dentro la tenerezza di Dio.  Paolo augura una pace di Dio che non assomigli certo ad una polizza assicurativa contro infortuni e contraddizioni pastorali ed esistenziali, ma esclude panico e paralisi, comprendendo una resistenza attiva e fiduciosa. La resistenza attiva la si compie sulle barricate della vita quotidiana attivando in famiglia, sul lavoro, nei condomini e nella parrocchia il circolo virtuoso di tutto ciò che è “vero, nobile, giusto, puro, amabile, apprezzato, virtuoso, lodevole”. La resistenza fiduciosa la si sperimenta sulle barricate della preghiera di intercessione il cui paradigma è il Padre Nostro che resta l’intramontabile barriera contro la banalizzazione di Dio e dei nostri veri bisogni.  La Liturgia sostiene il motivo di questa fiducia riconoscente: siamo una vigna circondata dalle affettuose cure del contadino. Anche Geremia ed Ezechiele, oltre a Isaia, adottano l’allegoria della vigna e della sposa per descrivere come si crea, si strappa e si ricuce il tessuto dei rapporti affettivi tra Dio e comunità. Chi avesse modo di rileggersi Ezechiele dal capitolo 15 al 20 potrebbe essere preso da una santa paura per i rischi che incombono sulla comunità religiosa che si autoassolve, non si lascia provocare dai segni e dai profeti del suo tempo chiudendosi in un’autarchia pigra e supponente.
La prima vera paura che devo, che dovremmo, avere è di portare frutti selvatici deludendo le attese del Signore (Isaia 5: “Egli aspettava che la sua vigna producesse uva dolce ed invece ha prodotto uva selvatica e cioè aspettava giustizia e la vigna ha prodotto delitti; aspettava rettitudine ed ha prodotto grida di oppressi”). Aceto invece che vino dolce. Tutti e 4 i Vangeli dicono che sulla croce alcuni soldati diedero a Gesù una spugna imbevuta di aceto: «E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere (Mt 27,48). Era un modo per ricordare il compimento del Salmo 68,22: «Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto».
I due punti “caldi” del brano evangelico (Matteo 21, 33-43) da un lato mettono al centro il problema della Chiesa in relazione alla Sinagoga ebraica e all’affievolirsi della fedeltà nelle opere della fede (“Darà la vigna ad altri contadini che gli consegneranno i frutti a suo tempo…Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà affittato a un popolo che lo farà fruttificare.”) e dall’altro, con la citazione del Salmo 118 (“La pietra che i costruttori hanno scartato diventerà la pietra insostituibile”)  si evidenzia il ruolo di Gesù crocifisso e risorto quale fondamento della Chiesa e rigido criterio per la sua attività. La parabola evangelica è il riepilogo della Storia Sacra fino all’ultimo atto della esclusione di Gesù. Esclusione non attribuibile ai soli giudei, ma possibile anche da parte di chi, come me, continua a declamarsi cristiano estromettendo cortesemente Gesù dai recinti della vita quotidiana.
E’ la storia di uomini che, chiamati ad essere servi coltivatori del campo, se ne fanno proprietari rivendicandone i diritti come conseguenza del loro attivismo. Scoprire il dono, invece,  porta a ritenersi semplici custodi e non possessori.
E’ la storia di chi ha paura del nuovo che sconvolge i piani: la polemica antigiudaica di Matteo non si rivolge solo all’immobilismo giudaico del suo tempo di fronte alla novità di Gesù, ma anche ai membri della sua comunità che pretendono di fissare l’azione di Dio nelle tradizioni del passato e in base ai criteri del loro vissuto.
E’ la storia di chi preferisce palpare i frutti o consumarli nello spazio intraecclesiale anzichè consegnarli e socializzarli mediante una partecipazione attiva, testimoniante e missionaria.
Il tema del giudizio non vuole perpetuare l’equivoco di un Dio-padre-padrone che dà e toglie, assume e licenzia, ma ha lo scopo di creare una biblica gelosia, un religioso timore, un risveglio della coscienza e della responsabilità senza spazi per il quietismo.
L’allegoria di Isaia e la Parabola hanno dunque una doppia valenza:
1. Sono una “buona notizia”: chiunque tu sia, dovunque tu sia, qualunque capacità tu abbia, in qualunque ora della tua vita tu puoi lavorare nella vigna del Regno e farla fruttificare per il Signore e per la comunità.
2. Sono anche un “avvertimento”: chiunque noi siamo, prete o laico, possiamo rischiare di percuotere i piccoli profeti di Dio, tagliar fuori suo Figlio e sciupare, nella insignificanza, la responsabilità che ci è data.

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