5 maggio 2024. Domenica 6a di Pasqua
Amore? Niente di più facile, impossibile, divino.

Un amore in tutte le sfumature armoniche di cui siamo capaci, come singoli e come comunità, in tempi di amori tossici, normali, violenti o eroici.

6 domenica di Pasqua B

Preghiamo. O Dio, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, fa’ che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
At 10,25-27.34-35.44-48
Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: “Alzati: anch’io sono un uomo!”. Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto”. Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliarono che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?”. E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.
Salmo 97  Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.
 Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo.
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni!
1 Lettera di Giovanni 4,7-10
Carissimi, amiamoci (agapaô) gli uni gli altri, perché l’amore (agapê) è da Dio: chiunque ama (agapaô)  è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama (agapaô)  non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (agapê). In questo si è manifestato l’amore(agapê)  di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore (agapê): non siamo stati noi ad amare (agapaô)  Dio, ma è lui che ha amato(agapaô)  noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Vangelo secondo Giovanni 15,9-17
Gesù disse ai suoi discepoli: “Come il Padre ha amato (agapaô) me, così anch’io ho amato(agapaô) voi. Rimanete nell’ amore (agapê) quello mio ™n tÍ ¢g£pV tÍ ™mÍ). Se custodirete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore (agapê), come io ho custodito i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (agapê). Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate (agapaô) gli uni gli altri, come io vi ho amati (agapaô). Nessuno ha un amore (agapê) più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi (agapaô) gli uni gli altri”. 

Amore? Niente di più facile, impossibile, divino. Don Augusto Fontana

«La felicità non consiste nell’accumulare ricchezze, ma nel regalarle e condividerle: un gesto, un sorriso, un aiuto agli altri». Sembrerebbe una frase da Baci Perugina. Invece le aveva pronunciate a una radio peruviana Nadia De Munari, uccisa il 24 aprile 2021 a Chimbote in Perù, dove era volontaria da 30 anni. Lei, quelle parole, le ha rese carne. Vita vissuta. Dei suoi 50 anni, più di metà li ha passati a servizio dei poveri in Ecuador e sulle Ande peruviane. Anche chi muore sul lavoro depone la vita per amore, ammesso che il lavoro sia uno stato di amoroso consenso alla solidarietà reciproca dello scambio di beni e servizi.
La liturgia insiste 18 volte: agape, agapaô, amore, amare! Niente di più facile, di più impossibile, di più divino!
Il Capitolo 15 di Giovanni è una sinfonia dell’amore (agape), un amore dalle radici solide e dal tronco sano (Io la vite, voi i tralci). Un amore in tutte le sfumature armoniche di cui siamo capaci, come singoli e come comunità, in tempi di amori tossici, normali, violenti o eroici.
Anche la Lettera di Giovanni si sofferma più volte sul comando dell’amore, con un’insistenza che può lasciare sconcertati. Si tratta in effetti di una realtà che può apparire scontata, ai limiti della banalità, e invece è sempre da riaffermare e fa scoprire sempre cose nuove.

L’amore è da Dio…Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio“: che può significare che ogni persona che ama è di fatto “battezzato” in Dio; oppure anche che non possiamo amare “veramente” senza di Lui. A ciascun lettore compete di scegliere l’interpretazione che lo rivoluziona dentro.

Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore“: affermazione molto critica nei confronti di molti devoti, preti, teologi delle comunità cristiane.

«L’esperienza della pandemia ha fatto vivere a noi cattolici alcune settimane di digiuno eucaristico e di “chiese vuote”. Tempo di “chiese vuote” che forse ha mostrato un “vuoto” molto più profondo dentro le nostre comunità. La situazione pandemica – lo dico con grande rispetto – ha messo in luce quello che già si intuiva e si andava dicendo: in Italia l’epoca della “cristianità”, di un cattolicesimo di massa riconosciuto e condiviso, è tramontata da tempo; mi sembra che quella “clausura forzata”, quel “vuoto” sia stato visto dai più di noi come insopportabile. La reazione istintiva è stata quella di riempire ogni fessura sostituendo alle normali attività in presenza quelle in streaming sui social: celebrazioni, incontri, persino compiti di catechismo per casa. Siamo caduti nella tentazione di riempire gli spazi vuoti con dei pieni virtuali, non cogliendo che quel vuoto poteva essere “tempo di grazia”, occasione preziosa e unica per stare davanti a noi stessi, a fare verità su chi siamo, su quale chiesa vogliamo essere, saltando l’appuntamento con un appello ad essere Chiesa diversamente. In realtà la Messa -pur essendo certamente fondamentale è in pratica diventata quasi l’unica attività della nostra azione pastorale. Tanto che, quando la celebrazione pubblica è stata vietata durante il lockdown, è come se fosse cascato giù l’intero impianto ed è sembrato che non rimanesse in piedi più nulla. Non è più sufficiente una pastorale di conservazione, oggi è necessario un cammino che conduca a una pastorale “generativa”, ossia una chiesa consapevole di essere sempre in via di costruzione. Percorrere questo cammino verso una pastorale generativa significa lasciare un modello ecclesiocentrico per andare verso una comunità ecclesiale che si riconosca decentrata nella storia. La Chiesa non è anzitutto un’organizzazione, ma è un insieme di relazioni. Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello trovarsi, dove si possa dire: “qui si respira un clima di comunità, che bello trovarci”. E che ciò traspaia all’esterno, a quelli che non frequentano o compaiono per “far dire una messa”, far celebrare un battesimo o un funerale. Non comunità chiuse, ripiegate su se stesse e sulla propria organizzazione, ma comunità aperte umili, cariche di speranza»[1].

Che vi amiate gli uni gli altri…Un possibile esito del comando dell’amore a vicenda potrebbe essere la chiusura mistica o psicologica in una comunità di eletti: ci vogliamo bene tra di noi e questo ci basta. Nel Vangelo di Giovanni e nelle sue lettere emerge questa preoccupazione: che possa esistere una Chiesa impegnata nella preghiera, nel culto, nella Lettura biblica, nelle attività pastorali, ma che dimentica l’amore.

Ogni frase in questo Vangelo ha un proprio senso compiuto ma nello stesso tempo si collega alla frase successiva: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”“Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando”“Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato”. Ogni singola frase si riferisce allo stesso mistero, che si presenta come un diamante con infinite sfaccettature, ed ognuna emette un raggio di luce diverso, per cui non ci si stanca mai di rigirarlo e di osservare tutti i frammenti di arcobaleno che si diramano dall’unica gemma. Siamo come i visitatori di un edificio, che lo percorrono dentro e fuori, ma non possono mai abbracciarlo con un unico sguardo.
Non è facile comprendere la logica del brano odierno: più che di una pagina dotata di unità e coerenza, dà l’impressione di una mini-antologia di citazioni su l’amore e l’amicizia.

Prendiamo come punto di partenza il v. 13: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Affermazione problematica. La novità dell’evangelo non è forse l’amore per i nemici? L’espressione di Giovanni resterebbe al di qua di questa soglia; a meno che la leggiamo alla luce di una formula di Lutero: “Dio non ama qualcuno perché amabile, ma qualcuno diventa amabile perché amato da Dio”. Gesù non dà la vita per coloro che sono suoi amici, ma diventano suoi amici coloro per i quali egli dà la vita. L’amore radicale (fino alla morte) di Gesù ricrea lo spazio dell’amicizia.

Sorprendente è l’accoppiata amicizia/comandamento. È un amore unilaterale che tuttavia crea responsabilità nella corrispondenza: “Voi siete miei amici se farete ciò che vi comando” (v. 14) oppure “Se farete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho fatto i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore” (v. 10). La nostra esperienza di fede si dibatte in un equivoco: pensare di essere amici senza dover avere responsabilità (comandamenti) o pensare di eseguire ordini (essere servi) senza amicizia.  Giovanni aveva prevenuto questo malinteso scrivendo: “Non vi chiamerò più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (v. 15).

Ci aspetteremmo a questo punto che la formulazione del comandamento fosse: amate me come io ho amato voi. Gesù dice: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati” (v. 12). Il cerchio di quest’amicizia non si chiude nella reciprocità diretta. È questo che Gesù ha “udito dal Padre” e ci ha “fatto conoscere”: la presenza di Dio abita le nostre piccole solidarietà e non le nostre sdolcinate devozioni.


[1] Vittorio Rocca, La Chiesa celebra la vita stando accanto all’umanità ferita. In HOREB 1/2021.

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