I “patti di sangue” restano solo tra arcaiche memorie di moschettieri e, si dice, in occulte magie mafiose. I patti di sangue oggi si sono trasformati in una firma in calce a contratti che hanno tutto meno che il linguaggio della comunione di vita e il vigore dell’impegno assunto in fiducia, sulla parola data tra galantuomini. Sul collo dei contraenti alita il fiato degli avvocati, residui sacerdotali per un tempo di pensiero debole, fragili impegni e amori flessibili.
CORPO E SANGUE DEL SIGNORE
Preghiamo. O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Dal libro dell’Èsodo 24,3-8
In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!». Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».
Sal 115 Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.
Che cosa renderò al Signore, per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.
Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo.
Dalla lettera agli Ebrei 9,11-15
Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.
Dal Vangelo secondo Marco 14,12-16.22-26
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
UN PATTO DI SANGUE. Don Augusto Fontana
«Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo dicendo: “Questo sangue segna l’alleanza che il Signore conclude con voi mentre vi dà tutti questi comandamenti”» (Esodo 24,8). Lo stretto rapporto “sangue-alleanza” non è un motivo marginale nelle letture bibliche di questa Domenica, festa del “Corpo e Sangue del Signore”.
Dal libro della vita.
Per 9 volte nelle letture bibliche risuonerà la parola “sangue”. Questo è importante per noi ormai assuefatti a certi termini liturgici o disposti a trangugiare tutto, o quasi, di ciò che passa il convento. Il linguaggio narrativo dell’Alleanza non va tanto per il sottile: vitelli e capretti sgozzati, sangue spruzzato in faccia ai presenti. Il sangue di questi animali, da noi è uscito da tempo dalle scenografie rituali; compare invece quello umano, a strisciare nelle nostre quotidiane mattanze. Il più delle volte oggi il sangue narra di alleanze infrante, di patti traditi, di rapporti distrutti. Ma c’è anche altro sangue, quello che dà la vita, e che si versa ancora generoso di vena in vena o da utero a feto senza volgari protagonismi di scena.
Anche i “patti di sangue” restano solo tra arcaiche memorie di moschettieri e, si dice, in occulte magie mafiose. I patti di sangue oggi si sono trasformati in una firma in calce a contratti che hanno tutto meno che il linguaggio della comunione di vita e il vigore dell’impegno assunto in fiducia, sulla parola data tra galantuomini. Sul collo dei contraenti alita il fiato degli avvocati, residui sacerdotali per un tempo di pensiero debole, fragili impegni e amori flessibili: «Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato» (Lettera agli ebrei 12,4).
Grazie a Dio le nostre assemblee liturgiche amano ancora lasciarsi sfiorare dallo sguardo del Signore che ridà vita ai nostri amen perduti, come per Pietro nel cortile del Sinedrio. E, ancora grazie a Dio, ciascuno può narrare storie di uomini e donne, laici, religiosi, sposi, volontari che nella fatica e nella gioia fedele vivono dentro patti solidali antichi e sempre nuovi; nel secolo scorso ben 12.000 «testimoni della fede» hanno pagato con la vita la loro fedeltà al Vangelo. Andrea Riccardi, nel libro “Il secolo del martirio. I cristiani nel Novecento” scrive: «Il martirio nel ‘900 è una realtà di massa e di popolo. Abbraccia decine di migliaia di cristiani, cattolici, ortodossi, evangelici». La lista si allungherebbe se aggiungessimo chi credente non fu, ma offrì comunque la vita per la giustizia, la liberazione, il bene comune. Gesù Cristo, sacerdote primogenito e capofila di questa scia di Servi del Signore (Isaia 53), cercherà – come narra il Vangelo (Marco 14, 12-26) – “uomini della brocca” per chiedere in prestito “la sua stanza ove mangiare la sua Pasqua con i discepoli”, con noi, esangue gente tiepida, “né calda né fredda”, come osa etichettarci l’Apocalisse (3,15).
Dal libro della Bibbia.
Il sangue collauda la qualità di un impegno, di un’amicizia, di un dono unilaterale. Se il linguaggio e le tradizioni rituali bibliche ci fanno un po’ sorridere o sorprendere, il contesto delle narrazioni è pacificante: si sta scoprendo un Dio di alleanza che offre e cerca vita di comunione con uomini propensi, ieri come oggi, a sentirlo concorrente, ingombrante, minaccioso, leguleio e a tentare di ridurne le distanze con riti magici o osservanze legalistiche. Lo scenario liturgico, dinamico e suggestivo, ora è presieduto da Mosè (Esodo 24, 3-8), ora è animato da sacerdoti (Lettera agli ebrei 9, 11-15) che appaiono e scompaiono dietro sipari sacrali che delimitano invalicabili territori, ma aprono anche fessure di dialogo tra una divinità e un’umanità che cercano amicizie solidali e alleanze stabili ratificate da un patto di sangue come tra consanguinei che mettono in gioco la vita.
Quando Gesù dice: «Eccomi…prendetemi…mangiate e bevete…fate questo in memoria di me» non intendeva (forse) consegnarci una reliquia né intendeva (mi pare) sottoporsi alla devozione di una adorazione per Lui, prigioniero divino nel piccolo carcere del Tabernacolo o del cuoricino dell’ostia. Egli fa e celebra una Pasqua.
La stipulazione di un’alleanza con Dio era fondata sul gesto liberatore di Dio, gesto considerato unilaterale, («Io sono il tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto e dalla sua casa di schiavitù». Esodo 19, 2) e comprendeva un documento e un atto liturgico.
Il documento conteneva:
- la convocazione dell’assemblea dei contraenti; ogni singolo individuo beneficiava dell’alleanza solo in quanto appartenente al popolo;
- gli obblighi reciproci con le relative benedizioni e maledizioni («Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme.» Esodo 24,3; « Il Signore tuo Dio conserverà per te l’alleanza, ti amerà, ti benedirà, ti moltiplicherà» Deuteronomio 7, 12-13)
L’atto liturgico consisteva:
- nella lettura pubblica del documento a cui facevano seguito delle promesse («Tutto il popolo rispose insieme e disse:“Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo! » Esodo 24, 3).
- nel rito del sangue del “sacrificio di comunione” (o “di shalom”) che era come la firma e il giuramento: la vittima era in parte bruciata, come dono a Dio, e in parte mangiata dal sacerdote e dagli offerenti. Diventava così rito di incontro tra Dio e il popolo. Non un incontro qualsiasi, ma “nel sangue”. Il sangue è vita e dove è donato o sparso è come se si volesse donare la vita. Condividere il sangue è condividere la vita. Entrare nello spruzzo del sangue significava accettare di entrare nell’economia del dono. A questo punto il Signore poteva confermare il suo patto di sangue («Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» Esodo 19, 5-6) e il popolo poteva cantare con il Salmo 94:«Egli è il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce».
La storia biblica ci induce a pensare che il legame possedeva un carattere totalizzante e chiedeva un rapporto assorbente, unico, decisivo.
Nulla di devozionale, dunque, ma una proposta che attende una risposta. E’ qui dove la nostra fede diventa un caso serio: di fronte ad un partner che dichiara di metterci l’anima, la vita e il sangue (o “il proprio Figlio, l’Unigenito”) non sembra possibile l’alibi di palliativi, di appartenenze anagrafiche, di dolci sentimenti: «Tu amerai il Signore tuo Dio e metterai in pratica le sue decisioni, i suoi giudizi, i suoi comandamenti: ogni giorno» (Deuteronomio 11, 1). Ecco perché non riesco ad immaginare, per esempio, Paolo, impegnato in una devota contemplazione dell’ostia, mentre gli invidio quel suo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me…Per me vivere è Cristo» (Galati 2,20 ;Filippesi 1,21). Scrive S. Agostino: «Perciò se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero risiede nella mensa del Signore: voi accettate il vostro mistero. A ciò che siete voi rispondete Amen, e cosí rispondendo voi l’approvate. Infatti tu senti: «Il Corpo di Cristo»; e rispondi Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia vero quell`Amen» [1].
Tutto questo diventa per noi realtà e speranza in Gesù: il suo sangue versato parla di tutta la potenzialità maligna annidata nell’umanità e nelle mie follie; nel suo sangue si rivela anche tutta la fedeltà e vitalità messa a disposizione per noi che, da quel momento in poi, possiamo chiamarci “gli amati”, come Paolo ci definisce nelle sue lettere. Così recuperiamo un’identità e un mandato:« Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Giovanni 15, 12). Salvare l’uomo d’oggi, a partire dalla Cena pasquale, dal sangue versato di questo Gesù/Abele, può richiedere di scontrarsi con i custodi di Caino, di pagare di persona. E’ interessante rileggere la parabola del banchetto del regno secondo la versione di Luca (cap. 14):« All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, scusami. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, scusami. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi». L’eucaristia è scomoda proprio per questo: ci obbliga a collocare le nostre attività, i nostri affari, il nostro tempo e cioè le molecole di sangue da cui è composta la nostra esistenza, nella profondità dell’eterno, nell’unità dell’amore, nell’economia del dono che è il nuovo culto: «Che m’importa dei vostri innumerevoli sacrifici? dice il Signore. Chi vuole che veniate a calpestare inutilmente i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, non posso sopportare che stiano insieme delitto e culto. Quando stendete le mani in preghiera, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete dalla mia vista il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova… Il tuo argento è diventato scoria, il tuo vino migliore è diluito con acqua.» Isaia 1,11).
Signore concedi che l’argento e l’oro in cui custodiamo la tua presenza fra noi non diventi scoria ferrosa e impedisci che il tuo vino migliore, dove hai sepolto e fatto risorgere il tuo patto di sangue, venga diluito con l’acqua dei nostri esangui Amen e dei nostri volubili patti di convivenza.
[1] Agostino, Sermo 272