7 giugno 2020. SS.TRINITA’
UN DIO MISTERIOSO

Oggi faccio mia, sempre più spesso, la preghiera del profeta Isaia: «Veramente tu sei un Dio nascosto [misterioso]» (Is 45,15). Sono stretto nella morsa tra il dover tacere e il dover nominare questo Nome Misterioso e Nascosto. E chissà quante volte ne ho parlato e scritto a vanvera. Ne dovrò rispondere quando il suo Nome e il Suo Volto mi si riveleranno così come sono e non così come lo ho creduto, rappresentato, predicato.

Preghiamo. Padre, fedele e misericordioso, che ci hai rivelato il mistero della tua vita donandoci il Figlio unigenito e lo Spirito di amore, sostieni la nostra fede e ispiraci sentimenti di pace e di speranza, perché riuniti nella comunione della tua Chiesa benediciamo il tuo nome glorioso e santo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro dell’Èsodo 34,4-6.8-9
In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo dalla testa dura, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».

[Salmo di] Daniele 3,52-56 A te la lode e la gloria nei secoli.
Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.

Benedetto il tuo nome glorioso e santo.
Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso.
Benedetto sei tu sul trono del tuo regno.
Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi e siedi sui cherubini.
Benedetto sei tu nel firmamento del cielo.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 13,11-13
Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano. La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

Dal Vangelo secondo Giovanni 3,16-18
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

UN DIO MISTERIOSO.  Don Augusto Fontana
Oggi faccio mia, sempre più spesso, la preghiera del profeta Isaia: «Veramente tu sei un Dio nascosto [misterioso]» (Is 45,15). 
Mai sentito parlare di Manoach? (Libro dei Giudici cap. 13). Manoach aveva una moglie sterile alla quale appare più volte un “angelo” che le promette fecondità. Finalmente anche Manoach riesce ad incontrare il misterioso personaggio a cui vorrebbe destinare un sacrificio di lode, ma prima ne vuole conoscere il Nome: «Come ti chiami, perché quando si saranno avverate le tue parole, noi ti rendiamo onore?». L’angelo del Signore gli rispose: “Perché mi chiedi il nome? Esso è misterioso”». Sono stretto nella morsa tra il dover tacere e il dover nominare questo Nome Misterioso e Nascosto. E chissà quante volte ne ho parlato e scritto a vanvera. Ne dovrò rispondere quando il suo Nome e il Suo Volto mi si riveleranno così come sono e non così come lo ho rappresentato.
Nella Bibbia i Nomi di Dio non si contano più: Elohim=Dio; El-Shaddaï=Dio onnipotente; El-Elyon=Altissimo; El-Roï=Dio che vede; El-Kanna=Dio geloso; El-Haï=Dio vivente; El-Olam=Dio eterno; Adonaï=Signore e Maestro; Abba=Dio Padre -; Ehyeh=Io sono; Ehad=Eterno Uno; Misgav= Dio rifugio; Aman=Roccia; Agape=Amore; ecc.
Sono occorsi, alla Chiesa antica, più secoli per giungere a definire il dogma trinitario (Concilio di Nicea, 325) come noi lo conosciamo; l’espressione «un’unica natura divina in tre persone uguali e distinte» è chiaramente un tributo alla cultura filosofico-teologica del tempo e difficilmente trova riscontro – come linguaggio – nella Scrittura.
Quando il Capitolo Generale dei Cistercensi nel 1230 elevò la festa della Santissima Trinità al rango di celebrazione liturgica, venne specificato che non doveva esserci predica alcuna, “a motivo della difficoltà del soggetto” (cfr. B. Daley, Communio 21). Dal momento che il “soggetto” della Trinità era troppo complesso per la cristianità del XIII secolo, ci si può ben chiedere da quale punto si possa partire per affrontare oggi lo stesso tema, e quali applicazioni pratiche abbia la dottrina per il cristiano moderno.
Un anonimo ha trasmesso il seguente dialogo, scarno ma essenziale, tra un musulmano e un cristiano.
– Diceva un musulmano: “Dio, per noi, è uno; come potrebbe avere un figlio?”
– Rispose un cristiano: “Dio, per noi, è amore; come potrebbe essere solo?”
Si tratta di una forma stilizzata di ‘dialogo interreligioso’, che manifesta una verità fondamentale del Dio cristiano, capace di arricchire anche il monoteismo ebraico, musulmano e delle altre religioni.

Le letture di oggi ci rivelano il profilo, il volto o la fisionomia di Dio.

La lettura dell’esodo lo rivela come un Dio “compassionevole e misericordioso, lento all’ira e pieno di clemenza e fedeltà”; e questo immediatamente dopo l’episodio del vitello d’oro. Come per evidenziare il contrasto tra l’infedeltà del popolo e la fedeltà di Dio.
I profili biblici divini non rimandano solo alla paternità e mascolinità, ma anche alla femminilità materna. Il pensiero corre al delizioso Salmo 131,2: «Sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia». Oppure potremmo rimandare all’altra comparazione di Isaia 66,13: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò». Nel cantico di Mosè, presente in Deuteronomio 32, il Signore entra in scena come padre (v. 6: «Non è lui il padre che ti ha creato, lui che ti ha fatto e costituito?»). Ma poco dopo, designato col titolo classico di “roccia”, “rupe”, acquista un volto materno: « Tu hai trascurato la Roccia che ti ha generato; hai dimenticato il Dio che ti ha partorito» (32,18). Il secondo verbo (hîl) è specificamente materno perché definisce l’atto del “partorire”. Celebre, infine, è il testo di Isaia 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo lattante, di amare teneramente il figlio del suo ventre? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!».
Paolo, nella seconda lettura ci rivela il mistero di Dio mediante il saluto trinitario all’assemblea: “la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore del Padre e la comunione dello Spirito Santo siano sempre con voi”.
Da ultimo, il Vangelo di oggi è uno di quei testi, vertice della letteratura biblica, che rivelano una luce speciale: “Dio tanto amò il mondo che offrì il suo figlio“.

Questi saranno i veri fondamenti della nostra festa.

In primo luogo il Dio d’Israele e di Gesù è un Dio inserito nella storia. L’antico e il nuovo popolo di Dio non giungeranno all’esperienza di Dio né attraverso la natura (mediante le religioni naturali), né attraverso la filosofia (mediante le elucubrazioni dei filosofi), ma attraverso la storia. Da qui il Credo d’Israele e della chiesa si definisce come Credo storico; è impossibile proclamare questo Dio, tralasciando i grandi avvenimenti della storia di salvezza: “nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto”: sono dati storici puntuali. Tralasciare la storia, sarebbe disincarnare la fede, privarla della sua sacramentalità storica. Un Dio spogliato della storia non sarebbe il Dio dei cristiani.
In secondo luogo, in questa storia piena di luce e di ombre, ma guidata dalla mano di Jahweh, c’è un progresso; ciò che i teologi hanno chiamato “rivelazione progressiva”. Quando eravamo bambini avevamo un’esperienza di Dio che è venuta maturando poco alla volta diventando adulti. Si tratta di un principio della pedagogia divina. Il mistero di Dio “uno e trino” è frutto di questa esperienza di rivelazione progressiva nella storia. Rivelazione vertice, espressione di maturità: Dio non è un essere isolato, distaccato dalle realtà temporali, solitario. E’ un Dio comunitario, famigliare, sociale, fraterno… Il vertice di tutta la rivelazione biblica è questo: Dio è amore. E l’amore non è mai solitudine, isolamento, ma comunione, vicinanza, dialogo, alleanza. La Bibbia ci rivela, in una parola, chi è Dio: Dio è agape/amore (1Gv 4,8). Amore personale (perché ti ama, come se amasse solo te), amore totale (senza misura, perché la misura dell’amore è quella di dare senza misura), amore sacrificato (oblativo, paziente), amore universale (inclusivo, non escludente), amore preferenziale (si china sul più debole).
La Trinità? Un abbraccio, non un concetto[1]
Io che sono lento a credere, che mi ci vorrà forse tutta la vita non per capire, ma solo per assaporare un poco della fede, come potrò cogliere qualcosa della Trinità? Una strada c’è, e non è quella delle formule e dei concetti. Pensare di capire la Trinità attraverso le formule è come tentare di capire una parola analizzando l’inchiostro con cui è scritta. Dio non è una definizione ma un’esperienza. La Trinità non è un concetto da capire, ma una manifestazione da accogliere. In uno dei capolavori di Kieslowski sui Dieci Comandamenti, Decalogo I, il bambino protagonista sta giocando al computer. Improvvisamente si ferma e chiede alla zia: «Com’è Dio?». La zia lo guarda in silenzio, gli si avvicina, lo abbraccia, gli bacia i capelli e tenendolo stretto a sé sussurra: «Come ti senti, in questo momento?». Pavel non vuole sciogliersi dall’abbraccio, alza gli occhi e risponde: «Bene, mi sento bene». E la zia: «Ecco, Pavel, Dio è così». Dio come un abbraccio. Se non c’è amore, non vale nessun magistero. Se non c’è amore, nessuna cattedra sa dire Dio. Dio come un abbraccio: è il senso della Trinità. Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione. Se il nostro Dio non fosse Trinità, vale a dire incontro, relazione, comunione e dono reciproco, sarebbe un Dio da delusione, assente e distratto. Ma Dio è estasi, cioè un uscire-da-sé in cerca d’oggetti d’amore, in cerca di un popolo anche se di testa dura, del quale farsi compagno di viaggio e ristoro entro l’arsura estrema del deserto. Dio ha tanto amato il mondo, da mandare suo Figlio… E mondo e uomo sono storia della Trinità. Mosè, il grande amico di Dio, prega così: «Che il Signore cammini in mezzo a noi, venga in mezzo alla sua gente. Non resti sul monte, guida alta e lontana, ma scenda e si perda in mezzo al calpestio del popolo». Tutta la sacra Scrittura ci assicura che nel calpestio del popolo, nella polvere dei sentieri, lo Spirito accende profeti ed orizzonti, il Padre rallenta il suo passo sul ritmo del nostro, il Figlio è salvezza che ci cammina a fianco. E questo ci sarebbe bastato. Invece l’Ascensione ha portato la nostra natura nel seno stesso della Trinità, quell’uomo già creato ad immagine non di Dio, ma della Trinità, l’uomo pensato come un abbraccio.

Trinità e Chiesa: una polifonia.
« Voi non fatevi chiamare rabbini perché è uno solo e il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» (Matteo 23,8). L’odierno contesto socio-culturale è segnato da un marcato iper-individualismo e questo non ci aiuta per una esperienza di Chiesa come fraternità e sororità. Spesso nelle nostre comunità i ministri ordinati si comportano, o vengono considerati per pigrizia e interesse, come capi indiscussi. Perciò non sorprende il vedere il ruolo ancora subalterno dell’altra parte più numerosa del popolo di Dio, cioè dei cristiani laici. E neppure sorprende di constatare ancora oggi nella Chiesa, a oltre 50 anni dal Concilio Vaticano II° l’assenza di una vera Sinodalità, vale a dire la capacità di camminare insieme, ministri ordinati e laici cristiani, per dialogare liberamente e confrontarsi nella carità, per progettare e decidere insieme, al fine di trovare un vero consenso ecclesiale. Una Chiesa che nasce dalla Trinità è una Chiesa capace di vivere in sinodo permanente non solo all’interno della Chiesa stessa, ma anche con la società civile. Prevale ancora la smania di schierarsi in campi contrapposti, in nome di “valori non negoziabili” o a difesa di una “cultura cattolica”. È vero: la Chiesa non è una democrazia parlamentare. Ma neppure è una monarchia teocratica che insegue l’idolatria del capo. Diciamo, allora, che è una fraternità. La categoria di fraternità, letta in chiave teologica, ci permette di superare sia la visione populista che quella gerarchica e piramidale della Chiesa. Il fondamento sta innanzitutto nel Dio/Trinità; ossia la comunione di persone e la comunicazione dialogica tra il Padre il Figlio e lo Spirito Santo. Comunione e comunicazione non chiusa tra i Tre, ma aperta e donata gratuitamente alle creature umane. Per questo il Concilio Vaticano II° afferma che “la Chiesa universale si presenta come un popolo adunato dall’unità del padre, del figlio e dello spirito Santo” (Lumen Gentium, 4); “Tutti i fedeli con quanta più stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, con tanto più intima e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità” (Unitatis Redintegratio 7).L’apostolo Paolo chiama Gesù “primogenito tra molti fratelli” (Romani 8,29). Alle donne accorse al sepolcro Gesù dice: “andate ad annunciare ai miei fratelli…” (Matteo 28,10). Scrive ancora il concilio Vaticano II°: “il verbo incarnato, primogenito tra molti fratelli… dopo la sua morte e risurrezione ha istituito attraverso il dono del suo spirito una nuova comunione fraterna, in quel suo corpo che è la Chiesa, nel quale tutti, membri tra di loro, si prestassero servizi reciproci, secondo doni diversi loro concessi” ( Gaudium et spes 32).
Papa Francesco durante l’assemblea della CEI il 20 maggio 2019 ha detto ai Vescovi: “[la Sinodalità] è la cartella clinica dello stato di salute della Chiesa italiana e del vostro operato pastorale ed ecclesiastico”.

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[1] P. Ermes Ronchi (26-05-2002)

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