Per poterlo riconoscere in ogni avvenimento dell’esistenza occorre una fede “non piccola” (“gli disse: «Uomo di piccola fede, perché hai dubitato?»”), occorre ritrovare dentro di noi quei segni vivi della presenza di Dio che ci portano a coniugare il vangelo con l’esperienza concreta della vita, i problemi dell’uomo con la profezia della fede, l’azione di Dio con l’impegno umano. Se la fede permeasse la mia vita mi sarebbe possibile affrontare serenamente ogni difficoltà. Credere non comporta tirare “i remi in barca”, come spesso mi sento tentato di fare nel tempo della prova, né affidare la propria sopravvivenza alle logiche vincenti e talvolta fondamentaliste, ma abbandonare al Signore quella “povera barca” agitata che è la nostra persona, la nostra Chiesa.
Preghiamo. Onnipotente Signore, che domini tutto il creato, rafforza la nostra fede e fa’ che ti riconosciamo presente in ogni avvenimento della vita e della storia, per affrontare serenamente ogni prova e camminare con Cristo verso la tua pace. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Dal primo libro dei Re 19,9.11-13
In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.
Sal 84. Mostraci, Signore, la tua misericordia.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme, perché la sua gloria abiti la nostra terra.
Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo.
Certo, il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 9,1-5
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Dal Vangelo secondo Matteo 14,22-33
[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
STORIE. CON DIO DENTRO. Don Augusto Fontana
Le tre letture bibliche ci raccontano storie di vita. Con Dio dentro.
Nella prima storia di vita c’è un profeta, Elia, inizialmente un po’ talebano e un po’ Grande Inquisitore. Aveva lanciato una sfida ad un gruppo religioso del dio Baal; una sfida che assomiglia molto all’attuale “scontro di civiltà” o all’Inquisizione di cattolica memoria. Elia vince la magica sfida e sgozza di sua mano 450 seguaci di Baal; le acque del fiume Kison si arrossano di sangue, come un trofeo al Dio perverso, caricatura partorita dalla sua mente (1 Re 18,40)[1]. Fuggendo dalla regina Gezabele che, per vendetta, ne vuole la morte, ripete l’itinerario di Israele e giunge sull’Oreb. Nella solitudine della montagna, il profeta cerca il suo Dio nel vento impetuoso, nel fuoco e nel terremoto, cioè secondo schemi personali e tradizionali. Ma Dio è sorprendente e appare nel sussurro di un “silenzio sottile”. Elia, velandosi in volto, conosce che il Signore è presenza dolce e paziente, fino a rischiare di essere cercato nelle profondità del silenzio, giù negli abissi del mare dove il vento impetuoso non riesce ad inquietare una sola molecola d’acqua, là dove la Pentecoste non fa sfracelli. «Parlare sottovoce di Dio non significa, come purtroppo taluni dogmaticamente tentano di far credere, rimpicciolire Dio, ma se mai, farlo più grande. Sottovoce, perché del mistero di Dio possiamo solo balbettare qualche cosa. Con pudore. Il mistero è al di là, molto al di là della povertà delle nostre parole. Al di là della soglia. Sottovoce, ancora, perché dell’amore sbandierato ai quattro venti è giusto, legittimo, dubitare, sospettare. Il «sottovoce» ha invece il passo silenzioso dei racconti che nascono dal cuore» (Don Angelo Casati)[2].
Un po’ diversa è la seconda storia di vita, quella di Paolo che ha coscienza di essere rimasto giudeo e se ne vanta e sente con passione il problema dei suoi consanguinei e correligionari che non hanno accolto Gesù come Messia e Salvatore. Il grande dolore che ha nel cuore lo porta a dichiararsi disponibile ad essere separato (“anatema”) da Cristo pur di salvare Israele. Un’esagerazione passionale, quasi una bestemmia. Il 1° luglio 1949 il Sant’Uffizio pubblicava un Decreto, sottoscritto da Pio XII, con cui venivano scomunicati militanti e simpatizzanti del social-comunismo, sottoproletariato compreso. Il movimento dei Pretioperai passa dalla parte degli scomunicati, per amore, credetemi, solo per amore. Quante volte abbiamo chiesto che venisse abrogata la scomunica: la scomunica resta. E molti di noi hanno ripetuto con Paolo: «Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli», miei consanguinei nella fatica e nelle speranze, negli errori e nel dimenticato contributo alle tutele e alla liberazione nel lavoro. In contemporanea sono proliferati atei devoti, liberal-chic, portatori sani della peggiore infezione ideologica di materialismo pragmatico e individualismo. Mai scomunicati. Noi, noi, siamo rimasti scomunicati. Io che non ho mai imparato a nuotare e galleggiare, ho preferito “imbarcarmi” con gli scomunicati e rischiare con loro la sindrome del mal di mare, come narra la terza storia di vita della liturgia odierna. Storia di discepoli di allora e di Pietro, ma di fatto storia dei nostri sghembi itinerari pasquali e battesimali. Noi cristiani non camminiamo fuori dal tempo, lontani dalla storia, ma “con i piedi per terra”o nella “società liquida”, come ci definisce il sociologo Zygmunt Bauman[3]. La storia quotidiana, nella sua concretezza scivolosa e liquida, è il luogo privilegiato nel quale il Signore manifesta i segni del suo amore per ciascuno di noi. Per il credente è importante, allora, ascoltare la Parola (“Gesù disse…”) lasciandosi interpellare dal “mare agitato” della storia, della propria vita, della Chiesa. E’ dentro i sussulti di questa bufera che si incontra Dio come una presenza lieve, una mano tesa (“Gesù tese la mano, lo afferrò”), capace di farsi accogliere e di cambiare il corso degli eventi. Per poterlo riconoscere in ogni avvenimento dell’esistenza occorre una fede “non piccola” (“gli disse: «Uomo di piccola fede, perché hai dubitato?»”), occorre ritrovare dentro di noi quei segni vivi della presenza di Dio che ci portano a coniugare il vangelo con l’esperienza concreta della vita, i problemi dell’uomo con la profezia della fede, l’azione di Dio con l’impegno umano. Se la fede permeasse la mia vita mi sarebbe possibile affrontare serenamente ogni difficoltà. Credere non comporta tirare “i remi in barca”, come spesso mi sento tentato di fare nel tempo della prova, né affidare la propria sopravvivenza alle logiche vincenti e talvolta fondamentaliste, ma abbandonare al Signore quella “povera barca” agitata che è la nostra persona, la nostra Chiesa.
Un racconto pasquale, biblico, esistenziale.
Nel racconto evangelico (di un fatto forse mai veramente accaduto nei particolari così come emergono) si riscontrano 2 strati: uno che fa riferimento ai capitoli 14 e 15 di Esodo e uno che fa chiaro riferimento agli avvenimenti pasquali in quanto il racconto è modellato sul cliché pasquale.
1.“Sul finire della notte”: è quel crinale tra le tenebre che non se ne sono ancora andate e l’alba che non ha ancora partorito luce; è la “quarta veglia della notte” un richiamo temporale alla “veglia del mattino” quando il Signore mise in rotta i carri degli egiziani. Anche lo sfondo del Golgota fu un crinale tra oscurità non morta e luce non nata: «Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra» (Mc 15, 33). Anche per me è duro vivere crocifisso su quell’albeggiare che ritarda.
2. «Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva». Gesù inaugura il “tempo della chiesa”, non ci trattiene con sé e ci manda (“costrinse i discepoli”) sull’altra sponda, quella del nostro impegno quotidiano, di vita matrimoniale, lavoro, letto d’ospedale, impegno sociale. Sulla sponda altra delle nostre liturgie. Ci costringe a raggiungere la nostra quotidianità non via-terra, ma via-mare, immersi nelle acque del nostro Battesimo.
3.«salì sul monte, in disparte, a pregare… egli se ne stava lassù, da solo». Oggi il suo posto da Risorto è “sul monte”, accanto al Padre, primogenito (“da solo”) dei risorti. E per noi si allungano le ombre della “sera” che presto diventa “notte” e la barca è “agitata da onde e venti contrari”.
4.«egli andò verso di loro camminando sul mare». Il salmista prega così (salmo 76,20): «Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili». Io preferirei la sabbia dove potrei riconoscere le orme lasciate dai suoi passi; Lui cammina su percorsi fluidi dove le sue orme svaniscono. Eppure da lì «il Signore ci fece uscire con mano potente e con braccio teso» (Deut. 26,8): «Gesù gli tese la mano». E il braccio.
5. «i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura». Tutta la scena offertaci da Matteo, ma soprattutto questo particolare narrativo, ricalca le apparizioni pasquali. Maria di Magdala lo vede come un giardiniere, i discepoli di Emmaus come uno straniero e tutti i discepoli, benchè stregati dalla narrazione dei due, ancora non vedono che fantasmi: «Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi» (Lc 24, 36-40). Anche a Pietro Gesù mostra/tende la sua mano. Anche per noi, di domenica in domenica, è una gara dura rispondere alla domanda che anche gli Israeliti si facevano nel deserto: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (Esodo 17,7), ci sei o ci fai, Signore?
6. «Coraggio, IO-SONO, non abbiate paura». «IO-SONO» è la rivelazione del Nome Santo di Dio, tra le spine del cespuglio di Mosè. Dunque, la catechesi di Gesù prosegue in quella liturgia sul lago, nelle liturgie battesimali della chiesa di Matteo e nelle nostre liturgie domenicali. Pietro è dubbioso circa la reale presenza dì Gesù (“se sei davvero tu “): lo costringe a scoprirsi. Questo atteggiamento non manca di una sua grandezza, la grandezza impulsiva di Pietro, che si manifesta in maniera molto simile nel gesto descritto in Gv 21,7: «Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare». Però è anche un agire intempestivo, che in qualche modo vuole “imitare” Gesù. E’ vero che Gesù accondiscende alla richiesta di Pietro, dicendogli: “vieni a me!” Ma quell’andare a Gesù deve essere una sequela, non un’imitazione. Finché Pietro/noi chiesa presumiamo di poter camminare sulle acque come Gesù, e quindi di essere capaci di “imitarlo, si va incontro al fallimento: basta un colpo di vento e si va a fondo. Quand’è, invece, che comincia a “seguire” Gesù? Quando gli grida: “Signore, salvami“! Quando abbiamo la pretesa di essere o fare come lui, dimostriamo di non avere bisogno del suo aiuto, della sua guida, del suo soccorso, e non possiamo che andare incontro al naufragio di tutte le nostre false sicurezze[4].
[1] Per un approfondimento cf. in home page, articolo La sindrome del santo di Lidia Maggi (in ROCCA 16/99 Pag. 49)
[2] Citato da Aldo Antonelli, Mistero, in Rocca n°15/1 agosto 2020 pag.45.
[3] Z.Bauman, Modernità liquida, Laterza.
[4] Alberto Mello Evangelo secondo Matteo Ed. Qiqajon pag. 273-275