Abbiamo bisogno di profeti. Si vive in un periodo di normalizzazione in cui il ruolo profetico si è attenuato o è stato mortificato. Lo stesso Gesù Cristo, all’interno della sua Chiesa (e nella mia coscienza), viene neutralizzato nei suoi aspetti più innovativi ed eversivi. Con alcune eccezioni, grazie a Dio.
4° Domenica tempo ord. C
Preghiamo. Padre, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell’umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa’ che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell’annunzio missionario del Vangelo. Per Gesù Cristo nostro Signore.
Dal libro del profeta Geremia 1,4-5.17-19
Nei giorni del re Giosia, mi fu rivolta la parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, cingiti i fianchi, alzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro. Ed ecco oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.
Salmo 70. La mia bocca annunzierà la tua giustizia.
In te mi rifugio, Signore, ch’io non resti confuso in eterno.
Liberami, difendimi per la tua giustizia, porgimi ascolto e salvami.
Sii per me rupe di difesa, baluardo inaccessibile,
poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza. Mio Dio, salvami dalle mani dell’empio.
Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno.
Dirò le meraviglie del Signore, ricorderò che tu solo sei giusto.
Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi.
Dalla lettera prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 13, 4-13
Fratelli, la carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Al presente conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
Dal Vangelo secondo Luca 4,21-30
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Vietato calpestare i profeti. Don Augusto Fontana
Il 22 gennaio 2007 moriva l’Abbé Pierre, fondatore della comunità Emmaus che per decenni ha trasformato mendicanti e alcolizzati in soggetti del proprio riscatto. Fu un irruente e dolce profeta dei poveri; un giorno disse: «Ogni tanto urlare fa bene. Credo che Dio mi abbia dato fiuto per le irruenze misurate». Un’altra stella della mia generazione se ne è andata; per i poveri era un santo, per i forti (e talvolta anche per alcune gerarchie ecclesiastiche) fu urticante. Scriveva l’ebreo Abraham Heschel: «Una persona priva di pathos, non sarebbe in grado di sperimentare il Dio del pathos»[1].
Abbiamo bisogno di profeti. Si vive in un periodo di normalizzazione in cui il ruolo profetico si è attenuato o è stato mortificato. Lo stesso Gesù Cristo, all’interno della sua Chiesa (e nella mia coscienza), viene neutralizzato nei suoi aspetti più innovativi ed eversivi. Con alcune eccezioni, grazie a Dio. La parola profetica esamina, critica, incoraggia nei confronti della situazione interna della Chiesa (profezia all’interno) e della situazione della società (profezia all’esterno). Vi sono state epoche in cui alcune persone, oggi dichiarate sante, hanno criticato il Papa: Bernardo di Chiaravalle ammonisce Papa Eugenio III, Caterina da Siena turba i sonni di Papa Gregorio IX, S. Francesco e il suo pauperismo entrò nei sacri palazzi con l’incedere di un elefante. Oggi facciamo memoria dell’abbé Pierre, di Frère Roger di Taizé, di Papa Giovanni, Mons. Helder Camara, Mons. Oscar Romero, Mons. Leonidas Proaño, Don Milani, Don Mazzolari, P.Balducci e P.Turoldo, D. Sirio Politi preteoperaio, Raoul Follereau, Madre Teresa di Calcutta, Fr. Carretto e i Piccoli fratelli di De Foucauld, Bonhoeffer, i sette monaci trappisti di Tibihrine in Algeria, la volontaria Annalena Tonelli, le Comunità di base, i teologi e i laici cresciuti nella teologia della liberazione, i Movimenti di religiose e laiche per nuovi ruoli e dignità della donna nella Chiesa. Questo ci dice che l’edificazione della Chiesa non avviene solo attraverso una spiritualità arrendevole anche se ciò non significa certificare come profetica ogni contestazione anticonformista. Questi due modi di vedere il profetismo, quello innocuo-interiore e quello brontolone-ciarlatano, sono troppo limitati. Così sarebbe limitativo identificare la profezia solo nella critica, dimenticando il servizio della consolazione, dell’incoraggiamento, della speranza e del pagare di persona. E’ certo che il rischio dei falsi profeti non è più dannoso del rischio di una Chiesa costruita sulla rassegnazione pusillanime dei più (secondo il proverbio: quieta non movère et mota quietare: non smuovere ciò che dorme e anestetizzare ciò che è vivo).
Nell’animo di ogni uomo si radicano dei giudizi, delle valutazioni preconcette che classificano, etichettano, rifiutano e marcano le differenze, proprio come è successo agli abitanti di Nazareth che, per gelosia, non hanno tollerato l’apertura universale del loro compaesano Rabbi Gesù.
Don Tonio Dell’Olio[2] aveva scritto sulla rivista “Mosaico di Pace” (giugno 2005): «La profezia non è solo parlare in nome di Dio all’umanità, ma anche portare a Dio il grido delle donne e degli uomini che pretendono una risposta. Diciamoci la verità. Siamo orfani di voci profetiche che prestino le labbra al Signore della vita. Se il silenzio di Dio ci sembra oggi più terrificante di ieri è anche perché non sempre riusciamo a intercettare presenze, vite, voci autorevoli, profonde, limpide che ci incalzino con la Parola, con il sogno di Dio, con “la verità che esce dalla sua bocca”. Ciascuno potrà riconoscere i profeti a piedi scalzi da cui ha ascoltato la parola nuova che sa di sorgente. A ciascuno è capitato, nel corso degli anni, di agguantare un passaggio di Dio in una presenza discreta che sussurra soltanto. Quando ci siamo decisi a porre Dio al centro della nostra vita ne abbiamo voluto sentire la voce, quando Dio pronunciava parole con voce di donna e di uomo, quando levava il canto in liturgie di fedi sconosciute, quando ci faceva battere forte il cuore come nel giorno del primo amore… In tutte queste occasioni c’era qualcuno che si faceva solco perché l’acqua di sorgente giungesse fino alle nostre labbra. Il profeta è quello. Lo capisci. Forse non gli dai il nome, ma lo capisci. A me sembra che questa nostra epoca arida di poesia e di vita, non colga più nemmeno il passaggio dei profeti minori che parlano in nome di Dio. Oppure non c’è terra buona in cui il seme della profezia possa cadere e dischiudersi perché il profeta sorga e parli. Ma a questo vero e proprio dramma della sterilità della profezia come voce di Dio che si rivolge a noi, forse dovremmo aggiungere anche il pauroso deficit di voci, ugualmente profetiche, che sappiano rivolgersi a Dio raccogliendo come in un fiume le lacrime, la notte, la speranza dell’umanità. Voci che sappiano scalare il Sinai come Mosè per darsi appuntamento con Dio. Uomini o donne che, andando oltre la scorza dura delle cose e dei fatti, sappiano riconoscere il senso del dolore e raccontarlo al Signore della vita. Insomma mi chiedo se c’è oggi profezia di preghiera. È la profezia del monaco che è capace di uno sguardo nuovo sul mondo attraverso le inferriate dell’essenzialità della propria cella. È la profezia di donne di vita contemplativa che sanno ascoltare Dio perché si sono esercitate strenuamente ad ascoltare il dolore sottile della gente. Si tratta di credenti che hanno deciso di scommettere tutto su un Dio di cui non comprendono il silenzio. E questo è il paradosso più vero» (https://old.mosaicodipace.it/mosaico/a/11557.html).
Geremia (in ebraico: Yirmeyahu). Biografia di un profeta discusso.
Geremia nasce nel 645 a.C. ad Anatot, a nord di Gerusalemme, da una famiglia sacerdotale benestante. I primi anni della giovinezza li vive mentre regna Manasse che introduce, nella religione di Jahwè, alcuni elementi del culto pagano al Dio Baal. Geremia gli minaccia castighi. Morto Manasse, sale al trono il riformatore Giosia che nel 621 inizia una grande riforma (detta “deuteronomista“) pienamente appoggiata da Geremia. Durante questo periodo la sua attività riscuote vasti successi. Giosia però muore in guerra a Meghiddo nel 609 e sale al trono Joakim; ciò comporta un mutamento religioso e politico e la conseguente catastrofe. Geremia è costretto a intervenire contro la rinascente depravazione religiosa e contro la miopia politica antibabilonese di Joakim. Si scaglia senza compromessi contro le false sicurezze della circoncisione, del culto, dei circoli profetici e del Tempio. A causa di ciò, conduce una vita di stenti, viene contestato dal popolo, riceve minacce e attentati, gli si proibisce di parlare. Joakim muore durante la caduta di Gerusalemme nel 597. Nabucodonosor mette sul trono Sedecia che si rivela un sovrano ben intenzionato, ma debole tanto da lasciarsi trascinare in un movimento filoegiziano per riprendere Gerusalemme dalle mani dei babilonesi. Geremia lo sconsiglia, ma viene bollato come traditore della patria e più volte incarcerato. I Babilonesi riconquistano Gerusalemme (597) e ne deportano gli abitanti. Nelle file dei deportati viene trovato anche Geremia al quale viene risparmiata la deportazione. Egli si reca allora a Masfa a cercare la protezione del governatore Godolìa, suo amico che dopo alcune settimane viene assassinato dai filoegiziani e Geremia è deportato in Egitto. Lì si perdono le tracce.
Chelkìa, padre di Geremia, era di stirpe sacerdotale, ma pare che la sua famiglia fosse stata destituita tre secoli prima dalle funzioni sacerdotali. Su di essa pendeva la maledizione perchè discendente dal sacerdote Ebiatar colpevole di complotto contro il re Salomone (1° Libro dei Re 2, 26-27). Per questa colpa, la famiglia fu forse relegata nel villaggio di Anatot dove aveva conservato la dignità sacerdotale senza poterla esercitare (una specie di “sospensione a divinis”). Quindi: una famiglia “messa da parte” e scomunicata, una famiglia “conosciuta” ma maledetta. La profezia nasce da una lunga, gioiosa e faticosa esperienza di fede (“mi hai sedotto Signore e io mi sono lasciato violentare da te…, maledetto il giorno in cui sono nato…”: dirà Geremia ).
Nessun profeta è bene accetto in patria.
Il testo evangelico della Liturgia continua il discorso inaugurale tenuto da Gesù nella sinagoga di Nazareth. Oggi mettiamo in evidenza due aspetti: è rifiutato dai suoi e accolto dai pagani. Il rifiuto di Nazareth è posto da Luca all’inizio del ministero di Gesù allo scopo di profilare, da subito, lo schema del suo evangelo impostato su un lungo viaggio verso la Croce (“ma egli proseguì il suo cammino“). Quella di Gesù è una storia messianica che si svolge sotto il segno di un duplice “scandalo”: quello di un Messia non-violento e sconfitto e quello di un popolo che, dopo averlo atteso, lo rifiuta. A questo duplice scandalo, la comunità primitiva, e oggi la liturgia, offrono una risposta semplice: fu sempre così, nella storia della salvezza, per i profeti. Ed anche oggi non possiamo permetterci di scandalizzarci ipocritamente, vista la continua neutralizzazione che la nostra coscienza opera nei confronti di Gesù e dei profeti nostri contemporanei (” lo cacciarono fuori della città“).
Il brano odierno indica anche le ragioni del rifiuto e di questo incontro mancato. Ragioni e resistenze di sempre, radicate nel cuore dell’uomo:
a) “Oggi si è compiuta la Scrittura“. Gesù non fa commenti; semplicemente fà quello che dice e quello che la Scrittura promette e chiede. Il profeta non lo si può fare tacere se non uccidendolo, perchè le sue parole si sono fatte vita e carne. Un predicatore è tollerato, un profeta-testimone diventa sovversivo. Una buona notizia per i poveri, normalmente è cattiva notizia per i benestanti, i garantiti, gli assicurati. «Il mistico è assorto nella contemplazione dell’infinito; l’occhio del profeta scruta il definito e il finito, l’insolenza e l’ipocrisia dell’uomo, le piccole crudeltà e le stupide idolatrie»[3].
b) “Quanto hai fatto a Cafarnao, fallo anche tra noi“. Egli non offre privilegi ai suoi, non permette che la sua messianicità diventi un fatto locale, una attrazione turistica sfruttabile, un evento coartabile e programmabile.
c) “Non è il figlio di Giuseppe?“. E’ lo scandalo dell’Incarnazione, è la sproporzione tra la grandezza del messaggio e la quotidianità del messaggero.
d) “Naaman il Siro e la vedova di Sarepta“. Il popolo deve mutare la propria autocomprensione narcisista ed ecclesiocentrica e deve cambiare idee su Dio, da un Dio per noi a un Dio per tutti. Il rifiuto nasce dall’atteggiamento di chi accetta Dio (e il profeta) solo se entra nei propri schemi, programmi, bisogni.
Gesù il mio profeta. Ed è subito incompatibilità irritante! Dovrei uscire fuori con Lui, ed invece lo butto fuori dal perimetro delle mie scelte e lo porto sui miei precipizi in cui regolarmente casco io, mentre Lui prosegue il suo cammino altrove. Ho la stessa sua età; siamo andati a catechismo insieme, ho giocato con lui. Di lui so tutto: che barba! Le solite cose trite e ritrite. Di lui condivido tutto salvo due o tre cosette, ma sono di poco conto: quelle beatitudini da verginelle; quella croce che è tutta roba sua perchè se mi avesse chiesto consiglio, un’idea gliela davo; quel “Padre nostro”, che sembra una poesia di Neruda; quella Cena che avrebbe potuto essere una cenetta se non l’avesse rovinata con degli oscuri sospetti sul mio tradimento e con quel gesto plateale di lavarmi i piedi (e pazienza!) chiedendomi (esagerato!) di mettere anch’io il mio naso sulla puzza dei piedi altrui; la storia della Resurrezione che non mi convince molto; quella maniacale passione da missionario gironzolone che mi ricorda i Testimoni di Geova; quelle ore notturne passate in preghiera, roba da santi o per chi non tiene famiglia e lavoro; l’ ossessiva teologia e pratica di liberazione che i miei confratelli non condividono e, a pensarci bene, neanch’io perchè non ho tempo, la politica è sporca, il sindacato è al capolinea, la Caritas è troppo assistenzialista, la mia parrocchia è di centro-destra e io ormai sono in pensione (e poi mi accorgo adesso che ho già messo le pantofole e non posso uscire). Per il resto condivido tutto e Gesù mi piace, tant’è vero che domenica sono andato a Messa dove finalmente ho fatto una predica decente e martedì sono andato al gruppo biblico dove abbiamo fatto una bellissima discussione sulle nuove povertà.
Un popolo col carisma profetico dell’amore ( 1° Cor. 13,1-13). La Chiesa partecipa al carisma profetico di Gesù. Legge gli eventi nella fede, attraverso la lente della vita di Gesù. Annuncia l’amore gratuito e universale, ma un amore dolce coi deboli, rigoroso coi forti, lucido nelle analisi, perseverante nei fallimenti, devastante sulle proprie sicurezze, consolante sulle insicurezze altrui, capace di pagare di persona.
Ohi!… attenzione a non calpestare i piccoli profeti rompiscatole!
[1] Abraham Heschel, Il Messaggio dei profeti, Borla. Un piccolo e prezioso trattato sul profetiamo, visto da un ebreo.
[2] È presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi. redattore di Mosaico di Pace – rivista promossa da Pax Christi e fondata da Mons. Tonino Bello
[3] Abraham Heschel, op. cit.