Io, da parroco, ho sentito raccontare storie di piccole liti per inginocchiatoi o banchi privilegiati in chiesa; da operaio e da amministratore pubblico ho visto sgomitare, intrallazzare e tramare per incarichi, livelli di carriera, cerchi magici.
22 domenica C
Preghiamo.
O Dio, che chiami i poveri e i peccatori alla festosa assemblea della nuova alleanza, fa’ che la tua Chiesa onori la presenza del Signore negli umili e nei sofferenti, e tutti ci riconosciamo fratelli intorno alla tua mensa. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Dal libro del Siràcide 3,19-21.30-31
Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
Salmo 67 Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.
I giusti si rallegrano, esultano davanti a Dio e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome: Signore è il suo nome.
Padre degli orfani e difensore delle vedove è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri.
Pioggia abbondante hai riversato, o Dio, la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo, in quella che, nella tua bontà, hai reso sicura per il povero, o Dio.
Dalla lettera agli Ebrei 12,18-19.22-24
Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.
Dal Vangelo secondo Luca 14,1.7-14
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
VINCE CHI PERDE. Don Augusto Fontana
«Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire » (Mc 10,44).
In questi giorni si continua a parlare del ritorno dal grande esodo. Anche l’evangelista Luca ha impostato il suo Vangelo descrivendo un lungo viaggio di Gesù verso Gerusalemme e descrivendo incontri, scontri e riflessioni come se fossero tappe intermedie e nuove partenze. Durante una di queste tappe è invitato a cena di sabato e guarisce un uomo idropico, gonfiato da un grave edema[1]. Ed è polemica perché di sabato, secondo alcuni, non si poteva neppure guarire qualcuno. Di seguito a Gesù non sfuggono alcune piccole strategie degli invitati per assicurarsi i posti più vicini all’onorevole e noto padrone di casa. Quello che avviene in quella sala avviene su più grande scala anche nella vita: aspirazioni a primeggiare, scavalcamenti reciproci, indifferenze agli altri, emarginazione dei meno dotati. Quello che Gesù dice agli invitati vale dunque anche per noi. Ed é un problema che non riguarda solo gli ambienti mondani e aristocratici dove si consumano le fiere delle vanità né soltanto gli ambienti di lavoro dove ciascuno tenta di accaparrarsi posti migliori; riguarda anche la vita interna alle comunità cristiane. Sarà capitato anche a noi di vedere o intuire manovre simili. Io, da parroco, ho sentito raccontare storie di piccole liti per inginocchiatoi o banchi privilegiati in chiesa; da operaio e da amministratore pubblico ho visto sgomitare, intrallazzare e tramare per incarichi, livelli di carriera, cerchi magici.
Era accaduto anche ai discepoli: «Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”[…]Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”» (Marco 10, 32-44).
Scrive P. Ermes Ronchi:[2]« Nella vita siamo sedotti da tre verbi malefici, che fanno il male dell’uomo e della donna, e per questo li possiamo definire “maledetti”, e sono: prendere, salire, dominare. Ad essi Gesù oppone tre verbi “benedetti”, che contengono e generano il bene della persona, e sono: dare, scendere, servire».
Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.
L’apostolo Giacomo fu costretto a scrivere in sua lettera: «Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito bene, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito bene e gli dite: «Tu siediti qui comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti in piedi lì», oppure: «Siediti qui sullo sgabello dei miei piedi», non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?» (Giac. 2,1-4). Non é quindi una questione di galateo o di carità cristiana. Certi gesti rivelano o oscurano la logica di Dio.
Gesù fa riflettere un po’ alla volta, forse riferendosi ad un testo biblico già conosciuto: «Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: “Sali quassù” piuttosto che essere umiliato davanti a uno superiore» (Proverbi 25, 6). Una regola di prudenza che Gesù interpreta con una profondità e ampiezza ben superiore. E’ uno stile di vita e di scelta che non riguarda solo il momento di una cena ma Gesù lo estende a ogni momento della vita ecclesiale e sociale.
Parte da alcune considerazioni più elementari e, si direbbe, poco spirituali e terra terra. Comincia col far osservare l’eventualità che chi si affretta a occupare i primi posti può rischiare di essere invitato a spostarsi in fondo coperto dal ridicolo. E’ una vignetta, una caricatura con cui il Vangelo sembra farci ridere di quelle gaffe che rivelano quanto sia controproducente, anche solo a livello umano, la superbia tronfia. Gesù é nella linea della tradizione biblica sapienziale che dedica pagine e pagine a queste piccole/grandi virtù della convivenza mite e sapiente.
Ma non si tratta, abbiamo detto, solo di galateo o di calcolo. Nella prima lettura abbiamo sentito annunciare: «Quanto più sei grande tanto più fatti piccolo, così troverai grazia davanti al Signore».
Il popolo di Dio ha spesso sperimentato che Dio abbatte i superbi ed esalta gli umili. Il salmo di oggi é uno dei tanti che cantano questa esperienza che sentiamo poi sussurrare dalla bocca di Maria. Al discorso negativo si aggiunge una raccomandazione più positiva: «Invita quelli che non possono ricambiarti». Adottare la logica di Dio: fare il bene senza attendere il tornaconto. Chi di noi ha sperimentato la beatitudine della gioia più grande nel dare che nel ricevere? (Atti 20,35). Quasi a dire che l’evangelo ci invita a restare sempre in debito e non tentare di andare a credito con nessuno, né con Dio né con gli altri.
Eccentrici, fuori dal centro.
Per suggerire una qualche forma di interpretazione cito una pagina di Enzo Bianchi che parla di MINORITÀ[3]: «Se c’è un testo teologicamente fondativo dell’esser minori questo mi pare rintracciabile nella Prima Lettera ai Corinzi. Dice Paolo rivolto ai troppi partiti della Chiesa di Corinto: «La parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti. Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1,17-25).
La minorità è un modo di essere e non un modo di parlare o di scrivere. E’ uno stile di vita diffuso, capillare. E’ un metodo relazionale da non confondersi con la falsa modestia, con l’occultamento del proprio ruolo o capacità. La minorità non è una virtù: è un punto di vista sul mondo e su di sè. E’ una “lateralizzazione” di sé rispetto al mondo, un abbandono della posizione di frontalità (o centralità), un mettersi fuori o, piuttosto, ai margini, è un “diventare eccentrici”. Il “farsi piccoli” implica uno stare nel mondo in un certo modo più che un giudizio sul mondo. Il minore è povero non perché è “meno” degli altri, ma perché è portatore di una diversità che non può dar conto compiutamente, persuasivamente, efficacemente, delle sue ragioni; la sua è una povertà argomentativa. Per comprendere il senso di questa scelta abbiamo solo il rovesciamento della logica mondana, il paradosso delle Beatitudini. Essendo un paradosso non si può credibilmente argomentare, persuasivamente formulare, efficacemente comunicare. La ragione non può nulla contro i paradossi e i paradossi sono impotenti e retrocedono di fronte alle argomentazioni. La minorità, come l’amore, vive solo di GESTI, come ha fatto san Francesco. La “mimica” di san Francesco dello spogliarsi davanti al vescovo è il riconoscimento dell’incapacità del linguaggio di “dire” la minorità che appartiene invece all’orizzonte del comportamento “sine glossa” più che a quello delle dichiarazioni di principio o dei documenti».
[1] «Il lievito dei farisei porta all’avere di più (12,15); riempie l’uomo di possesso e di rapina e lo riduce a un idropico, che trasforma in acqua morta tutto ciò che mangia e cresce tanto da non passare poi per la porta stretta. Qui Gesù illustra lo spirito nuovo di chi è guarito dall’idropisia: è l’umiltà, il contrario di quel protagonismo di cui fanno mostra i tanti piccoli idropici che vede scegliere i primi posti» (AA.vv., Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB 1991, pag. 179)
[2] AVVENIRE, 25 agosto 2022
[3] da HOREB, n. 3/1997